Satire di Tito Petronio Arbitro/22

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Capitolo ventiduesimo - Alterchi ed avventure d’osteria

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Petronio Arbitro - Satire (I secolo)
Traduzione dal latino di Vincenzo Lancetti (1863)
Capitolo ventiduesimo - Alterchi ed avventure d’osteria
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CAPITOLO VENTIDUESIMO

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alterchi ed avventure d’osteria.



Mentre cotal commedia rappresentavasi tra noi rivali, sopravvenne l’ostiere colla seconda portata del suo cenino, e osservando che tutto era sottosopra e in confusione, e chè, diss’egli, siete voi ubbriachi? o volete voi fuggirvene? o l’uno e l’altro? chi ha sconvolto questo letticciuolo? e che vuol dire questo monipolio segreto? scommetto io, che voi volevate stanotte fuggirvene al fresco per non pagare la pigion della camera; ma voi non vi riescirete, imperocchè giova che sappiate che questa non è altrimenti la casa della vedova, ma sì di Marco Manicio.

Rispose Eumolpione, fors’anche minacci? e al tempo stesso fegli cader dall’alto un marrovescio solenne; ed egli scagliogli un fiasco da terra, in cui bevevano tanti avventori, e ruppe la fronte a lui che gridava, poi [p. 119 modifica]fuggissi di camera. Mal soffrendo Eumolpione siffatta ingiuria, diè mano ad un candelliere di legno e tenne dietro al fuggitivo, vendicando la sua fronte con moltissimi sgrugni. Eccoti accorrere tutta la famiglia, e una quantità di crapuloni imbriachi. Io poi valendomi della opportunità di vendicarmi chiusi fuora Eumolpione, e resa la pariglia a quel brutale, e rimasto senza emoli, della camera e della notte mi approfittai.

I cuochi frattanto e gli altri valletti gli si mettono intorno, chi cercando infilzargli gli occhi collo spiedo su cui era l’arrosto che abbrustoliva, e chi presa una forchetta dalla credenza si mise in positura di battersi con lui, e soprattutto una vecchia cisposa, che avea un grembiale sucidissimo, con due scarpe di legno disuguali, menò per la catena un cane sterminato, e lo istigò contro Eumolpione, ma egli col candelliere da ogni pericolo si liberò.

Noi vidimo tutto per un buco, che poco prima erasi fatto nell’uscio per la rottura di un occhiello, ed io benediceva colui che batteva. Ma Gitone non tralasciando di essere compassionevole proponea che si riaprisse, e si desse soccorso a quel povero diavolo: io però, cui non anco era passata la stizza, non potei tenermi e gli sonai un buon buffetto sul capo, tanto che egli buttossi piangendo sul letto. Intanto or uno or l’altr’occhio io avvicinava al forame, e applaudiva in mio cuore ai malanni d’Eumolpione, e a guisa di un buon boccone me ne pascea. In questa Bargate ispettor del quartiere1 partitosi da cena si fe’ portare in lettiga, perchè avea la podagra, in mezzo ai litiganti; e com’ebbe un pezzo con rauca e rabbiosa voce sgridato contro gli ubriachi ed i bianti, vedendo Eumolpione, gli disse: oh sei tu fior de’ poeti? E questa canaglia non va via subito, e non finisce i litigi? E avvicinandosi a lui dissegli sotto voce: Mia moglie mi fa inquietare; perciò se mi vuoi bene, fa de’ versi contro essa, onde abbia ad arrossirsi.

[p. 120 modifica] Mentre Eumolpione parlava segretamente a Bargate, entrò nella locanda un trombetta con un sergente pubblico2 insieme ad altra gente non poca, il quale scotendo una sua torcia che mandava più fumo che fiamma, così proclamò:


SI È SMARRITO POCO FA NE' BAGNI

UN RAGAZZO DI CIRCA DICIOTT’ANNI,

COI CAPEGLI RICCI,

DELICATO, AVVENENTE,

E SI CHIAMA GITONE:

SE ALCUN LO VUOLE O CONSEGNARE

O INDICAR DOVE STIA,

AVRÀ UNA MANCIA

DI MILLE NUMMI.


Poco lungi dal Banditore stava Ascilto con un abito cangiante, tenendo entro un bacinetto d’argento il regalo promesso.

Io ordinai a Gitone di nascondersi sotto il letto, intralciando le mani e i piedi nelle cinghie che sostengono i materazzi, onde distesovi sotto come già fece Ulisse nascosto sotto il ventre del montone,3 eluder potesse le mani de’ perquisitori.

Ubbidì Gitone senza ritardo, e in un momento attaccossi alle cinghie, vincendo l’astuzia di Ulisse nel caso medesimo. Io per non dar luogo a’ sospetti misi le mie vesti sul letto, figurandovi il nicchio di un uomo della mia statura.

Ascilto infrattanto com’ebbe scosse tutte le camere col banditore, arrivò alla mia, e quivi la sua speranza si accrebbe, per aver trovato l’uscio assai ben chiuso. Il messo pubblico, introducendo la scure4 nella commessura, aprì agevolmente.

Io mi buttai a’ piedi di Ascilto, e in nome della [p. 121 modifica]antica amicizia, e delle comuni disgrazie, il pregai che mi lasciasse almeno veder Gitone, anzi per meglio colorire la mia finzione gli dissi: io so Ascilto, che tu sei venuto per ammazzarmi; altrimenti a qual fine portavi la scure? Appaga adunque il tuo sdegno, eccoti il collo, spargi quel sangue, di cui col pretesto di una perquisizione andavi in traccia.

