Specchio di vera penitenza/Trattato della scienza

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Trattato della scienza

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Trattato della vanagloria - Capitolo quinto Trattato della scienza - Della seconda scienzia, cioè umana
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TRATTATO DELLA SCIENZA.


qui seguiteremo di mostrare come l'uomo offende iddio in più modi e il prossimo.


Tra gli altri beni dell’animo è la scienza, la quale usandola bene a onore di Dio e a utilità del prossimo e a sua edificazione, è uno gran bene e perfezione dell’uomo. Ma se altri l’usa male e vanamente, che interviene spezialmente quando altri della sua scienza vuole avere nome e fama, e essere tenuto il più savio e essere dagli altri lodato, diventa uno gran male, ed è gran pericolo della persona, quando usa il bene male, e fa della medicina tôsco. Onde dice santo Isidoro nel libro del sommo bene: E’ sono molti i quali la loro iscienzia, non a gloria di Dio, ma a loro propia gloria e loda l’usano, e lèvansene in superbia; e ivi peccano dove doverrebbono i peccati emendare. Onde di questi cotali si potrebbe intendere quella parola di Ieremia profeta: Stultus factus est omnis homo a scientia: Ogni uomo che non usa bene la scienzia sua, della scienzia diventa stolto, donde dovea essere savio. Ora, e’ si truova iscienzia in tre modi: cioè scienza divina, scienza umana, scienza diabolica. Iscienza divina si puote intendere in due modi. O vero per la scienza per la quale Iddio sa tutte le cose; e quest’è iscienzia eterna, la quale alcuna volta si chiama sapienzia, alcuna volta prescienzia, alcuna volta predestinazione, e alcuna volta disposizione, e alcuna volta providenza; non ch’elle sieno più cose distinte l’una dall’altra, ma una sapienza, la quale non è altro che la divina essenzia, e nòminasi in diversi modi per rispetto alle cose create, le quali ella crea e governa, ordina, provvede e dispone: [p. 277 modifica]e di questa non si conviene parlare qui, perché sono cose troppo profonde e sottili per gli laici, e non si potrebbono ben dare ad intendere col nostro volgare, e richiederebbe troppo lunga scrittura, la quale voglio, s’io potrò, vietare.1 L’altro modo, si puote intendere per la scienzia divina quella scienza2 per la quale l’uomo sa le cose divine. E questa puote avere l’uomo in tre modi. O per infusione e revelazione, come ebbe Salomone e molti profeti, e come ebbono gli Appostoli e più altri Santi, i quali, sanza umano essercizio di studio, appararono e intesono l’altissime cose di Dio, e gli occulti misteri e’ profondi sagramenti della Scrittura; la quale scienza massimamente ebbono poi ch’ebbono ricevuto lo Spirito Santo, del quale dice la Scrittura: Spiritus Domini replevit orbem terrarum, et hoc quod continet omnia, scientiam habet vocis. Onde la scienza è uno de’ doni dello Spirito Santo; avvegna che ’l santo Vangelo dica che Cristo aprì loro lo ’ntelletto,3 e fece loro intendere le Scritture. L’altro modo sì s’imprende4 per dottrina udita da’ dottori e da’ maestri. Il terzo modo, per5 istudio, essercitando il naturale ingegno, leggendo e meditando. E truovansi di quegli ch’hanno avuto6 la scienza delle cose divine e della Scrittura santa o per alcuno de’ tre modi detti, o per due de’ tre modi, o per tutti e tre.7 Secondo il primo modo, si ’mprende questa divina scienzia per grazia di Dio o per orazione: quanto al secondo, per umiltà e per subiezione: secondo il terzo modo, per sollecitudine e per essercitazione. Per avere questa [p. 278 modifica]scienzia orava il santo profeta David, e diceva: Bonitatem et disciplinam et scientiam doce me. E quell’altro Santo diceva: Da mihi, Domine, sedium tuarum assistricem sapientiam. Per acquistare questa sovrana sapienza della Scrittura divina, san Paolo udì la dottrina di quel gran dottore della legge Gamaliele; san Girolamo lasciò le degnitade e rifiutò il cappello, e andònne in Gostantinopoli a udire quel gran dottore greco Gregorio Nazanzeno; santo Agostino volle udire santo Ambruogio, e richiese studiosamente la dottrina delle sante Scritture da santo Ierolimo; e san Tommaso d’Aquino n’andò in Cologna e a Parigi a udire la dottrina di quel gran teolago e sommo filosafo frate Alberto della Magna de’ frati Predicatori; e di più altri si legge che con gran diligenza e con molta umilità udendo l’altrui dottrina, diventarono sommi dottori. Di molti altri si legge che con grande studio e con molta fatica s’ingegnarono d’acquistare questa divina scienzia. E tacendo di più altri, per iscrivere brieve.

