Affronti e Confronti/Epilogo

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XXX Affronti e Confronti

Epilogo



Ho ancora tante cose da raccontare in questa storia. Il 2005 sta per terminare ed è ormai passato più di un anno da quando mi trovai nei guai per il computer. L’hard disk venne formattato, ma poi sorsero altre complicazioni. Infatti commisi un’altra sciocchezza, perché non mi preoccupai – prima dell’accaduto – di fare il salvataggio dei dati e dei documenti importanti su altre unità diverse dall’hard disk; tutti gli appunti di questo libro andarono persi e 14 pagine distrutte. Ora, se ciò dovesse accadere, ne perderei molte di più, ed io subirei una grande umiliazione, perché il mio sforzo di scrivere sarebbe vano.

Verso le otto di quella stessa sera del 30 settembre del 2004, Tony mi spedì una mail che io potei controllare solo il giorno dopo quando andai a lavorare. Fra le altre cose, mi scrisse che il viaggio era andato bene e che Leandro era matto, perché, oltre ad aver riempito i Dondi di splendidi regali si era offerto di pagare il parcheggio a Lisa. Mi scrisse anche che Lisa gli stava insegnando ad usare il programma di posta elettronica e che aveva davvero tanta voglia di scrivermi. Infine mi lodava, asserendo che di computer ne sapevo molto più di lui.

Gli inviai una risposta così concepita:

Carissimo Tony. Mi fa molto piacere che tu e la tua famiglia stiate bene e che abbiate fatto buon viaggio. Ora, sto cercando di risponderti direttamente dal sito da cui scarico abitualmente la posta, pur non utilizzando il mio computer, bensì quello dell’ufficio in cui lavoro. Ti prego di scrivermi al più presto, così saprò se l’esperimento è riuscito.

Tu ti complimenti con me, ritenendo che io sappia usare il computer meglio di te, ma è qui che ti sbagli! Alcune sere fa, senza volerlo, ho commesso una grossa stupidaggine. Ho messo il mio computer fuori uso e, probabilmente, dovrà essere riformattato. Ho salvato una copia del messaggio, in modo che se l’esperimento non dovesse riuscire, utilizzerò il programma installato sul computer del posto di lavoro.

Ora vi saluto tutti. La vostra amicizia mi è particolarmente cara. Enea.

P.S.: Hai letto il racconto “I sette piani”?

In quello stesso pomeriggio, ricevetti la risposta di Tony, segno che l’esperimento era riuscito. Lisa gli aveva insegnato ad inserire in rubrica il mio indirizzo di posta elettronica, dicendogli che, una volta battuta la prima lettera del mio nome, usciva sul computer direttamente il nome del destinatario, a meno che non ve ne fossero altri con la stessa lettera iniziale. In quel caso bisognava battere altre lettere, ma non tutto il nome, perché sarebbe stato compilato in automatico. Poi Lisa spiegò a suo padre che, ogni qualvolta avesse ricevuto un messaggio, non era necessario andare su un nuovo campo in cui compilare il destinatario, ma, più semplicemente su “Rispondi”, con un comando rapido da tastiera. Tony fu davvero contento, perché aveva una moglie che lo amava ed una figlia tanto buona. Quest’ultima, poi, le aveva insegnato pian piano ad usare il computer e, a poco a poco, imparò tante cose.

Visto che il mio computer era ancora in riparazione, Tony si propose di telefonarmi; così, giorno dopo giorno, gli insegnai il necessario e Tony divenne presto un bravo allievo. Un giorno mi chiese cosa fosse successo al mio computer e io gli spiegai ogni cosa.

«E il tuo libro?».

«Stavo per iniziarlo, ma è andato perso. Fortunatamente, Biagi mi ha dato un cd con l’intervista scritta e questo per me è stato un grosso aiuto».

«Ti auguro di riavere il computer al più presto. Sai, io, da quando Lisa mi sta insegnando ad usarlo, mi ci sono così affezionato che non riesco a farne a meno».

«Lo capisco benissimo, perché anch’io sono così».

Terminata la telefonata di Tony, a distanza di dieci minuti, ne ricevetti un’altra.

«Enea, sono Lisa. Come stai? I miei genitori ed io parliamo sempre di te».

«Sto benissimo, grazie».

«Scusami, ma dovrò romperti le scatole per un po’».

«Telefonatemi pure quando volete».

«Senti, ci sono molti comandi da tastiera che non fanno parte delle applicazioni installate sul computer di mio padre. Evidentemente ci sono comandi speciali inseriti nell’apposito software che voi adoperate. Ho provato a consultare la guida in linea, ma non sempre ci capisco».

«Per quanto mi sarà possibile, posso insegnarteli io. Per un certo tempo puoi anche aggiornare il software senza pagare. Spero tu abbia la connessione a banda larga, perché, diversamente, non te la puoi cavare».

«Allora, iniziamo fin da adesso. Ho qui carta e penna per prendere appunti».

«Fammi tu le domande, perché, diversamente, non saprei da dove cominciare».

Lisa mi chiese ciò che voleva sapere ed io le spiegai ogni cosa. Le dissi anche che, in casi di difficoltà, avrebbe potuto dire a suo padre di rivolgersi al servizio Infotel del Radioclub Ciechi d’Italia, ma questa raccomandazione fu superflua, perché Tony si sapeva destreggiare benissimo. Poi mi disse che aveva una connessione a banda larga per collegarsi ad internet. «Aspetta! Mia madre vuole salutarti». E mi passò Laura che salutai affettuosamente.

«Allora», disse Lisa, «ci risentiamo domani. Grazie per la tua disponibilità».

Grazie alla pazienza di Lisa e agli appunti che le avevo fatto prendere, Tony imparò abbastanza in fretta e ne fu fiero. Tre settimane dopo che Tony ritornò a casa, ricevetti una telefonata di Leandro. Fui molto contento di sentirlo. I suoi mi salutarono con simpatia. Mi chiese se avessi vinto al Super Enalotto con Sergio. Gli dissi di no, purtroppo. Poi conversò con me di tante altre cose, quindi ci lasciammo.

Verso le quattro di un lunedì pomeriggio ricevetti una telefonata e, questa volta, fu una vera sorpresa. Erano Edoardo e Nina, i quali mi annunciarono che di lì a poco avrei ricevuto il loro invito per il matrimonio che sarebbe stato celebrato il 14 maggio. Mi chiesero il numero di telefono di Leandro, che avevano perso. Glielo diedi. Non avevano invece perso il numero di Tony, al quale, fra l’altro, avevano già telefonato. Ma, poiché le sorprese a volte non finiscono mai, ecco che il giorno seguente, mentre stavo pranzando in mensa, ricevetti una telefonata da parte di Flavia.

«Ma come hai fatto», le dissi, «ad avere il mio numero di cellulare?».

«Come! Non ti ricordi? Me l’hai dato mentre abbiamo chiacchierato in aereo». «Ah, sì. È vero!».

«Volevo chiederti come stai e sapere se ti sei rivolto a mio cognato per il libro». «Lo chiamerò in questi giorni».

«Senti, non so come dirtelo. Quasi mi vergogno a chiederlo, soprattutto a te che non vedi. Se io ti mandassi un messaggio e tu volessi rispondermi... Beh, lasciamo perdere, sto parlando come ad un vedente... Con te ci sentiremo per telefono, perché nel caso degli sms avrai bisogno di chi te li legge».

«Flavia! Non devi affatto preoccuparti di questo. Sul cellulare che mi hanno appena regalato ho uno speciale software che mi permette di gestire molte funzioni, compresa quella di inviare messaggi per iscritto e, naturalmente, di leggerli. Certo, le prime volte farò fatica a scriverli, ma non aver paura! Presto o tardi imparerò. Anzi, ora che mi hai ricordato questa cosa, devo chiamare Tony. Lui ha il telefonino da più tempo e, sicuramente, me lo insegnerà». «Chi è Tony?».

Dovetti spiegarglielo. Al termine della telefonata le chiesi di salutarmi Alice. «Come! L’hai appena incontrata all’uscita dell’aeroporto, sì e no per meno di cinque minuti, e tu te ne ricordi ancora?». «Io ho una memoria da elefante».

«Complimenti! Me ne compiaccio davvero. Allora ti saluto. A presto». Così la salutai, poi terminai il mio pasto, quindi rientrai in ufficio.

Le giornate passavano in modo quasi monotono. A poco a poco, imparai ad usare quel magnifico cellulare, e per fare ciò, dovetti rompere le scatole a Tony più di una volta, ma Tony mi disse che io non ero affatto rompiscatole e che, anzi, si diceva contento di potermi insegnare qualcosa di veramente utile. Poi chiamai Flavia che, a sua volta, mi chiese come avessi fatto ad avere il suo numero. Le spiegai che, dopo aver ricevuto la sua telefonata, ero entrato nel registro chiamate e, notando che nelle chiamate ricevute esisteva l’unico numero senza nome, lo avevo memorizzato in rubrica, attribuendolo a Flavia. Dopo aver parlato alcuni minuti, mi mandò i saluti di Alice e mi chiese come stavano Leandro, mia madre e l’amica che era con lei. Quindi, mi lasciò.

Alcune ore dopo ricevetti anche la telefonata di Alice ed io ne fui contento, perché fu davvero una gran cosa risentire una persona che avevo conosciuto per appena cinque minuti.

Intanto la vita per mia madre e per me andava avanti nella quotidianità dei giorni e degli avvenimenti. Di tanto in tanto telefonavo a Tony, a Leandro, a Lisa, a Edoardo e Nina e, perfino, al personale dell’albergo. Una volta per uno, ci scambiavamo informazioni. Io telefonavo a loro e loro chiamavano me.

Mia madre mi chiedeva chi avrei potuto contattare per il libro; si preoccupò, soprattutto, di chiedermi come avrei fatto a scriverlo, visto che da tempo ero senza computer, ed io la sbalordii, dicendole che avevo provveduto in modo diverso. Poi venne il mese di dicembre. Telefonai a Gianni, il cognato di Flavia. Mi sentii un po’ impacciato, perché non lo conoscevo, ma poi superai l’ostacolo con molta facilità. Mi disse di avermi già visto in quelle puntate di Biagi e, naturalmente, era al corrente della mia intenzione di scrivere un libro. Gli chiesi come avrei dovuto comportarmi visto che non abitavo a Roma.

«Lei sa usare la posta elettronica?».

«Sì».

«Mi mandi pure quello che ha già scritto».

«Veramente, il mio libro è già finito».

«Ah», fece lui.

Poi gli raccontai la mia difficoltà, perché non avevo il computer a casa. Comunque, si poteva ugualmente rimediare. Solo, mi guardai bene dal fornirgli l’indirizzo di posta che avevo in università, affinché i miei colleghi non sapessero ciò che avevo di più personale. Gli lasciai anche il mio numero di cellulare, al quale mi chiamò due settimane dopo. Mi disse che alcune cose andavano tagliate o rivedute, anche se c’era ben poco. Poi disse che avrebbe voluto incontrarmi almeno una volta. Così, a fine gennaio, dovetti recarmi a Roma con mia madre.

«Ora», mi disse Gianni, «ci sono alcune clausole che lei, signor Galetti, deve conoscere. Innanzitutto, lei dovrà rimanere a Roma un paio di giorni. Dobbiamo avere l’autorizzazione da parte di Biagi, perché lei, in realtà, sta scrivendo parola per parola l’intervista che le è stata fatta. Poi, dobbiamo chiedere l’autorizzazione alla casa discografica che ha prodotto Futuro di Orietta Berti, perché il libro inizia con quella canzone. Infine, dovrebbe dirmi se ha navigato in qualche sito internet per le informazioni riguardanti le classifiche». Glielo dissi.

«Bene», disse lui. «Torni da me verso le cinque e mezza. Poi ci rivedremo domani mattina, diciamo, verso le undici. Nel frattempo, dovrà trovarsi un albergo dove dormire per una notte».

Gli risposi che alcuni mesi prima, avevo soggiornato all’hotel Belfiore e, per quanto ne sapevo, i lavori di trasferimento dei locali a Fregene sarebbero iniziati nelle settimane successive al mio breve soggiorno. Fortunatamente, mi ero già organizzato per tempo: il posto c’era.

L’inverno era gelido e anche a Roma faceva un gran freddo. Natale era trascorso da un mese. Tutti mi avevano telefonato, facendomi gli auguri. Tony, poi, mi ritelefonò anche il giorno di Santo Stefano per comunicarmi che nello Sri Lanka era avvenuto un grave disastro naturale a causa di un terribile tsunami. Mi disse che avrebbe contribuito ad aiutare la popolazione locale attraverso il numero di conto corrente e l’invio di sms. Io decisi di adottare quest’ultima soluzione, vale a dire, quella di usare il cellulare.

Un mese dopo, il 26 gennaio, mi ero recato a Roma in aereo con mia madre. In quell’occasione chiamai Tony e Leandro per comunicare loro che avrei soggiornato nello stesso albergo di qualche mese prima. Leandro si propose di venirmi a trovare. Quando arrivai in albergo, furono baci e abbracci. Mi accolsero tutti con grande gioia. Chiesi notizie dei genitori del direttore e della madre di sua moglie. Mi fu detto che nonna Ida era morta nel sonno, senza che se ne fosse accorta, nel mese di novembre, all’età di 91 anni, la qual cosa mi dispiacque, anche se la conoscevo poco. Gli altri, invece, erano in gran forma. Poi parlammo di cose più allegre, tra le quali lo scopo di quel viaggio, quindi presentai loro mia madre; ne furono molto contenti. Il signor Bardi si rivolse a lei, dicendole che doveva aver avuto tanta pazienza con me. Poi aggiunse che io ero una persona in gamba. Dopo pranzo, alle due, venne a farci visita Leandro con suo padre, sua madre e sua sorella Ines. Presentai loro mia madre e tutti ne furono lieti.

«Carissimo Enea, come andiamo?».

«Tutto bene, Leandro. Grazie. E gli altri dove sono?».

Rispose Ines:

«I nonni sono a casa, Ezio è in ditta, perché deve ricevere una delegazione di ingegneri informatici provenienti dalla Germania».

Le risposi:

«E io, invece, pensavo che al mondo ci fosse solo Bill Gates».

Tutti si misero a ridere. Poi Leandro disse:

«La prossima volta che telefoni o mandi una email a Tony, digli che sto prendendo in seria considerazione la sua idea». «Buongiorno, Enea. Ricordo ancora quanto vi siete divertiti quella sera a cena a casa nostra», disse la signora Maria. Poi, rivolgendosi a mia madre:

«Signora, complimenti per suo figlio! Ha un carattere molto allegro ed espansivo». «Non è l’unico», disse Alessandro. «Quando è arrivato a casa nostra ho tentato di impartirgli una lezione di matematica, ma lui non ne ha voluto sapere», disse il professore sorridendo.

«Professore», gli risposi, «ho sentito dire che Giotto era tanto bravo da superare il suo stesso maestro».

Ancora risate. Poi il professore cambiò discorso:

«Leandro mi ha raccontato del tuo libro. Per questo sei qui!».

Così raccontai al professore di matematica come avessi conosciuto Flavia in aereo e ciò che mi disse di suo cognato, nel caso avessi voluto contattare qualcuno disposto a stampare e pubblicare il mio libro.

«Mi fa molto piacere», rispose lui. Poi, rivolgendosi a mia madre:

«Forse suo figlio non conosce la matematica, ma non importa. Possiede qualità altrettanto importanti. In televisione ha raccontato come voglia dedicare il libro a lei, che ha fatto tanti sacrifici. In verità, li state facendo tutti e due». «Grazie, professore. Lei mi lusinga».

«Non sono parole di circostanza, sono cose che mi vengono dal cuore. Dai, Enea! Scrivi il libro. Abbiamo tutti voglia di leggerlo».

Poi Leandro raccontò di aver sentito i Dondi a più riprese e che da Tony avesse saputo del pasticcio che avevo combinato con il mio computer di casa. Sapeva anche quanto io avessi dovuto arrangiarmi nel cercare qualcuno che avesse il computer e me lo rendesse disponibile per realizzare il mio lavoro. La conversazione fu piacevole. Poi Leandro propose di uscire dall’albergo e fare quattro passi. Un’ora dopo rientrammo in albergo. Avevamo trascorso un’ora e mezza insieme. I Portici infatti erano arrivati verso le due, ma alle tre e mezza Alessandro annunciò che doveva tornarsene a scuola, per prendere nota delle persone che doveva ricevere dalle dieci alle undici del giorno seguente. Andò quindi in segreteria dove ritirò la lista di quelle persone, per la maggior parte genitori, che desideravano parlargli. Poi prese in consegna una pila di compiti in classe da correggere che l’indomani avrebbe dovuto riconsegnare ai suoi alunni. I Portici dovettero così ritornare alle proprie occupazioni, si congedarono da noi ed ognuno prese la propria strada. Più tardi mia madre mi confidò che Leandro era un po’ dimagrito e portava i capelli leggermente più lunghi.

Giungemmo da Gianni alle cinque e dodici. Mi disse:

«Signor Galetti, non c’è bisogno che venga domani. Abbiamo risolto ogni cosa. Ci sono state concesse le autorizzazioni necessarie. Naturalmente dovremo correggere ed eliminare o ritoccare alcune cose. Ora passiamo alle clausole del contratto. Sul prezzo di vendita per ogni copia a lei spetterà il 5%, mentre per i diritti d’autore prenderà il 3%». «Quindi», dissi, «se il libro venisse venduto, poniamo a 10 euro, io prenderei 50 centesimi di euro per ogni copia venduta. Un po’ poco. Se le copie vendute fossero 100, su mille euro, io ne prenderei 50. Vorrei almeno il 10% su ogni copia venduta ed il 6% sui diritti d’autore. Io sono naturalmente disposto a spendere per la correzione e la stampa del libro, e per quanto riguarda la percentuale sui diritti d’autore preferirei avere una rendita mensile fissa, o un fisso annuo, indipendentemente dalle vendite del libro».

«Guardi! In questi giorni riuniremo il consiglio di amministrazione. Prenderemo al vaglio la sua proposta. Io, purtroppo, non ho potere e se anche l’avessi ci sono leggi di mercato ben precise che non si possono violare. Comunque stia tranquillo e non se ne vada con quella faccia imbronciata. Le do anche un altro consiglio. Non si metta a girare da una casa editrice all’altra! Risparmierà tempo e fatica. Mi darò da fare, perché anche se mi ha mandato il libro per posta elettronica devo lavorarci su. Le farò sapere».

Poi Gianni mi salutò e strinse la mano a mia madre, che, in tutto quel tempo, era rimasta in silenzio. Alle sette meno cinque fummo di ritorno in albergo, giusto in tempo per consumare la cena. Questa volta vennero alcuni camerieri che non conoscevo. Terminata la cena, Clementina ebbe voglia di chiacchierare con me. Salutai anche Armando, i suoi genitori e i nonni. Poi mi ritirai in camera, dove mi addormentai in pochi minuti.

Il mattino seguente mi svegliai, feci colazione alle otto e mezza, poi ripartii, naturalmente, accompagnato da mia madre. Tre giorni dopo ricevetti una telefonata di Gianni, il quale, con mia grande sorpresa, mi comunicò che la percentuale sulle vendite era stata portata al 15% e che ogni mese mi sarebbe stato garantito un fisso sui diritti d’autore.

Il 19 febbraio partii con mia madre per il mare, in Liguria, dove passammo due splendide settimane. Faceva un po’ freddo, ma ci divertimmo ugualmente e, soprattutto, ci rilassammo con lunghe passeggiate. Non facemmo escursioni come negli anni precedenti; semplicemente, ci rilassammo facendo passeggiate sul posto, in modo particolare, sul lungomare. In hotel ogni sera era prevista una serata di animazione ed inoltre ogni vacanza iniziava con una festa di benvenuto, il giorno dell’arrivo, e si concludeva, nell’ultima sera, con una festa di arrivederci.

Terminata la villeggiatura al mare tornammo a casa dove trascorsi otto giorni. Poi, quattro giorni dopo la ripresa del lavoro, a seguito di una telefonata di mia madre, andammo a ritirare il computer, visto che farselo consegnare direttamente a casa sembrava la cosa più gravosa del mondo. Per poco più di un mese ebbi qualche problema, ma, ciononostante, il computer funzionava, anche se a singhiozzo. Poi, nel primo giorno di aprile, verso le sei e mezza, un mio amico venne a casa mia per abilitarmi la connessione Adsl a banda larga, operazione, questa, che, contrariamente alle mie previsioni, richiese alcune ore di lavoro. Il mattino seguente ebbi la grande soddisfazione di mandare la mia prima email; scrissi subito a Tony e, per conoscenza, a Leandro, manifestando loro la mia felicità nel riavere finalmente il computer a casa, anche se con qualche difficoltà di funzionamento. Poi mostrai a Tony la mia disponibilità ad inviargli e-mail con allegati e consigli utili. Qualche ora dopo, Tony mi rispose che era davvero contento di ricevere notizie liete da parte mia; anch’egli manifestò la gioia che provava nell’avere imparato da me tante cose nuove, ad esempio come muoversi una volta posizionato sul desktop, come chiudere le applicazioni e come accedere al menù di avvio; mi chiese per iscritto se conoscevo a Brescia qualche istituto per Ciechi in grado di svolgere corsi di computer. Gli risposi che, se voleva, avrebbe potuto recarsi a Milano, altrimenti avremmo dovuto arrangiarci tra di noi.

