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era già servita, quando Nana per la terza volta, mostrò il suo quartierino.

— Ah! ragazzi miei, come vì siete allogati bene! ripeteva, Bosc; una maniera semplicissima di far piacere ai camerata che pagavano da pranzo, giacché in sostanza la questione dalla «nicchia» come lui diceva, non lo interessava punto.

Nella camera da letto, marcò ancor più la nota amabile.

Di solito, trattava le donne da baldracche e l’idea che un uomo potesse impaniarsi con una di quelle luride creature, sollevava in lui la sola indignazione di cui fosse capace nello sdegno da beone, in cui avvolgeva il mondo intero.

— Ah! le birbe! riprese ammiccando, avete fatto la cosa da sornioni... Ebbene! davvero, avete avuto ragione. Sarà delizioso, e noi verremo a trovarvi, perdinci!

Ma, mentre Gigino veniva a cavalcioni d’un manico di granata, Prullière disse con riso maligno:

— To’! è già vostro, quel bambino?

La facezia parve graziosa.

La Lerat e la Maloir si contorcevano dalle risa. Nana, lungi dall’offendersi, ebbe un sorriso intenerito, dicendo che non lo era, sgraziatamente; avrebbe ben voluto, per il piccino e per lei; ne verrebbe forse un altro, egualmente.

Fontan, che si faceva bonario, si prese Gigino in collo, vezzeggiandolo, giocando

— Ciò non conta, si vuol bene lo stesso al suo paparino...Chiamami papà, moccioso!

— Papà.. papà.. balbettava il bambino.

Ognuno lo copriva di carezze. Bosc, ristucco, parlava di mettersi a tavola; non v’era che questo di serio.

Nana domandò il permesso di far sedere Giorgio accanto a lei.

Il pranzo fu allegrissimo. Bosc, però, era infastidito dalla vicinanza del fanciullo, contro il quale doveva difendere il suo piatto. La Lerat lo disturbò egualmente. Ella s’inteneriva, gli confidava a voce bassa delle cose misteriose, delle storie di signori ammodo che la perseguitavano tuttora; e, a due riprese, ei dovette allontanarne il suo ginocchio, perché essa gli si appiciccavacon occhi illanguiditi.