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138 | daniele cortis |
casa che hanno avuto l’ordine di mandargli lettere e telegrammi a Lugano. Di sua madre si sa dall’arciprete. All’arciprete pare che la ci scrivesse qualche volta.
«Perchè?
«Che so io? Per aver la fede di buoni costumi. Oh, Ella si vuol disturbare!
Veniva il solito tintinnio di bicchieri. La contessa, fatte portar le chiavi della chiesetta, lasciò don Bortolo a godersi in loggia, nella fresca brezza meridiana, un limpido vinetto d’oro.
«Faccio un poco di preparazione» diss’egli «e poi vado subito.
Ella salì nella cameretta d’Elena ricordandosi che questa le aveva detto di restituire a Cortis il libro che troverebbe sul tavolino. Entrò nella stanzetta vôta, si commosse un poco vedendo quel freddo ordine senza vita e dondolarsi al vento le rose care ad Elena. Il libro era lì, sul tavolino. La contessa si ricordò di averlo visto più volte fra le mani d’Elena. Ne guardò il frontespizio — Chateaubriand — Mémoires d’outre tombe. Non lo conosceva. Chi sa che libro triste, che libro alto! A Elena non piacevano che letture così. Daniele Cortis aveva scritto il proprio nome sul frontespizio interno. La contessa lo guardò a lungo e disse fra sè, sospirando:
«Per Elena ci voleva lui.
Ma! Qui lei non ci aveva colpa. Quando Daniele incominciava forse a pensarci, Elena era una fanciullona cresciuta prima del tempo e affatto indifferente alle occhiate dei giovanotti. E poi, lui era andato via, era capitato in casa quell’altro... Pareva proprio un buon partito, un partito serio.