Verso le otto e mezza di quel sabato sera, accesi di nuovo il computer, dove trovai la risposta di Tony e quella di Leandro; avevo un forte mal di testa ma ciononostante riuscii a fare ciò che dovevo fare. Accesi il televisore dove, per un po’, riuscii a seguire una trasmissione intitolata Il lungo addio, dedicata a Giovanni Paolo II, prossimo ormai alla morte, morte che, con le sue ultime forze, affrontava con perfetta rassegnazione e dignità. Fino ad alcuni giorni prima pregai perché guarisse, ma ora pregai affinché il Padre Eterno se lo portasse con sé serenamente nel viaggio verso il Regno. Alle nove e venticinque, mia madre spense il televisore, io rimasi ancora un po’ davanti al computer, ma poiché la testa mi scoppiava, decisi di andare a letto.

Il mattino seguente era domenica e, svegliandomi alle sette e mezza, insieme alle campane che annunciavano la Messa, ne sentii un’altra a lutto; immaginai subito il motivo. Più tardi, verso le otto e mezza, ne udii un’altra, sempre a lutto. A R. era venuta a mancare una persona, della quale non vorrei parlare per questione di privacy. Alle due e mezza andai in oratorio con alcuni amici. Tornai a casa verso le cinque. Per prima cosa dissi alcuni rosari per il papa appena scomparso, poi accesi il computer per controllare la posta elettronica; ci furono due e-mail, una di Tony, un’altra di Leandro. Il primo mi scrisse quanto segue:

Carissimo Enea, spero che tu stia bene, come lo siamo noi. Ti scrivo perché voglio dividere con te la commozione di tutti noi per ciò che riguarda il papa appena scomparso, la cui morte - credo tu lo sappia - è avvenuta ieri sera alle 21.37. Penso a quel favoloso giorno quando a Roma siamo andati ad assistere all’udienza generale del mercoledì, penso alla sua voce affaticata, ma penso anche a quando, anni prima, la sua voce era profonda, determinata e piena di vitalità. Penso a Leandro, a come si sia offerto di accompagnarci all’udienza, nonostante sia ateo, e alle sue riflessioni. Forse, quando diceva che il papa avrebbe dovuto dimettersi, non aveva tutti i torti, perché ormai era vecchio ed affaticato, ma, naturalmente, il nostro amato pontefice ha preso la sua decisione, perseverando nella sua missione fino al termine dei suoi giorni. Dicono che i funerali si svolgeranno venerdì. Non so se potrai venire. Io ho intenzione di andarci con la mia famiglia, non so ancora se in auto o in pullman. Ora concludo salutandoti e portandoti i saluti di tutti noi. Spero ci si possa incontrare presto, in occasione del matrimonio di Edoardo e Nina, che verrà celebrato a Mantova il 14 maggio. Con affetto, Tony.

Gli scrissi ringraziandolo per il commovente ricordo, spiegandogli che da solo con mia madre non me la sentivo di affrontare un nuovo viaggio a Roma, ma che avrei senz’altro seguito il funerale alla radio, fosse anche dal mio posto di lavoro. Gli dissi anche che avrei pensato a lui, mentre dal vivo seguiva il funerale. Poi lessi anche la mail di Leandro.

Caro Enea, anche se sono ateo ti giuro che, quando ho sentito la notizia della morte del papa, mi è venuto da piangere. Essere atei non significa che non ci si debba interessare di eventi così particolari. Ho deciso di partecipare alle sue esequie, in onore di un uomo che si è speso senza riserve per l’umanità intera. La notizia della sua morte mi fa tanto riflettere. Immagino che anche i Dondi vi prenderanno parte. Anzi, ora chiamo Tony, anche se poi, in mezzo a tutta quella gente, sarà ben difficile incontrarci. Comunque, prenderemo accordi per ritrovarci tutti insieme, perché, come sai, tra poco più di un mese Nina ed Edoardo si sposeranno. Anch’io, come i Dondi e te, ho ricevuto l’invito al loro matrimonio. Per il momento, ti saluto cordialmente. Leandro.

Trascorsero altri giorni e, come fu mia intenzione, decisi di seguire i funerali del papa in ufficio attraverso le cuffie della radio. Diversamente non potevo fare. Per me ci fu un periodo particolarmente roseo. Gianni mi fece ottenere il compenso promesso, oltre a trenta copie in omaggio che avrei potuto liberamente regalare. A me, infatti, era stato imposto il divieto di venderle in prima persona. Il prezzo di copertina era di 16 euro. Quindi, per ogni copia venduta avrei percepito una percentuale di due euro e quaranta centesimi, oltre ad un compenso fisso per i diritti d’autore, che sarebbero scaduti dopo 75 anni. Per un attimo pensai a mia madre; nel caso uno di noi due fosse venuto a mancare, l’altro avrebbe continuato a beneficiarne. Domandai a me stesso se mia madre fosse venuta a mancare prima di me, e cosa sarebbe accaduto nel caso non mi fossi sposato o non avessi deciso di fare testamento. Poi dissi ancora a me stesso che non bisognava affatto pensarci, anche perché le cose, al momento, andavano bene, in tutti i sensi. Poi venne il giorno dell’elezione di papa Ratzinger, un papa ben disposto a seguire le orme del suo predecessore, la cui personalità, però, fu ben diversa, come ebbi modo di constatare in seguito. Il 10 maggio, verso le dieci di sera, Leandro arrivò a Milano con un volo charter, quindi si fermò a pernottare in un piccolo albergo e venne da me il giorno seguente. Naturalmente, ci eravamo messi d’accordo prima. «Allora, sei pronto? Preparati! Partiamo subito. Oggi, a mezzogiorno, saremo dai Dondi. Sta per arrivare Lisa in macchina; tra venti minuti sarà qui».

Di minuti, Lisa ce ne mise ben 35, ma fu lo stesso; Leandro, infatti, era arrivato alle dieci e un quarto, Lisa arrivò poco dopo le undici meno dieci. Anche mia madre fu lieta di rivedere di nuovo Leandro e scambiò qualche parola con lui. Poi, quando arrivò Lisa, fui lieto di presentargliela; ci intrattenemmo circa dieci minuti prima di partire. Furono baci e abbracci, perché erano trascorsi circa otto mesi dall’ultima volta che ci eravamo incontrati.

Durante il viaggio ci raccontò che suo padre stava migliorando ogni giorno con il computer e anche lei ne fu contenta. «I miei ci aspettano a casa per pranzo, poi stasera ci recheremo a Mantova a trovare Nina che ci preparerà qualcosa per cena, quindi andremo a vedere la nuova casa dove andrà ad abitare con il suo futuro marito. Infine, non so per che ora, ci recheremo nell’albergo che Edoardo e Nina hanno prenotato per noi, dove ci fermeremo fino alla nostra partenza».

«Già», dissi io. «E per il ritorno come faremo?».

«Domenica sera dormirete da noi; potrete ripartire il giorno dopo».

«Io», le rispose Leandro, «devo informarmi a che ora riparte l’aereo per Roma. Avevo fatto conto che saremmo ripartiti domenica sera».

«A proposito, Enea», disse Lisa, «come sei messo con i mezzi per lunedì?».

«Bisognerebbe prendere il treno per arrivare a Milano, poi Leandro potrebbe accompagnarmi alla fermata del pullman, quindi, una volta che mi ha fatto salire, potrà ritornarsene per conto proprio».

«Beh», riprese lei, «non complichiamoci la vita. Leandro! Telefona in aeroporto e fatti dire qual è il primo aereo in partenza, poi vedremo».

Leandro fece come aveva detto Lisa, poi, dopo essersi fatto passare diversi uffici comunicò che il primo aereo con posti disponibili era in partenza lunedì pomeriggio da Linate alle 16.41.

«Sentite», disse Lisa, «a Milano vi ci porto io, Leandro si fermerà all’aeroporto, io accompagnerò Enea alla fermata del pullman, quindi proseguirò per mio conto».

Poi proposi la mia idea. Se Lisa avesse acconsentito, avrebbe potuto accompagnarci a casa mia, dove avremmo pranzato tutti insieme. Naturalmente, avrei sborsato la somma necessaria per pagarle la benzina, visto che l’idea era mia. Lisa disse che da noi non voleva mance, ma io insistetti.

Finalmente arrivammo a casa dei Dondi, dove Tony e Laura ci accolsero con grande emozione. La casa di Tony era grande e confortevole. Inoltre Tony aveva predisposto un locale a mo’ di studio e biblioteca, nel quale passava il tempo leggendo libri e ascoltando musica.

«Vedo che qui avete anche un pianoforte», dissi. «Chi lo suona?».

«Io», rispose Laura, «o meglio, lo strimpello una volta tanto».

Chiesi loro il permesso di suonarlo. Acconsentirono. Poi pranzammo tutti insieme e quindi, dopo aver mangiato, fumato, chiacchierato e ascoltato un po’ di musica, dovemmo partire alla volta di Mantova, dove alle sei fummo accolti da Nina ed Edoardo. Con loro c’erano anche alcune persone della famiglia che avevo giù incontrato. Porgemmo loro i regali di nozze. Io, nella scelta del regalo, fui aiutato da mia madre, ma poi Leandro aveva preso accordi con me e con i Dondi, così accadde che, oltre al regalo della persona singola, gliene consegnammo uno a nome di tutti noi, un bel televisore al plasma da 18 pollici. Per conto mio, avevo acquistato una pentola a pressione ed uno spremiagrumi elettrico. Nina ed Edoardo ci ringraziarono e furono contenti di riceverci assieme ai presenti. Poi ci furono presentate le persone che ancora non conoscevamo, compresa la figlia di Edoardo, quella stessa che, qualche mese prima lo aveva reso nonno di una splendida bambina. Edoardo si ricordò di avercelo raccontato durante l’estate. Avevo ancora una cosa da consegnare ad Edoardo e Nina, il regalo cui tenevo di più, ma l’avrei consegnato loro più tardi.

Si trattava appunto del libro che avevo fatto pubblicare qualche mese prima; le cose andavano veramente bene, perché per ciò che riguardava la quota fissa sui diritti d’autore il compenso mensile fu davvero alto. Mi erano inoltre pervenute una cinquantina di copie che avrei potuto dare in omaggio a chi volevo. Il libro venne stampato ai primi di aprile e la mia prima preoccupazione fu quella di farne avere una copia a Enzo Biagi. Più tardi avrei fatto la stessa cosa con Leandro, i Dondi e, naturalmente, Edoardo e Nina; poi avrei dovuto regalarne qualcuna anche ad amici e parenti.

Edoardo ci comunicò che l’albergo in cui avrei soggiornato con i Dondi e Leandro sarebbe stato pagato da loro. Opponemmo resistenza, ma non ci fu nulla da fare. La cena proseguì con vivacità e cordialità. Al termine Edoardo e Nina, assieme al loro nipote Francesco, vollero accompagnarci in albergo.

Io, naturalmente, dormii con Leandro, Lisa ebbe la sua singola ed i genitori la matrimoniale. Il mattino seguente Leandro fu molto contento di constatare che per farmi la barba avevo portato con me il rasoio elettrico che pochi mesi prima mi aveva regalato.

«E tu?» gli dissi. «Usi ancora il rasoio a mano libera?». «Non più. Ora adopero la lametta e fumo la pipa che mi avete regalato, anziché le sigarette fatte a mano». Poi, a colazione, ci incontrammo con i Dondi. Tony disse: «Come non dimenticare che l’estate scorsa eravamo a Roma? Ma anche qui si sta bene, naturalmente».

«Papà, anch’io sono stata molto contenta, davvero. Non posso dimenticare quei magnifici giorni».

Lisa propose di fare un giro per Mantova, visto che un po’ la conosceva. Leandro soggiunse che Mantova era una delle poche città che non aveva ancora visitato, per cui ne fu molto lieto.

Passammo una magnifica giornata. Il padre di Francesco volle a tutti i costi invitarci per una merenda e Francesco che aveva ormai 16 anni volle farci sentire alcune canzoni di Battisti che aveva imparato a suonare con la chitarra e di cui sapeva anche le parole, quindi invitammo Edoardo e Nina, assieme alle persone che conoscevamo, a trascorrere la serata in albergo e a consumare insieme la cena, che offrimmo loro.

Il giorno seguente, Nina ed Edoardo ci portarono con grande gioia a visitare la loro nuova casa. Leandro chiese se avessero avuto l’intenzione di andare in viaggio di nozze. Edoardo rispose di sì. Disse che sarebbero andati in America, avrebbero fatto il giro di ciò che secondo lui bisognava vedere e, naturalmente, avrebbe condotto Nina a Brooklyn, dove lui, tanti anni prima, aveva aperto una casa discografica. Poi rincasammo in albergo per il pranzo:

«Meglio non mangiare troppo», disse Tony. «Domani, al matrimonio, chissà quanta roba ci sarà. A proposito, sapete? Mi sento molto emozionato al pensiero del matrimonio di domani, come se a sposarmi fossi io».

Gli risposi che gli faceva quell’effetto perché mi aveva sentito raccontare la loro storia. Chiesi a Leandro se avesse una ragazza. Mi rispose che l’aveva avuta, ma che poi si erano lasciati. Suo fratello, invece sì, ma solo da pochi mesi. Ines, invece, era celibe, come lo era anche Lisa. Com’era dolce con i suoi genitori! Voleva loro un gran bene, continuando a ripetere che avrebbe fatto tutto il possibile per non deluderli mai e, a sentire Tony e Laura, fu davvero di parola. Quella sera, Edoardo ci invitò alla festa di addio al celibato, mentre Laura e Lisa andarono da Nina. Fummo di ritorno in albergo verso l’una di notte. L’indomani, verso le otto ci alzammo, questa volta senza far colazione. Alle nove e mezza ci dividemmo di nuovo in due gruppi e, come la sera prima, noi uomini andammo a casa di Edoardo, per uno stuzzichino, e le donne andarono da Nina. Poi venne il grande momento. I futuri sposi furono molto emozionati, e con loro tutti gli invitati. La cerimonia avrebbe dovuto iniziare alle undici, invece iniziò con 18 minuti di ritardo, ma poco importava. Edda accompagnò sua madre all’altare, dove fu consegnata ad Edoardo. Lisa era seduta vicina a me; per un attimo mi parve di sentirla piangere. Capii allora quanto fosse emozionata. In casi normali il sacerdote avrebbe chiesto se fossero stati disposti ad accogliere i figli che Dio avrebbe donato loro. Con Edoardo e Nina, naturalmente, ciò non avvenne, ma fu chiesto se i due erano disporsi ad amarsi ed onorarsi per il resto della loro vita. Tutto andò bene; allo scambio degli anelli, ci fu una scena simpaticissima che ci fece tutti sorridere di simpatia. Edoardo, infatti, si era voltato verso il sacerdote e gli aveva detto:

«Padre, non mi ha chiesto se posso baciare la sposa».Fu per questo motivo che tutti si misero a ridere; poi Edoardo la baciò e Nina fece altrettanto. Qui ci fu un lungo applauso, e, come si conviene, non mancarono le foto.

Al termine della cerimonia, facemmo loro gli auguri, nonché ai parenti più stretti.

Il pranzo fu abbondante e ci divertimmo moltissimo. Di tanto in tanto, Edoardo e Nina passavano da un tavolo all’altro ed ogni volta venivano accolti con applausi e grida di giubilo. Altre volte si baciavano. Tony volle sapere come fosse vestita la sposa. La moglie e la figlia glielo spiegarono, dando sfogo alla loro commozione. Ciò che mi commosse furono le parole del sacerdote durante l’omelia. Pensavo soprattutto ad Edoardo. Povero Edoardo! Prima la guerra con quei terribili episodi. Sì, perché anche quando Edoardo e suo padre avevano fatto fuori quei traditori, fu un momento orribile. Poi, il fidanzamento con Nina, la partenza di Edoardo per Brooklyn e l’impossibilità per Nina di seguirlo. Nina, poi, era rimasta incinta, aspettava un figlio da Edoardo; e qui le strade dei due si erano divise. Edoardo aveva avuto altri momenti di sofferenza. Fino a quando, una volta venuto a Roma, in un modo del tutto casuale era venuto a sapere di Nina. Ed ora, eccoli, i due sposi erano ritornati insieme, ad amarsi e onorarsi. Il mio cuore augurò loro tanta felicità fino al termine dei loro giorni.

L’orchestra attaccò brani di ogni genere, canzoni revival, moderne, brani dell’epoca di Edoardo e Nina e, naturalmente, tantissimi balli, specialmente il ballo liscio. Io ebbi perfino il piacere di ballare con Nina che, dal mio punto di vista, fu un’ottima ballerina. Tony con la base dell’orchestra cantò per loro Tanto pe’ canta’ e La lontananza, Edoardo cantò alcune canzoni di Claudio Villa, altre di Rabagliati, tra le quali, naturalmente, non mancò Mattinata fiorentina; fu a questo punto che, come mi fu detto in seguito, dagli occhi di Nina sgorgarono grosse lacrime di gioia. Alcuni invitati vollero fare loro l’omaggio di un giradischi dove fu messo quello stesso disco che Edoardo aveva regalato alla sua sposa diversi decenni prima. La cerimonia terminò all’una e mezza di notte, quindi, avvicinandomi ad Edoardo dissi: «Happy journey!».

«Ah, non sapevo conoscessi anche l’inglese. Comunque grazie».

«A proposito», intervenne Laura, «quando partite per il viaggio di nozze?».

«Lunedì pomeriggio», rispose Nina. Augurammo loro tanta felicità, quindi Lisa ci ricondusse con la macchina in albergo. Ci alzammo alle dieci e un quarto. Alle undici ci fu la Messa, alla quale partecipò anche Leandro. Alle dodici e un quarto ci fu l’ultimo pranzo. Quindi venne avanti un impiegato addetto alla contabilità, il quale ci spiegò che tutto era stato pagato a nome nostro. Alle due meno un quarto uscimmo per fare una lunga passeggiata a piedi, durante la quale facemmo qualche sosta in alcuni giardini. Poi Tony e sua figlia ebbero voglia di bere qualcosa di fresco in un bar; ci aggregammo anche noi, ognuno prese qualcosa da bere ed io mi offersi di pagare. Circa mezz’ora dopo ritornammo nei pressi dell’albergo. Qui, Lisa prese la macchina e ci portò a casa sua, dove diedi a Tony il mio libro appena pubblicato, libro che, naturalmente, avevo dato la sera prima anche a Nina, Edoardo e ad alcuni loro parenti che avevo conosciuto durante l’estate.

Tony, grazie ad alcune mie indicazioni, aveva anche imparato a scaricarsi i libri da internet, ma, ovviamente, il mio libro non c’era. La POECO, in quel periodo, aveva poco lavoro, così, Leandro, con la collaborazione del fratello Ezio e di alcuni suoi colleghi, decise che lo avrebbe scansionato e che l’avrebbe mandato in allegato tramite e-mail. Tony fu molto contento di questa idea, perché era proprio curioso di leggerlo. Poi Tony cambiò discorso, chiedendomi se fossi stato libero per il 29 giugno, aggiungendo che quella stessa sera sarebbe stato intervistato da Biagi; mi domandai perplesso perché mi avesse posto quella domanda e lui mi rispose che per l’occasione doveva partire per Roma, manifestando l’idea di andare al mare a Fregene, dove i Bardi ci avrebbero accolti nel loro nuovo albergo. Secondo Tony avremmo potuto prendere una vacanza in quel periodo, così da trascorrere qualche settimana insieme. Leandro si dichiarò disponibile anche perché di lì a qualche giorno avrebbe terminato il servizio di volontariato.

«Io sono il datore di lavoro di me stesso, almeno per quanto riguarda la POECO», disse ridendo. Io avrei dovuto pensarci. Le ferie mi sembravano insufficienti e io non avrei saputo come giustificarmi; certo, sarebbe stato bello trascorrere quasi un mese con i Dondi, ma avrei voluto anche trascorrere qualche settimana di ferie a M. con mia madre. Fu Leandro a suggerirmi un’idea.

«Dove lavori tu, in università, bisognerebbe che qualcuno riconosca i tuoi meriti e premiarti, magari appunto con una vacanza omaggio».

Gli risposi che se così fosse stato, non avrei certo preteso dei soldi, avrei potuto pagarmela io, perché ormai sui diritti d’autore guadagnavo parecchio. L’idea di Leandro, comunque, era buona, ma io non potevo certo avere la faccia tosta di chiedere un premio presso la Direzione.

«Potresti chiedere una vacanza per motivi di stress, magari facendoti fare un certificato medico», continuò lui. «Sì, Leandro, ma io non sono affatto stressato, né esaurito. E poi un esaurimento nervoso – che, come ripeto, non ho – non lo si può certo curare in un mese. Inoltre, se anche così fosse, il mare non va proprio bene. Ma, adesso che mi ci fai pensare, mi hai fatto venire un’altra idea».

Così gli raccontai che, alcuni anni prima, trovandomi al mare in Liguria con mia madre, conobbi una ragazza a cui il medico aveva ordinato una settimana di mare per un’operazione che aveva subìto alla tiroide. Ma subito dopo dissi che a me non piaceva mentire.