Leggesi di messer san Domenico, patriarca de’ Predicatori, che collo studio e colla molta sollecitudine ch’egli avea d’imprendere questa divina iscienzia, acciò che poi colla vita appostolica, predicandola, convertisse il mondo a via di verità dall’errore e dalla tenebrìa8 del peccato, stette dieci anni che non bevve vino. E di san Piero martire9 si legge, col testimonio della santa Chiesa, che, per la grande sollecitudine ch’avea nello studio della santa Scrittura, quasi senza dormire o con picciolo sonno conducea le notti. Ad avere questa scienza della divina Scrittura è tenuto ciascuno cristiano, e ciascuno secondo lo stato e la condizione sua e ’l grado che tiene: chè altrimenti la dee sapere e il prelato e il rettore dell’anime; altrimenti il maestro e’ l dottore e’ l predicatore, i [p. 279 modifica]quali debbono entrare a dentro nel pelago profondo delle Scritture, e sapere intendere gli occulti misteri, per potergli sporre e ’nsegnarli altrui, e essere apparecchiati a rendere ragione, come dice l’Appostolo, delle cose della fede e della Scrittura a chiunche ne domanda. E altrimenti son tenuti i laici e le persone sanza lettera, a’ quali basta di sapere in genere de’ comandamenti della legge, degli articoli della fede, de’ sagramenti della Chiesa, de’ peccati, degli ordinamenti ecclesiastici, della dottrina del santo Vangelo, quanto è necessario a loro salute, e quanto n’odono da’ loro rettori e da’ predicatori della Scrittura e della fede; none assottigliandosi troppo, né mettendo il piede troppo a dentro nel pelago della Scrittura, il quale10 non ogni gente sa né puote né dee volere guadare;11 chè vi si sdrucciola, e spesse volte vi s’anniega dagli incauti e curiosi e vani cercatori. Ma ciascuno dee sapere e ingegnarsi di sapere tanto quanto si richiede all’uficio suo, e allo stato ch’egli tiene. Onde i rettori, maestri, dottori e predicatori debbono sapere eccellentemente la Scrittura, la quale eglino hanno a ’nsegnare altrui; e però si debbono ingegnare di studiare e d’imprendere, innanzi che vengano allo stato e all’atto della dottrina: altrimenti, male a loro uopo ci salgono. Onde disse Iddio per lo profeta Osea: Quia scientiam repulisti, repellam te, ne sacerdotio fungaris mihi: Imperò che tu non hai voluto avere scienzia, io ti caccerò via, che non abbi l’uficio del mio sacerdozio; il cui uficio è di reggere e d’ammaestrare altrui; che non si puote ben fare sanza scienzia. Ma e’ si truovano alquanti, che sono tanto ambiziosi e volonterosi12 dell’essere maestri e d’insegnare altrui, che non apparano innanzi quello che debbono insegnare; e imperò che hanno troppo gran fretta, non volendo essere discepoli di verità, diventano maestri d’errori. Onde dice san Ierolimo: [p. 280 modifica]Niuno prossume di dirsi maestro di qualunche vile arte, se io prima non la ’mprende; ma della santa Scrittura, e del reggimento dell’anime, ch’è la maggiore arte che sia, ciascuno, quantunque13 sia insofficiente, se ne fa maestro. E ad essere sofficiente maestro e predicatore altrui, non solamente si richiede scienzia, ma e’ si richiede la buona vita; sì come dice san Gregorio, che chi vuole bene ammaestrare altrui, in prima si studi di ben vivere: imperò che le buone opere confermano e appruovano il ben dire, e la malavita guasta ogni buono dire;14 perché la cui vita l’uomo dispregia,15 séguita che la sua dottrina sia dispregiata, e non avuta a capitale: onde non è sanza grande prosunzione voler dire bene e far male, o voler dire assai e far poco. E però riprende Iddio tale dicitore per lo Salmista, quando dice: Peccatori autem dixit Deus: Quare tu enarras iustitias meas? e quello che séguita. Dice Iddio al peccatore che dice e non fa quello che ben dice: perché narri tu le mie iustizie, e la mia legge insegni colla bocca tua, alla quale tu non obedisci bene operando, ma hâla in odio, e gíttilati dietro alle spalle? E dobbiamo sapere, che avere buona dottrina colla non buona vita è di gran vergogna16 al dicitore, e a Dio molto dispiace; e alla Chiesa, che ode tale dottrina, molto nuoce. In prima, quegli che parla bene e vive male, quasi porta in mano una lumiera che dimostra le sue male opere agli uditori; ond’egli stesso palesa la vergogna sua, dicendo Cristo nel Vangelo: Fate che la luce della vostra dottrina mostri e manifesti le vostre buone opere. Egli ancora legge le lettere della sua condanagione, e contraddice a sé medesimo, e confondesi colle sue parole. Onde dice Prospero:17 [p. 281 modifica]Dire bene e vivere male non è altro se non condannare sé medesimo colla bocca18 sua. E san Ierolimo dice: Non confondano le parole tue la vita tua, e non ti intervenga che, predicando tu, si dica dagli uditori; perché non fa’ tu quello che tu di’? e convengati udire il rimprovero del comune proverbio: Medico, cura te medesimo; e trâtti prima la trave dell’occhio tuo, e poi potrai trarre il brusco dell’occhio altrui. La mano, adunque, del predicatore s’accordi colla lingua. Chi non si reca la mano a bocca, tardi si satollerà, e rimarrà affamato satollando altrui; e saràgli per rimprovero detta quella parola della Scrittura: Vox quidem, vox Iacob est: sed manus, manus sunt Esau. E che ciò molto dispiaccia a Dio, si mostra nel santo Vangelo, quando Iesu Cristo maladisse il fico dove non trovò frutto, ma pure foglie; e seccòssi. Dove per lo frutto s’intende l’opere buone, per le foglie le parole; onde, contro a quegli Farisei, maestri della legge, dicea: Quello che vi dicono servate e fate, ma non vogliate fare secondo l’opere loro; chè dicono parole, e non fanno fatti. Nuoce questa cotale dottrina sanza le buone opere agli uditori; però che non è efficace, e non fa quel frutto al quale