Trattato di architettura civile e militare I/Vita di Francesco di Giorgio Martini/Capo 2

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Vita – Capo II

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CAPO II.

Francesco disegna le antichità di Perugia, Ferento, Gubbio, Tivoli e Roma. Probabilità di un suo viaggio in Lombardia. Scrive il suo primo trattato. Ritornato in patria si ammoglia, ed è impiegato alle pubbliche acque. Vi esercita la pittura e l’architettura.


Ecco dunque quanto della vita del nostro architetto venne fatto di notare a’ suoi biografi, ed in ispecie al bravo e diligente Romagnoli. Ma la fortunata scoperta del codice membranaceo Saluzziano, prima idea del suo grande trattato, del che ne darò le prove nel catalogo ragionato de’ suoi codici, e la collezione sua de’ monumenti, ed il taccuino suo che conservasi in Siena, mi pongono in grado di spiegare in più soddisfacente maniera in che abbia egli trascorsi venti anni della più florida parte della vita sua, poichè degli edifizi che in questo periodo si dicono suoi mancano sempre le prove, che anzi sovrabbondano gli argomenti negativi.

Questo lungo periodo egli impiegollo studiando gli antichi monumenti, a que’ tempi più numerosi e meglio conservati assai che ora non siano, e di essi un grandissimo numero egli consegnonne nel suo citato codice architettonico, misurati e disegnati come usava allora, piuttosto a modo significativo e di studio, che non per avere la minuta esattezza: al modo stesso vedonsi i disegni di Giuliano da S. Gallo, di Bramante, di Ciriaco Anconitano, di Donatello e del Brunellesco, i quali levavano «grossamente in disegno quasi tutti gli edifici di Roma, ed in molti luoghi circostanti di fuori, colle misure delle larghezze od altezze, secondo che potevano arbitrando certificarsi» a dirla coll’antico scrittore della vita del Brunellesco (1). Che quei monumenti egli li misurasse nel citato periodo di anni, ne adduco gli argomenti nel catalogo de’ codici: qui [p. 13 modifica]mi rimane a dire che questo studio furògli senza dubbio molta parte della sua vita.

Lo lasciammo ad Orvieto nel 1447; questa città dista poche miglia da Montefiascone e da Viterbo, tra le quali sono le rovine dell’antica Perento, ove egli disegnò il teatro (Codice architettonico f.o 72). Da Siena ad Orvieto evvi una via per Perugia, e qui misurò l’edificio (f.o 81) che più tardi credè essere un camino: questa via stessa protendesi anche per Gubbio, e di questa città è il teatro a f.o 72. I rimanenti edifizi sono di Roma e sua campagna, e tra questi, molti di Tivoli e di Villa Adriana allora appellata Tivoli vecchio: la pianta di una città marittima (f.o 8) con un porto a due bocche, richiama la forma del porto di Civitavecchia. Non è pur anco improbabile ch’ei si recasse in Lombardia a veder quelle belle opere idrauliche, e me ne viene il pensiero da un disegno (codice membr. Saluzziano f.o 45) rappresentante un naviglio con sostegni a conche al modo di Lombardia, non a usci però, ma a cataratte che s’innalzano con catena avvolta ad un cilindro o fuso (2); fors’anche in Modena (3) questo metodo ei lo apprese, oppure men [p. 14 modifica]lontano dalla patria sua dai due viterbesi Dionigi e Pier Domenico, chiamati a Venezia a tal uopo nel 1481 (4).

A questi lavori che per se soli lunghissimo tempo richiedono, e dei quali troppo scarsa notizia abbiamo dal solo Vasari laddove dice (5) che Francesco tanto andò investigando il modo degli antichi anfiteatri, e d’altre cose somiglianti, ch’elleno furono cagione che mise manco studio nella scultura, aggiungasi l’ideare e lo scrivere i libri dell’architettura universale, che io chiamo Trattato I, fatica diuturna ed improba piucchè non paia, perchè fatta in tempi che nissun aiuto prestavano e nessuna guida: vedesi anche in quel trattato l’uomo di poca letteratura che alla lingua sostituisce costantemente il dialetto, che spezza i periodi e spande e confonde le materie per non avere chiara in capo la tela dell’opera sua, e non ha ancora pratica di quello stile didascalico che l’argomento esige, che par facile e non vi si arriva che collo studio e colla esperienza.