Ripensandoci più seriamente, meditai ad un mese di aspettativa, ma neanche questa soluzione parve funzionare. Infine pensai che avendo intenzione di fare una seconda edizione del libro avrei chiesto un permesso speciale, la qual cosa, come vedremo, funzionò.

Tony si rammaricò un poco, perché il giorno dopo saremmo partiti, ma ora non si sentiva più triste come una volta, perché di lì a poco più di un mese ci saremmo nuovamente incontrati. Fu così che il giorno dopo lasciammo la casa dei Dondi, con Lisa che ci accompagnò. Demmo una mancia a Leandro, mancia per la quale dovemmo insistere parecchio. Poi partimmo, mentre Tony e Laura rimasero a casa.

Il viaggio di ritorno fu gradevole, senza traffico, parlammo piacevolmente ascoltando l’autoradio e scambiando qualche battuta scherzosa; di tanto in tanto pensavo ad Edoardo e Nina, i quali sarebbero partiti quello stesso pomeriggio, poi pensai al fatto che era lunedì e che io rientravo a casa mentre la gente si trovava al lavoro. Arrivammo a casa all’una meno venti e mia madre fu preavvisata del nostro arrivo, perché, poco più di un quarto d’ora dopo, ci preparò un magnifico pranzo.

«Leandro», disse, «ogni volta che ti vedo c’è sempre qualcosa di diverso. Adesso mi sembri un poco dimagrito. Sbaglio?». «No, effettivamente è così».

Poi mia madre disse:

«Ed ora, Lisa, parlami un po’ di te. Praticamente noi non ci conosciamo, salvo tramite i racconti di Enea. Se sapessi, parla sempre di te e della tua famiglia. Da quello che mi dice Enea, devi avere una famiglia stupenda». «Lo è, e vorrei che lei conoscesse i miei genitori. Io ho la fortuna di avere dei genitori bravissimi». Leandro le chiese se Tony avesse perso la vista in tarda età e lei gli rispose che era nato così ed aggiunse che in un certo senso, nonostante la sfortuna, era meglio che le cose fossero andate in quel modo, perché, in caso contrario, tutti avrebbero dovuto attraversare un periodo difficile.

Mia madre le raccontò la sventura di un mio carissimo amico che aveva perso la vista quand’era poco più che cinquantenne e che era morto da poco.

Lisa cambiò discorso, spiegando ciò di cui si occupava nel centro commerciale, dove lavorava. Improvvisamente il cellulare di Lisa squillò. Era suo padre, il quale le fece sapere di aver ricevuto a sua volta una telefonata dall’ufficio stampa della Rai, con la quale gli veniva confermato che l’intervista con Biagi era stata fissata al 29 giugno e che doveva trovarsi nello studio di Biagi alle cinque e mezza. Mia madre non potè crederci e si congratulò con Lisa. Poi il pranzo terminò, bevemmo il caffè con correzione, che bevvi con Leandro, mentre Lisa lo bevve con un goccio di latte, e Leandro aspirò qualche boccata dalla pipa. Infine, alle due e trentacinque, arrivò il momento di salutarci. Lisa accompagnò Leandro all’aeroporto, dove avrebbe voluto trattenersi qualche momento in più con lui, ma un impiegato gli fece osservare che era arrivato con un po’ di ritardo. Così, in pochi minuti, vennero sbrigate le pratiche a lui necessarie e Lisa ripartì tornandosene a casa. Partiti che furono, decisi di andare sulla veranda per parlare con le mie vicine, poi feci una lunga passeggiata, durante la quale ricevetti la telefonata di Lisa per comunicarmi che tutto era andato bene. Una volta rientrato in casa, aprii il pacchetto che Leandro mi aveva lasciato e che conteneva i dvd; mi chiesi come e dove avesse trovato il tempo di duplicarli, ma poi mi venne in mente che aveva portato con sé la macchina fotografica digitale, la telecamera ed il computer portatile, strumenti dai quali non si separava quasi mai. Quindi ci apprestammo ad ascoltare i dvd, che mia madre apprezzò moltissimo e dai quali capì che ci eravamo divertiti un sacco. Poi mi chiese se avessi avuto l’intenzione di andarmene di nuovo in ferie a giugno ed io le risposi affermativamente.

«In quarant’anni di vita non è mai capitato che tu te ne andassi via da me e, per giunta, tre volte in un anno. Se ci mettiamo dentro anche il mare d’inverno e le ferie estive a M., si da il caso che il totale è di cinque».

«Sì, mamma, hai ragione. A parte tutti quei viaggi in nove mesi, è la prima volta che mi stacco da te».

«Fa lo stesso. Sono contenta che tu vada con i tuoi amici».

Prima di cena feci una doccia tiepida, mi profumai, consumai il pasto, per il quale mia madre preparò un piatto di pasta con basilico e pomodoro fresco, seguito da un pezzo di focaccia al prosciutto. Poi mia madre completò la cena con la frutta, io non gradii più nulla, tranne il caffè. Infine uscii, parlai una decina di minuti con le vicine di casa, e prima di passeggiare andai in un bar a bere un bicchiere di acqua ghiacciata, menta e granatina. Adoravo quel gusto insolito, dove il gradevole aroma della menta si poneva in contrasto col sapore fruttato della granatina. Poi trovai un signore, lungo il cammino, che, dopo aver fatto quattro passi con me, mi portò a sedermi su di una panchina in piazza, dove erano sedute alcune ragazze. Per ingannare il tempo accese una sigaretta e ne diede una anche a me. Poi, alle dieci e mezza, rincasai soddisfatto. Il giorno seguente ritornai al lavoro, dove alcuni colleghi mi chiesero se mi fossi divertito. Uno di loro, sorridendo, mi disse:

«Insomma, non c’è che dire! Quest’anno te la stai proprio spassando. A proposito, abbiamo letto sul giornale che alcuni mesi fa hai scritto un libro. Spero che tu ce lo faccia leggere».

«Domani ve ne porterò quattro copie».

Portai i libri che avevo promesso ai colleghi. Poi, alcuni giorni dopo fui chiamato in Direzione. Tutti avevano saputo di quel libro e vollero sapere che progetti avevo. Raccontai che mi sarebbe piaciuto andare al mare alcune settimane con gli amici. Infine furono concordi nel premiare i miei sforzi fatti durante quegli anni di lavoro: mi spettava un bonus di cinquanta giorni di vacanza che non avrebbero in alcun modo intaccato le ferie. Insomma, cinquanta giorni extra.

«Chissà se Enea verrà con noi», disse Laura.

«Oggi è il 25 maggio», disse Tony. «Manca poco più di un mese ed io sto contando i giorni». «Abbiate pazienza, cari genitori. Comunque, spero che con Enea venga anche Leandro. Spero anche che sua madre ci onori di una visita a Fregene. Sapete? Enea ha una mamma tanto buona. Anche voi siete sempre stati tanto buoni con me». «Lo saremo sempre», le rispose suo padre. «Tu sei sempre stata una ragazza onesta. Da piccola, tua madre ti ha sculacciato perché eri troppo capricciosa e, a furia di capricci, ha perso la pazienza. Tu ti mettevi a piangere. Una volta, ricordo, ero in casa quando tua madre ti ha sculacciato, tu hai pianto, sei corsa da me ed io, sentendo la tua voce, ti ho presa sulle mie ginocchia. Non so se te ne ricordi».

«Forse sì, ma non ne sono sicura».

«In ogni caso, soffriva nel vederti piangere a quel modo e anch’io soffrivo con lei». «Sì, è vero. Il fatto che io ti abbia sculacciato mi faceva riempire gli occhi di lacrime. Perdevo la pazienza, ma non avrei mai voluto alzare le mani. Poi sei cresciuta. Tu sei cambiata e noi ti abbiamo sempre voluto bene».

Alcuni giorni dopo chiamai Tony per dargli la buona notizia, il quale a sua volta informò Leandro, che provò una grande gioia, e alla quale si unirono le rispettive famiglie. Man mano che passavano i giorni continuavo a pensare a quella vacanza, che sarebbe iniziata il 29 giugno e si sarebbe conclusa il 28 luglio, anche se sulle prime Leandro era del parere di ritornare a casa di domenica, quindi quattro giorni prima, ma noi obiettammo facendogli notare che di domenica ci sarebbe stato molto più traffico.

Arrivò il 7 giugno, un martedì, giorno in cui compii 41 anni. I Dondi ed i Portici si ricordarono di quella data e, attraverso telefonate, sms ed e-mail mi formularono gli auguri, ai quali si unirono quelli di amici e parenti. Fra le diverse telefonate, ne ricevetti una anche da parte di Nina ed Edoardo, la sera prima. Erano sposati da tre settimane e i due speravano di poter trascorrere gli ultimi anni in modo sereno. L’iniziale trauma delle famiglie nel sapere dell’esistenza dei nuovi parenti era passato ormai da tempo. Naturalmente anche loro avevano saputo da Leandro che saremmo andati a Fregane per una vacanza che io già pregustavo, perché, finalmente, avremmo potuto rilassarci trascorrendo tutti insieme intere giornate al mare. I due sposi ci pensarono e, pur non promettendo nulla, dissero che avrebbero comunque fatto il possibile per raggiungerci. Avevano già fatto il loro viaggio di nozze negli Usa, di cui avevano visto le città più importanti, compresa New York con Brooklyn. La casa discografica di Edoardo si era trasferita, ma ad Edoardo non ci volle molto per scoprire dove. Ora, per rilassarsi un po’, pensavano appunto ad una vacanza al mare, e insieme decidemmo che quella vacanza sarebbe stata molto più rilassante rispetto alla precedente. Non ci sarebbe stato più bisogno di girare Roma, salvo che qualcuno di noi avesse avuto intenzione di chiedere a Leandro di ricondurci in qualche luogo già visto prima. Leandro si era proposto di invitarci a casa sua, tutti insieme; per il resto ci saremmo rilassati tutto il giorno al mare.

Il tempo passava ed io continuai ad andare a lavorare, sapendo la vacanza ormai vicina: provai anche una grande gioia nel constatare che mia madre mi avrebbe lasciato partire senza opporre resistenza, la qual cosa, in tutta la mia vita, non era quasi mai capitata.

Ancora pochi giorni, dunque, e poi via, a godermi quasi un mese di vacanza!

Finalmente ci mettemmo d’accordo con Leandro, il quale, questa volta, decise di partire la sera prima, prenotando un albergo a Milano. Il 29 giugno si presentò da me verso le sei e mezza, e, dopo aver chiacchierato con mia madre, partimmo. Alle otto meno un quarto giungemmo dai Dondi, già pronti per il viaggio. Alle nove meno dieci fummo in aeroporto, dove Leandro parcheggiò l’auto, che avrebbe ritirato al ritorno. L’aereo partì alle dieci meno un quarto, alle dieci e mezza giungemmo a Roma, recuperammo le valige, e con un taxi in poco più di venti minuti arrivammo a Fregene presso l’hotel Belfiore. Ci riabbracciammo tutti con grande emozione. Erano le undici e un quarto, e il signor Bardi ci diede appena il tempo di portare le valigie in camera, per poi dare subito inizio alla festa di benvenuto. Tutto andò come nove mesi prima, un meraviglioso party che coinvolse anche altri clienti che ancora non conoscevamo. Qualcuno mi riconobbe per il semplice fatto che mi aveva visto in televisione durante le mie interviste. Il signor Bardi, avvicinandosi a Tony, gli disse:

«Come! Non mi hai ancora detto che stasera sarai intervistato da Biagi!».

«E tu, come lo sai?». Tony infatti, come sua moglie, davano del tu al direttore.

«Eh, caro mio! Le voci corrono, abbiamo i nostri informatori segreti».

«L’informatore segreto sono io», gli replicò Leandro.

Tony non lo rimproverò, dicendo, anzi, che aveva fatto bene. Poi disse:

«Ah, Enea! Dimenticavo. Questa sera verrai anche tu. Biagi, forse, ha intenzione di fare qualche domanda anche a te». Gli risposi che ci sarei andato più che volentieri e che era un piacere incontrare di nuovo un vecchio amico. Il pranzo si svolse alle dodici e trenta, regolarmente. Durante il pranzo venne Clementina.

«Uh, guarda un po’ chi si vede! Il mio amico Enea. Come va? E tu, Tony?».

«Quando si è in compagnia di vecchi amici, si sta sempre bene. A proposito, ho saputo che qualche mese fa è venuta a mancare tua nonna Ida».

«Sì, purtroppo. Ma piuttosto che morire soffrendo, è stato meglio che sia morta nel sonno». «Comunque, mi dispiace moltissimo».

Io risposi che la cosa era dispiaciuta anche a me, benché non l’avessi conosciuta così bene, poi chiesi dei suoi nonni e lei mi disse che, nonostante l’età, erano in forma più che mai.

«Comunque», replicò Clementina – che di tanto in tanto chiamavo Tina –, «parliamo di cose più allegre. Avete visto il nostro nuovo albergo? Se non l’avete ancora visitato, avrete tutto il tempo per farlo. Mi risulta che vi tratterrete qui per circa un mese».

Lisa le rispose che saremmo ripartiti il 28 del mese successivo.

«Appunto, allora non mi sono sbagliata».

Il pranzo fu davvero eccellente, accompagnato da ottima musica. Vi furono alcune canzoni di ballo liscio ed altre revival che io avevo già, grazie a quei nove o dieci cd in mp3 che mi erano stati regalati dai Bardi nella precedente vacanza e a quell’hard disk così capiente che il disk jockey – di cui non ricordavo più il nome – mi aveva regalato. Ma io, nonostante tutto, le ascoltavo come se fosse la prima volta. Quelle canzoni erano frizzanti quanto il sole d’estate. Durante il pranzo si alternarono alcuni camerieri che ancora non conoscevamo, poi Armando – che assieme agli altri ci aveva accolti sin dall’inizio – venne a controllare che tutto andasse bene. Poi disse:

«Questa è mia moglie Deborah».

«Buongiorno, signora».

«Dammi pure del tu. Tutti voi dovete darmi del tu. Anche se non ci conosciamo, è come se fossimo amici da sempre. Armando mi ha parlato molto bene di voi. L’anno scorso non vi ho nemmeno visti. Sapete, Armando ed io ci siamo sposati qui a Roma il 14 maggio».

Le risposi:

«Ah, il 14 maggio, interessante, davvero molto interessante. Che coincidenza».

«Perché quel tono di meraviglia?».

Così le raccontai che il 14 maggio, assieme ai Dondi e a Leandro eravamo a Mantova per il matrimonio di Edoardo e Nina.

«Edoardo e Nina...», rispose Deborah. «Anche questi nomi non mi sono affatto nuovi. Anzi! Ora che ci penso... Aspettate, torno subito».

Dopodiché ritornò con una foto in mano e, porgendola alla moglie di Tony, gliela mostrò.

«Sì», disse Laura, «sono proprio loro».

«Se vuoi, puoi conservarla».

«Grazie, l’abbiamo già».

Poi Deborah raccontò che per l’occasione, Armando aveva scattato tante foto e girato tanti filmati che poi aveva inciso su dvd.

A questo punto intervenne Tina.

«A proposito, sapete..., no, anzi, non ve lo dico. Posso solo dirvi che tra poco ci sarà una bella sorpresa per voi. Ora vi lascio».

Tony disse a Leandro che, essendo mercoledì, avrebbe voluto recarsi a Roma per ascoltare l’udienza del nuovo papa e visitare la tomba del suo predecessore.

«Concesso, ma dobbiamo sbrigarci se vogliamo fare tutto questo».

Poi Tony gli propose di visitare la POECO, magari nei giorni seguenti.

«Quante cose! Dai, Tony, sto scherzando! Ci andremo, non preoccuparti! E sarete anche invitati qualche giorno a casa mia, come l’anno scorso».

«Verremo con molto piacere» gli replicai.

Leandro disse che era ora di andare se non volevamo fare tardi. Erano le due meno dieci. Giungemmo a Roma alle due e quaranta e, dopo qualche piccola difficoltà, riuscimmo a visitare la tomba del papa appena scomparso. Per le quindici eravamo in piazza San Pietro ad ascoltare l’udienza del nuovo papa. Al termine dell’udienza, Leandro espresse l’opinione che il nuovo pontefice doveva essere sicuramente un tipo “tosto”, umano come il suo predecessore, ma “alla tedesca”, un uomo, cioè, che non ammetteva repliche su questioni contrarie alla dottrina cristiana. Tony gli disse che comunque avrebbe tollerato, almeno, il dialogo con persone appartenenti ad altre religioni. Fummo tutti d’accordo con lui. Poi Leandro disse che non era certo il caso di ritornare in albergo. Fortunatamente aveva l’auto. Questa volta non ci fu bisogno di passare alla sede centrale dell’Unione Italiana Ciechi, quindi andammo direttamente in Rai, dove vi giungemmo con undici minuti di anticipo. Qui riconobbi la signora Francesca, cui porsi calorosamente la mano. Le dissi:

«Io aspetto qui».

«No, signor Galetti! Venga anche lei. Biagi sarà contento di rivedervi tutti e tre. Venite, vi faccio strada».

Salutammo con grande gioia il noto giornalista, poi spiegò a Tony che l’intervista sarebbe andata in onda in un’unica puntata, alle 20.45, eccezionalmente senza pubblicità. Nelle altre puntate, invece, ogni mezz’ora vi era un’interruzione pubblicitaria. Poi concordò con Tony le domande su cui sarebbe stato intervistato, aggiungendo che avrebbe fatto qualche domanda anche a Leandro e a me. Alle diciotto e venticinque lasciammo la Rai, arrivando a Fregene alle diciannove meno un quarto. Andammo per un attimo nelle nostre camere a rinfrescarci. L’albergo – almeno così mi parve – era molto più ampio e ancora più confortevole del precedente, che già era all’avanguardia. Alle sette meno cinque fummo in sala da pranzo, dove cenammo alle sette in punto, pensando a ciò che sarebbe accaduto di lì a poco; per la verità cenammo con cinque minuti di ritardo, perché poco prima, Armando aveva ceduto il microfono a Tony per fargli annunciare che tra poco la gentile clientela avrebbe potuto ascoltarlo in una simpatica intervista con Enzo Biagi nella nota trasmissione Affronti e confronti, in occasione della terz’ultima puntata. Qualcuno si voltò verso di noi, nel tentativo di vedere le nostre facce, e qualcuno riconobbe la mia, che molti avevano già visto in televisione. Poi ci fu uno scambio di idee ed opinioni ed un signore mi chiese se venissi intervistato anch’io. «Forse, anzi, credo proprio di sì».

«Io mi chiamo Dino», disse lui. «Sono qui da una settimana. In questo albergo vi troverete benissimo».

Tony gli replicò che non ne dubitava. Poi Dino si rivolse a Tony e a me, spiegandoci che cinque mesi prima gli era morta una cognata non vedente a causa di un tumore allo stomaco. Si scusò di essersi intromesso nei nostri discorsi. Poi disse di andarcene pure a mangiare che senz’altro ci saremmo incontrati nei prossimi giorni. Terminata la cena andammo nelle nostre stanze per metterci un po’ in ordine, perché alle otto ci attendeva una gradita sorpresa.

«Vediamo se mi riconosci ancora», disse una voce che avevo già sentito.

«Carissimo Aldo! Già! Chi può dimenticarsi del mio caro e vecchio amico Aldo, il taxista che l’anno scorso mi ha accompagnato dall’albergo alla Rai, e viceversa».

«Sono venuto a prendervi, tutti e tre».

Gli dissi:

«Come taxista, accompagnatore o amico?».

«Come amico. Forza, salite! In poco più di un mezz’ora saremo in Rai».

Poi Aldo fece la conoscenza di Tony e salutò nuovamente Leandro. Giunti in Rai, Biagi ci fece subito accomodare, poi spiegò a Tony come comportarsi verso le telecamere, ma subito ci ripensò: «No! Assumete pure la vostra posizione naturale, al resto ci penseranno i cameraman». Dieci minuti dopo iniziò la puntata con la sigla dell’eurovisione e quella dell’inizio della trasmissione.

«Buonasera, signore e signori. La nostra trasmissione Affronti e confronti, iniziata lo scorso 30 agosto, sta per concludersi. Ancora tre puntate e poi ci prenderemo una pausa estiva. Questa sera parleremo ancora di non vedenti e questa volta lo faremo col signor Antonio Dondi, detto Tony, un uomo di cinquantasette anni che ci farà compagnia per tutta la puntata. Bene, signor Dondi, che attività svolge?».

«Buonasera, dottor Biagi. Io, ormai, sono in pensione da poco più di un anno. Fino a poco tempo fa svolgevo l’attività di centralinista, in un paese vicino a Brescia».

«Quindi, sono molti tra voi a svolgere questa attività».