è ordinata: onde chi non arde, non incende. E però dice san Gregorio, che più vale a fare utile negli uditori una coscienzia d’un fervente amore, che non fa la scienzia de’ sottili sermoni: e la soavità della dolce lingua non vale niente, se non si condisce col sapore della santa vita. E coloro sanno dolcemente d’Iddio parlare, i quali l’hanno ferventemente preso ad amare: altrimenti, perché i predicatori solo col suono della voce dicano la verità, non è loro creduta, e agevolmente caggiono nel vizio della vanagloria; chè, com’eglino sono vani e sanza frutto di buone operazioni, così vanamente dirizzano la loro intenzione al piacere delle genti, e a volere essere lodati, e tenuti savi e santi. Contro a questi cotali parlò san Paolo quando dicea: Noi non siamo come alquanti e’ quali avólterano la parola di Dio. Dove è da notare che la [p. 282 modifica]sapienza, secondo che dice la Scrittura, è sposa dell’uomo giusto, della quale si dee ingenerare19 ligittimo frutto col seme della parola d’Iddio. Onde, com’è detto adúltero quegli che, abbandonando la sua propria sposa, della quale dee volere, seminando in lei, ricogliere frutto, seminasse20 in altrui non per frutto ligittimo, ma per disonesto piacere con diletto; così il predicatore della parola di Dio, che non predica colla sapienzia e colla intenzione di fare frutto spirituale, ma per avere diletto della loda e della gloria vana, è adúltero, che invano sparge il seme. Ed è gravissimo avoltero quello, però che il commette colla sposa propia di Dio: chè, come Dio dà per isposa all’uomo la sapienzia, come una sua ligittima e prima genita21 figliuola, si come dice la Scrittura; così si vuole egli la sua propia sposa, e non vuole che altri la tocchi né che altri la guati mentre che si vive in questa vita. E questa è la bellissima e amabile gloria della quale egli dice per lo Profeta: Gloriam meam alteri non dabo: La gloria mia, la sposa mia, non darò io ad altrui. Onde e22 san Paolo, fedele cameriere di Dio e guardiano della sposa del suo Signore, dicea: A Dio solo la gloria. Ben è licito parlare di lei, e per lo suo amore fare ballate e sonetti d’amore, come dice il Salmista: In templo eius omnes dicent gloriam; e in un altro luogo: Gloriam regni tui dicunt; e anche diceva: Io canterò e sonerò23 per amore della gloria; e facévale la mattinata; onde e’ diceva: Exurge gloria mea, exurge psalterium et cythara, exurgam diluculo. Onde ben vuole Iddio che ogni uomo ne viva innamorato e languisca di lei, e ancora per amore se ne consumi e muoia; ma non le s’appressi e non [p. 283 modifica]la guati fiso, ma mirila e lascila stare. E a chi in tal guisa la riguarderà in questa vita, nell’altra ne gli farà larghissima copia, e daràgliele a tutto suo volere a perpetuo godimento. Della qual cosa ci dà certa speranza la Scrittura, che dice: Gratiam et gloriam dabit Dominus: Iddio darà la gloria nell’altra vita a coloro a’ quali egli darà l’arra della grazia in questa.24 Ma chi qui la volesse toccare, non gli verrebbe fatto, e ’l seme si perderebbe gittato invano; e del grande e sfacciato ardimento, come isvergognato adúltero, sarà da Dio giudicato. Assai cose si avrebbe a dire di questa celestiale sposa di Dio, per farne innamorare altrui, e desiare danzando:25 ma io m’avveggio ch’io dico troppo lungo; e non è sì bella canzona, quand’ella è troppo lunga,26 che non rincresca. Ritornando adunque al proposito, egli è manifesto segno ch’e’ maestri e predicatori sieno amadori adúlteri della vanagloria, quando, predicando e insegnando, lasciano le cose utili e necessarie alla salute degli uditori, e dicono sottigliezze e novita di e vane27 filosofie, con parole mistiche e figurate, poetando e studiando di mescolarvi rettorici colori, che dilettino agli orecchi e non vadano al quore. Le quali cose non solamente non sono fruttuose e utili agli uditori, ma spesse volte gli mettono in quistioni, e pericolosi e falsi errori; come molte volte, e per antico e per novello, s’è provato. E i vizi e’ peccati i quali col coltello della parola di Dio si voleano tagliare, e colla saetta della predicazione si debbono ferire, col fuoco del dire amoroso e fervente incendersi, rimangono interi e saldi, infistoliti e appostemati ne’ quori per la mala [p. 284 modifica]cura del medico disamorevole dell’anime, e in sé cùpido e vano. Questi così fatti predicatori, anzi giullari e ramanzieri28 e buffoni, a’ quali concorrono gli uditori come a coloro che cantano de’ Paladini, che fanno i gran colpi, pure con l’archetto della viuola,29 sono infedeli e sleali dispensatori del tesoro del Signore loro; cioè della scienzia della Scrittura, la quale Iddio commette loro, acciò che con essa guadagnino l’anime del prezioso sangue di Cristo ricomperate; e eglino la barattano a vento e a fumo della vanagloria. Onde pare che sia venuto, anzi è pure venuto (così non fuss’egli!) il tempo del quale profetò san Paolo, quando, com’egli scrive a Timoteo, la sana dottrina della Scrittura santa e della fede vera non sarà sostenuta, ma cercherà la gente maestri e predicatori secondo l’appetito loro, e che grattin loro il pizzicore degli orecchi, cioè che dicano loro cose che disiderano d’udire a diletto, none ad utilità;30 e dalla verità rivolgeranno l’udire, e alle favole daranno orecchi. Or, come son egli oggi pochi, anzi pochissimi quegli che indicano o vogliano udire la verità? Molto è da dolersene e da piagnerne chi ha punto di sentimento o di cognoscimento o zelo dell’anime: e, ch’è vie peggio, non solamente non è voluta udire la verità, ma è avuta in odio, e chi la dice. Onde si verifica il detto di quel poeta Terrenzio, il quale disse: Veritas odium parit: La verità partorisce odio.

