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Poesie (Parini)/IV. Le odi/III. La impostura

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III. La impostura

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III

LA IMPOSTURA

[1761]

     Venerabile Impostura,
io nel tempio almo a te sacro
vo tenton per l’aria oscura;
e al tuo santo simulacro
5cui gran folla urta di gente,
giá mi prostro umilemente.
     Tu de gli uomini maestra
sola sei. Oualor tu detti
ne la comoda palestra
10i dolcissimi precetti,
tu il discorso volgi amico
al monarca ed al mendico.
     L’un per via piagato reggi;
e fai si che in gridi strani
15sua miseria giganteggi;
onde poi non culti pani
a lui frutti la semenza
de la debile eloquenza.
     Tu dell’altro a lato al trono
20con la Iperbole ti posi:
e fra i turbini e fra il tuono
de’ gran titoli fa.stosi
le vergogne a lui celate
de la nuda umanitate.

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     25Giá con Numa in sul Tarpeo
désti al Tebro i riti santi,
onde l’augure poteo
co’ suoi voli e co’ suoi canti
soggiogar le altere menti
30domatrici de le genti.
     Del Macedone a te piacque
fare un dio, dinanzi a cui
paventando l’orbe tacque:
e nell’Asia i doni tui
35fúr che l’arabo profeta
solle varo a si gran meta.
     Ave, dea. Tu come il sole
giri e scaldi l’universo.
Te suo nume onora e cole
40oggi il popolo diverso:
e Fortuna a te devota
diede a volger la sua rota.
     I suoi dritti il merto cede
a la tua divinitade,
45e virtú la sua mercede.
Or, se tanta potestade
hai qua giú, col tuo favore
ché non fai pur me impostore?
     Mente pronta e ognor ferace
50d’opportune utili fole
have il tuo degno seguace:
ha pieghevoli parole;
ma tenace e quasi monte
incrollabile la fronte.
     55Sopra tutto ei non oblia
che si fermo il tuo colosso
nel gran tempio non stana,
se, qual base ognor col dosso
non reggessegli il costante
60verosimile le piante.

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     Con quest’arte Cluvieno,
che al bel sesso ora è il piú caro
fra i seguaci di Galeno,
si fa ricco e si fa chiaro;
65ed amar fa, tanto ei vale,
a le belle egre il lor male.
     Ma Cluvien dal mio destino
d’imitar non m’è concesso.
Dell’ipocrita Crispino
70vo’ seguir Torme da presso.
Tu mi guida, o dea cortese,
per lo incognito paese.
     Di tua man tu il collo alquanto
sul manc’omero mi premi:
75tu una stilla ognor di pianto
da mie luci aride spremi:
e mi faccia casto ombrello
sopra il viso ampio cappello.
     Qual ha allor si intatto giglio
80ch’io non macchi e ch’io non sfrond
da le forche e dall’esiglio
sempre salvo? A me fecondi
di quant’oro fien gli strilli
de’ clienti e de’ pupilli!
     85Ma qual arde amabil lume?
Ah! ti veggio ancor lontano,
veritá, mio solo nume,
che m’accenni con la mano;
e m’inviti al latte schietto
90ch’ognor bevvi al tuo bel petto.
     Deh perdona! Errai seguendo
troppo il fervido pensiere.
I tuoi rai del mostro orrendo
scopron or le zanne fiere.
95Tu per sempre a lui mi togli;
e me nudo nuda accogli.