«Non tutti. Alcuni sono compositori musicali, altri insegnano musica o altre materie, altri ancora sono massofisioterapisti. Infine, grazie agli attuali corsi di computer, possiamo lavorare nei diversi call center, svolgendo servizi a noi adeguati e trattando direttamente con la clientela. Tenga presente, dottor Biagi, che io uso il computer da pochissimo tempo, ma, anche se ho una certa età, ritengo che per noi un corso di computer sia qualcosa di stimolante. Forse, svolgere un’attività presso un call center utilizzando il computer si adatta di più ai giovani, ma non disdegno che anche alla mia età si possa ancora imparare, certo senza l’elasticità mentale dei tempi che furono». «Mi congratulo con lei, signor Dondi. Ritengo che per fare un corso di computer, voi abbiate bisogno di personale e strutture specializzate, quali, ad esempio, gli istituti per ciechi». «Sì, ma io non ho frequentato corsi di computer in un istituto, anche perché non tutti gli istituti per ciechi hanno strutture informatiche idonee. So, ad esempio, che l’Istituto dei Ciechi di Milano è dotato di un polo informatico con istruttori specializzati in materia, che svolgono corsi in base alle esigenze degli utenti, dai corsi base a quelli professionali. So che ce n’è uno anche a Bologna. Nell’ambito di questi corsi, c’è chi, dopo una serie di corsi formativi, i cosiddetti corsi ECDL, riesce, attraverso opportuni esami, ad ottenere la patente europea. Alla mia età, credo di non aver bisogno di ottenerla, ma, piuttosto, di frequentare un corso base. Io ho potuto imparare ad usare il computer grazie a mia figlia Lisa, ad una chat vocale del Radioclub Ciechi d’Italia, ed al mio carissimo amico Enea. Ora come ora, non mi ritengo affatto esperto, ma posso adoperare il computer, appunto, basandomi sulle mie esigenze».

«Lei, signor Dondi, ha appena nominato il Radioclub Ciechi d’Italia».

«È un’associazione per non vedenti, ben diversa dall’Unione Italiana Ciechi. Il compito del Radioclub è quello di eliminare le barriere architettoniche ed inserire i non vedenti nel mondo dell’elettronica e dell’informatica, oltre a svolgere numerose altre attività.

Uno dei servizi più innovativi di questa associazione si chiama Infotel, una specie di chat telefonica vocale, divisa in stanze. Ogni stanza supporta un determinato argomento, così, in ogni sezione, vi sono non vedenti che intervengono su quel determinato argomento, esprimendo la propria opinione o ponendo domande per le quali ci si aspetta una risposta. Si tratta di una specie di segreteria telefonica a microfono aperto, con un incrocio di domande e risposte tra noi non vedenti». «Insomma, un valido aiuto, da quel che ho capito».

«Questa, dottor Biagi, è davvero una soluzione innovativa. Credo, anzi, che sia l’unica associazione in Italia ad aver sperimentato un simile sistema. Poi, naturalmente, c’è internet e qui direi che ci si può sbizzarrire a proprio piacere». «Oltre al computer, quali sono i suoi passatempi?».

«Sono un appassionato di elettronica, mi piace la musica lirica e ho una grande passione per lo sport e come tutti anch’io sono un tifoso della mia squadra preferita. Una volta ero tifoso del Brescia, poi ho deciso di tenere per il Milan». «Signor Dondi, vedo che lei parla con molto slancio. Ciò mi fa piacere, perché, benché la cecità sia un problema non indifferente, lei – lo si vede dal suo atteggiamento ed in particolare dal viso – parla con serenità, nonostante le probabili sofferenze che riserva la vita quotidiana».

«E io ammiro lei, dottor Biagi, per avere detto queste parole. La vita è fatta anche di sofferenze. Due anni dopo essermi sposato, è morto mio padre che quindi non ha fatto in tempo a diventare nonno. Mia madre è morta circa tre anni fa. Quando muore un padre dispiace sempre, ma una mamma è insostituibile. Eppure riesco ancora oggi a gustare le gioie della vita, gioie che ho gustato in passato e continuo a gustare».

«Lei mi sembra molto sincero nelle sue parole».

«Ci mancherebbe che non lo fossi, dottor Biagi».

«Che tipo di amicizia c’è con il signor Galetti?».

«Un’amicizia sincera. Non immaginavo neppure di conoscerlo. In pratica, ci siamo conosciuti l’anno scorso. Noi eravamo arrivati in albergo il 3 settembre, Enea, con il suo accompagnatore, è arrivato il 6, ed è stata subito amicizia. Il signor Leandro Portici, qui presente, è andato a prendere Enea, lo ha portato qui a Roma e subito c’è stato un grande affiatamento, come se ci fossimo conosciuti da sempre. La vacanza è stata davvero divertente, abbiamo girato molto e ne abbiamo combinate di tutti i colori. Dopo quella volta, i nostri contatti sono continuati via e-mail e per telefono. Lo scorso maggio ci siamo incontrati nuovamente di persona, perché invitati ad un matrimonio».

«Ah, sì. Ora ricordo! L’anno scorso il signor Galetti mi ha fatto vedere un filmato con una storia d’amore davvero commovente, della quale sono rimasto colpito. Ed ora, signor Dondi, mi dica, ha letto il libro di Enea?». «Sì, e lo trovo molto interessante nella ricchezza dei contenuti e nella cura dei particolari. Devo dire che la fantasia non gli manca certo».

«E lei ha mai pensato di scriverne uno?».

«No. Preferisco semplicemente fare le mie annotazioni su di un quaderno. Questa è un’abitudine che ho preso quattro anni fa. Prima di tutto ho dato risalto ad alcuni episodi della mia vita, per me particolarmente significativi, con tanto di data. Poi ho iniziato a scrivere man mano che accadeva qualcosa. Ad esempio, ho scritto alcuni appunti all’inizio del nostro soggiorno dell’anno scorso. Ho scritto anche qualcosa sull’arrivo di Enea e sulla motivazione che lo ha portato fin qui, ma, ho evitato di far riferimento alle domande dell’intervista».

«Ora, vorrei porle una domanda che ho già posto al signor Galetti l’anno scorso. Come immagina le persone, le cose, i colori?».

«La risposta, dottor Biagi, non è poi tanto diversa da quella di Enea. A proposito dei colori, non ho alcuna immaginazione, ne mi sono mai preoccupato di chiederne conto a nessuno, quindi non posso risponderle in modo preciso. Del resto, per chi è non vedente dalla nascita, il concetto di immagine non esiste, anzi, direi che non può esistere. Delle cose, forse, se ne può “immaginare” la forma od un oggetto simile a quello che si sta cercando di definire, purché quella forma od oggetto lo si sia toccato almeno una volta e si abbiano termini di paragone. Per le persone, dando il braccio a chi ci accompagna, si può capire a malapena come quella persona si presenti fisicamente. Si può sapere, ad esempio, se è grassa o magra e quale sia approssimativamente la sua statura. Per sapere ad esempio come porta i capelli, bisognerebbe almeno toccarglieli, ma io non mi prendo questa briga. Si può invece capire quali siano le sue caratteristiche legate alla voce, che può essere gaia, triste, fredda, ironica o altro.

Anch’io, come Enea, sono nato non vedente, ma, a differenza di Enea, ciò è avvenuto a causa di un glaucoma. Ho perso irrimediabilmente la vista, tuttavia, essendo nato con questa malattia, la mia sofferenza è stata minima. Con questo, non dico di non aver sofferto. Anch’io avrei voluto nascere con il dono della vista, però chi è lassù ha predisposto la mia vita in modo diverso.

Solo verso i dieci anni di età ho cominciato a capire che per me non esisteva alcuna possibilità di riacquistare la vista con un trapianto. A dire il vero non ho mai sofferto più di tanto, ma fino a quell’età ho sempre avuto la speranza che la scienza potesse fare qualcosa per me. Poi, come ripeto, ho avuto momenti difficili a causa di altre situazioni, ma sono riuscito a superare il tutto in un modo che neppure io avrei immaginato». «Mi permetta di dirle, signor Dondi, che chi non vede, sopporta con fatica il problema della cecità e di questo me ne rendo conto, ma ciononostante, questo problema lei lo affronta con grande dignità». «Noi non vedenti non possiamo certamente chiuderci in un guscio per tutta la vita. Tanto vale vivere affrontando degnamente qualsiasi situazione, nel bene e nel male. All’inizio ho sofferto moltissimo ma, col tempo, ho dovuto rassegnarmi ed ora, nonostante tutto, sono sereno».

«Signor Dondi, con lei abbiamo finito, ma resti con noi. Grazie per avermi concesso questa interessante intervista. Complimenti! Ora proseguiremo la nostra puntata con il signor Leandro Portici, con il quale ci siamo lasciati l’ultima volta con la promessa dell’eliminazione delle barriere architettoniche. Buonasera, signor Portici. Per chi non se ne ricordasse, Leandro Portici è stato intervistato l’anno scorso in una delle nostre trasmissioni, ma, cosa assai importante, ha svolto il suo servizio di volontariato presso la sede centrale dell’Unione Italiana Ciechi di Roma, ed è stato l’accompagnatore del signor Enea Galetti. Aveva dichiarato la disponibilità nei confronti dei non vedenti di dedicare loro alcuni progetti. Signor Portici, sono trascorsi nove mesi da quella puntata e lei, nel frattempo, ha terminato il servizio di volontariato. I suoi progetti hanno avuto buon esito?».

«Intanto, buonasera, dottor Biagi. Il mio bilancio è abbastanza positivo. Purtroppo, però, resta da fare ancora molto. Al momento sto lavorando ad un progetto cui avevo già collaborato con l’Unione Italiana Ciechi, mentre ero al loro servizio. Qui a Roma stiamo rendendo più semplice la viabilità di strade e percorsi stradali, attraverso l’attuazione di un piano di lavoro per la verità già esistente, ma che noi stiamo portando avanti con dedizione e serietà. Si tratta di un progetto che, spero, possa essere anche realizzato nel resto d’Italia. Si chiama “lodges” e si basa su particolari tipi di pavimentazione che chi non vede può percepire toccando con il proprio bastone bianco. La speciale pavimentazione verrà realizzata ad esempio nelle stazioni metropolitane, in prossimità di strutture pubbliche, farmacie, stazioni ferroviarie, in modo che vi siano segnali adeguati nelle loro prossimità, avvertendo ad esempio di eventuali pericoli. Tuttavia occorre fare ancora molto.

Per quanto riguarda la ditta a conduzione familiare presso la quale lavoro, stiamo realizzando una serie di progetti informatici che ci permettano, ad esempio, di fare la diagnosi di un computer a distanza, purché collegato in rete. Naturalmente, molti di questi progetti sono stati realizzati anche per i non vedenti, i quali hanno dimostrato una grande capacità di utilizzare il computer. Confido nel fatto che si prosegua su questa linea, perché, come ripeto, bisogna fare ancora molto e, soprattutto, mettere a servizio degli altri le nostre competenze tecniche».

«Lei, signor Portici, sembra molto entusiasta di quanto mi ha appena detto e le auguro di cuore di poter continuare perché vengano realizzati e perfezionati i progetti dei quali ha parlato. Ora non ci resta che ringraziarla e passare all’ultima persona da intervistare. Ultima, ma non meno importante. Si tratta del nostro amico Enea Galetti. Molti di voi ricorderanno le interviste che gli abbiamo fatto l’anno scorso. Sette lunghe interviste in eurovisione, come quella di stasera, durante le quali lo abbiamo messo a confronto con molti argomenti che ci hanno consentito di entrare nel mondo dei non vedenti. Buonasera, signor Galetti, e ben tornato. Cos’è cambiato in questi mesi, ovvero, com’è cambiata la sua vita?».

«Buonasera, dottor Biagi. A questa domanda le rispondo subito che affronto la vita con maggior slancio emotivo. Per il resto, la mia vita continua in modo pressoché normale. Io continuo a lavorare presso l’Università degli Studi di Milano come centralinista, cosa che faccio ormai da quasi diciassette anni. Nello stesso tempo ho sostenuto, sia pure con fatica, alcuni esami ECDL per il conseguimento della patente europea, esami che, oltre a farci avere una qualifica, ci consentono di migliorare l’utilizzo del computer. Lei, dottor Biagi, deve sapere che qualsiasi cosa generi entusiasmo, ci procura una serie di stimoli per noi molto importanti. Il computer è uno di questi. Certo, in questo momento sto parlando di me, il computer mi ha aiutato moltissimo. Anzi, mi pare di averlo già detto nelle puntate di nove mesi fa, e se adesso sono ripetitivo, lo sono proprio perché ho molti slanci emotivi».

«Questa, signor Galetti, è una cosa buona. Continui così!».

«Apprezzo i suoi consigli, dottor Biagi. Per questo motivo, per meglio ricordarmi di quella vacanza, di quelle interviste e degli avvenimenti accaduti, ho scritto il libro che ho intitolato Affronti e confronti: il racconto dei miei primi quarant’anni, prendendo spunto dalla sua trasmissione».

«Sì, signor Galetti, l’ho letto con interesse».

«Sì, e io sono grato a tutti coloro che l’hanno letto. Ma adesso, si tenga forte, dottor Biagi, perché ho una grande sorpresa per lei e per i nostri telespettatori».

«Dica pure, signor Galetti. Ormai da lei c’è da aspettarsi di tutto. Le sue sorprese non mi stupiscono più. Cos’altro ha combinato?».

«Dipende da cosa intende con la parola “combinare”, perché, senza ironia, questa volta ho combinato qualcosa di buono. Sono trascorsi appena pochi mesi dall’uscita del mio libro ed ora sto già pensando di scrivere la mia seconda edizione che, naturalmente, sarà più completa. Il libro precedente si concludeva con il mio viaggio a Roma dello scorso gennaio che io dovetti affrontare, appunto, affinché questo mio libro fosse pubblicato. Le prometto che ne avrà una copia in omaggio».

«La ringrazio, signor Galetti». «E io ringrazio lei, i telespettatori e chi ha letto il mio libro, come pure quelli che ancora devono leggerlo. Sono anche molto contento perché, se le cose fossero andate in modo diverso, molto probabilmente questo libro non sarebbe neppure esistito».

«Cosa intende dire, signor Galetti?».

«Innanzitutto, questo libro esiste grazie a lei, a partire dalla telefonata da parte della Rai avvenuta lo scorso 3 settembre. In un certo senso è stato proprio grazie alle sue interviste che mi sono messo davanti al computer per buttar giù i miei appunti. Ho avuto anche un valido aiuto nel ricevere su cd il testo delle puntate trasmesse, cosa non trascurabile, perché con alcuni colpi di “copia e incolla”, ho potuto ricostruirne il testo e naturalmente, ciò che è avvenuto durante quella vacanza, ed anche in seguito».

«Devo ammetterlo, lei non finirà mai di stupirmi. Ormai siamo giunti alla conclusione di questa puntata. Ai nostri telespettatori non mi resta che rinnovare un arrivederci a domani, mentre invito voi tre a perseguire in modo instancabile la realizzazione dei vostri progetti. Ognuno di voi ha espresso idee molto valide e spero che possiate coronarle con successo nella vita di tutti i giorni. Voi siete ancora giovani, ma, con la vostra ventata di entusiasmo, avete insegnato che si può vivere bene anche invecchiando, mantenendo uno spirito sempre giovane. Viva la vita! Viva la felicità! Auguri a tutti voi di una buona notte».

Uno dopo l’altro augurammo la buonanotte, nonché anni di serenità al dottor Biagi, ciascuno stringendogli la mano in segno di affetto sincero. Aldo ci ricondusse in albergo, dove arrivammo alle undici e trentacinque. Manifestammo a tutti il nostro entusiasmo, perché eravamo davvero felici per quell’intervista e, soprattutto, perché sapevamo che ci attendeva un mese di completo relax. Prima di coricarmi mi misi frettolosamente ad ispezionare la camera. Anche qui, al posto della chiave, vi era una sim da inserire, la stanza era ben equipaggiata con il massimo comfort e, solo allora, mi misi sotto le coperte mentre Leandro si stava svestendo.

Il mattino seguente mi alzai alle sette, quasi come Leandro, il quale doveva aver dormito bene, valutando almeno da come russava. Mi feci subito la barba e fu allora che Leandro disse:

«Anche questa volta, vedo che ti sei portato il rasoio che ti ho regalato l’anno scorso, esattamente come al matrimonio di Edoardo e Nina. A proposito, come ti ci trovi?».

«Funziona benissimo e, come vedi, lo sto adoperando senza filo. In ogni caso, con questo rasoio, non ho mai avuto problemi. Non finirò mai di ringraziarti per avermelo regalato».

«Bene, sono contento».

Poi scendemmo a far colazione. Poco prima ci eravamo incrociati con il signor Dino, che secondo le predisposizioni di Armando ci avrebbe fatto compagnia a tavola. Lui ci raccontò che il lunedì seguente sarebbe ripartito. Terminata la colazione si alzò perché aveva visto alcuni giornali, sui quali si faceva riferimento alla nostra intervista. Dino non era sposato ed era venuto a Fregene con alcuni suoi amici. Gli chiesi quando era arrivato e lui mi rispose da una settimana. Disse ancora che conosceva i gestori di quell’albergo e che da tre anni frequentava il loro hotel a Roma. Poi Tony prese la parola raccontando la sua storia, sin da quando si era recato in hotel per la prima volta.

«Sì, lo so».

Tony sbalordì.

«Come, lei non mi conosce e sa queste cose?». «Stia tranquillo, Tony. Non sono certo una spia o un informatore segreto del KGB. Conosco bene la sua vicenda semplicemente perché il signor Enea l’ha raccontata nel suo libro». «Ah, già! Come ho fatto a dimenticarlo? Mi scusi se ho fatto quella strana faccia». «Ma si figuri! Non c’è neppure bisogno di scusarsi. Capisco benissimo». «Mi scusi, signor Dino. Non le ho ancora presentato la mia famiglia. Lei è mia moglie Laura, alla sua sinistra c’è mia figlia Lisa».

«Il piacere è mio».

«Lui, invece, è il nostro inseparabile amico Leandro Portici».

Poi ci fece nuovamente i complimenti per l’intervista.

Stavamo uscendo dall’albergo, mentre Dino aveva deciso di rimanervi ancora un po’, e improvvisamente fummo fermati in corridoio.

«Enea, chissà se ti ricordi ancora di me».

«Signor Martucci, sono davvero contento di rivederla».

«Allora, come va? Ma non c’è neppure bisogno che tu mi risponda. Lo si vede dalla faccia. Vedo bene che sei sereno, come sempre, del resto. E voi, come state?».

«Siamo arrivati ieri», rispose Leandro a nome di tutti.

«Ieri non c’ero, ero di riposo. Ma spero vi tratteniate, magari solo qualche giorno».

«Qualche settimana, vorrà dire!», gli rispose Laura. «Rimarremo qui fino al 28».

«Benissimo, così faremo delle lunghe chiacchierate e voi potrete rilassarvi. Qui vicino c’è una bellissima spiaggia. Peccato che voi due non possiate vederla, ma spero vivamente che qualcuno ve la descriva». Io gli risposi:

«Leandro è un vecchio lupo di mare».

Si misero tutti a ridere.

«Io gradirei un caffè, per favore», disse Tony.

«Vieni con me. Te lo preparo subito. A proposito, prendete qualcosa voi? Ve lo offro io».

Risposi che avrei fatto compagnia a Tony, gli altri non bevvero nulla.

«Ragazzi», disse Lisa. «Io proporrei di andare in camera a prendere l’occorrente per il mare. Andiamo in spiaggia, al riparo sotto un ombrellone, magari non troppo al sole».

«Allora, buon divertimento», rispose il signor Martucci. Poi facemmo come Lisa aveva consigliato. Entrammo in cabina dove in meno che non si dica fummo in abbigliamento balneare.

Leandro ce la descrisse, mentre facevamo alcune passeggiate avanti e indietro, poi decidemmo di sederci, quando inavvertitamente allungai la mano destra. «Ah», disse Lisa, ridendo, «non sapevo che ti piacesse giocare col mio piede». «Oh, allora scusami». Poi Leandro ci raccontò che aveva portato una speciale telecamera che non temeva l’acqua, nonché una macchina fotografica.

«A proposito! Sapete nuotare?».

Gli rispondemmo di sì, tranne Laura. Io gli avevo risposto affermativamente, anche se nutrivo qualche dubbio in proposito, visto che non mettevo piede in acqua da anni. Ero sicuro che, in caso contrario, Leandro mi avrebbe impartito qualche lezione. Poi ci preannunciò che nel pomeriggio sarebbe venuto anche suo padre, verso le cinque e mezza.

«Non ho portato la radio», disse Lisa.

Sua madre le disse che non aveva importanza, perché avremmo potuto conversare tra di noi e raccontarci come a ciascuno andassero le cose durante tutto quel lasso di tempo. Così il tempo passò senza che rischiassimo di annoiarci. Verso le dieci e mezza Leandro ci propose un bagno ed una nuotata. Acconsentimmo, io ebbi un po’ paura, perché non nuotavo da anni, ma poi mi feci coraggio, anche perché indossavo un salvagente. Anche Lisa nuotò con noi; Laura, invece, era rimasta fuori, non sapendo nuotare. Fu divertente per noi nuotare in acqua, spesso ci urtavamo, ma senza paura.

«Prima di ritornare a casa nostra», mi disse Leandro, «devi promettermi che imparerai a nuotare senza salvagente. Ti insegnerò io, non devi aver paura. A quanto pare, Tony lo sa fare benissimo».

