Vai al contenuto

Pagina:Lucrezio e Fedro I.djvu/249

Da Wikisource.
Versione del 19 giu 2023 alle 09:17 di OrbiliusMagister (discussione | contributi) (Trascritta)
(diff) ← Versione meno recente | Versione attuale (diff) | Versione più recente → (diff)

di Tito Lucrezio Lib. IV. 221

     Van molte effigie d’ogn’intorno, in molti
     Modi, e son così tenui, e sì cedenti,
     Che ben spesso incontrandosi per l’aria
     1045Si congiungono insieme agevolmente,
     Quasi rele di ragni, o foglie d’oro,
     Poichè queste eziandio viepiù sottili
     Son dell’istesse immagini, che ponno
     Gli occhi istigare, e concitar la vista.
     1050Conciossiachè pe ’l raro entran del corpo,
     E la tenue natura a mover atti
     Son della mente, e risvegliare il senso,
     Dunque Centauti, e Scille, e Can trifauci
     Veggiamo, e di coloro ombre ed immagini,
     1055Che già morte ridusse in poca polvere.
     Posciache simolacri d’ogni genere,
     Parte, che dalle cose ognor si staccano,
     Parte, che nati son da cose varie,
     Per lo vano del cielo errando volano,
     1060E di questi, e di quegli a caso unitisi
     Nuove forme sovente anco si creano.
     Conciossiache la specie del Centauro
     Certamente non può da viva origine
     Farsi; poichè nel mondo unqua non videsi
     1065Un simile animal. Ma se l’effigie
     D’un uomo, e, d’un cavallo a caso incontransi,
     L’apparirne un tal mostro è cosa agevole,
     Giacche tosto ambedue forse congiungonsi