Nel 1467 sposò una madonna Cristofana con dote di 200 fiorini (6), colla quale breve tempo convisse, trovandosi che poco dopo si ammogliò nella Agnesa di Antonio, la quale il 28 gennaio 1468 portogli in dote fiorini 300 (7). [p. 15 modifica]

Gli scrittori delle cose di Siena tengono per opera di Francesco di Giorgio il magnifico palazzo fabbricato in quella città da Jacomo ed Andrea Piccolomini: lo credevano di Pio II, ma l’epoca che ora è fatta certa, lo esclude. Certo questo edifizio non spira lo stile del nostro autore, e fatto dai Piccolomini, ragion vuole che sia disegno del loro architetto Bernardo da Firenze (8).

Negli anni 1460, 1470 egli era impiegato dal suo comune nell’opera de’ bottini per la fonte del campo in Siena, e forse per altre acque, come dai libri de’ debitori e creditori del comune (9). Spiacemi il dover troppo soventi togliere al nostro autore molte opere dategli dalla tradizione ed anche più dall’amor di municipio, ma non posso annoverare tra le cose sue la facciata dell’oratorio della Madonna della Neve in Siena, edificato nel 1470 da Giovanni de’ Cinughi vescovo di Pienza (10), ma nello stile poco elegante di quella facciata io ravviso meglio la mano di Bernardo sopraddetto o d’altri di quella scuola. Riprese poscia lo scalpello ed il pennello, giacchè in quell’aurea epoca non si coltivavano le arti a dimezzo, e chi applicava l’animo agli studi più serii sapeva che una scienza è grado ad un’altra: ora questa universalità di studi è spenta, e se ne adduce il motivo nell’ammirabile incremento delle scienze: ma delle arti che sono figlie della fantasia è forse ora più remoto il limite, o fatta ad esse più scabrosa la via? Certo no, che l’immensità loro è immutabile, e ne fu agevolata la strada dagli studi di chi ne ha preceduti. Questi sono i frutti di un insegnamento che inceppa e d’immaginazioni corte. Il Romagnoli riferisce di lui [p. 16 modifica]che nel 1472 intagliò per lo spedale di S. Maria della Scala un angelo di noce, e già prima vi aveva fatto un dipinto, ed una tribuna e la soffitta con cospicua spesa per que’ tempi, e cospicua ricompensa (11). Nel 1471 dipinse nella cappella grande del detto spedale, ed in queste opere, ora scomparse affatto, ebbe compagno un Raffaello Navesi fiorentino, pittore ignoto alla sua scuola: le pitture interne di un armadio che è in quella sagrestia sono dette dalla guida di Siena opere sue e di Matteo di Giovanni, pittor rinomato di quella scuola ed amico di Francesco, che credesi (12) lo soccorresse nel comporre i campi colle sue invenzioni, e nel fargli le gentilissime cornici a foggia di edicola quali usavano allora; dirò tuttavia che Francesco non è pittor di grido, quantunque le sue tavole per copia non sian poche (13), ma in esse povera è la composizione, difetto del tempo, il colorito smorto, ed il rilievo quasi nullo: non gli si appongono errori, ma non gli si trovano pregi.

Un altro edificio ancora gli attribuiscono, ed è il bellissimo palazzo che Ambrogio di Nanni Spanocchi cominciò nel 1472, ed è tuttora de’ suoi discendenti: il sig. Gaye vorrebbe crederlo del Rossellino, e lo inducono a pensar così le modificazioni del capitello corintio nelle colonne del cortile, che formano un indizio caratteristico delle opere di questo architetto (14). Io pure non ravviso in questo palazzo lo stile di Francesco, eccettuando il cornicione il quale veramente mi par suo, ma non deduco che quei capitelli siano del Rossellino, solo perchè bizzarri e dissimili dall’antico; di tutte le parti di un edificio nessuna [p. 17 modifica]v’ha che maggior varietà offra, quanto i capitelli corintii del decimoquinto secolo: e non sono rare le fabbriche nelle quali di tante forme sono questi capitelli, quanto n’è il numero loro, nè per ciò credansi originali affatto, giacche molti frammenti greci e romani, il Museo Vaticano, ed i sepolcri di Palmira ce ne offrono i tipi.

