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Poesie (Parini)/IV. Le odi/XI. La caduta

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XI. La caduta

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IV. Le odi - X. La recita dei versi IV. Le odi - XII. La tempesta

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XI

LA CADUTA

(Nell’inverno del 1785)

[1785]

     Quando Orion dal cielo
declinando imperversa;
e pioggia e nevi e gelo
sopra la terra ottenebrata versa,
     5me, spinto ne la iniqua
stagione, infermo il piede,
tra il fango e tra i’obliqua
furia de’ carri la cittá gir vede;
     e per avverso sasso
10mal fra gli altri sorgente,
o per lubrico passo
lungo il cammino stramazzar sovente.
     Ride il fanciullo; e gli occhi
tosto gonfia commosso,
15che il cubito o i ginocchi
me scorge o il mento dal cader percosso.
     Altri accorre; e: — Oh infelice
e di men crudo fato
degno vate! — mi dice;
20e, seguendo il parlar, cinge il mio lato
     con la pietosa mano;
e di terra mi toglie;
e il cappel lordo e il vano
baston dispersi ne la via raccoglie:

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     25— Te ricca di comune
censo la patria loda;
te sublime, te immune
cigno da tempo che il tuo nome roda
     chiama gridando intorno;
30e te molesta incita
di poner fine al Giorno
per cui cercato a lo stranier ti addita.
     Ed ecco il debil fianco
per anni e per natura
35vai nel suolo pur anco
fra il danno strascinando e la paura:
     né il si lodato verso
vile cocchio ti appresta
che te salvi, a traverso
40de’ trivi, dal furor de la tempesta.
     Sdegnosa anima! prendi,
prendi novo consiglio,
se il giá canuto intendi
capo sottrarre a piú fatai periglio.
     45Congiunti tu non hai,
non amiche, non ville,
che te far possan mai
nell’urna del favor preporre a mille.
     Dunque per l’erte scale
50arrampica qual puoi;
e fa gli atri e le sale
ogni giorno ulular de’ pianti tuoi.
     O non cessar di pòrte
fra lo stuol de’ clienti,
55abbracciando le porte
de gl’imi che comandano a i potenti;
     e lor mercé penètra
ne’ recessi de’ grandi
e sopra la lor tetra
60noia le facezie e le novelle spandi.

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     O, se tu sai, piú astuto
i cupi sentier trova
colá dove nel muto
aere il destin de’ popoli si cova;
     65e fingendo nova esca
al pubblico guadagno,
l’onda sommovi, e pesca
insidioso nel turbato stagno.
     Ma chi giammai potria
70guarir tua mente illusa,
o trar per altra via
te ostinato amator de la tua Musa!
     Lasciala: o, pari a vile
mima, il pudore insulti,
75dilettando scurrile
i bassi geni dietro al fasto occulti. —
     Mia bile al fin, costretta
giá troppo, dal profondo
petto rompendo, getta
80impetuosa gli argini; e rispondo:
     — Chi sei tu, che sostenti
a me questo vetusto
pondo, e l’animo tenti
prostrarmi a terra? Umano sei, non giusto.
     85Buon cittadino, al segno
dove natura e i primi
casi ordinar, lo ingegno
guida cosí che lui la patria estimi.
     Quando poi d’etá carco
90il bisogno lo stringe,
chiede opportuno e parco
con fronte liberal che l’alma pinge;
     e se i duri mortali
a lui voltano il tergo,
95ei si fa, contro a i mali,
de la costanza sua scudo ed usbergo.

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     Né si abbassa per duolo,
né s’alza per orgoglio. —
E ciò dicendo, solo
100lascio il mio appoggio; e bieco indi mi toglio.
     Cosí, grato a i soccorsi,
ho il consiglio a dispetto;
e privo di rimorsi,
col dubitante piè torno al mio tetto.