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Poesie (Parini)/IV. Le odi/II. La salubrità dell'aria

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II. La salubrità dell'aria

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II

LA SALUBRITÀ DELL’ARIA

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     Oh beato terreno
del vago Eupili mio,
ecco al fin nel tuo seno
m’accogli; e del natio
5aere mi circondi;
e il petto avido inondi!
     Giá nel polmon capace
urta sé stesso e scende
quest’etere vivace
10che gli egri spirti accende,
e le forze rintegra,
e l’animo rallegra.
     Però ch’austro scortese
qui suoi vapor non mena:
15e guarda il bel paese
alta di monti schiena,
cui sormontar non vale
borea con rigid’ale.
     Né qui giaccion paludi
20che dall’impuro letto
mandino a i capi ignudi
nuvol di morbi infetto:
e il meriggio a’ bei colli
asciuga i dorsi molli.

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     25Péra colui che primo
a le triste, oziose
acque e al fetido limo
la mia cittade espose;
e per lucro ebbe a vile
30la salute civile.
     Certo colui del fiume
di Stige ora s’impaccia
tra l’orribil bitume,
onde alzando la faccia
35bestemmia il fango e Tacque
che radunar gli piacque.
     Mira dipinti in viso
di mortali pallori
entro al mal nato riso
40i languenti cultori;
e trema, o cittadino,
che a te il soffri vicino.
     Io de’ miei colli ameni
nel bel clima innocente
45passerò i di sereni
tra la beata gente
che di fatiche onusta
è vegeta e robusta.
     Qui con la mente sgombra,
50di pure linfe asterso,
sotto ad una frese’ombra
celebrerò col verso
i villan vispi e sciolti
sparsi per li ricolti;
     55e i membri non mai stanchi
dietro al crescente pane;
e i baldanzosi fianchi
de le ardite villane;
e il bel volto giocondo
60fra il bruno e il rubicondo;

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     dicendo: — Oh fortunate
genti, che in dolci tempre
quest’aura respirate,
rotta e purgata sempre
65da venti fuggitivi
e da limpidi rivi!
     Ben larga ancor natura
fu a la cittá superba
di cielo e d’aria pura:
70ma chi i bei doni or serba
fra il lusso e l’avarizia
e la stolta pigrizia?
     Ahi! non bastò che intorno
putridi stagni avesse;
75anzi a turbarne il giorno
sotto a le mura stesse
trasse gli scelerati
rivi a marcir su i prati.
     E la comun salute
80sacrificossi al pasto
d’ambiziose mute,
che poi con crudo fasto
calchili per l’ampie strade
il popolo che cade.
     85A voi il timo e il croco
e la menta selvaggia
l’aere per ogni loco
de’ vari atomi irraggia,
che con soavi e cari
90sensi pungoli le nari.
     Ma al piè de’ gran palagi
lá il fimo alto fermenta;
e di sali malvagi
ammorba l’aria lenta,
95che a stagnar si rimase
tra le sublimi case.

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     Quivi i lari plebei
da le spregiate crete
d’umor fracidi e rei
100versati fonti indiscrete,
onde il vapor s’aggira,
e col fiato s’inspira.
     Spenti animai, ridotti
per le frequenti vie,
105de gli aliti corrotti
empion l’estivo die:
spettacolo deforme
del cittadin su Torme!
     Né a pena cadde il sole
110che vaganti latrine
con spalancate gole
lustran ogni confine
de la cittá, che desta
beve l’aura molesta.
     115Gridan le leggi, è vero;
e Temi bieco guata:
ma sol di sé pensiero
ha l’inerzia privata.
Stolto! e mirar non vuoi
120ne’ comun danni i tuoi? —
     Ma dove, ahi corro, e vago,
lontano da le belle
colline e dal bel lago
e da le villanelle
125a cui si vivo e schietto
aere ondeggiar fa il petto?
     Va per negletta via
ognor l’util cercando
la calda fantasia,
130che sol felice è quando
l’utile unir può al vanto
di lusinghevol canto.