Glielo promisi. Poi, verso le undici e un quarto, Tony cominciò a sentire freddo. Decidemmo di uscire dall’acqua tutti insieme, per andare a sdraiarci al sole, dove ci asciugammo e ci riposammo. Verso mezzogiorno, dopo una breve doccia, rientrammo in albergo per il pranzo. Avevamo un grande appetito. La signora Bardi venne a domandarci come fosse andato il nostro primo giorno di permanenza; noi le rispondemmo che eravamo tutti soddisfatti, poi ci augurò un buon pranzo.

Verso le quattro eravamo di nuovo in spiaggia, dove Laura ci spalmò un bel po’ di crema solare sulla schiena, poiché il sole aveva arrossato la pelle un po’ a tutti. Verso le quattro e trentacinque sentimmo una voce: «Ehilà, buonasera!».

«Buonasera a lei, professore», rispose Tony a nome di tutti. «Vedo che è arrivato più presto del solito». Era infatti venuto con suo figlio Ezio, accompagnato da una ragazza di nome Clara. A fare compagnia al professore vennero più tardi anche la moglie Maria e la figlia Ines. Ci raccontammo a vicenda cosa fosse accaduto dall’ultima volta, poi il professor Portici tirò fuori il suo armamentario; gli altri fecero altrettanto. Vi erano anche due canotti ed alcuni materassini che galleggiavano in acqua. Non c’era occasione migliore per l’illustre matematico di spiegarci la teoria di Archimede, secondo la quale un corpo immerso in un liquido riceve una spinta dal basso verso l’alto pari al proprio peso; lo ascoltammo tutti con grande interesse.

Poi vide che Leandro aveva macchina fotografica e telecamera impermeabilizzate, e ci disse: «Ragazzi, è bello stare qui, ma se non vi siete ancora divertiti abbastanza, ora vi farò divertire io. Forza, ragazzi! Tutti in acqua!». Ora, mentre entrammo in acqua, mi misi a pensare che il professor Portici ci avrebbe subito fatto sperimentare quanto affermato da Archimede, ma mi sbagliai. Ci mettemmo in acqua, sui canotti; ad un certo punto, non so per qual motivo, Tony allungò una gamba ed urtò un uomo seduto sul materassino. Poi si scusò.

«Di niente», rispose l’altro e procedemmo. Ed è qui che arrivò il bello. Due giovani ragazze erano semisdraiate in acqua sopra un materassino. Il professore mi disse:

«Dai! Allunga in avanti il braccio sinistro!».

Io feci come mi aveva detto, mentre lui manovrava il canotto, ma nella foga, senza pensarci, mi aggrappai, evidentemente nel posto sbagliato. L’intento del professore riuscì ugualmente, perché così dicendo inavvertitamente estrassi il tappo ed il materassino delle ragazze, di colpo, si sgonfiò. Le due si misero a gridare, un po’ spaventate, in preda al panico nel timore di affondare.

«Forza!», disse il professore. «Chi sa nuotare, scenda dal canotto! Alle due ragazze ci penso io. Le condurrò a riva io stesso».

Leandro fece salire Laura sull’altro canotto, e tutto si risolse. Intanto, un gruppo di ragazzi che aveva visto tutto da lontano si era messo a ridere a crepapelle e, come risultò più tardi, ci aveva pure scattato una foto. Tony disse:

«Chissà dov’è finito il materassino! Ma soprattutto, chi è in grado di gonfiarlo?».

Leandro presto ci ricondusse a riva dove incontrò suo padre, cui chiese spiegazioni. Le ragazze ringraziarono quello strano individuo che le aveva portate in salvo in canotto. Il professore disse loro che non dovevano preoccuparsi, perché non sarebbe successo nulla in nessun caso. Poi gli chiesi di darmi il materassino. Provai a gonfiarlo, ma con fatica.

«Lascia fare a me», disse Leandro. Allargò al massimo la cassa toracica, e soffiò a più riprese dando prova di conoscere un’altra teoria, quella sulla forza della pressione, a tal punto che il materassino, invece di gonfiarsi, scoppiò.

Ci mettemmo tutti a ridere, tranne le ragazze che ovviamente rimasero male. Leandro si offrì di comprar loro un materassino nuovo. Le due amiche insistettero che non era necessario, ma Leandro era uomo di parola e fece ciò che promise, si sciacquò velocemente sotto la doccia, si rivestì e andò subito in un negozio di articoli da spiaggia. Mezz’ora dopo fu di ritorno con un materassino nuovo, che riconsegnò alle ragazze.

Tony disse:

«Giuro che non mi sono mai divertito così tanto!». La signora Maria guardò il marito, senza capire come mai le due ragazze si fossero trovate sul canotto insieme a lui. Il professore le raccontò che stavano per annegare, risparmiandole il resto del racconto, credendo che qualora la moglie avesse conosciuto la verità si sarebbe ingelosita.

«Tony, riguardo a quello che hai detto prima, hai ragione. Ci siamo sbellicati dalle risate».

La moglie, infatti, era ancora lontana e non aveva assistito all’intera scena del materassino. Disse, con aria severa «E voi avete il coraggio di ridere davanti a quella che si sarebbe potuta trasformare in una disgrazia?».

«No, Maria! Non è stata una disgrazia!». E così dicendo raccontò com’erano andati realmente i fatti.

Tony osservò che senza il professore non si sarebbero divertiti a dovere, tanto che lo trovò una persona estremamente simpatica. Poi l’illustre professore di matematica osservò: «Mettiamola in questo modo. Oggi, pur essendo in vacanza su questa splendida spiaggia, avete studiato la lezione. Avete potuto sperimentare due teorie: quella di Archimede e quella sulla forza della pressione. Bravi! Vi do un bel dieci e lode per come vi siete comportati». Ezio volle dire la sua. «Papà ha messo in pratica un’altra teoria, quella del dongiovanni, o meglio, se preferite, visto il contesto, del vecchio lupo di mare!». Tutti risero.

Ines disse:

«Nostro padre, quando si trova in compagnia, si diverte facendone di tutti i colori, ma a scuola, ve lo assicuro, è un bravissimo professore e, da quel che mi risulta, anche piuttosto severo».

Il professore non si scompose.

«Beh, a scuola è tutta un’altra faccenda. Io insegno matematica e scienze. Se sbagli un’interrogazione o un compito in classe, vuol dire che non ti sei impegnato a dovere, e perciò devo spronare i miei alunni a studiare più seriamente, è ovvio. Ma quando sono in compagnia, come ad esempio a tavola, non posso parlare di ciò che faccio a scuola».

Tony gli diede ragione ma, nello stesso tempo, gli ricordò di quando una volta che lo ebbe invitato con la sua famiglia a casa sua, lo aveva incalzato con una serie di domande di matematica. «E ci pensi ancora, vero?», disse il professore fingendo di esserne risentito. «Comunque, Tony, stavo scherzando. Ho capito che a te la matematica non piace». Anch’io gli feci notare che quando lo conoscemmo per la prima volta, lui aveva fatto una serie di calcoli aritmetici, a proposito di ciò che aveva detto Gesù in risposta a Pietro e cioè di perdonare il proprio fratello settanta volte sette. «Insomma, oggi ve la state prendendo tutti con me!».

«Professor Portici, anch’io stavo scherzando, si capisce! Quando si trova in nostra compagnia, o di chiunque altro, lei può dire quello che vuole. In fondo è una bravissima persona, e su questo non si discute. Devo dire, anzi, che il divertimento di oggi ha superato ogni limite, ma in vacanza, è ovvio, ci si diverte».

Laura approvò. Lisa fece notare al professore quanto gli aveva già detto una volta, quella di voler assistere, per curiosità, ad una sua lezione. Lui rise compiaciuto. La moglie fece notare che in fondo suo marito era un brav’uomo, molto equilibrato, e bravo nel cucinare. Poi ci disse che fra due giorni saremmo stati tutti invitati a pranzo a casa sua e noi, naturalmente, gli dicemmo di sì.

Quando fu ora di rivestirci, la famiglia Portici ci accompagnò in albergo ed ognuno di loro espresse ammirazione per quell’imponente edificio. Poi salutammo nonno Alcide e nonna Giusi, tutte e due in forma più che mai. La cena fu ottima, accompagnata in sottofondo da ottimi brani musicali. Poi venne Clementina.

«Siete tutti sorridenti. Ciò mi fa pensare che vi siate divertiti. E chissà come vi divertirete ancora». Lisa le raccontò quanto accaduto e Tina si spanciò dal ridere; disse che moriva dalla voglia di incontrare nuovamente il professore e la sua famiglia. Leandro glielo promise.

Al termine della cena, Leandro ebbe voglia di portarci fuori per una passeggiata e Tony propose di andare in una gelateria a consumare qualcosa di fresco. «Accordato!». Così Tony fu accontentato. Ci recammo in una gelateria, dove ciascuno prese ciò di cui ebbe voglia. Io una granita al latte di mandorla, Tony una birra, Leandro un gelato al fior di latte, Laura ordinò un caffè shakerato, mentre Lisa, seduta vicino a me, un bicchiere di acqua e menta. L’aria fuori era umida e soffocante, ma, per fortuna, nel locare era in funzione l’aria condizionata e si stava davvero bene; la gelateria era situata sulla passeggiata del lungomare ed ogni tanto si sentiva un piacevole odore salmastro, accompagnato da effluvi di cologna, mentre durante il giorno in spiaggia potevo sentire quello delle creme abbronzanti.

Poi Leandro propose di andare in discoteca, ma noi preferimmo declinare l’invito. Al rientro in albergo Armando ci informò che a partire dall’indomani iniziava la stagione delle serate di animazione, aggiungendo che alcune si sarebbero svolte in spiaggia. «Allora, non conviene andare troppo in giro la sera, se c’è da divertirsi in albergo e non molto lontano da qui», osservò Lisa. Fummo pienamente d’accordo con lei. Alle undici e un quarto ce ne andammo tutti a dormire, ripromettendoci di fare altre passeggiate in spiaggia nei giorni seguenti.

Il mattino dopo fummo tutti di buon umore e Tony era il più allegro della compagnia. «Papà! Se sapessi, hai una faccia così rilassata e sorridente. A cosa stai pensando?». «A ieri. Il padre di Leandro ci ha fatto divertire tantissimo. Ma dimmi, Leandro, descrivimi com’è tuo padre a scuola».

«Severissimo, Tony. Beh, fino a un certo punto, dovrei dire. Sa essere comprensivo, specialmente con chi ha difficoltà a studiare, ma se deve – per così dire – castigare qualcuno, lo fa senza problemi. Però quando è in compagnia, anche tra di noi in famiglia, è quasi sempre di buon umore».

«Papà! Come ti ho già detto, mi piacerebbe assistere a qualche sua lezione, anche se io, per la matematica e la contabilità, adopero il computer. Cosa faremmo nella vita senza computer?».

Laura fece notare che solo padre e figlia sapevano usare il computer e questa era una gran bella cosa, in special modo per suo marito, che, ormai, ci sapeva fare.

Leandro osservò quanto noi non vedenti avessimo tanta abilità nel fare le cose; Tony ed io ne fummo lusingati, non che dovessimo vantarcene, ma la cosa ci fece piacere. Poi ebbe inizio un’altra giornata. «Enea», mi disse Leandro, «oggi cominciamo a mettere in atto ciò di cui abbiamo parlato ieri. Togliti il salvagente, dai e iniziamo a nuotare usando i due braccioli, poi, gradualmente, ne userai uno solo. Infine sarai in grado di nuotare liberamente da solo e, soprattutto, senza aver paura. Ti va?».

Gli risposi di sì. Prima di recarci in spiaggia, però, facemmo una passeggiata sul lungomare, e quale non fu la mia sorpresa quando mi sentii toccare la spalla destra e sentii pronunciare il mio nome da una voce di donna. Era Flavia. Poi udii un’altra voce, e dissi: «E tu devi essere Alice». «Naturalmente, ma come hai fatto ad indovinare?».

«Non ti ricordi, stavi aspettando Flavia in aeroporto». «Sì, è vero, ma mi sono presentata solo per alcuni secondi».

Tony esordì:

«Signorina, sappia che noi non vedenti abbiamo una memoria da elefante. La vista è corta, ma la memoria è lunga». «Sì, capisco. Beh, scusate se sono stata poco delicata».

Le replicai che non era necessario e passai a fare le presentazioni. Le due ragazze confermarono di aver visto Tony e Leandro due sere prima in tv, insieme a me, e ne furono liete.

«Non per impicciarmi degli affari tuoi», fece Flavia, «ma come va il tuo libro? Ho sentito dire – anzi, l’hai detto tu – che sei in procinto di scrivere la seconda edizione».

«Sì, gli affari vanno bene».

«Sono contenta per te», fece Alice. «Ho letto il tuo libro nel quale parli anche di questi tuoi amici e, soprattutto, ne parli con molto entusiasmo, come vedo».

Anche gli altri furono dello stesso parere ed io ne provai grandissima gioia. Poi Leandro propose alle nostre nuove amiche un appuntamento in gelateria. Flavia ed Alice dissero che sarebbero andate a fare shopping ma per il pomeriggio, verso le quattro, sarebbero state libere. Così le congedammo ed andammo in spiaggia, dove, di lì a poco, Leandro mi fece la sua prima lezione di nuoto.

«Beh, ti credevo più indietro! In effetti sono passati tanti anni, come mi hai detto, ma, a quanto pare, non sei a zero. Adesso hai il salvagente, ma confido che imparerai molto presto a farne a meno». Leandro fu molto buono e paziente con me. Ripensai agli anni trascorsi in collegio, quando avevo imparato a nuotare sotto la severa guida di quel terribile professor C., di cui tutti i bambini non vedenti avevano paura solo all’udire la sua voce.

Uscito dall’acqua fu Tony a farmi ricordare quell’episodio che avevo descritto nel libro e di cui avevo parlato anche in televisione.

«Quello che però non capisco, è cosa c’entri quella vicenda con la domanda che Biagi ti ha posto a proposito del fascismo».

«Tony, hai mai sentito la voce di Mussolini?».

«Io non c’ero».

«Lo so che non c’eri, tu sei nato a guerra ormai finita. Non c’ero nemmeno io, per questo».

«Dai, Enea, stavo scherzando! È vero che sono nato dopo la guerra, ma la voce del duce l’ho sentita nei documentari trasmessi in televisione».

«Bene, Tony. Ora cerca di immaginare il professor C. con la voce, cioè, con un timbro di voce quasi uguale a quella di Mussolini. Aggiungi, poi, che quel professore del quale tutti tremavano era un gran picchiatore e pretendeva di essere ascoltato, con rispetto a Mussolini, naturalmente».

Poi Laura propose di cambiare argomento e ciò mi diede spunto per chiedere una curiosità a Tony.

«Senti. Ricordo che l’anno scorso mi hai fatto una testa così a proposito del racconto I sette piani di Dino Buzzati. Ricordo anche che Leandro te l’ha scaricato su un floppy. Volevo sapere se eri riuscito a leggerlo».

«Sì, l’ho letto. Poi da un sito che ho scoperto, ho avuto anche modo di scaricare l’intero libro».

«Bravo Tony! Mi complimento con te. Vedrai che col tempo diventerai sempre più esperto in materia». Tutti si misero a ridere allegramente in segno di approvazione. Tony mi ringraziò ancora una volta per i consigli che gli avevo dato e nel giro di mezz’ora rientrammo in albergo.

Dopo pranzo, verso le tre e venti, il cellulare di Leandro squillò, erano Alice e Flavia che ci chiesero in quale albergo soggiornavamo. Leandro disse loro il nome e le due ragazze ben presto ci raggiunsero. Ci salutarono e ci strinsero la mano. Arrivato il mio turno dissi:

«Flavia, mi hai dato una stretta così forte e calorosa. Hai forse ancora paura dell’aereo?».

Risero tutti e, naturalmente, Tony volle sapere cosa fosse accaduto. Glielo spiegai, e di nuovo giù a ridere. Quindi uscimmo ed andammo in gelateria, non però in quella nella quale Leandro ci aveva condotti la sera prima. Ci mettemmo a chiacchierare allegramente. Ognuno prese ciò che desiderava. Le due ragazze e Lisa presero un caffè shakerato, Leandro ed io una birra, Tony una granita con amarena e latte di mandorla, mentre Laura un latte e menta. A un certo punto Leandro si voltò:

«Papà, uh, papà! Cosa ci fai da queste parti?».

«Buongiorno a tutti! Non preoccupatevi, oggi, niente lezioni di matematica. Stavo solo facendo una passeggiata sul lungomare. Qui vicino, ho appena visto un negozio di rasoi elettrici. Il negozio apre tra un quarto d’ora. Probabilmente prenderò un Remington, chissà se esiste quello con le testine rotanti!».

«Lo prenda come il mio. Leandro me ne ha regalato uno lo scorso anno. È un ottimo rasoio, mi creda!». «Grazie, ora devo andare, il negozio è a quasi cinquanta metri da qui. Non voglio disturbarvi oltre. Vedo che siete in ottima compagnia. Arrivederci e buon divertimento!».

Lo salutammo calorosamente, come un vecchio amico. Evidentemente il professore aveva fretta. Rimanemmo seduti al nostro tavolino a chiacchierare ancora, poi proposi di pagare per tutti, quindi le ragazze vollero raggiungerci in spiaggia. Questa fu per noi una vera sorpresa; le due ragazze avevano anche una telecamera, sicché riuscirono a filmarmi mentre Leandro stava per impartirmi la sua seconda lezione. Ora il salvagente non l’avevo più ed al suo posto indossai i due braccioli. Lo scopo di Leandro era quello di togliermi progressivamente l’equipaggiamento per nuotare e di lasciarmi nuotare liberamente. Notò subito quanto stessi migliorando e le due ragazze parteciparono di buon grado al suo entusiasmo nei miei confronti. Più tardi mi dissero del filmato. Poi alle sei e un quarto si congedarono. Dissero che si sarebbero trattenute a Fregene ancora cinque giorni, quindi promisero che sarebbero venute a prenderci, contraccambiando il nostro invito.

Alle sette meno venti fummo nuovamente in albergo, quando Clementina ci fermò. «Ragazzi, sono felice di dirvi che avete visite».

«E chi mai sarà?» disse Tony.

«Venite con me e lo saprete. Di sicuro sono persone che voi conoscete e che appena sono arrivate un’ora fa hanno chiesto di voi perché è proprio con voi che desiderano trascorrere la loro vacanza. Come vedete, siete in buona compagnia».

«Strano che mio padre ci raggiunga in albergo per dirci di aver comprato un rasoio elettrico e per invitarci domani a casa sua. Per questo avrebbe potuto semplicemente avvertirci sul cellulare».

«Non si tratta dei tuoi genitori, Leandro», gli replicò Clementina, e così dicendo ci condusse in un’altra sala. Fu per noi una vera sorpresa quando con gioia venimmo accolti a braccia aperte da Nina ed Edoardo.

«Buonasera, Nina», disse Tony con allegria. «Allora, spero che voi due stiate bene. Dalle vostre voci sembrate felici. E lei, Edoardo, cosa mi racconta?».

«Sentite», disse Nina, «oramai ci conosciamo da quasi un anno e soprattutto siamo diventati grandi amici. Diamoci tutti del tu, non c’è problema. Ecco, stanno arrivando anche gli altri. Potete dare del tu anche a loro, ne saranno contenti».

Per primo venne Francesco, il nipote di Edoardo, al quale, sorridendo, chiesi se con la chitarra avesse imparato a suonare qualche altra canzone. Mi rispose che ne aveva imparate diverse sempre di Lucio Battisti; gli consigliai di esercitarsi e di continuare così.

«Hai ragione. Battisti è stato davvero un grande».

Poi si fecero avanti i genitori e gli zii con il piccolo.

«Noi», intervenne subito Edoardo, «rimarremo qui per quindici giorni e siamo molto contenti di trascorrere questa vacanza con voi, tutti insieme. Siete i nostri migliori amici e se lo scorso anno siamo stati un po’ duri con te...». Lo interruppi, spiegandogli che ormai non era più necessario scusarsi, era tutto finito e per loro stava iniziando una vita di meritata felicità ed era la cosa più importante.

«Ma come ho fatto», disse Nina, «a non riconoscere Edoardo?».

Le replicai:

«Non devi porti questa domanda. Devi piuttosto chiederti come Edoardo abbia fatto a riconoscerti». E così dicendo ci mettemmo a ridere, mentre il signor Bardi ci condusse al nostro tavolo.

Dopo cena, Nina riprese nuovamente il discorso da dove l’aveva interrotto.

«Beh, Enea. Io non ho riconosciuto Edoardo. Ma se tu e gli altri amici non foste stati presenti, in che modo si sarebbe fatto riconoscere? Voglio dire, Edoardo non ha più l’aspetto del giorno in cui l’ho incontrato per la prima volta. Tant’è vero che se avesse mostrato l’accendino, lo avrei scambiato per un ladro. E se quell’accendino non l’avesse avuto, cosa sarebbe successo?».

«Scusate se mi intrometto nei vostri discorsi», disse Tony. «Da quello che Enea ha scritto nel libro e da quel che mi ha detto a voce, Edoardo ha una cicatrice sul braccio sinistro. Certo, immagino che Edoardo non avrebbe scoperto il braccio improvvisamente per quel segno sulla pelle. Però, ti avrebbe preparata a dovere, come si suol dire. Queste cose, Nina, vanno fatte al momento giusto, con calma e una buona preparazione».

