Piccola morale/Parte quarta/XV. Nuovo commento

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Parte quarta - XV. Nuovo commento al proverbio Mal no far e paura no aver.

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Parte quarta - XV. Nuovo commento al proverbio Mal no far e paura no aver.
Parte quarta - XIV. I profili
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XV.

NUOVO COMMENTO AL PROVERBIO:
MAL NO FAR E PAURA NO AVER.

Io sono veneratore profondo de’ proverbii, ed ho per gioielli i libri che ne discorrono o ne fanno uso frequente. Amo di amore sviscerato le persone che ne ingemmano la conversazione; sto per dire anche quando ciò fanno fuor di proposito, ciò che accade, per verità, non molto raramente. Carta canta e villan dormi, diceva un buon uomo, giorni sono, dopo aver raccontato le brighe forensi e le varie interpretazioni a cui aveva dato materia non so che scrittura. E ad un tale, che andava pronosticando vicina la propria morte crepi l’astrologo, soggiunse una gentile signora per impeto di amicizia.

La mia indulgenza con chi cita i proverbii a rovescio deriva, oltrechè dall’amore che porto in genere ai proverbii stessi, dalle ripetute osservazioni che ho fatte circa le guise diverse, e talvolta opposte, secondo le quali possono essere intesi. A tavola non s’invecchia, ecco un proverbio de’ più comuni: ma, domando, si ha ad intendere che la tavola accorcia la vita, o che il tempo che si spende nello starsene a tavola ridona o mantiene la gioventù? Notando siffatte ambiguità nella significazione de’ proverbii, fui [p. 282 modifica]tentato più d’una volta di conchiudere che i facitori di essi, presso a poco come i manipolatori degli antichi oracoli, si studiassero di adoperare frasi ambigue perciò appunto che ognuno vi trovasse il suo conto, e quindi il numero de’ proseliti fosse maggiore.

Tutto questo preambolo per togliere da me la taccia di stravagante nella nuova spiegazione che intendo di dare al noto proverbio: Mal no far e paura no aver. Chi, non avendo letto queste mie righe, mi udisse citare il proverbio anzidetto alla mia foggia, avrebbe forse ragione di credermi trasognato. Qual delle due che sia la vera interpretazione, lascio a chiunque voglia l’arbitrio di giudicare: a me basta che si conceda potersi comodamente intendere in due maniere questo che pur sembra di senso pianissimo e fuori di qualsisia controversia.

Quali sono adunque i due significati? Ecco qui. Prima il comune, espresso da Dante nella nota terzina, parlando della coscienza, da lui chiamata

          La buona compagnia che l’uom francheggia
          Sotto l’usbergo del sentirsi puro.

Chi dunque fa il bene se ne può andare securo pe’ fatti suoi. Ciò posto il non aver paura è condizione conseguente al non far male, e quasi premio di esso. Secondo la mia interpretazione all’incontro, il non aver paura facendo il bene è [p. 283 modifica]condizione aggiunta, e come a dire compimento del precetto. Distendiamo un poco la cosa in parole, giusta il beato costume de’ commentatori.

Si prenda i proverbio come precetto a regolare la vita, o come semplice compendio di fatte osservazioni, e nell’un caso e uell’altro è da por mente all’esperienza, e trovare nei fatti che tutto giorno vi accascano sotto gli occhi la spiegazione del vero intendimento con cui esso fu compilato.

Ora, di grazia, lettori mici, guardatevi intorno, e giovatevi per quanto potete e sapete della memoria vi sembra egli che chi fa il bene abbia così pronti ed universali i battimani de’ suoi simili, e, non che i battimani, nè manco la tacita approvazione, da potersene vivere in quella piena sicurezza che il proverbio, secondo il parere universale, prometterebbe? O non piuttosto, all’udire le varie interpretazioni che si danno al ben fare, e vedendo gl’infiniti ostacoli che vi si frappongono, parte dalla malignità e parte dall’ignoranza (mentre pel contrario il vizio trova presso che sempre sgombro il cammino, e favorevoli presso che tutte le inclinazioni) non sembra più ragionevole intendersi dal proverbio che chi vuole far il bene deve provvedersi di non piccola dose di coraggio a vincere le difficoltà, e a non curarsi delle dicerie?

Tiburzio ha fatto un nobile sagrifizio delle proprie affezioni e del proprio interesse alle leggi immutabili del dovere; ma siccome non mi[p. 284 modifica]rava a negoziare, ossia a porre ad usura la propria virtù, lasciò nell’oscurità tutte le parti accessorie che avrebbero dato risalto alla cosa. Le genti volgari, a cui manca spesso l’ingegno, e più spesso il buon cuore per indovinare il bene da pochi dati che loro ne sieno offerti (quando invece hanno acume e perfidia incredibili per ingressare il male al primo sentore che loro ne arriva) vedendo nelle azioni di Tiburzio alcun che d’insolito, e di separato dall’opinione comune, si misero a gridare al mistero, quindi all’artifizio, per ultimo alla bricconeria. Tiburzio però non si smosse, tirò innanzi, sapeva di non far male, ma gli convenne usare non poco coraggio a non impaurirsi.

Sergio all’incontro ha mezzo mondo dalla sua. A tempo sa destreggiare, a tempo assalire: è il Fabio e l’Annibale de’furfanti. Tutti gli applaudono e gli fanno moine. Qui potrebbe dirsi: Far mal e paura no aver. E di che paura? Della propria coscienza? Oh la voce della coscienza è fioca, piccina! Ci vuole un gran silenzio delle passioni perchè la si possa udire; e quando anche tacciano le passioni, insorgono le grida degli adulatori del vizio che confondono la poverelta. Oh! questa è la satira del genere umano, si dirà da taluno. Non del genere umano in generale, rispondo io, ma di quella porzione che rinnega l’umanità. E ad ogni modo, anzichè percuotere i malvagi, che hanno la pelle alquanto [p. 285 modifica]ritrosa alle battiture, l’autore di queste ciarle vorrebbe incoraggiare i buoni a camminar franchi sulla via della rettitudine, non badando a quanto vien loro detto apertamente, o susurrato sottovoce ai fianchi e dopo le spalle di fronte no, perchè certe massime rifuggono dalla faccia degli uomini, come le bestie dal guardare il cielo. La cosa si è presa un poco sul serio; ma non si troverebbe men vera quando anche se ne facesse l’applicazione ad oggetti minuti e d’umile condizione. Un povero diavolo d’artefice metterà ne’ suoi lavori ogni possibile studio, cercherà che i proprii concittadini non abbiano ad invidiare agli estranei i prodotti della sua industria: che ne raccoglierà egli? Assai facilmente critiche osservazioni, sorde inimicizie, e nessuna cooperazione per parte de’ suoi confratelli. Faccia male e troverà, senza dubbio, chi gli darà mano. Sul bene hanno tutti che ridire; quelli ch’erano contenti dell’infimo, non si appagano del mediocre; e quando anche giugnessi a mostrar loro il bello, ti tormentano colle interminabili ricerche del meglio. Si tratta di mercanteggiare? Non mancherà chi trovi che ridire sul prezzo. Bello si, ottimamente fatto, ma prezzo eccedente. — Non vedete che, fatta ragione da cosa a cosa, è più alto il prezzo di quella mostruosa manifattura che avete compera senza fiatare? Fanno le viste di non intendere, o non intendono propriamente.

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Dovremo dunque perciò far il male? No certamente: anzi far il bene; ma ricordarci che per poter far il bene bisogna anche sapere non aver paura, secondo il proverbio.