Proseguiva intanto Francesco a sovrastare alle opere d’acqua della patria sua; al quale proposito riporta intiera il Romagnoli una lunga scritta tratta dall’archivio delle Riformagioni, in data del 23 giugno 1473, nella quale è: «Scripta la ragione di Francesco di Giorgio et Pavolo dandrea dipentori operai de’ Buttini et fonti del Campo, et di più fonti della città di Siena da Fontebranda in fuori cominciando adì 1.° di magio 1469 et finito adì ultimo di giugno 1472, che sono anni tre et mesi 1. ec.» Cesse egli allora da quell’impiego, leggendosi che gli stromenti notati si «debbono lassare per inventario al suo successore». Alla sua uscita le misure furono levate per M.° Francesco del Guasta e Giovanni Cozzarelli ambi architetti sanesi, de’ quali forse sono alcune tra le fabbriche aggiudicate al nostro autore. Quindi leggesi..... «Et trovammo che el Chonsiglio gli fece operai de detti buttini con questi patti che si obrigono andare a detti el terzo più d’acqua che non andava quando li presono et in caso che non la crescessono come che sopra è detto debano perdarsi el mezo del salario, e per tanto giudichiamo che le Sig. Vostre elegano Maestri intendenti di detta acqua per vedere se detta acqua hanno cresciuta come sobrigarono. Et in caso che l’aqua non fosse cresciuta come sonno obrigati giudichiamo abiano perduto el loro salario come dice la riformagione». Volevano i Sanesi avere copiosa provvista di pesce d’acqua dolce ad uso specialmente della stagione quadragesimale: determinarono perciò di sostentare con uno smisurato muraglione le acque del fiume Bruna riducendole a lago artificiale per la conserva de’ pesci, e scelsero acciò lungo la corrente del fiume uno spazio a valle alla foce dello scolo del lago dell’Accesa (15): l’opera fu determinata a cottimo il 18 settembre 1469, calcolato il muro di 6000 [p. 18 modifica]canne a lire 6 la canna; fabbricollo un M.° Adamo di M.° Domenico da S. Vito Lombardo, con spesa egregia per que’ tempi di lire 33940. Andò poi a male l’opera, prima ancora che se ne cavasse frutto, e di questo danno e dell’impiego avutovi dal nostro ingegnere ne parlerò a luogo (16).

La tradizione de’ Sanesi dice opera sua la chiesa de’ PP. Osservanti della Capriola fatta nel 1474. Alcune parti però sono senza dubbio posteriori, come a dire la volta, che non fu ordinata (giusta le deliberazioni del gran consiglio, tomo 245, c. 12 ) che il 24 marzo 1485; tanto meno saranno sue quelle parti che dal portar lo stemma de’ Petrucci, dimostransi fatte da Pandolfo uomo principale della casata sua e tiranno della patria in epoca più tarda. Circa gli anni stessi, cioè certamente prima dell’andata sua in Urbino, disegnava egli in Siena il codice delle macchine, da me dichiarato nel catalogo di questi al N.° IV.

Era però anche quell’anno in Siena, come dal Ducale del 1474 ricavò il Romagnoli. L’anno seguente dipinse la tavola del Natale di Gesù Cristo con altre figure, pel convento de’ monaci Olivetani fuori porta a Tufi; vi scrisse a basso franciscvs georgii pinxit, ed ebbene fiorini cinquanta (17): lo stile è arido, ed inopportuno lo sfoggio di architettura in un tempio che forma il campo, ed accusa nell’autore inesperienza delle regole prospettiche. Ora è all’Istituto delle Belle-Arti.