Leandro proseguì:

«Per la verità, nessuno sapeva cosa avesse in mente Enea. Certo si è comportato in modo misterioso. Lui è stato il primo ad accendere la pipa, ma Tony è non vedente, ed allora Enea gli ha dato il segnale convenuto, affinché anche lui accendesse la sigaretta e ciò ha fatto sì che anch’io fumassi».

Questa volta fui io ad interromperlo.

«E, naturalmente, Edoardo non sapeva nulla. Io, però, sapevo una cosa importante e cioè che Edoardo possedeva un prezioso accendino».

«Qui ritorniamo ancora da capo», fece notare Lisa. «Ora, però, finalmente ho capito perché Edoardo ti ha chiesto di prestarglielo. Certo, se Nina lo avesse riconosciuto subito, tutto questo non ci sarebbe mai stato. In fondo è andata bene anche così».

«Insomma, sei stato spettacolare», disse Caterina.

«Grazie! Spero però di poter trascorrere il resto della vacanza parlando anche di altre cose».

«Sicuramente», disse Edoardo. Poi il cellulare di Leandro squillò di nuovo. Era sua madre e quando le comunicò che Edoardo e Nina erano appena arrivati, lei insistette affinché il giorno seguente fossero invitati anche loro. Poi la signora Bardi venne a spiegarci dove si svolgevano le serate di animazione, e così andammo tutti nel villaggio turistico, dove ci dissero che dal lunedì al venerdì, tutte le sere alle 21 ci sarebbero stati vari giochi, mentre il sabato e la domenica si ballava.

Arrivati al villaggio, ci accolse un’animatrice davvero carina.

«Salve», disse, «sono Lorena, per gli amici Lory. Con stasera inizieremo il periodo di animazione. Qui, come vedete, ci sono circa 90 persone, ognuna delle quali, dall’albergo ha ricevuto il distintivo di appartenenza. Una ventina di persone provengono dall’hotel Belfiore, altri dall’hotel Donatello e il resto del gruppo dall’hotel Da Vinci. Per quel che riguarda l’hotel Belfiore, per tutta la vostra permanenza sarò io la vostra capogruppo, per gli altri alberghi ci sono i miei colleghi Ilenia e Maurizio. Tre dei signori dell’hotel Belfiore li conosco perché li ho già visti in tv. Mi raccomando tenetevi pronti, fra tre minuti inizieremo i giochi. Dica, signore...», disse Lory, rivolgendosi a Tony che nel frattempo aveva alzato la mano.

«Volevo sapere se ai giochi posso iscrivermi anch’io. Cioè, essendo non vedente posso iscrivermi o ci sono dei giochi solo per chi vede?».

Questa frase mi fece pensare immediatamente al periodo in cui mi reco al mare con mia madre, dove anch’io da anni faccio la stessa domanda all’animatrice.

«Non si preoccupi, può iscriversi liberamente».

Il primo gioco consisteva nel passare di mano in mano una pallina di gomma, durante un sottofondo musicale. La persona alla quale rimaneva in mano doveva fare penitenza. Poi ci fu il tiro alla fune, quindi si passò al gioco della mela nell’acqua, dove, con le mani dietro la schiena, bisognava cercare di addentare una mela in un secchio d’acqua.

«Ed ora», disse Lory, «preparatevi a mangiare, solo che dovrete farlo con gli occhi bendati. Visto che voi due siete non vedenti, sarete anche un po’ avvantaggiati. Ora passerò a distribuirvi le coppe con la crema semifredda. Ognuno di voi dovrà cercare di imboccare il proprio compagno e vincerà chi riuscirà per primo a fargli mangiare tutto». «Forza, Tony! Qui vicino a me», gli dissi.

Ci furono risate a non finire, per tutti. Tony a volte riusciva, altre, invece, mi impiastricciava la faccia, mentre io riuscii ad imboccarlo. Leandro, come seppi in seguito, rischiò di ingozzare Lisa. Quest’ultima, poi, si lasciava fare tutto senza contraddirlo, solo quando fu al colmo cercò di dire qualcosa a bocca piena che nessuno capì. A sua volta, Lisa gli sporcò non poco la fronte. Lory restò un po’ impacciata, ma poi decise, anche in accordo con gli altri capisquadra, di premiare due componenti per ogni gruppo, chi meglio sarebbe riuscito ad imboccare il proprio avversario, e chi da quella gara fosse risultato il più conciato. Nel nostro gruppo, Leandro, che di tanto in tanto si abbassava o si spostava leggermente, quasi sicuramente per divertirsi a fare gli scherzi a Lisa, risultò il più conciato, mentre io venni premiato perché non avevo sbagliato neppure una volta ad imboccare Tony.

Ci fu poi il gioco della pentolaccia, dove io, per sbaglio, diedi una bastonata sulla schiena ad una persona che non conoscevo; naturalmente le chiesi subito scusa. Ero anche un pochino stanco, quindi mi scansai e diedi il bastone a Tony, che vinse.

«Per quanto riguarda il prossimo gioco», disse Maurizio, «a voi due sconsiglio di iscrivervi, perché potreste farvi male. Sta per arrivare la cuccagna».

Al termine, la squadra dell’hotel Donatello ci chiese la rivincita per il tiro alla fune, perché eravamo arrivati pari. Fu accordato. Lory diede anche a coloro che non vi avevano partecipato, la possibilità di giocare. Tutto avvenne come previsto. Leandro, naturalmente, aveva filmato tutto. Per quella vacanza si era portato anche il computer, per poi passare il tutto su dvd. L’indomani a pranzo avrebbe mostrato i filmati a suo padre che ne sarebbe andato orgoglioso.

L’indomani mattina decisi di uscire con Lisa per andare a prendere i regali; Edoardo e Nina fecero altrettanto. In albergo la sera prima, avevano visto Leandro farsi una cartina e gli avevano chiesto se fosse l’unico fumatore in famiglia. Lui spiegò loro che anche suo padre e suo nonno fumavano. Quella sera, Leandro aveva preferito arrotolarsi una sigaretta prima di andare a dormire, piuttosto che la pipa.

«Del nonno sapevamo, perché Enea lo aveva scritto nel libro», osservò Nina, «ma non di tuo padre. Quindi, gli altri non fumano!».

«Ines ne fuma qualcuna ogni tanto, Ezio invece no».

«Leandro, spiegami una cosa. Tu mi hai raccontato che sei laureato in filosofia, che hai fatto domanda per diventare ricercatore, ma senza risultati. Ma tuo padre che è professore di matematica non ti ha dato nessun aiuto?», chiese Tony mentre facevamo colazione. Effettivamente la domanda di Tony aveva incuriosito anche me. «Sì, ma non ha potuto farci nulla. Era riuscito a parlare con il preside e con qualche professore. Alla fine ho avuto qualche colloquio e per un paio di mesi ho lavorato con un professore. Ho collaborato alla stesura di un libro, ma alla fine il libro riportava solo la sua firma, senza che venisse riportato il mio contributo. Naturalmente io non pretendo i diritti sul copyright, ma almeno il riconoscimento del mio nome come collaboratore. Il “professorone” ha fatto di testa sua e io mi sono sentito usato, capisci Tony? Io, già da qualche anno, avevo creato la POECO. Ho iniziato a lavorare grazie ad un mio amico informatico e così vado avanti ancora oggi». «Ora che tutti e tre siamo diventati famosi in televisione, potrei pensarci io. A Milano, dove lavoro, qualcuno si troverà».

«Grazie, Enea. Io non voglio approfittare né di te, né di nessun altro».

«Ma adesso, anche tu sei diventato famoso».

«Sì, ma preferisco lasciar perdere».

A questo punto intervenne Nina che aveva sentito il nostro discorso. «Io avrei un’idea. Leandro, visto che hai collaborato per un po’ con un professore, perché non scrivi un libro per conto tuo? In fondo, nessuno potrà contestarti, puoi farne ciò che vuoi». «Nina ha ragione», disse Laura.

«Già! Sarebbe proprio una buona idea», proseguì Tony. «È pur sempre uno stimolo, poter realizzare qualcosa». Io intervenni di nuovo.

«Ricordi ieri con Flavia? Non ne abbiamo mai parlato, ma potremmo rivolgerci a suo cognato. Non dovrebbe essere poi tanto difficile».

«Sì», disse Leandro. «Effettivamente ci sto lavorando. Sto scrivendone una bozza. Ti prometto che se avrò bisogno di aiuto, mi rivolgerò a te per contattare chi di dovere. D’accordo?».

«Noi usciamo», disse Edoardo. «Vi raggiungeremo in spiaggia, dove ci ritroveremo tutti insieme. A proposito, a che ora saremo a pranzo dai tuoi?».

«All’una».

«Chissà che cosa avrà in mente tuo padre», disse Lisa.

Leandro le rispose semplicemente: «Vedremo».

Improvvisamente bloccai Edoardo: «Ho bisogno di parlarti. In spiaggia potremmo andare più tardi, o forse potremmo anche rimanere a passeggiare sul lungomare e ritornarcene in albergo. Tu, Leandro, rientra pure in albergo». Leandro acconsentì, non prima però di aver chiesto a Tony.

«Sì», rispose lui, «vengo con te».

«Tony può rimanere con noi, se lo desidera», rispose Edoardo.

Con Tony rimasero anche moglie e figlia.

Poi Leandro si sedette nel giardino dell’hotel.

«Vediamo se ho indovinato», disse Nina. «Forse abbiamo avuto la stessa idea. Visto che andiamo dai Portici dobbiamo comprare dei regali». Tony disse che, mettendoci tutti insieme, avremmo potuto regalare una macchina fotografica digitale a Leandro.

«Sì», gli disse sua figlia. «Ma con gli altri, come faremo? Non possiamo regalare a tutti una macchina digitale! Ti pare?».

«Hai ragione, Lisa».

«Prendiamo un pensierino per tutti. Una pipa per Leandro e per il nonno, visto che tutti e due fumano. A Ezio una pen drive Usb, a Ines e alla nonna due portafogli, alla signora Maria un profumo femminile e al padre uno maschile. Siete d’accordo?».

«Sì, ma noi vorremmo fare per conto nostro», disse Nina. «Andiamo da quel tabaccaio laggiù, che mi sembra molto attrezzato. Ai fumatori regaleremo tre accendini Ronson, poi ci procureremo uno scalpellino per incidere i nostri nomi con la dedica e con la data di oggi».

«Beh, fate come volete», disse Lisa.

Comprammo ciò che Lisa ci aveva consigliato, mentre Edoardo e Nina comprarono i tre accendini Ronson, uguali al modello di molti anni prima e che nove mesi prima fu regalato anche a me. Poco prima erano riusciti ad acquistare un piccolo scalpello da un ferramenta. Quindi, apposero i loro nomi con la data e con la dedica senza rovinarne la smaltatura, tanto che il tabaccaio ne rimase sbalordito, perché non aveva mai visto una cosa simile. Pagammo, ringraziammo e ci accingemmo a rientrare. Lungo la strada, il mio cellulare squillò. Era Leandro che voleva avvertirmi che ci saremmo ritrovati in hotel. Gli passai Tony che gli domandò di informarsi se vicino all’albergo ci fosse una chiesa per la Messa, l’indomani. Rientrammo dunque in albergo. Armando ci informò che la chiesa principale era situata a circa mezzo chilometro, poi Leandro gli chiese il pulmino e non solo ci accompagnò ma, cosa incredibile per un ateo, ci chiese se volevamo visitarla, tanto c’era ancora un po’ di tempo. «Allora, non sei ateo, come dicevi lo scorso anno».

«Devi sapere, Tony, che da quando è morto papa Giovanni Paolo II, sto cominciando a ricredermi su molte cose. Non ho un’idea ben precisa, ma forse avete ragione voi. Forse lassù c’è qualcuno che ci protegge. Ora come ora, non mi ritengo credente, ciononostante, voglio cominciare a fare questa esperienza. Forse potrò imparare davvero tante cose belle».

Così ci recammo a visitare la chiesa, e fu lo stesso Leandro a leggere gli orari delle varie messe. Tony disse che, se tutti erano d’accordo, si poteva andare a quella delle sette e mezza, l’indomani. Fummo d’accordo con lui. Il pulmino ripartì per Roma, alla volta di casa Portici, dove, una volta arrivati circa venti minuti prima del pranzo, tutti ci abbracciarono con grande emozione.

La chiacchierata fu piacevole.

«Di aneddoti nel libro ne hai scritti davvero tanti», disse il professor Portici, rivolgendosi a me. «Sarà vero che a te non piace la matematica, ma vedo che ti piace scrivere». «A quanto pare, non sono l’unico. Anche Leandro...». «Ssssst», fece Leandro. «Dai, Leandro, davvero non c’è nulla di male», gli fece notare Laura.

«Beh, avete ragione. Sto cercando di scrivere un trattato di filosofia. Ricordi, papà, quando mi facesti conoscere quel “professorone”? Poi, sai com’è andata a finire! Il “professorone” mi ha sfruttato per benino. Allora, ho pensato di arricchire i miei appunti, ovvero di stenderli in modo un po’ diverso. Insomma, ci sto lavorando».

«Era ora che tu svegliassi il filosofo che c’è in te», disse nonno Leo.

«Già», le rispose nonna Chiara. «Forse sarà per te anche una nuova fonte di guadagno». «A dire il vero, nostro figlio non è messo poi così male. In casa nostra lavoriamo tutti, tranne me», gli rispose la nuora.

Il professore di matematica, che di tanto in tanto si assentava, disse:

«Ragazzi, tutti a tavola! Ho cucinato io, sentirete che prelibatezze!».

Ci complimentammo con lui, perché il pranzo fu davvero gustoso e succulento e la conversazione fu molto piacevole, intervallata, di tanto in tanto, da qualche sigaretta. Anch’io, per non stare lì a portare pipa e tabacco, avevo deciso di procurarmi un pacchetto di Rothmans. Leandro, invece, si accese la pipa.

«Mi scusi, Leo, ma lei arrotola ancora le cartine?».

«Sicuro! Ma perché mi fai questa domanda?».

«Perché io ho disimparato. Io, come lei sa, fumo la pipa».

«Oh, non importa».

Rimasi un po’ sorpreso nel constatare che il professore scherzava poco, ma fu comunque molto simpatico. Poi, terminato il pranzo, il professore accese la sua quarta sigaretta.

«Papà», disse Ines, «a me sembra che tu, Leandro ed il nonno fumiate un po’ troppo».

«A dire la verità, papà non è un fumatore accanito», le rispose Ezio. «Certo, se tutti voi smetteste di fumare, sarebbe meglio per la salute e per il portafoglio».

«Le fabbriche di accendini andrebbero in crisi», disse Nina.

«Silenzio, Nina!», replicò il marito.

Poi feci schioccare le dita e quello fu il segnale convenuto. Tutti capirono che era ora di andare a prendere i regali, a ognuno il suo. Ma la vera sorpresa fu quando Edoardo e Nina consegnarono ai signori fumatori i rispettivi accendini, così ben firmati e stilizzati. Il professore ne restò fortemente sorpreso.

«E voi, siete riusciti a scrivere nome e data...».

«Con la punta di un piccolo scalpello», lo interruppe Nina.

«Signora, si vede che la classe non è acqua», le rispose il professore compiaciuto. «Ma ora, anche noi vorremmo lasciarvi un ricordo. Enea e Tony, per ciascuno di voi, abbiamo pensato di acquistare le nove Sinfonie di Beethoven dirette da Herbert von Karajan. In particolare a te, Enea, so che piace la musica classica e spero che piaccia anche al tuo amico».

Poi consegnò a Lisa un’agenda elettronica, mentre alla signora Dondi regalò un frullatore ad immersione. Tutti, però, rimasero a bocca aperta quando ad Edoardo e Nina consegnò un magnifico quadro di grandi dimensioni con le loro foto del matrimonio.

I ringraziamenti furono reciproci. Poi Laura chiese al professore se avesse comprato il rasoio elettrico. «Sì, è lo stesso modello che Leandro ha regalato a Enea. La sola differenza sta nel fatto che funziona solo a corrente. Comunque, grazie per avermelo consigliato. L’ho adoperato stamattina e funziona davvero bene. Ora, Edoardo, nel libro, Enea dice che molti anni fa lei regalò a Nina un 45 giri di Rabagliati. Così ho deciso di regalarvene uno con una canzone romantica che possiamo ascoltare anche adesso».

Pochi secondi dopo, un giradischi intonò le note di Ti voglio tanto bene di Rossano, le cui prime parole “...dimmi che l’amore tuo non muore” – sperava il professore – avrebbero suonato di buon auspicio. «Ed ora, papà, visto che a te il divertimento fa piacere», disse Leandro, «prego te e tutti voi di guardare questo filmato».

Detto questo mise il dvd con i giochi della sera prima ed il professore si sbellicò dalle risate tanto da non reggersi quasi più.

«Bravo, figliolo. Hai superato tuo padre. Fortuna che sono seduto, altrimenti, stando in piedi, o sarei crollato a terra, o me la sarei fatta addosso». «Allora, questo filmato fa cagare...», scherzò Leandro.

Questa volta il professore dovette fare uno sforzo sovrumano per contenersi. Quando tutti si riebbero dalla battuta shock, Leandro riprese a parlare:

«Ora, invece, guardate questo!». E così mise l’altro dvd in cui si vide ciò che il professore ci aveva fatto fare in spiaggia.

«Da oggi dovrò chiamarti Fantozzi o Gianburrasca», gli disse la moglie. «A te la scelta!». Il marito tentò un’ultima mossa.

«Beh, Nina, non dimentichi il 45 giri, a patto però che lei mi trovi l’area. Ora, per calcolare l’area del cerchio, anzi di questi due cerchi, nonché quella del solco, bisogna moltiplicare il raggio per 3,14. Eccole il centimetro di stoffa».

«Eccolo là, il matematico che scherza! Ma cosa può sapere Nina dell’area del disco?», disse Leandro.

«A me interessa quella del solco», commentò Edoardo, e giù di nuovo a ridere! Poi, Leandro disse:

«Ragazzi, sono le quattro meno venti. Se ci muoviamo riusciamo a farci un giro in spiaggia, se volete».

«Avremmo desiderato trattenervi ancora un poco», disse nonna Chiara. «Ma se avete voglia di andarvene, beh, vorrà dire che ci vedremo un’altra volta. Perché ci rivedremo ancora, prima che voi partiate, vero?».

«Spero di sì», rispose Lisa.

«Noi ritorniamo in albergo», disse Nina. «Voi fate pure come volete!». «Nina», disse il Portici padre, «eccole il suo 45 giri. E non dimentichi l’altro regalo che le ho fatto, mi raccomando! Quanto a te, Enea, so che tu stai scrivendo la seconda edizione del tuo libro. Spero che annoterai anche ciò che è accaduto oggi».

«Professore, non deve nemmeno dirmelo. Piuttosto, Leandro, potresti dare un’impronta filosofica a questa vacanza appena iniziata».

«Ti prometto che ci penserò!».

Poi, dopo aver ringraziato a turno Leandro e la sua famiglia, rientrammo a Fregene chi in albergo, chi in spiaggia, dove Leandro mi fece fare una nuotata che quel mattino non avevo fatto.

«Questa volta, ti farò provare ancora con i due braccioli, domani proveremo con uno, o preferisci riposare e ricominciare lunedì?».

«Ti prometto che ci penserò», dissi ripetendo quella stessa frase che Leandro aveva pronunciato poco prima al momento del congedo dai Portici. Leandro si mise a ridere.

Uscito dall’acqua, Tony disse:

«Enea, mi fa piacere che tu abbia imparato a nuotare».

«Non preoccuparti, Tony! Finito con Enea, sistemerò anche te».

«Io non ne ho bisogno, perché vado in piscina una volta alla settimana ormai da anni».

«Qualcuno può spalmarmi un po’ di crema sulla schiena?» chiesi.

«Posso farlo io», rispose prontamente Tony.

«Meglio di no. Se dovesse accadere la stessa cosa che hai fatto con quel budino di ieri sera... E poi, Leandro...». «Già», fece Laura. «Anche se sono anni che non esercito più la mia professione, so pur sempre come vanno trattati i pazienti. Ci penso io, vuoi?».

Acconsentii. «A patto», dissi, «che tuo marito non sia geloso». Gli altri risero e Tony lasciò fare.

Tutte le cose belle, però, finiscono in fretta e fu così che in un batter d’occhio venne l’ora di cena, anche se di fame, per la verità, non ne avevamo poi molta. Alla sera venne Lorena che ci presentò due nuovi colleghi, Aldo e Fiorenza, che ci invitarono a seguirli nello stesso luogo della sera precedente dove avremmo ballato. A mezzanotte e cinque Lisa disse di sentirsi stanca.

«Il tuo orologio va avanti di cinque minuti», disse suo padre.

«Come», disse Leandro, «abbiamo ballato insieme quasi tutta la sera e te ne vai così? Questa non è mica la favola di Cenerentola che deve correre, rischiando di perdere la scarpina di cristallo».