Non pure i maestri e’ predicatori c’hanno ammaestrare e insegnare altrui, debbono studiare d’avere la scienzia della divina Scrittura, ma eziandio gli altri, ciascuno secondo la condizione sua; imperò che sanza essa non si puote venire a salvamento: ch’ella ci ammaestra di quello che noi dobbiamo credere; ella ci dimostra quello che noi dobbiamo sperare: [p. 285 modifica]ella c’insegna come noi dobbiamo amare e operare. Onde ella è necessaria a ogni uomo di qualunche stato sia;31 e però si dee diligentemente leggere e studiare. E a ciò c’induce la Scrittura medesima, la qual dice: Beato quell’uomo al quale tu insegni e ammaestri della legge tua! E in un’altra parte dice: Beato quell’uomo c’ha trovato la sapienzia! Onde Iesu Cristo nel Vangelo la commenda e lódala, predicandola e allegandola contro a’ Giudei, e interpretandola e sponendola a’ discepoli, e aprendo loro lo ’ntendimento acciò che la sapessono intendere, e riprendendo i Saducei che non la sapevano, dicendo: Voi errate, perché non sapete le Scritture e’ comandamenti di Dio. Ora, a volere avere e trovare questa necessaria scienzia, ci conviene osservare tre cose. In prima il luogo ove si truova; secondariamente il modo come si truova; e appresso il fine per lo quale l’uomo la dee trovare.32 In prima dobbiamo cercare della scienza divina nelle scritture sante de’ Profeti e del santo Vangelo, e nelle scritture degli Apostoli, dove è la verità dallo Spirito Santo revelata e spirata;33 come dice messere san Piero: Spiritu Sancto inspirati, loquuti sunt sancti Dei homines: Gli uomini santi di Dio parlano e iscrissono ispirati dallo Spirito Santo. Dobbiamo leggere ne’ libri de’ santi dottori, approvati dalla Chiesa, i quali spongono sanamente la Scrittura; e non si dee cercare ne’ libri vani de’ filosafi e de’ poeti mondani; i quali avvegna che dicessono molte e belle cose disputando de’ vizi e delle virtudi, e del cielo e delle stelle, e de’ costumi delle genti,34 non per ispirazione di Spirito Santo, ma per ingegno dello spirito naturale, parlando molte cose vane, e non vere favoleggiando, dissono più tosto a dilettare gli orecchi che a correggere i vizi. Onde, avvegna che gli uomini savi e litterati [p. 286 modifica]gli possano alcuna volta leggere, che sanno discernere il vero dal falso e’l buono dal reo; gl’idioti e non litterati non è sicuro ch’eglino gli leggano. Né i letterati gli debbono molto usare; chè le più delle volte vi si perde el tempo, e fassi per vanità: e spezialmente è interdetto a’ cherici e a’ religiosi, i quali debbono leggere il santo Vangelo, e le Pistole di san Paolo, e ’l Salterio e l’altra Scrittura santa, che si legge e canta nella santa Chiesa: e molti di loro studiano le commedie di Terrenzio e di Giovanale e d’Ovidio, e ramanzi35 e sonetti d’amore; che è al tutto illecito.

Onde si legge scritto da san Ierolimo, ch’egli essendo giovane, si dilettava molto, bene che fosse fedele cristiano, di leggere ne’ libri di Tullio Cicerone per lo bello parlare rettorico, e ne’ libri di Platone filosafo per lo stile alto e mistico che tiene: ne’ libri de’ Profeti e dell’altra santa Scrittura non si dilettava tanto; chè gli parea lo stile rozzo e grosso.36 Ora avvenne ch’egli infermò gravemente, intanto che disfiato da’ medici, s’apparecchiava l’assequio col mortoro. E essendogli la gente dintorno che aspettavano ch’egli passasse, di súbito lo spirito suo fu rapito dinanzi al giudicio di Dio; dove dice ch’era dintorno alla sedia dove il Giudice sommo sedeva, tanta luce di gloria e di chiarità, che gli occhi suoi non la poteano sofferire. Onde, per lo tremore e per la paura della presenza del Giudice, e per la forza di quella importabile luce, egli stava steso in terra dinanzi alla giudiciale sedia; e domandato dal Giudice di che condizione e’ fosse, ed e’ rispose ch’era cristiano. – Tu ne menti, disse il Giudice, chè tu non se’ cristiano, anzi se’ ciceroniano; chè dove è il tesoro tuo, ivi è il cuore tuo. – Tacette, non sappiendo che si rispondere. Allora comandò il Giudice che fosse duramente battuto; ed egli [p. 287 modifica]ad alta boce gridando: – Mercè, Signor mio, abbi misericordia di me; molti di coloro ch’erano presenti, pregavano il Giudice che per quella volta personasse alla ignoranza e all’etade giovanile: egli piagnendo per lo errore e per lo fallo commesso, e per lo duolo delle dure battiture, cominciò a giurare, e a dire che mai non lo farebbe più, ch’egli avesse o leggesse libri secolareschi e mondani. In queste parole lasciato, tornò al corpo, e rivivette quegli che credevano37 che fosse morto. E dice san Girolamo, che si trovò tutto bagnato di lagrime; e in certa testimonianza che quello non era stato sogno ma vera visione, tutte le spalle si trovò livide e peste per le battiture ricevute. Per la qual cosa, così gastigato, e per lo saramento obbligato,38 non lesse ma’ poi quegli cotali libri, ma tutto lo studio puose ne’ libri della santa Scrittura; la quale egli, sì come appruova e tiene la santa Chiesa, meglio e più fedelmente e più veracemente traslatò, interpretò, spose e cementò, che niun altro dottore greco o latino. In certi libri della Scrittura