Negò Ascilto questa imputazione, dicendo di niente altro cercare che il suo fuggiasco, nè bramar la morte di alcuno, nè di me supplichevole, cui anzi dopo quel litigio fatale teneva carissimo.

Il sergente non istassi però melenso, ma spigne sotto il letto la canna presa all’oste e visita tutti i buchi delle pareti. Gitone evitò i colpi tenendosi bene in sù, e non fiatando di paura, quand’anche i cimici gli mordesser la faccia.

Appena furon costoro partiti, Eumolpione, accortosi che nessuno avrebbe potuto più chiuder l’uscio della camera, che era sgangherato, saltovvi entro bruscamente, e disse: io ho guadagnato i mille nummi, perchè io vado a raggiugnere il banditore, e trattandovi qual meritate, fargli sapere che Gitone è in sua mano.

Io abbracciai le costui ginocchia, vedendol fisso in tale proponimento, e gli dissi: tu avresti ragione di riscaldarti, se potessi provare di essere stato deluso. Ora il ragazzo si è dileguato tra la folla, nè io posso pur sospettare dove sia ito. Io ti supplico, Eumolpione, riconducimelo, o almeno rendilo ad Ascilto.

In quella che io stava persuadendolo, e ch’ei sel credeva, Gitone gonfio pel fiato trattenuto, sternutò tre volte di seguito in guisa che il letto ne tremò. Eumolpione voltosi a quel rumore, augurò salute a Gitone.5 Poi rimosso lo stramazzo vide questo Ulissetto, cui il più affamato Ciclope avrebbe perdonato. Indi a me rivolgendosi, disse: come, o ladrone? Sin colto sul fatto osi tacermi la verità? di maniera che se alcun [p. 122 modifica]Dio arbitro delle umane cose non avesse carpito un segnale dal ragazzo nascosto, io deluso sarei ito cercandolo per le osterie. Gitone però più dolce di me fasciògli prima di tutto con tele di ragno inzuppate nell’olio la piaga che avea nel sopracciglio, di poi levatagli la veste il coprì col suo mantelletto, ed essendosi già raddolcito abbracciollo, e diegli più baci quasi a medicamento, e disse: noi siamo, carissimo padre, noi siamo, sotto la tua salvaguardia. Se tu ami il tuo Gitone comincia per volerlo salvare. Dio volesse che un fuoco nemico me solo incenerisse! Dio volesse, che un cuor procelloso m’ingoiasse! perchè di questi infortunj sono io il soggetto, son io la cagione. Che se io perissi, tutti i rivali ne avrebber vantaggio.

Eumolpione commosso agli affanni sì di Encolpo, che di Gitone, e principalmente non insensibile ai vezzi del fanciullo, voi siete al certo bene sciocchi, ci disse, che forniti di tante qualità potete esser felici, e avevate invece una vita affannosa, ed ogni giorno andate crucciandovi con nuovi guai. Io per me ho sempre vissuto, come se fossi presso a finir i miei giorni, e non tornar più indietro, cioè in santa pace: se volete imitarmi, lasciate tutti questi fastidj. Qui vi perseguita Ascilto; fuggitelo, e venite con me in paese straniero, ove son per andare. Io anderò sopra una nave, che forse parte stanotte: là son conosciuto e sarem bene accolti.

Prudente ed utile parvemi questo consiglio, perchè mi liberava dalle molestie di Ascilto, e più felice vita prometteva. Vinto dalla umanità di Eumolpione mi pentii grandemente della ingiuria poc’anzi fattagli e della mia gelosia cagione di tanti mali.

Dopo molte lagrime io il pregai ed esortai che meco si rappattumasse, dicendogli non essere in poter degli amanti il furore della gelosia, ma che avrei ben curato di nulla più dir nè fare che l’offendesse, e ch’egli come maestro di buone arti, doveva ogni stizza toglier [p. 123 modifica]dall’animo senza lasciarvi alcun resto. Sugli inculti ed aspri terreni lungo tempo durar la neve, ma per piccola pioggia dileguarsi in un istante dove la terra è dall’aratro domata: così ne’ petti umani lo sdegno, se l’animo è feroce rimane, se colto, svanisce.

Perchè tu veda, rispose Eumolpione, quanto sia vero quel che tu dici, ecco che ancor con un bacio do fine alla collera: ora se Dio ci assista disponete tosto la valigietta, e seguitemi, o se vi piace guidatemi.



Note

  1. [p. 304 modifica]Ecco finalmente anche l’ispettore di polizia, o forse meglio l’anziano, o il console o il vigilante, come dicesi in qualche luogo d’Italia.
  2. [p. 304 modifica]Codesti pubblici servidori esistono tuttavia dappertutto.
  3. [p. 304 modifica]Nel nono libro dell’Odissea, Omero fa dire ad Ulisse questa sua strana invenzione, che lo scampò dalla furia di Polifemo.
  4. [p. 304 modifica]Pare da ciò che costoro partecipassero della qualità de’ littori.
  5. [p. 304 modifica]Antichissimo è il costume di augurar salute a chi sternuta. Aristotile ne parla ne’ suoi problemi; e Plinio nella sua Storia naturale.