«Io non ho la scarpina di cristallo», scherzò Lisa. Poi mi propose gli ultimi balli. Anch’io ne avevo fatti diversi con Laura e Lory, ma a mezzanotte e venticinque – Lisa, intanto, aveva sistemato l’orologio – fummo tutti stanchi morti.

L’indomani mi alzai alle sei e mezza, perché, oltre a radermi, dovetti anche fare doccia e shampoo. Poi misi giacca e cravatta e alle sette e dieci fummo in chiesa, dove i posti a sedere erano quasi esauriti. Terminata la Messa rientrammo in albergo, dove facemmo colazione, per poi andare nuovamente in spiaggia.

«Allora, hai pensato se ricominciare a nuotare o rimandare a domani?».

«Una nuotata persa oggi, non la puoi più recuperare domani».

«Veramente io lo sapevo per un’altra cosa», e così dicendo si mise a ridere. «Comunque ti ammiro. Vedo che il coraggio non ti manca. Te la senti di provare ancora con un bracciolo? Poi vedrai che potrai farlo liberamente». Gli risposi di sì. Poi si ripeté la scena del pomeriggio precedente, quando Laura mi aveva spalmato la crema. Nel mentre sentimmo una voce dietro le nostre spalle.

«Flavia, Alice!», disse Tony. «Spero di poter dare del tu a tutte e due, senza che per questo vi offendiate». «Faccia pure, Tony», replicò Alice.

«Perché non ci ritroviamo ancora insieme?» propose Flavia. Alice disse che andava bene quello stesso pomeriggio. Fummo tutti d’accordo e fu così che le due ragazze vennero in albergo verso le quattro meno un quarto e ci condussero in gelateria. Questa volta insistettero e a tutti i costi vollero offrire loro. Stavolta non ce la sentimmo di ritornare in spiaggia, così ci svagammo un po’ passeggiando sul lungomare e andando in un centro commerciale. Poi, verso le sei e un quarto, quando credetti che ci stessero lasciando, le due amiche ci invitarono a casa loro per una cena fredda, alla quale furono invitati anche Edoardo e Nina.

Lì ritrovai Gianni e conobbi Cinzia, sorella di Flavia con la piccola Pamela. «Ha forse guardato le puntate di Dallas?».

«No, mai! Pamela è un nome che mi è sempre piaciuto».

«Allora, cosa ne dice del libro che le ho fatto pubblicare?».

«Non devo essere io a dare giudizi. La parola devono averla i lettori. In ogni caso, Gianni, si prepari, perché come già annunciato in tv, ho intenzione di scriverne una seconda edizione. Naturalmente, ne riparleremo a settembre. Fortunatamente, il mio computer di casa ora funziona benissimo». «Capisco».

«Enea sa scrivere davvero bene», disse Lisa. «Anzi, il nostro amico Leandro ha fatto la scansione del libro, affinché mio padre potesse leggerlo, visto che anche lui è non vedente. In ogni caso, io ne possiedo anche una copia cartacea. Spero solo di non aver violato il copyright».

«Beh, signorina! Se lo ha fatto per suo padre, va benissimo, ma non lo diffonda in giro, specialmente per posta elettronica o su internet».

«Lei, Gianni, ha ragione. Io sono non vedente e ho letto il libro di Enea. Mi permetto di farle notare che molti di noi scaricano libri da internet da siti appositamente creati, in alcuni dei quali non è necessario registrarsi». «Sa che mi ha fatto venire un’idea, Tony? Ecco cosa si può fare. Signor Galetti, metta una firma qui, per favore! Ciò servirà, perché sulla copertina metteremo una clausola con la quale chi è affetto da cecità, previo certificato, potrà richiedere presso la libreria più vicina a casa la copia cartacea del libro, insieme ad un floppy o cd rom, al prezzo dell’edizione normale. A proposito, avete qualche difficoltà nella lettura dei testi su supporto digitale?». Gli risposi che la cosa migliore sarebbe stata quella di comprimere un semplice file di testo su cd, non tanto perché il floppy poteva smagnetizzarsi ma, piuttosto, perché riportando il testo su cd questo non si sarebbe più potuto cancellare. Gianni acconsentì, dicendo che nel giro di qualche mese avrebbe potuto sfornare la prima edizione in formato digitale. Più tardi, la stessa cosa sarebbe accaduta anche per la seconda. Poi, previo consenso degli autori, l’iniziativa poteva benissimo proseguire e migliorare, perché in questo modo, la sua casa editrice avrebbe potuto prendere simili accordi anche se si fosse trattato di vecchi libri. A tale scopo invitò Leandro e la POECO a collaborare con lui.

«Vedrà, mio marito ci sa fare».

«Sì», rispose Gianni. «Ma perché non ci diamo tutti del tu? Anche se alcuni di voi li conosco per la prima volta, ciò non fa nulla».

Fummo tutti d’accordo.

«Anche noi abbiamo fatto amicizia con Enea. Se tu, Gianni, hai pubblicato il libro», proseguì Nina, «saprai anche la nostra storia».

«Sì, la conosco. Davvero curiosa, non c’è che dire».

«Ma ora, Enea, dimmi. Ricordi veramente tutto a memoria? Come fai, ad esempio, a ricordarti tutte quelle classifiche, precisando, per alcuni brani, persino il numero di settimane di permanenza? E poi, tutti quei titoli con la massima precisione. Ce ne vuole, davvero».

«Alice, devi sapere che noi non vedenti...».

«Sì, avete una memoria da elefante, come ha detto Tony, ma di ciò mi stupisco ugualmente. Beh, allora, visto che tutt’e due mi avete dato la stessa risposta, che Dio ve ne renda merito! Questo è il migliore augurio che posso farvi».

«A proposito di canzoni», osservò Tony, «nel tuo libro citi una canzone di Juli and Julie, Amore mio perdonami, che io non ho. Chissà se tu ce l’hai».

«Ancora no».

«Potrei chiedere a mio padre», disse Leandro, «lui di dischi e cd ne ha tanti».

«Tony, se ce la fai ad attendere fino al nostro ritorno a casa, ci penso io a cercarla in internet e una volta trovata, te la invio in allegato, ma se proprio non ce la fai, domani potremmo cercarla da qualche parte. Anzi, Leandro...».

Alice capì.

«Aspettate, ragazzi! Qui vicino c’è un grande negozio di dischi che, vista la stagione, rimane aperto anche la domenica fino alle dieci di sera».

«Alice, se permetti vengo con te».

«Hai idea di come si chiama la raccolta?».

«No, Alice, ma intanto andiamo».

Così dicendo andammo in quel grande megastore e salimmo al secondo piano.

«Forse sarà qui, sotto la J. Dunque, qui vedo Michael Jackson, Jefferson Airplane, Janis Joplin, Jabba, Jack Leonard. Ma scusa, qui vedo un doppio cd di Johnny Dorelli. Ma non dovrebbe essere sotto la D?».

«Cosa?».

«Perché, ti piace? Costa 13 euro e 90».

«Lo compero».

«Ecco fatto. Andiamo avanti: Ja Rule, Jalisse. Accidenti, non lo vedo. Dunque, Ja, Je, Ji. Ah ecco! Juli and Julie. Era proprio dietro gli altri, non lo vedevo. Vediamo i titoli: Una storia d’amore, Rondine, Poesie d’amore, Al minibar, Liti d’amore, Un giorno di più. Eccola qua. Amore mio perdonami. Oh, ce l’abbiamo fatta... E costa anche poco, solo 7 euro. Adesso che torniamo a casa, ho proprio voglia di ascoltare i tuoi cd. Tanto non abbiamo fretta. Io ho 27 anni e credo di non aver mai sentito né l’uno né l’altro. Dai, andiamo alla cassa. Questa! Pare che non ci sia nessuno, tranne una persona. Vieni con me!».

«Vi faccio passare», disse un uomo che stava aspettando il suo turno.

Alice ringraziò poi mi condusse a casa dove trovammo il signor Elvio e la signora Caterina, genitori di Flavia e Cinzia.

«Allora?», disse Tony.

«Non c’è bisogno che tu compri il cd. L’ho preso io. Ho anche preso un doppio cd di Johnny Dorelli. Guarda quanta roba ho portato a casa con venti euro. Domani, se vuoi, li darò a Leandro, così te li potrà masterizzare, su un unico cd in mp3». «Ah, Juli and Julie li conosco. Erano belle le loro canzoni», disse il signor Elvio. «Anzi, una volta ho trovato il padre di Giorgia e mi ha fatto un autografo».

«Ragazzi, la cena è pronta», disse Flavia. «Tu, Enea, dammi pure i tuoi cd, che li ascoltiamo». Per primo mettemmo il cd di Juli and Julie.

«Non vedo l’ora di ascoltare Amore mio perdonami, osservò Tony.

«Calma! È la settima canzone, e poi, comunque, piace anche a me».

Caterina fece notare di aver conosciuto altri non vedenti ai quali piaceva la musica e Tony ed io ne fummo lusingati. La cena fredda fu davvero ottima e la musica dei tre cd allietò tutto il nostro tempo. Alice ascoltò attentamente, poi le parve di capire che la musica di Juli and Julie fosse un po’ troppo sdolcinata. Quando fu la volta di Aggiungi un posto a tavola di Dorelli, Cinzia fece osservare che avremmo potuto ascoltarla prima, all’inizio della cena.

Fu proprio una bella serata, ci congedammo salutando e ringraziando quelle gentili amiche che ci avevano invitato, confidando che ci saremmo rivisti un altro anno. Leandro ci portò in albergo con il pulmino, per gentile concessione del signor Bardi.

Il giorno dopo ricominciammo ad andare in spiaggia, dove finalmente iniziai a nuotare senza braccioli con grande soddisfazione di Leandro. Quella stessa sera ripresero i giochi di animazione, ma, purtroppo, verso le sei del mattino successivo si mise a piovere, con nostro grande dispiacere. Ciononostante, il tempo passò ugualmente, perché i clienti che erano con noi ci presero in simpatia. Altri attaccarono bottone con Edoardo e Nina ed alcuni che ancora non avevano letto il mio libro, si fecero raccontare la storia dell’accendino, chiedendomi, anche, cosa mi avesse spinto a scrivere quel libro. A qualcuno Biagi non piaceva e quindi non aveva seguito la sua trasmissione, né tanto meno la mia intervista, ma fu contento di ciò che avevo detto.

Passarono alcuni giorni, quando verso le tre di un venerdì pomeriggio, in una splendida giornata di sole, ci trovavamo in albergo. Leandro ed io, conversando con gli altri, ci mettemmo a fumare la pipa, scommettendo su chi di noi due riuscisse a tenerla accesa più a lungo. Trascorse così una buona mezz’ora, quando udimmo alcuni passi venire verso di noi. Era mia madre, con Mirella e la figlia Alberta. Ebbero solo la premura di avvertire l’albergo, ma senza avvisare noi, perché desiderava farmi una sorpresa.

«Siete stanche?» chiesi io un po’ sorpreso. Eravamo abituati a sentirci quasi tutti i giorni per telefono, ma era da parecchi giorni che non ci vedevamo.

«Un po’», disse mia madre. «Ora andremo nelle nostre stanze a disfare le valigie, ci riposeremo, magari anche solo per mezz’ora, ci rinfrescheremo e poi, se lo vorrete, andremo a fare una passeggiata. Comunque ci tratteniamo qui per una decina di giorni. Ah, lei deve essere Tony. Enea me ne ha sempre parlato».

«Sì, signora e qui ci sono mia moglie Laura e mia figlia Lisa, che forse lei già conosce».

Facemmo le presentazioni del caso, quindi Leandro disse che in quei giorni avremmo dovuto portarle in giro un po’ per Roma. Alberta già la conosceva ma fu contenta e non si annoiò, aggregandosi a mia madre e alla sua. La sera, poi, non mancavano i giochi di animazione ed i balli ed il tempo passò in fretta. Anche loro ebbero modo di conoscere Edoardo e Nina. Furono giorni meravigliosi, durante i quali si fecero diverse gite a Roma, si andò a sentire l’Angelus del papa, ma si trascorse anche molto tempo in spiaggia, dove io feci le mie nuotate in compagnia di Leandro e Tony, con grande sorpresa di mia madre e delle amiche. Il sabato seguente, dopo mezzogiorno, ripartirono.

Tony mi fece notare quanto mia madre con me fosse tanto buona e simpatica ed io ne fui orgoglioso. Anche gli altri lodarono il suo aspetto ed il carattere, ma, naturalmente, estesero i loro complimenti anche alle amiche.

«Questa vacanza sta per finire», osservò Lisa quando il nostro periodo di villeggiatura stava ormai volgendo al termine.

«Questa volta non piangerò», disse Tony, «perché mi sono divertito talmente tanto che ritorno a casa con la gioia nel cuore».

«Bravo, papà! Sai perché adesso sei più rincuorato? Perché Enea e Leandro, da quando ci siamo conosciuti, ti hanno sempre dimostrato la loro grande amicizia, anche da lontano. E poi, pure Nina ed Edoardo, che sono partiti lo scorso venerdì, ti hanno preso in simpatia, giocando a carte, parlando e ballando con te. Mamma ed io ti abbiamo sempre sostenuto, affinché la tua felicità fosse anche la nostra».

«Vedi, Tony», gli disse sua moglie, «nostra figlia è tanto buona, educata e onesta con chiunque come con se stessa. Dobbiamo esserne fieri, ti pare?».

Tony approvò e disse che avrebbe voluto godersi il più possibile gli ultimi effluvi dell’aria di mare, perché nessuno sapeva se l’anno seguente ci saremmo incontrati di nuovo.

Edoardo e Nina, dunque, erano tornati a casa qualche giorno prima della nostra partenza e più volte si dissero orgogliosi della nostra compagnia, congedandosi da noi con alcuni regali. A Leandro e a me toccò un portapipe in legno, le signore ricevettero una boccetta di cologna di marche diverse, mentre Tony ebbe in regalo l’accendino con le iniziali e la data che avevano inciso per l’ennesima volta. Ognuno, insomma, possedeva quell’accendino, sempre lo stesso modello con la data, i nomi di chi ce lo aveva regalato, ed il proprio.

«Ma se quell’accendino era un regalo esclusivo per Edoardo, perché l’hanno voluto regalare anche ad alcuni di noi?», si era domandato una volta Leandro.

Tony gli replicò:

«Sì, è vero. A quell’accendino è legata la loro storia, una storia che, però, i nostri gentili amici hanno voluto dividere con noi, perché ce ne sentissimo coinvolti, per condividere un gesto di affetto nei nostri confronti».

Poi non se ne parlò più, anche perché Tony aveva le lacrime agli occhi per la commozione.

«Tony», gli disse la moglie, «hai promesso che non avresti più pianto».

«Hai ragione, Laura, ma, vedi, non riesco proprio a trattenere le lacrime quando penso a quel regalo così importante da parte di due cari amici».

Due giorni prima di partire Tony disse che, in fondo, quella vacanza aveva appagato tutti noi, per il relax, lo svago ed il divertimento. «E per la nostra compagnia...», disse inaspettatamente il professore di matematica, che nessuno vide, e che ci fece un’improvvisata con la moglie. «Dai, Sandro. Lasciali parlare! Abbiamo interrotto bruscamente i loro discorsi».

«Ma cosa dice! Per noi è sempre un piacere», dissi.

«Facciamo una passeggiata in spiaggia».

«Io resto seduta», disse la signora Maria.

«Ora, Tony», disse il professore sottovoce, «devi fare quel che ti dico. Eccoci vicino alla sdraio. C’è una ragazza che sta dormendo. Adesso, allunga la mano sinistra e passami quella bottiglia di plastica. Vieni con me, ma ricorda, devi correre».

Tre minuti dopo rimise la bottiglia al suo posto, dove la ragazza ancora dormiva. Avrebbe voluto che fosse sveglia e così finse di camminare avanti e indietro, poi notò che si era svegliata. La ragazza prese la bottiglia e ne bevve un sorso, ma subito rimase disgustata. Il professore intanto se la rideva sotto i baffi e quando Tony gli chiese il perché di quel verso di disgusto, lui, sempre ridendo, gli spiegò che ne aveva rovesciato il contenuto, sostituendolo con l’acqua di mare, che risultò salatissima. Naturalmente il professore aveva curato ogni particolare, vale a dire aveva riempito la bottiglia con la stessa quantità che c’era già da prima. Uno scherzo in piena regola! «Ma dove eravate?», esclamò Leandro.

«Zitto, Tony! È una cosa che rimane fra me e te».

Conversammo ancora un po’, quindi il professore si congedò, spostandosi assieme alla moglie qualche ombrellone più in là. Poi venne l’ora di pranzo e nel pomeriggio decidemmo di fare un giro nei dintorni di Fregene, non avendo voglia di andare in spiaggia, mentre la sera ci furono i soliti giochi di animazione.

Poi venne l’ultimo giorno. Nessuno, per questo, si sentì triste, perché la vacanza diede a ciascuno il sollievo di quei giorni in allegra compagnia. Il professor Portici venne a trovarci in spiaggia con tutta la sua famiglia e, questa volta, si comportò da persona seria. Durante quella vacanza eravamo di nuovo andati a visitare la POECO, dove Leandro ci annunciò che la ditta si era associata ad alcune imprese produttrici di software per non vedenti, cosa che riempì i nostri cuori di felicità.

Anche l’ultimo giorno lo passammo quasi interamente in spiaggia in completo relax. Solo la permanenza di mia madre con le amiche diede a Leandro l’idea di spendere qualche giorno in visita a Roma.

La serata fu spettacolare. Quella sera, infatti, ci fu la festa dell’arrivederci che si tenne all’aperto. Maurizio, in un chiostro a parte, aveva messo un impianto stereo con le luci psichedeliche, si ballò e si fecero diversi giochi. La sorpresa fu grande perché, precedentemente, avevo preso accordi con Lory per i due giochi più divertenti. Questa volta mi ero messo d’accordo anche con tutta la famiglia di Leandro e, cosa più incredibile, vi furono anche i Bardi al completo.

Lory passò a distribuire le coppette di budino.

«Questa volta, Tony, ce la devi fare!» dissi. E fu così che Tony ce la fece davvero, senza sbagliare neppure una volta nell’imboccarmi, tanto che Lory ci diede una targa come primi classificati con lo stemma dell’albergo. Poi aggiunse:

«Ed ora, tenetevi forte. Visto che Leandro una volta è riuscito a far scoppiare addirittura un materassino, avrete un salvagente per uno da gonfiare. Vediamo chi riesce a farlo scoppiare nel minor tempo possibile. Concentratevi bene! Prima di gonfiarlo, fate qualche esercizio di respirazione».

Leandro arrivò secondo. Il primo posto, con grandissima sorpresa, lo ebbe nonno Alcide, del quale tutti inizialmente ebbero paura per quell’esercizio così faticoso.

«Incredibile», disse Leandro sbalordito, «quell’uomo ha novant’anni e una cosa del genere non me la sarei mai aspettata. Davvero incredibile!».

«Speriamo che non gli succeda nulla», fu il commento di Laura.

Gli applausi esplosero assieme a molte grida di acclamazione, come un boato, ai quali si aggiunse il suono delle campane che gli organizzatori avevano registrato in precedenza. Quel frastuono, assieme a tutto il resto, fu meraviglioso. Naturalmente, nonno Alcide ebbe il suo premio, consistente in una coppa, con lo stemma dell’albergo in oro. Poi vi furono strette di mano, baci ed abbracci in segno di congratulazioni. Quindi ci si rilassò mangiando dolci e bevendo spumante, ma questa volta nessuno di noi si ubriacò. Poi alcuni di noi cantarono e anche nonno Alcide e nonna Giusi si esibirono con Libiamo ne’ lieti calici. Gli animatori, infatti, avevano portato le relative basi musicali.

Andammo a letto felici e soddisfatti, perché durante la vacanza ci eravamo divertiti tantissimo.

Il mattino dopo ci svegliarono alle sei e mezza. Era il 28 luglio, un giovedì. Leandro ed io facemmo la doccia, quindi raggiungemmo gli altri. Nessuno di noi ebbe fame, ci limitammo a bere, chi un succo di frutta, chi un caffè, chi un bicchiere di latte freddo.

«Ragazzi», propose Lisa, «che ne dite di fare un’ultima passeggiata sul lungomare? Sono le otto meno dieci, partendo da qui alle nove e un quarto ce la facciamo».

Così facemmo, respirando iodio e salsedine a pieni polmoni. «Così», scherzò Tony, «il prossimo anno saremo più forti di Leandro e del signor Alcide nel gonfiare e far scoppiare velocemente un salvagente».

«Papà, pensi già al prossimo anno», gli replicò la figlia.

Rientrando apprendemmo che Clementina sarebbe venuta ad accompagnarci all’aeroporto. La dolce e buona Clementina con la quale nei momenti di pausa ebbi modo di chiacchierare durante quella vacanza.

Prima di partire ci portò a salutare tutta la famiglia Bardi, compresi, naturalmente, i nonni. «L’anno prossimo, se verrete ancora qui in vacanza, io non ci sarò più», disse nonno Alcide.

«Non dica così», gli risposi. «Noi, qui, ci siamo trovati benissimo, abbiamo trascorso tanto tempo in spiaggia rilassandoci. Siamo stati trattati molto bene, ma per lei faccio gli scongiuri. Il prossimo anno, se verremo, la ritroveremo pimpante e pieno di vita come quest’anno».