e de’ dottori che sono volgarizzati, si puote leggere, ma con buona cautela; imperò che si truovano molto falsi e corrotti, e per difetto degli scrittori che non sono comunemente bene intendenti, e per difetto de’ volgarizzatori, i quali i passi fortï della Scrittura e’ detti de’ Santi sottili e oscuri non intendendo, non gli spongono secondo l’intimo e spirituale intendimento, ma solamente la scorza di fuori della lettera, secondo la gramatica, recano in volgare. E perché non hanno lo spirituale intendimento, e perché il nostro volgare ha difetto di propi vocaboli,39 spesse [p. 288 modifica]volte grossamente e rozzamente, e molte volte non veramente la spongono. Ed è troppo gran pericolo; chè agevolmente si potrebbe cadere in errore. Sanza ch’egli avviliscono la Scrittura; la quale con alte sentenzie e isquisiti latini,40 con begli colori rettorici e di leggiadro stile adorna, quale col parlare mozzo la tronca, come e’ Franceschi e’ Provenzali; quali collo scuro linguaggio l’offuscano, come i Tedeschi, Ungheri e Inghilesi; quali col volgare bazzesco e croio la ’ncrudiscono,41 come sono i Lombardi; quali con vocaboli ambigui e dubiosi dimezzandola la dividono, come i Napoletani e Regnicoli; quali coll’accento aspro e ruvido l’arrugginiscono, come sono i Romani: alquanti altri con favella maremmana, rusticana, alpigiana, l’arrozziscono; e alquanti meno male che gli altri, come sono i Toscani, malmenandola, troppo la ’nsudiciano42 e abbruniscono. Tra’ quali i Fiorentini, con vocaboli squarciati e smaniosi, e col loro parlare fiorentinesco istendendola e faccendola rincrescevole, la ’ntorbidano e rimescolano con occi e poscia, aguale e vievocata, pudianzi, mai pur sie, e berreggiate, cavrete delle bonti se non mi ramognate:43 e così ogni uomo44 se ne fa sponitore. Con ciò sia cosa che, a volerla volgarizzare, converrebbe che l’autore fosse molto sofficiente; chè non pure gramatica, ma egli [p. 289 modifica]converrebbe ben sapere teologia, e delle Scritture sante avere esperta notizia; e essere rettorico e essercitato nel parlare volgare, 45 e avere sentimento di Dio e spirito di santa divozione: altrimenti, molti46 difetti vi si commettono, e sono già commessi. E sarebbe molto necessario che si vietasse che non si volgarizzassono più; e’ fatti47 si correggessono per persona che ’l sapesse ben fare.

La seconda cosa che si dee fare e osservare chi vuole bene imprendere la divina scienza della Scrittura, si è il modo come si dee apparare. E, secondo che dicono i santi dottori, in tre modi si dee cercare e imprendere: cioè umilemente, innocentemente e ferventemente. In prima, l’uomo che vuole trovare ed avere questa divina scienzia, sì la dee studiando cercare umilemente: e questo de’ fare in due modi. L’uno modo, che l’uomo la cerchi d’avere da Dio; l’altro modo, che l’uomo s’aumilii e sottometta ad alcuno maestro, che gliele ’nsegni. Il primo modo si è addomandare da Dio, e questo si dee fare ôrando con umiltade; imperò che, come dice la Scrittura, l’orazione di colui che s’aumilia, trapassa i nuvoli; e anche dice: Iddio ragguarda all’orazione degli umili, e non ispregia i loro prieghi, e spezialmente quando domanda la sapienzia, la quale è da Dio; come dice la Scrittura: Omnis sapientia a Domino Deo est. Onde dice santo Iacopo: Chi ha bisogno di sapienzia, domandila a Dio, che la dà abbondantemente. L’altro modo d’acquistare la divina scienzia, si è sottomettersi umilmente ad alcuno maestro che gliene ’nsegni, o leggendo o predicando; chè, come dice santo Ierolimo: Avvegna che sieno stati alquanti solo da Dio ammaestrati, come Moisé e Salamone, e certi altri, non è però da prendere per regola generale quello [p. 290 modifica]ch'è privilegio di pochi; anzi sarebbe prosunzione grande non volere imprendere d’altrui e aspettare d’avere rivelazione da Dio. E interverrebbe che non volendo essere discepolo di verità, diventerebbe maestro d’errore: come interviene d’alcuni prosontuosi, che vogliono esser cattivi48 maestri innanzi che buoni discepoli; e vergognansi di domandare e d’apparare d’altrui quello che non sanno. Qui caderebbe l’essemplo detto di sopra del romito,49 che digiunava e ôrava acciò che Dio gli rivelasse certo intendimento della Scrittura; né non meritò d’averlo se non quando diliberò d’andare a domandare umilmente un suo compagno. Allora gli apparve l’Angiolo di Dio, e ’nsegnògli tutto ciò che volea sapere. E che tale umilità molto piaccia a Dio, si mostra che avendo abbattuto e percosso san Paolo, sì ’l mandò ad Anania, dicendo che udisse da lui quello che gli convenia fare. E san Paolo, avendo avuta la revelazione da Dio, quando fu rapito al terzo cielo, della dottrina del santo Vangelo che dovea predicare, se n’andò in Gierusalem a san Pietro e a santo Iacopo, a ragionare e conferire con loro tutto ciò che gli era intervenuto, acciò ch’eglino esaminassono e approvassono la rivelata dottrina, non volendo fidarsi di sé medesimo, per non errare; come dice santo Ierolimo nel Prolago della Bibbia, dove per molte ragioni e essempli de’ Santi e de’ savi filosafi induce quel suo amico Paolino, che voglia avere maestro, dal quale possa