Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/4250

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[p. 189 modifica] nell’uomo, di un futuro miglior del presente, per buono che il presente possa essere. Importanza quindi dell’avere una prospettiva e una speranza, per esser felice. Importanza del sapersi fare, comporre e proporre da se stesso tal prospettiva. Non sempre le circostanze, l’età ec. permettono una prospettiva di miglioramento e di avanzamento nello stato ec. Oltracciò gli avanzamenti e miglioramenti grandi sono di difficile conseguimento, e non conseguendosi, e ingannata la speranza, restiamo turbati. Utilità somma del sapersi proporre, di giorno in giorno, un futuro facile, o anche certo, ad ottenere; dei beni che avvengono d’ora in ora; godimenti giornalieri, di cui non v’ha condizione che non sia fornita o capace: il tutto sta sapersene pascere, e formarne la propria espettativa, prospettiva e speranza, ora per ora: questo è ufficio di filosofo, ed è pratica incomparabilmente utile al viver felice (Recanati, primo dí di Quaresima. 28 febbraio 1827).


*    Ho detto altrove che nella primavera l’uomo suole sentirsi piú scontento del suo stato, che negli altri tempi. Cosí ancora nella state piú che nel verno. La cagione è che allora l’uomo patisce meno. Però desidera piú il godimento e il piacere diretto. Nella primavera poi tanto piú sensibile è questo desiderio, quanto è piú sensibile la privazione del patimento e dell’incomodità che reca il freddo, la qual cessa allora [p. 190 modifica]appunto. La infermità, il timore, il patimento di qualunque sorta volgono l’amor del piacere nell’amor del non patire; o del fuggire il pericolo. L’animo in quello stato è meno esigente. Il non patire è piú possibile ad ottenersi che il godere. Però nell’inverno si sente meno la scontentezza del proprio essere, che nella buona stagione. Nella quale l’animo ripiglia la sua avidità del piacere; e, come è naturale, nol ritrova mai (Recanati, 2 marzo 1827, primo venerdí di marzo).


*    A voto per frustra. - εὶς κενòν. Vedi Casaubon., ad Athenae., l. XI, c. 6, sul mezzo.


*    Parrebbe che tutta quella infinita cura che pose Isocrate circa la collocazione delle parole e la struttura della dizione, non ad altro l’avesse egli posta,