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Pagina:Ariosto-Op.minori.1-(1857).djvu/79

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50 i cinque canti.

Dall’acque d’Albi all’Oceàn correnti:
La barbara cittade in loco siede,
Che quinci un fiume e quindi l’altro vede.

99 Tra le due ripe, alla città distanti
Un tirar d’arco, s’erano alloggiati,
Sì che s’avean la città messa innanti,(1)
Che gli due fiumi avea dietro e dai lati.
Carlo, perchè dai luoghi circostanti
Non abbian vettovaglia gli assediati,
E perchè il campo suo stia più sicuro,
Tra un fiume e l’altro in lungo tirò un muro;

100 Ch’era di fuor di travi e di testura
Di grossi legni, e dentro pien di terra:
E perchè non uscisson delle mura
Dal canto ove la doppia acqua li serra,
Sulle ripe di fuori ebbe gran cura
Di pôr nelle bastie genti da guerra,
Che con velette e ascolte a nessun’ora
Lasciassin uomo entrare o venir fuora.

101 Quindi, una lega appresso, era un’antica
Selva di tassi e di fronzuti cerri,
Che mai sentito colpo d’inimica
Secure non avea nè d’altri ferri:
Quella mai non potesti fare aprica,
Nè quando n’apri il dì nè quando il serri;
Nè al solstizio; nè al tropico, nè mai,
Febo, vi penetrâr tuoi chiari rai.

102 Nè mai Diana; nè mai Ninfa alcuna,
Nè Fauno mai, nè Satir, nè Sileno
Si venne a ricreare all’ombra bruna
Di questo bosco di spavento pieno;
Ma scelerati spirti ed importuna
Religïon quivi dominio avieno,
Dove di sangue umano a Dei non noti
Si facean empî sacrifici e voti.

103 Quivi era fama che Medea, fuggendo
Dopo tanti inimici al fin Teseo,
Che fu, con modo a ricontrarlo orrendo,
Quasi ucciso per lei dal padre Egeo;
Nè più per tutto il mondo loco avendo
Ove tornar se non odioso e reo,
In quelle allora inabitate parti