udire la dottrina della santa Scrittura. E in un altro luogo dice santo Ieronimo di sé medesimo: che poi fu grande dottore e nelle sette arti liberali, e in tre lingue, ebrea, greca e latina, e in Roma sofficientmente ammaestrato e dotto, e nella divina Scrittura in Gostantinopoli appo Gregorio Nazianzeno pienamente introdotto; andònne in Betleem, e50 fecesi discepolo d’uno Ebreo, per apparare bene [p. 291 modifica]la lingua ebraica, la quale gli era necessaria per lo51 traslatare la Scrittura santa: dove, per più anni, antico maestro e novello discepolo, con gran fatica studiando, sommamente imprese l’ebraica lingua, della quale fu poi dottore sovrano. Dobbiamo adunque per le predette ragioni intendere e studiare di trovare la verità della divina Scrittura, e essere grati, riconoscendo il beneficio della dottrina de’ maestri e de’ predicatori, che sono dottori e padri spirituali dell’anime: chè veramente, se noi consideriamo la gran fatica che durano studiando, vegghiando, pensando in servigio della gente; e ’l gran pericolo e ’l rischio a che si mettono, cioè l’uficio del magistero e della dottrina, ch’è molto rischioso e a molti è cagione di ruina;52 e la grande utilità che ci fanno insegnandoci, non dottrina da trovare cose terrene e temporali, che tosto passano e vengono meno, ma a trovare vita eterna e la beatitudine e la gloria di Dio, ch’è somma e sanza fine, non ci parrà mai potere sadisfare loro. Onde e Dio ordinò che fosse loro provveduto delle decime e delle primizie e dell’offerte, e che fossono avuti in grande reverenzia; imperò che sono appellati gli occhi della santa Chiesa. Onde, come gli occhi son tenuti cari e riguardati dagli altri membri, così i dottori e predicatori dal popolo; e come la cechità degli occhi è iscandolo di tutto il corpo, così la ’gnoranza de’ prelati e de’ dottori53 è iscandolo e pericolo di tutto il corpo della santa Chiesa. A que’ cotali diceva Cristo nel Vangelo: Voi siete ciechi, e guida54 di ciechi; e se ’l cieco guida il cieco, l’uno e l’altro cade nella fossa. E di tale caduta ne va col peggio la guida, che ha due percosse; dove il guidato n’ha pure una: a dare a intendere che ’l prelato e ’l predicatore ignorante e [p. 292 modifica]cieco sarà giudicato, e porterà pena doppiamente, e de’ propi peccati, e di quegli del popolo e de’ sudditi loro, i quali per la loro ignoranza non seppono consigliare né correggere de’ loro difetti, e illuminare la loro cechità. E però debbono studiare di sapere e per sé e per altrui; chè, come dice Iddio per Malachia profeta: Labia sacerdotum custodiunt scientiam, et legem requirent ex ore eius: Le labbra del sacerdote guardano la scienzia, e la legge si dee richiedere della bocca sua. E però dee avere la scienza della legge per saperne rispondere. E come il prelato e ’l predicatore c’ha la scienzia della legge, la comunica utilmente e fruttuosamente al popolo, predicando, consigliando, correggendo e ammaestrando; così il popolo è obbligato a lui in55 sovvenirgli in tutti i suoi bisogni. E non ne dee la persona aspettare d’essere richiesta; ma come sa il bisogno, gli dee sovvenire secondo il suo potere; né non potrebbe sanza gran peccato infignersi di non saperlo, o negare quello che per lo dottore o per lo predicatore fosse o da lui, o d’altrui per lui, addomandato. Onde san Paolo dicea: Colui ch’è ammaestrato della parola di Dio, faccia comune ogni suo bene a colui che l’ammaestra; chè, com’egli dicea in un altro luogo, parlando di sé e degli altri predicatori: Se noi vi seminiamo le cose spirituali, che sono preziosissime, non è gran fatto se noi metiamo56 delle vostre cose temporali, che sono di piccolo valore. E Iesu Cristo dicea nel Vangelo a’ discepoli suoi in persona de’ predicatori: Quando voi capiterete in57 alcuno luogo, mangerete e bêrete di quello che voi troverrete; ch’egli è degno l’operaio della mercede sua. Onde a’ predicatori è licito di tôrre e di ricevere, per le loro necessitadi, dagli usurai e dagli scherani e da così [p. 293 modifica]fatta gente; la qual cosa non è lecito all’altre persone. Il secondo modo come si dee cercare e studiare la divina scienza, si è innocentemente; cioè a dire, ch’altri viva santamente e giustamente, sanza peccato mortale; chè, come dice la Scrittura: In malevolam animam non introibit sapientia, nec habitabit in corpore subdito peccatis: Nell’anima malivola, cioè maculata e di mala volontà, non enterrà la sapienza, e non abiterà nel corpo subbietto a’ peccati. Onde, come disse un santo Padre: Egli è impossibile che l’anima immonda riceva dono di spirituale scienzia. E avvegna che si truovi di molti uomini peccatori e rei che sono grandi litterati, tuttavia è altra cosa d’avere scienzia di sapere disputare, contendere e quistionare con sottili argomenti, e avere in memoria le Scritture (chè ciò puote avere qualunche grande peccatore ch’abbia lo ’ngegno e la memoria naturalmente buona, colla sollecitudine dello studio); e altra cosa è intrare alla midolla intima e agli occulti segreti58 collo spirituale intendimento e sentimento delle Scritture, che nol può fare se non l’uomo santo e spirituale. Onde dice santo Agostino: