Poema paradisiaco/Alla nutrice

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Alla nutrice

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ALLA NUTRICE.

Gelida sta la notte cristiana
su le case degli uomini, ma pura.
— O tu che ne la casa tua lontana
fili con dita provvide la lana
5de la tua greggia, sin che l’olio dura
ne la lucerna, e il ceppo a tratti splende,


Nutrice, da cui bevvi la mia vita
prima, ne le cui braccia ebbi il sopore
primo!, se da la tua bocca appassita
10riudissi io quel canto e le tue dita
vedessi, ove s’attenua il bianco fiore
dei velli, e il fuso pendulo che scende,

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e la fronte rugosa che s’inchina
incoronata di capelli bianchi,
15ove la semplice anima indovina
si rivela talor quasi divina-
mente in un raggio, e i tuoi cavi occhi stanchi
ove qualche favilla pur s’accende,


io forse piangerei ancora un pianto
20salùbre e forse ancora dal profondo
mi sorgerebbe qualche antico e santo
affetto, e mi parrebbe nel tuo canto
ritrovar l’innocenza di quel biondo
pargolo; — e lungi queste cose orrende!


25E tutta la freschezza del tuo latte
ne le mie vene! — Una natività
novella, in un candor di nevi intatte. —
E tutta la freschezza del tuo latte
ne le mie vene, e tutta la bontà
30dei cieli; — e lungi queste cose orrende,

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lungi sempre da l’anima rinata
e del candor natale circonfusa!
Una immensa bianchezza immacolata,
una forma d’amore angelicata,
35e per tutto l’imagine diffusa
d’un Bene Sommo che quivi s’attende! —


Ma tu, che ne la casa tua lontana
torci il fuso, non sai la mia ventura.
Fili con dita provvide la lana
40de la tua greggia; nè sai la mia vana
tristezza, in quest’azzurra notte pura.
Tu torci il fuso, e il ceppo a tratti splende.


E fili, e fili sin che l’olio dura,
Nutrice; e morta la mammella pende.


Natale del 1892.