Con maggiore probabilità che non per gli edifizi anzidetti, possiamo credere opera sua i due claustri di S. Francesco in Siena, cominciati circa il 1476 dal generale de’ conventuali, bresciano di nascita, ma fatto cittadino sanese, il quale nell’anno nel quale furono compiuti vi appose questa iscrizione: hoc clavstrvm et secvndvm fieri fecit frat. francisc. sanso de senis generalis minorvm mcccclxxxvii; il primo chiostro [p. 19 modifica]recinto da un portico su pilastri laterizi archeggiati è notato di tozzezza: il secondo, archeggiato anch’esso, ma sopra colonne, è biasimato per sveltezza eccedente. Ho detto che questi claustri sono opera probabile di Francesco (dico probabile, non certa, poichè quanto dirò lo consente, ma lo stile non è tutto suo), e ne ho prova nel sapersi che sotto la sua direzione fu nel 1475 rifatto il tetto di quella chiesa, giusta la narrazione di un contemporaneo: «Adì 2 di settembre 1482 si finì di tirar su la quinta trave a capo l’altar maggiore di S. Francesco e furon messe più alte di quelle di prima, perchè pareva basso, e tutto l’altro tetto fu alzato braccia..... al pari del muro, fatto senza sconficcare alcuna cosa; e fu ingegno di Francesco di Giorgio di Martino nostro cittadino, il quale sta col Duca d’Urbino, ma mandocci due suoi garzoni e nostri cittadini. Quelle che furono alzate, furono quelle dalla sagrestia in su a capo l’altar maggiore; e fu l’anno 1482 (18)». Sappiamo pure che nel luglio del 1476 egli era in Siena, leggendosi in un codice, citato dal Romagnoli, scritto al commissario Guiducci, che d’ordine dei signori governanti sono invitati a visitare il lago della Bruna M.° Francesco e M.° Sano, ossia Ansano (19).