Erra colui che crede avere trovato la verità, e ancora vive male. E però dicea il savio Ecclesiastico: Figliuol mio che disideri di trovare la sapienzia, attienti alla giustizia (cioè a dire, vivi giustamente), e Dio la ti darà. Altrimenti, chi giustamente non vive, perch’egli appari molta scienzia, non puote avere però la verità della divina iscienzia. Onde san Paolo dice di que’ cotali: Semper discentes, et numquam ad scientiam veritatis pervenientes: E’ si truovano di quegli che sempre apparano, e mai non pervengono a scienzia di verità. Il terzo modo come si dee cercare la divina scienzia, si è ferventemente e con perseveranza; cioè con disiderio di trovarla e con tutto il quore. E perché non la truovi così tosto (che ’l fa Iddio alcuna volta perché el desiderio cresca), non se ne dee però isdegnare, e abbandonare lo studio e la sollecitudine del cercare. Onde [p. 294 modifica]di ciò n’ammaestra la divina Sapienza, e dice: Beato colui che vegghia continovamente all’uscio mio, che mi troverrà. Questo modo di cercare la divina scienzia insegna il savio Ecclesiastico, quando dice: Se tu cercherai la sapienza59 come l’uomo cerca di trovare il tesoro,60 immantanente ti si lascerà trovare. E però dicea Iesu Cristo nel Vangelo: Petite et accipietis; quoerite et invenientis; pulsate et aperietur vobis: Addimandate la sapienzia umilemente, quanto al primo modo, e riceveretela; cercatela innocentemente e santamente, quanto61 al secondo, e troverretela; picchiate ferventemente e con perseveranza, quanto al terzo modo, e saràvvi aperto lo ’ntendimento della scienzia62 divina. La terza cosa che dee osservare colui che vuole avere la divina scienzia fruttuosamente, si è il fine per lo quale egli la dee volere trovare; ed a questo fine si dee dirizzare tutta la ’ntenzione dell’uomo: ciò è vita eterna; della quale dice san Paolo: Finem vero vitam oeternam: Il fine è vita eterna. Alla quale acquistare insegna la divina Scrittura, imperò ch’ella ’nsegna all’uomo conoscere sé medesimo e esser umile; conoscere Iddio, e amarlo, e obbedire a’ suoi comandamenti; conoscere la viltà delle cose terrene e temporali63 e corporali, e la loro instabilità; conoscere la escellenzia delle cose spirituali e celestiali e eterne, e la loro nobiltà; e insegna queste amare e desiderare, e quelle spregiare e rifiutare. E in questo modo si viene64 all’ultimo fine di vita eterna. E imperò la dottrina delle Scritture è data da Dio generale e comune, acciò che ogni gente, di qualunche stato o condizione si sia, ci truovi fruttuoso ammaestramento, [p. 295 modifica]e conveniente65 cibo alla sua necessità. Onde dice san Gregorio, che la Scrittura è un fiume alto e basso, nel quale il leofante vi nuota, e l’agnello il guada.66 Vuol dire che quegli ch’è grande savio e molto litterato non vi truova fondo, e l’uomo semplice e sanza lettera vi truova fruttuoso ammaestramento; o vero che l’uno e l’altro vi truova suo pasto. E brievemente, tant’è il frutto e l’utilità della santa Scrittura, che niuno si dee confidare ne’ suoi sentimenti o ispirazioni, se quanto s’accordino con essa; secondo che dice santo Antonio. E avvegna che alcuna volta non s’intenda, si dee avere nondimeno in grande reverenzia, pensando che tutta è santa e verace, però ch’ella è da Dio: e ciò facendo, se ne trae spirituale frutto, o intendendola o no. Ben si truovano di quegli, e son molti (così fossin’eglino pochi, poi ch’essere ne debbono!), che studiano e imprendono la Scrittura colla intenzione corrotta, la quale dirizzano a mal fine; de’ quali dice santo Bernardo: Sono alquanti che studiano e apparano per sapere, non ordinano il loro sapere ad altro fine: e questo è curiosità. Sono alcuni altri che voglion sapere per essere saputi, cioè per essere conosciuti e tenuti savi: e questo è vanità. Sono certi altri che studiano e apparano per guadagnare poi della loro iscienzia: e questa è cupidità. E sono altri che studiano ed imprendono per sapere mal dire e mal fare: e questa è iniquità.67 E sono alcuni altri che studiano di sapere per potere e sapere bene operare, e per sé e per altrui; e questa è carità, che dee muovere la ’ntenzione dì ciascuno ad acquistare la divina scienzia; imperò che, come dice l’Apostolo: Scienzia inflat, charitas oedificat: La scienzia in ogni altro modo enfia altrui, facendo l’uomo vizioso e superbo e vano; ma la carità edifica, e fruttuosamente ammaestra se è altrui.

Note

  1. L'edizione sola del Salviati: vitare; accettato, per questa autorità, dalla Crusca: la quale però registra due altri esempi, tratti dall'autor nostro, del verbo vietare, nel senso di schivare, sfuggire.
  2. Ediz. 95 e 85: cioè quella scienzia.
  3. Nelle stampe: lo intendimento.
  4. Così, ottimamente, il Salviati. Men bene gli altri: si prende.
  5. Ediz. 95: si è per ec.
  6. Ediz. 25: che hanno ed hanno avuta; complimento a chi fra i viventi quandochessia diretto, non io saprei dirlo.
  7. Per tucti a tre, la stampa del quattrocento.
  8. Ediz. 95: da le tenebre.
  9. Nel Manoscritto: martiro. Buono per confermare (ma sol come fatto, s'intende) la famminil desinenza martira: di che vedi le Giunte veronesi.
