Sonetto per una cena data da alcuni Lettori dell'Università di Pisa a certi scolari loro amici

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Galileo Galilei

XVII secolo Indice:Saggi di prose e poesie de' più celebri scrittori d'ogni secolo, Volumi 1-2, Londra, 1796.pdf Sonetti letteratura Sonetto per una cena data da alcuni Lettori dell'Università di Pisa a certi scolari loro amici Intestazione 2 settembre 2014 75% Poesie

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Per una cena data da alcuni Lettori dell’Università di Pisa a certi Scolari loro amici. Di Galileo Galilei.
v. pag. 87.


Sonetto.


OH poveri Dottor malarrivati!
     Voi siete stati pure i bei minchioni
     A dare agli scolar tanti Capponi
     Con ristio d’esser tutti condennati.
5Qui non si guarda che si sien mandati
     Editti, bandi, proibizioni;
     Qui non val nulla monsignor Capponi:
     Per dio n’avete ad esser gastigati.
Venite qua; non è una vergogna
     10Un vituperio espresso, una pazzia,
     Un obbrobrio da mitera e da gogna,
Avere i polli in casa e dargli via,
     Senza ragione e quando non bisogna,
     A chi viene a cantar la Befania?
                       E poi a una genia,15
Che per saziar loro ingordigia interna
Avrian data la stretta a vita eterna?
                        In questa lor taverna,
Cioè congrega di gran tavernieri
20Hanno condotto un Conte ed un Alfieri,
                        Che son due masnadieri
Chè s’un de’ ghiotti è re, l’altro è monarca;
Guai a colui che con costor s’imbarca!
                        S’egli entravan nell’arca,

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25Dove campò Noè co’ suoi parenti
E con tutte le razze de’ viventi,
                        Non crediate altrimenti,
Che le spezie si fosser propagate,
Che si poteva dir le son sonate;
                       Perchè queste brigate30
Non pur mangiavan le starne e gli storni,
Le pecore, le capre, i liocorni,
                        Ma in que’ quaranta giorni
Asini e buoi morivan tutti quanti
35Orsi, draghi, serpenti, e liofanti.
                        Hanvi poi tanti e tanti
Cavalier da far prove memorande
Intorno ai piatti, intorno alle vivande,
                        Che saria cosa grande
40Dir del Minelli l’ingordigia orrenda,
O del Sertin da quella gran faccenda;
                        Dir la furia tremenda,
Un rasciugar di piatti e d’altri vasi
Del Ansaldi, del Medici, e del Masi:
                        Hannovi anco quel Rasi,45
Di questo non occorre far parola,
Perchè ognun sa ch’ei tira ben di gola.
                        Or da costor m’invola
Con quel bocchino, e coi leggiadri sguardi
50Quel tristo Trafuriel di Carlin Bardi,
                        Che venne alquanto tardi,
Essendo stato fino alle tre ore,
Non so, dal Confessore, o dal Dottore,
                        E vi giuro di cuore,
55Che mi parea con quello spadaccino
Qualche San Giorgio, o qualche San Martino.

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                        Evvi anco un Lupicino,
Che divora trangugia anzi tracanna,
Il nome solamente lo condanna.