  1. Anonimo del Moreni. Firenze 1812, pag. 305. La prova del non essere codesto autore contemporaneo, come pretende il Moreni, vedasi nella seguente Memoria I, Notizia del Brunellesco.
  2. Credo non inopportuno di qui dare per disteso questa descrizione che, a notizia mia, è la più antica del semplice ed ingegnoso trovato delle conche: «Se per fiume ho altre acque dalla marina ho da alchuna città e nauili chondurre uoremo doue per pocha acqua dependentia o chaduta in alchun modo nauichar non si potesse debasi uedere la dependentia loro e dalle sponde doue bixongniasse chon mura ristregniar sopperire. Poniamo che detto fiume la prima parte abbj di dependentia pie trenta faraj al termine detto huna porta dalleza a huxo di saracinescha chiauicha ho chataratta chon chanali harghanj e uerrocchj per poterlo a suo posta huprendo alzarla. Ecchosj per tutto la longhezza del fiume chon dette porti le sue altezze partiraj Inele qualj el nauilio ho barcha hentrando serrato la porta per lacqua uenente el nauilio alzando subito si heleuarà Di poi drento a la sichonda porta hentrare potrà. Esserrato quella per lo simile modo si heleuarà. Eccosj dalluna elaltra porta di mano in mano el nauilio doue desideri chondur porraj Dipoj alingiù tornare uolendo huprendo ciaschuna porta el nauilio chollacqua insieme all altra porta si chondurrà Ecchosj dalluna porta doppo laltra husciendo ala marina ritornarrà. Ettutti detti nauilj chol fondo piano da fare sono Acciocchè in poch acqua peschare e possino Sicchome la fighura manifesta». — La stessa cosa indica l’Alberti, anzichè spiegarla, al capo 12, libro X della sua Architettura - V. Stratico, Saggio storico sugl’inventori dei sostegni a conca. Tiraboschi, Storia della Lett. it. Vol. VI, lib. III, § XI.
  3. Ciò dico perchè era uso peculiare dei Modenesi durato sino al principio del XVI secolo di aprire in questo modo le cataratte dei navigli, come narra il Cesariano (Comenti a Vitruvio, lib. VII, cap. 7); e ad un uso quasi peculiare esso pure in allora ai Modenesi, cioè all’arte di forare il terreno per averne i pozzi trivellati che da essi hanno nome in Italia, si riferisce il seguente passo del codice I (f.o 67. Va unito il disegno) «Se in et terreno volessimo vedere per vinticinque ho trenta piej per via d’un foro sellacqua vi fusse, faccisi un travello dacciaro e ferro afforma desse (di S) duna volta e mezzo, ellaste sua quadra dacchomettare di due ho tre pezzi fatto una ghuida a ghuixa de chapa (di K) che laste dirietta venghi a mantenere, dipoj cholla stampata croce inanzi e indirietro girando sicchome el travello hellengnio fora e passa, chosj questo el terreno afforar verrà». Il sig. Gualandi ha recentemente pubblicato uno squarcio del Memoriale di Gasparo Nadi capomastro bolognese, ove parlasi di un pozzo forato dai Bentivoglio nel 1474.
  4. Orioli, Notizie sugl’inventori de’ sostegni ne’ canali. Bibl. ital. Vol. XIX, pag. 458. Gaye, documento CIV.
  5. Vol. IV, pag. 57.
  6. (Ducale del 1467 c. 69. Archivio delle Gabelle de’ contratti) M.r Franciscus Georgii Martini pictor de Senis recepit in dotem a Xristofano Tadei M. Nicolai de Campagnatico fior. 200 per dote di Xristofana filia di Xristofano etc.
  7. (Ducale del 1468-69 c. 20, segnatura del 12 febbraio): Giorgio Martini e Francesco suo figlio ricevono da Antonio Benedetto di Neroccio da Siena fiorini 300 per dote di Agnesa figlia di Antonio futura sposa di Francesco. L’anno stesso (Arch. del Monast. di S. M. Maddalena di Siena) Francesco di Giorgio di Martino è segnato come testimone dell’atto di compra di un podere presso Belcaro.
  8. Vedasi il documento dell’ottobre 1469 n.° LXXX accennato dal Romagnoli e stampato dal D.r Gaye con una giudiziosa nota. Questo palazzo fu poi del collegio Tolomei, ed ora è demaniale.
  9. Archiv. riformag. Vol. 123, classe G. 1469 «come operaio de’ Buttini e della fonte del Campo diè dare L. 3200.» Nel 1470 (id. vol. 124, classe C) «Francesco di Giorgio di Martino operaio della fonte del Campo diè dare L. 3220» ec.
  10. Arch. Riform. Vol. del Consiglio generale del 1470, pag. 139. Gaye, docum. LXXXIX. Delle pretese opere di Francesco pel Cinughi parla anche a modo suo il Deangeli come di cosa non mai combattuta. Biografia degli Scrittori Sanesi, pag. 240 e 334.
  11. (Libri di entrata ed uscita dello Spedale anni 1470 e 1471) varie partite di danari pagategli perchè «dipense la choronazione della Madonna al tempo del Rettore Mis. Nicolò di Gregorio Ricoveri, e fece la nobil tribuna e soffitta con spesa di fiorini 7200, e il sopradetto Francesco ebbe per sua opera Sc. 98. 4. 4».
  12. Della-Valle, Lettere Sanesi III 55. E nell’Antologia romana vol. XIII lo loda per la poesia dell’arte.
  13. Lanzi, Scuola Sanese. Epoca I in fine.
  14. Notò Pietro Cattaneo sanese (Architettura, lib. II, capo 3.° 1554) che il travertino del palazzo Spannocchi è della Ripa a tre miglia da Siena: ora Francesco, il quale parla a lungo delle pietre di quella provincia, non fa motto di questa cava, indizio non ispregevole ch’egli non ne abbia mai fatto uso, e che per conseguenza suoi non siano gli edifizi costrutti col travertino della Ripa.
  15. Targioni, Viaggio in Toscana, vol. IV, pag. 202. Repetti, Dizion. della Toscana, vol. II, pag. 619.
  16. La pescaia de’ Fiorentini al lago di Fucecchio era molto minor opera di questa, della quale forse nacque l’idea nei Sanesi dacchè pensato aveva Pio II di fare un lago in quel di Pienza. Orcia flumine occluso, ac rivo ex Amiantae radicibus eodem derivato (Campanus, Vita Pii II in fine). Pochi anni dopo fu rifatto il muraglione della chiusa dell’Aniene a Tivoli da Innocenzo VIII, opera simile benchè avente un altro scopo (Fea, Disastro di Tivoli, pag. 60).
  17. Lettere Sanesi III, pag. 105 e 106.
  18. Diari Sanesi di Allegretto Allegretti presso i R. ital. Script., vol. XXIII, col. 776. Malgrado la confusione che è in questi Diari, non è difficile il ravvisare per questo fatto l’anno 1475, benchè in apparenza non lo sia.
  19. Copialettere della repubblica, n.° 95.