Rime (Andreini)/Sonetti CLXXXIII-CLXXXIV

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Sonetti CLXXXIII-CLXXXIV

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Sonetti CLXXXIII-CLXXXIV
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Dell’Illustre Sig.

HERCOLE TASSO.

SONETTO CLXXIII.


S
E quant’io osservo voi tanto foss’io

Donna da voi gradito, ahi quale stato
     Sarebbe, quanto un tale fortunato,
     E qual più del mio pago unquà desìo?

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Ma se ciò non si deve al merto mio
     Perche ’nteso è da me? perche sperato?
     O perche à me non fia da voi negato,
     Se fora il consentir ingiusto, e rìo?
Poi se m’è tanto caro don conteso
     Che far devrò? cessar forse d’amarvi?
     L’honor forse ritrarre à voi devuto?
Non Isabella nò; perch’anco in darvi
     Riverente, ed humil tale tributo
     Alto ben prova huomo di voi acceso.


Risposta.

SONETTO CLXXXIIII.


S
E i fieri Serpi Hercole invitto estinse,

Hercole tù con valorosi gesti
     Gli empi d’invidia rèa Serpi uccidesti,
     E vinto il Tempo hai tù, s’ei Cacco vinse,
S’egli cotanti Mostri à morte spinse,
     Tù vincesti gli affetti al cor molesti,
     Tu da la Fama illustre manto havesti,
     S’ei del Leon Nemèo la spoglia cinse;
S’egli termine pose à l’Oceàno,
     E tù ’l ponesti à la virtute; intanto,
     Ch’altri à fatica di lontan l’accenna.
Ben degna è certo l’una, e l’altra mano;
     Che quanto l’una alzò la clava, tanto
     L’altra à gloria immortal portò la penna.