  10. Le stampe dell'85 e del 95 ripetono: pelago.
  11. Male le anzidette edizioni e il Codice nostro: guardare.
  12. Volenterosi, nell'antica edizione.
  13. Il Codice: quanto.
  14. Lo stesso: ogni ben dire.
  15. Lodevolmente la stampa del primo secolo: la cui vita è avuta in dispregio.
  16. Nel Manoscritto: colla mala vita è gran vergogna.
  17. La stampa del 25: dice il Prospero; locuzione assurda, che però spiega, od è spiegata in qualche modo per la variante offertaci dal Manoscritto: dice il proverbio.
  18. Ediz. 95 e 85: voce (o boce).
  19. Nelle stampe del XV e XVI secolo: si dee ingegnare d'ingenerare.
  20. Così gli Accademici. Il Testo a penna e le antiche stampe, ma con poca regolarità di costrutto: se semina.
  21. Così nel nostro Testo.
  22. E manca nelle due antiche edizioni.
  23. Salterò, nel Manoscritto.
  24. Il Testo a penna: l'arra della gloria in questa vita. E le due antiche, con difetto di parole sensibilissimo: Iddio darà l'arra della gloria in quessta vita.
  25. Al nostro Codice mancano queste non troppo calzanti parole: e disiare danzaado, che sono in tutte le stampe.
  26. Le parole quand'ella è troppo lunga, non sono nel nostro Testo, nè pare che nel loro le trovassero gli editori del quattrocento e il Salviati.
  27. Il Salviati, non bene, e il nostro apografo: varie.
  28. Lezione autenticata, per le antiche stampe (92: ramantieri), della Crusca, e confermata dal nostro Manoscritto.
  29. Il Manoscritto: con l'archetto e colla viuola.
  30. Non meglio il Testo e il Salviati: a necessità.
  31. Ediz. 95 e 85: di qualunque stato et condition si sia.
  32. Nel Testo: la dee ciercare.
  33. Ediz. 95 e 85: et scripta (e scritta).
  34. L'impressione antica qui aggiunge: nientedimeno.
  35. Iuinale e ramanti, scrive la stampa del primo secolo.
  36. Secondo il Codice, nel quale è taciuta la congiunione illativa, dovrebbe leggersi e puntuarsi, con diversità notabile del sentimento: non si dilettava: tanto gli parea lo stile rozzo e grosso.
  37. Così, press'a poco, insieme col Testo, le stampe. Quelle del Salviati e del 25 crederono portar gran luce sciogliendo che in che e' o ch'e (quasi: rivisse costui il qual essi credevano ec.): ma la luce più da noi desiderata, si è quella di un antico testo che ci avesse data facoltà di correggere: e rivedette quelli; o, fors'anche: rivivè tra (o intra) quelli ec.
  38. Il Manoscritto e le due stampe antiche tacciono obbligato.
  39. Testimonianza molto contraria a coloro che a tutto pensano potere e dover sopperirsi coi soli vocaboli del trecento. E qual parte della lingua potea dirsi allora formata e provveduta di ogni termine che potesse venirle a bisogno, se ancora il linguaggio delle scienze sacre e della erudizione ecclesiastica, mancava (secondo il nostro autore) di propi (il Manoscritto pone: di certi) vocaboli?
  40. Ediz. 95 e 85: et disquisiti (o e isquisiti) et proprii latini.
  41. Il Manoscritto, erratamente: quale col parlare pazzesco la 'ncrudirono. E, non bene, la stampa del primo secolo muta croio in crudo.
  42. Lo stesso: insudiciscono.
  43. Quest'ultimo esempio, il più strano di tutti, manca nel Codice delle Murate e nella stampa del Salviati. Ma gli editori del primo secolo, a cui principalmente doverono tai raffacci venire a fastidio, se ne sbrigarono come qui appresso: e la rimescolano con loro dire hoggi et poi pur dinanzi, et così ogni huomo ec.
  44. Il Manoscritto: ogni gente.
  45. Adunque, per chi ben guarda, anche il parlar volgare era fin d'allora governato a regole di grammatica e d'arte.
  46. L'antica stampa: dimolti.
  47. Nella stessa: si vietasse che non se ne vulgarizassi più, et quegli che sono vulgarizzati si ec.
  48. Questa calzante parola manca in tutte le stampe ed è nel nostro Manoscritto.
  49. Ediz. 95: remito.
  50. Ivi: Andandone in Bethlem, si sottomise et fecesi ec.
  51. Ediz. 95: La quale haveva necessaria per il ec.
  52. Nel Testo a penna; e a molte cagioni di ruina. Ma l' a rimasto nella forma di segnacaso, accusa gli scambi del copista.
  53. Ediz. 95 e 85: de' predicatori et doctori (rammodernando il Salviati: e dottori).
  54. Le stesse: mena.
  55. Così, colle due antiche, anche il nostro Manoscritto. Ma gli Accademici: a.
  56. Ci piace rappresentare la pronunzia più generale in Firenze, com'è tuttora anche in Roma, in vece di mietiamo, che in qualche testo trovò e pose nella sua stampa il Salviati.
  57. Ediz. 95 e 85: ad.
  58. L'edizione del 25 e il nostro Testo: sagramenti.
  59. Nel Manoscritto: la divina scienzia.
  60. Lo stesso, con minor forza: i tesori.
  61. Nel medesimo: quanto che; con esempio non infrequente, trovandosi ripetuto anche due righe appresso.
  62. Ivi, e non bene: della scrittura.
  63. Il Testo aggiunge questa voce, che più compiutamente risponde all'opposta e triplice distinzione, spirituali, celestiali ed eterne.
  64. Ediz. 95 e 25: si perviene.
  65. Convenevol, colla prima stampa, il Salviati.
  66. Il Testo, nè certo meglio: vi guada.
  67. È da notarsi come quest'ultimo periodetto (cioè dopo la parola cupidità) si trovi soltanto nella stampa del secolo XVIII.