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Pagina:Zola - Nana - Pavia - 1881.pdf/217

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non seppe giammai per dove fosse passato; gli sembrava di essersi trascinato per dell’ore, in giro, dentro di un circo.

Un unico ricordo, gli rimase, distinto. Senza potersi spiegare il come, ei si trovava col viso appoggiato al cancello del passaggio dei Panorama, tenendosi colle due mani alle sbarre; non le scoteva; no; procurava semplicemente di -vedere per entro quell’androne, preso da un’emozione da cui tutto il suo essere era turbato, e il cuore rigonfio.

Ma non poteva discernere cosa alcuna; un’onda di tenebre invadeva la galleria deserta, il vento che vi si ingolfava dalla via di S. Marco, gli soffiava in viso un’umidità di cantina. E vi si ostinava.

Poi, come se uscisse da un sogno, rimase stupito, chiese 4 sè stesso, che cosa cercasse a quell’ora, stretto contro a quel cancello, con un tal struggimento, che le sbarre erano penetrate nella faccia. Allora, aveva ripreso il suo cammino, disperato, il cuore pieno di una tristezza estrema, come tradito e solo omai in tutta quella tenebra.

L’alba finalmente comparve, quell’alba smorta delle notti d’inverno, così malinconica sul lastrico fangoso di Parigi.

Muffat era ritornato nelle vie ampie, in costruzione, che si stendevano lungo i cantieri del nuovo Opera.

Stemperato dalla pioggia, sfondato dai carri, il suolo argilloso si era trasformato in un lago di fango. Egli, senza guardare ove metteva i piedi, camminava sempre, scivolando, rimettendosi. Il risveglio di Parigi, gli stormi di spazzaturai, e i primi gruppi d’operai, gli cagionavano un nuovo sgomènto, mano mano che il giorno cresceva.

Lo si guardava con sorpresa, così malconcio, infangato, l’aria smarrita, il cappello inzuppato d’acqua. Per un pezzo, si rifugiò contro le palizzate, fra le impalcature dei fabbricati. Nel vuoto del suo essere, una sola idea restava, quella che egli era molto infelice. Allora, egli pensò a Dio.

Quest’idea subitanea d’un soccorso divino, d’una sovrumana consolazione, lo sorprese come una cosa inaspettata e singolare; essa risvegliava in lui l’immagine del signor Venot, la sua piccola faccia, i suoi denti guasti. Certo; il signor Venot, che egli metteva alla desolazione da più mesi,