Pagina:Zola - Nana - Pavia - 1881.pdf/451

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— Battiamo il tacco, piccine, ripeteva Gaga. Non è sano star qui.

Uscirono in fretta, gettando uno sguardo ultimo sul letto. Ma, mentre Lucia, Bianca e Carolina erano ancora là, Rosa diede un’ultima occhiata per lasciare la stanza in ordine. Calò una cortina davanti alla finestra: poi, pensò che quella lampada non era conveniente, ci voleva un cero; e dopo aver acceso l’uno dei candelabri del camino, lo depose sul tavolino da notte, accanto al corpo.

Una luce viva illuminò repentinamente il viso della morta.

Fu un orrore. Tutte rabbrividirono e presero la fuga.

— Ah! è cambiata, è cambiata, mormorava Rosa Mignon, rimasta l’ultima.

Se ne andò e chiuse la porta.

Nana, rimaneva sola, colla faccia per aria, nella luce delle candele. Era un carnaio, un mucchio di marcia e di sangue, una palata di carne putrefatta, gettata là, su di un guanciale. Le pustole avevano invaso l’ intera faccia, un bubbone toccando l’altro; e quelle pustole, flacide, vizze, grigiastro come fango, sembravano già una muffa della terra, su quella melma informe, ove si sarebbero indarno cercati i lineamenti, Un occhio, quello di sinistra, era sparito, sommerso completamente nell’erompere della purulenza; l’altro, semi aperto, si sprofondava come un buco nero-e guasto. Il naso suppurava ancora l’utta una crosta rossiccia, partendo da una guancia, invadeva la bocca, che n’era contratta ad un riso abbominevole. E su quell’orrenda maschera grottesca del nulla, i capelli, gli stupendi capelli, conservando il loro fiammeggiare luminoso, scendevano giù in onde d’oro scorrenti. Venere si decomponeva. Pareva che il virus assorbito da lei sui mondezzai, sulle carogne tollerate, quel fermento di cui aveva ammorbato un popolo, le fosse rifluito al viso, e l’avesse imputgdito.

La camera era vuota. Una folata veemente salì dal doulevard e gonfiò le cortine.

— A Berlino! a Berlino! a Berlino!

FINE