«Lei è ancora giovane e non può sapere cosa vuol dire invecchiare».

«Sì, ma l’importante, è invecchiare bene ed essere sereni dentro».

«Molti giovani non ci rispettano più, perché ci considerano d’intralcio. Lei è uno dei pochi che capisce certe cose». «E con me tutti i miei cari amici». Così dicendo ci congedammo stringendo a ciascuno la mano. Era arrivata l’ora della nostra partenza. Mentre eravamo all’aeroporto prendemmo qualcosa da bere, non prima però di avere sistemato le solite formalità.

«Passate pure», ci disse un impiegato. «E lei, signore, mi riconosce ancora?».

Gli risposi di no, quindi proseguì:

«Sono quello che l’altra volta le ha fatto quello scherzo... Quello dei dvd, intendo dire. Ma ora passate pure». «Ah, sì, mi ricordo. Certo che lei ed il suo capo ci avete proprio presi alla sprovvista. Comunque, ce lo saluti». Ci recammo al bar e subito dopo ci avvertirono dell’imbarco.

Io e Lisa fummo seduti vicini, Tony fu fatto sedere vicino alla moglie, Leandro era seduto qualche posto più in là con alcuni signori.

«Non senti un po’ di nostalgia?», mi chiese Lisa.

«Niente affatto. Anzi, provo tanta gioia nel tornare a casa, al mio paese, dove potrò ritrovare gli amici e, soprattutto, girare da solo con il bastone».

«Anche mio padre ha questa esigenza e non ne vede l’ora, anche se, per la verità, stiamo pensando di vendere la nostra villa e comprare un appartamento che non sia così in periferia, in modo che mio padre possa girare più agevolmente e provvedere alle sue necessità».

«Tuo padre ha qualche amico o parente?».

«Un fratello e una sorella. Quest’ultima verrà a prenderci non appena arriveremo a Milano. Abita in un paese vicino al nostro, mentre il fratello abita ad una cinquantina di metri da noi. A proposito, quando arriveremo a Linate, ricordamelo anche tu, tiriamo in disparte Leandro, e gli diamo un po’ per ciascuno per il noleggio dell’auto con la quale ci è venuto a prendere».

Fui d’accordo con lei e ciò avvenne con non poca difficoltà.

Appena fummo fuori dall’aeroporto di Linate venimmo accolti, con nostra grande sorpresa, da Alice, alla quale chiedemmo di salutarci Flavia.

«Allora, Tony, com’è andata?».

«Benone, a me e a tutti noi».

«Questa è mia zia Elvira», disse Lisa, «la sorella di mio padre, che non è sposata, mentre qui c’è suo fratello, lo zio Mauro, con la moglie, la zia Amanda».

Poi, tutti vollero aspettare mia madre con Mirella e fu solo allora che, dopo i saluti, la compagnia si sciolse definitivamente.

«Leandro, mi raccomando! Quando avrai pubblicato il tuo libro, faccene avere una copia, in particolare a me e a Enea per posta elettronica. E tu, Enea, fai altrettanto, quando avrai pubblicato la seconda edizione. A risentirci. Spero che ci si possa rivedere, ma se così non fosse, almeno teniamoci in contatto».

Ci sciogliemmo ed ognuno andò per la propria strada. Arrivammo a casa alle dodici e venti, e non tardai a riappropriarmi dei sapori di casa, visto che mia madre sapeva cucinare in modo semplice, ma bene. «Allora, vedo che hai un’aria soddisfatta! Certo che tu e gli amici vi siete divertiti mica da ridere». «Sì, mamma. Sai, mi sono divertito tantissimo con i miei migliori amici, tutti buoni e simpatici». «Scusa se ti interrompo, ma qui, nel cassetto, ho visto l’accendino con il nome di Edoardo e Nina. Mi raccomando, tienilo da conto, anche se tu dovessi smettere di fumare».

«Sì, lo farò. Non posso dimenticare quando Edoardo mi raccontò di averlo ritrovato al posto della Luger. Da quel momento lo ha sempre portato con sé, come portafortuna. Quell’accendino lo aveva tenuto chiuso nel suo cassetto chissà per quanti anni! Poi, una volta ritrovato, lo ha messo in tasca e non se ne è più staccato. Chissà quante sigarette si sarà acceso!». Presi il caffè e andai a riposare, quindi alle quattro e mezza mi alzai e andai in veranda a chiacchierare un po’ con i miei vicini, dopo di che uscii a fare una lunga passeggiata, dove incontrai diverse persone che si complimentarono per l’abbronzatura.

Dopo cena feci un’altra breve passeggiata, parlai di nuovo con i vicini e andai a dormire. L’indomani era venerdì, presto sarebbe iniziato un nuovo week-end ed il 5 agosto, fra poco meno di una settimana di lavoro, sarei ripartito per recarmi a M. con mia madre per andare a trovare i parenti.

Fu un soggiorno piacevole, ricco di feste paesane. A M., infatti, la seconda domenica di agosto, si tiene la “festa della montagna”, preceduta, la sera prima, da una processione in alta montagna, dove ci si reca per prelevare la statua della Madonna che viene portata giù in paese, e da bellissimi fuochi d’artificio. La domenica, poi, verso le undici e un quarto si celebra la Messa, che si svolge in montagna, all’aperto, e dopo sempre all’aperto si mangia e si beve tutti insieme, allietati da chiacchiere e balli, alcune volte anche con orchestre dal vivo. Uno dei piatti che va per la maggiore è l’agnello abbrustolito alla brace. La festa in montagna prosegue per tutta la giornata, fino a tarda sera, ma io mi sono sempre fermato non oltre le quattro e mezza.

Il soggiorno estivo fu dunque davvero speciale, perché il 9 e 10 agosto fu organizzata una tipica sagra a base di tagliatelle e fagioli – in abruzzese “tagliarilli e fascili” –, alcuni piatti dei quali arricchiti con cotiche, il tutto accompagnato da secondi piatti a base di spiedini e salsicce alla griglia. Il giorno 12 fu organizzato un pullman per accompagnare il parroco locale nella sua nuova parrocchia. La sera seguente vi fu la processione in preparazione alla festa della montagna, che si tenne il giorno successivo, il 14. Il 15 fu ancora festa in occasione del ferragosto, mentre il giorno seguente fu dedicato a San Rocco, in quanto patrono locale, un giorno speciale anche per me per via del mio secondo nome che è appunto Rocco.

Alcune sere dopo quella settimana intensa di feste chiesi a mia cugina di collegarsi ad internet. Leandro mi preannunciava che stava per consegnare alle stampe, di lì a poco, il suo trattato filosofico. Poi finalmente ricevetti la telefonata di Tony, il quale si lamentò che non riusciva mai a prendere la linea, così dovetti spiegargli che a M., in casa degli zii, usare il cellulare è quasi impossibile, visto lo scarso segnale. Verso la fine della vacanza fui contattato anche da Edoardo e Nina.

Ma le cose più belle, si sa, finiscono, e anche la vacanza con i parenti ebbe termine, ma non la mia permanenza a casa a R., dove rimasi un’altra settimana prima di riprendere a lavorare. Ogni giorno controllavo sempre, sia da casa sia dal posto di lavoro, la corrispondenza via e-mail, finché circa due mesi dopo, ricevetti una mail di Leandro così concepita:

Carissimo Enea, spero che tu e tua madre stiate bene, come noi. Se ti scrivo, significa che ci sono due novità. La prima è che dalla settimana scorsa non fumo più; figurati! Mio padre, appena l’ha saputo, ha preso un foglio tracciando una serie di grafici con linee crescenti e decrescenti, da buon matematico che è. Ma ce n’è una ancora più importante. Oggi è uscito il mio libro, che – non ho voluto dirvelo prima – stavo scrivendo ormai da tempo. Stavolta, il “professorone” non mi fregherà! Si tratta di farina del mio sacco.

Naturalmente ho mandato il file agli editori per posta elettronica ed è stato pubblicato integralmente, salvo qualche aggiustamento. Ora, non so se tu e Tony vi intendete di filosofia, ma io, con grande piacere, desidero farvi omaggio di una copia cartacea e del file che troverete in allegato a questo messaggio.

Spero abbiate la pazienza di leggerlo. Ho creato anche un mio sito personale che troverete in questa e-mail, così potrete collegarvi su internet, visto che dopodomani, alle nove e trenta, terrò una conferenza stampa, che potrete ascoltare, appunto, collegandovi al mio sito. Il libro, per la verità, è un po’ pesante per le teorie ed i concetti filosofici che vi si analizzano, ma spero vivamente che ciò vi sia ugualmente gradito.

Grazie ancora per la compagnia che mi avete fatto durante la vacanza appena trascorsa. Un saluto alle vostre famiglie, Leandro.

Gli risposi subito, poi Tony mi chiamò per informarmi di aver ricevuto la stessa e-mail con il libro in allegato, la cui copia cartacea avremmo ricevuto il giorno seguente, tramite corriere, a spese di Leandro. Tony mi chiese come mai, in occasione dell’uscita della mia prima edizione non avessi tenuto una conferenza stampa ed io mi misi a pensare che l’idea di Leandro non era affatto male.

«Perché hai la voce così triste?», mi chiese Leandro quando lo chiamai al telefono un pomeriggio di fine novembre.

Gli risposi con la voce rotta.

«Purtroppo Tony è morto stanotte. Alcuni giorni fa lo hanno ricoverato d’urgenza in ospedale per un infarto. I medici hanno fatto tutto il possibile per salvarlo, ma non ce l’hanno fatta, perché le sue condizioni si sono presentate subito gravi. Domani, alle tre e mezza ci sarà il funerale».

«Parto immediatamente con la mia macchina aziendale, mi fermerò in qualche albergo a Milano. Domani all’una saremo da te». Il giorno seguente, Leandro venne con Ines ed i suoi genitori, mentre Ezio viaggiò con i nonni su un’altra macchina. Ci furono altri suoi colleghi della POECO che avevano conosciuto Tony quando vi si era recato per una visita. Il professor Portici, anche durante il viaggio, si dimostrò perfettamente all’altezza della situazione e si comportò da vero uomo. «Povero Tony», disse. «Non doveva morire così all’improvviso. Chissà i suoi famigliari! In fondo è morto all’istante». «Professore, io penso che un infarto non viene poi così improvvisamente. Avrà avuto qualche disturbo cardiaco in passato, che forse neppure lui sapeva di avere».

«Certe cose», continuò la moglie, «sono davvero inspiegabili». «Gli abbiamo voluto tutti un gran bene. E poi, tutta la sua famiglia lo adorava», rispose Ines. «Si vede come fosse una persona brava ed onesta».

«Eppure», intervenne il professore, «io non lo immagino da morto, ma da vivo. In un certo senso a me viene anche da sorridere pensando al divertimento che abbiamo avuto con lui. E poi, Tony era una persona garbata e intelligente». Parlammo ancora un po’ di Tony e così, tra una frase e l’altra arrivammo dai Dondi, dove trovammo fra gli altri, anche quei suoi parenti che erano andati a prenderlo in aeroporto per portarlo a casa. Io li riconobbi e dopo aver fatto loro le condoglianze espressi il mio rammarico per averli incontrati in una circostanza così triste.

«Lisa, non piangere», le disse il professore. «Tuo padre ne sarebbe dispiaciuto».

Risposi sottovoce al professore di lasciarla piangere liberamente che forse le avrebbe fatto bene, dopo tutto. Anche Edoardo e Nina erano presenti.

«Voi siete sempre stati i suoi migliori amici», disse Laura piangendo.

«Condoglianze, Laura. Fatti coraggio», le disse Nina.

«È triste dirlo in un momento come questo», rispose Edoardo, «ma la vita deve andare avanti e fare il suo corso. Si dice che, pian piano, il tempo guarisca le ferite».

Poi, dopo il funerale, il corteo si sciolse e ciascuno, dopo la sepoltura, se ne tornò a casa propria. Leandro mi ricondusse a R., dove mia madre avrebbe voluto invitare lui e quanti erano venuti con lui in macchina. Leandro disse che se gli altri erano d’accordo, avrebbero preso giusto un caffè e poi se ne sarebbero andati. Mi salutarono augurandosi di poterci ritrovare tutti in circostanze meno tristi.

Un sabato pomeriggio di metà gennaio, Lisa mi telefonò dicendo che lei e sua madre, il giorno seguente, sarebbero venute a trovarci. La sua voce sembrava abbastanza sollevata, nonostante la morte di suo padre. Mia madre ed io le accogliemmo con gioia.

«Signorina, mi fa piacere che lei e sua madre vi siate riprese. Ho saputo della morte di Tony e mi è dispiaciuto tantissimo».

«Signora», le rispose Laura, «è dispiaciuto a tutti. Sa, quando una persona muore così all’improvviso... E poi, Tony era buono con tutti. Non finirò mai di ringraziare il Signore per averci fatto incontrare questi miei cari amici. Sa, Tony ed Enea hanno legato subito. E poi, ha aiutato Tony in diverse faccende, compreso quella di utilizzare il computer».

«In effetti», disse mia madre, «Enea sta frequentando il corso».

Io risposi che avevo fatto solo quello che avevo potuto e che, anzi, avrei voluto fare molto di più. Lisa e Laura rimasero commosse da quella frase, poi mia madre disse a Lisa che io avevo perso mio padre quando avevo 14 anni, mentre lei aveva potuto crescere insieme a lui.

«Lisa, cerca almeno di sorridermi», le dissi. «Se vuoi un consiglio, ricordati di tuo padre quando era vivo, così anche lui, da lassù, sarà più contento».

«Sì, tu hai ragione», rispose Laura sorridendo. «Tony ha sempre avuto tanti amici nella sua vita, ma, ti dico la verità, dal 3 settembre di due anni fa fino ad ora, ha avuto delle amicizie importanti con Leandro e con te».

«Ricordo, quando mio padre ha avuto bisogno, ti telefonava ed io prendevo appunti in base a quello che mi dicevi. Inoltre ha continuato a lasciare messaggi nella segreteria del Radioclub Ciechi d’Italia e quando ha imparato ad usare la posta elettronica ha inviato molte e-mail».

«Lisa, l’amicizia con tuo padre la devo a te. Sei stata tu a dirgli che in albergo ero arrivato io con un accompagnatore. Anch’io posso dire senza alcun dubbio di avere vissuto un’amicizia sincera». «Scusate», interruppe mia madre, «qui in casa ho una scatola di pasticcini e se volete, preparo il caffè, o il tè». Le due donne dissero che non era necessario, ma poi dicendo che io avrei bevuto un caffè accettarono anch’esse. «Per tornare al discorso di prima», proseguì Laura, «Tony si è sempre fatto voler bene da chiunque. Abbiamo vissuto insieme due vacanze formidabili, per non parlare poi di quando siamo andati al matrimonio di Edoardo e Nina. Non finiremo mai di ringraziarvi per l’amicizia che gli avete offerto. Lisa ed io ci siamo sentite felici. Ormai c’è grande amicizia tra di noi, un’amicizia che durerà ancora per molti anni e che non deve finire, solo perché Tony è morto. Lui stesso non lo avrebbe voluto».

«Senza contare, mamma», disse Lisa sorridendo, «quanto ci ha fatto divertire quel matto del professor Portici. A proposito, cos’è accaduto l’ultima volta, quando ha detto a mio padre di stare zitto?».

«Oh, è accaduto che quel furbacchione di un professore ha condotto Tony sulla spiaggia e, vedendo una bella ragazza che dormiva, ha pensato bene di portarle via la bottiglia, non so se di acqua o di aranciata, ha rovesciato per terra il contenuto e lo ha sostituito con acqua di mare, stando attento di riempire la bottiglia allo stesso livello di prima. Poi ha aspettato che la ragazza si svegliasse, ed io immagino la faccia ed i versi che ha fatto quando ne ha bevuto un sorso».

Tutti si erano messi a ridere.

«A proposito», disse mia madre, «non mi hai ancora fatto vedere i dvd che hai portato a casa dopo l’ultima sera». Io cambiai discorso, ringraziando Lisa per avermi mandato e-mail ed sms per Natale e per l’Anno Nuovo e le chiesi se Leandro, Edoardo e Nina si fossero fatti sentire dopo la morte di Tony. Risposero di sì, e ciò le aveva rese contente. Anche i Bardi si erano fatti sentire, tanto che al funerale di Tony erano venuti anche Giorgio con la figlia. Il resto della famiglia non fu presente, perché dovette sbrigare alcune faccende urgenti. Dopo che Tony era morto, dunque, anche i Bardi ebbero la bontà di tenersi in contatto con i Dondi. Anche nonno Alcide e nonna Giusi si erano fatti sentire una volta, come pure il resto della famiglia Portici, in particolare Ines e Maria.

Poi Laura e Lisa se ne andarono. Dopo cena chiesi a mia madre se fosse occupata e lei mi rispose di no. Allora le feci vedere quei filmati, con i quali mia madre non si era mai divertita così tanto. «E Sergio li ha visti?».

«No».

«Potresti prestarglieli, visto che è sempre gentile con te. Oppure, se proprio non ti va di prestarglieli, una sera lo fai venire qua e li guardate insieme. Certo che a ripensarci, di una cosa sola mi dispiace, che Tony non ci sia più».

«Già, Tony non c’è più», dissi, come se la mia voce avesse fatto eco alle sue parole.

«Hai l’aria stanca come se non avessi riposato bene», disse mia madre in un freddo venerdì mattina di fine gennaio.

«Aspetta, mamma! Finisco di radermi, mi sciacquo, mi vesto, mi metto il dopobarba, e poi, a colazione, ti spiego». Mentre ero a tavola, mia madre incalzò di nuovo.

«Allora, qualcosa non va? C’è qualcosa che ti agita?».

«Sembrava così reale, come se fosse vero».

«Che cosa?».

«Che Tony era morto».

«Ma no! Cosa dici? Tony è vivo e vegeto. Devi aver fatto solo un brutto sogno. Anzi, perché non lo chiami? Così ti tranquillizzi».

Quando, verso le due del pomeriggio lo chiamai e gli raccontai ciò che avevo sognato su di lui, si mise a ridere e con lui anche Laura e Lisa, che avevano inserito il vivavoce. Lisa, infatti, aveva deciso di non andare a lavorare perché avrebbe fatto molta fatica – come più tardi la feci io – a causa della neve.

«Dio voglia che tu mi abbia allungato la vita», disse Tony, ridendo. «Ma cambiamo argomento, hai letto il libro di Leandro?».

«Sì, ma è un po’ difficile da capire! Io non ho mai studiato filosofia».

«L’ho letto anch’io e dove non capivo, mi sono fatto aiutare da Lisa. E tu?».

«Ne ho letto metà e non ho chiesto spiegazioni a nessuno. E poi, sono molto impegnato, perché ho consegnato agli editori la seconda edizione del mio libro. Ho dovuto ragionarci parecchio».

«Allora, presto lo leggeremo».

«Sì, e questa volta te lo mando io stesso per posta elettronica. Ricordi quando, quella sera, fummo a casa di Flavia? C’era anche Gianni e ne abbiamo discusso».

«Desideriamo comprarlo», disse Laura.

«Niente affatto. Vi farò avere gratis la copia cartacea con allegato il cd in formato testo. Così voi lo leggerete normalmente, e Tony potrà farlo, come faccio io, con il computer». Dopo un po’, la conversazione ebbe termine, e alle quattro e mezza mi feci accompagnare con il pulmino fino alla fermata del pullman, non a quella solita, però. Infatti, a causa della neve, il pulmino si era ingolfato e per più di quaranta minuti il mio accompagnatore dovette faticare a sbloccare le ruote, chiedendo aiuto al portinaio, il quale aveva redarguito alcuni studenti che se ne stavano tranquillamente nel cortile a parlare, come se nulla fosse accaduto. Poi andai alla fermata e dopo un viaggio stressante arrivai finalmente a casa, dove cenai e, dopo essermi messo un po’ al computer, andai finalmente a dormire, perché ero stanco morto.

«Svegliati!», disse mia madre il giorno seguente. «Sono le dodici e mezza ed è quasi pronto da mangiare». «Mio Dio! Com’è possibile, mamma? Da quando sono nato, non mi è mai accaduto di dormire quattordici ore di fila». «Mi sono affacciata più volte, ma tu dormivi beatamente. D’altronde, oggi nevica e non puoi uscire, perché rischieresti di scivolare».

«Mamma, ieri ho sognato Tony, oggi l’ho sognato di nuovo, poi ho sognato la sua famiglia, Leandro, il professore di matematica, e...».

«Tony, Leandro? E chi sono?».

«Ma come, mamma! Te ne ho parlato ieri».

«A me non risulta che tu abbia amici con questi nomi. O hai sognato, o stai vaneggiando. Chissà perché mi viene in mente quel libro di cui mi hai accennato... Aspetta! Come si chiama? Aiutami! Ce l’ho sulla punta della lingua. Ah, ecco, Canone inverso. Anzi, mi pare che abbiamo visto anche il film. Me ne parlavi spesso, di quel tipo che aveva una doppia personalità».

«Con una piccola differenza, però. Io non ho una doppia personalità. Io non mi chiamo Jenö Varga o Kuno Blau – che poi, in realtà, sono la stessa persona – e poi, non sono pazzo come loro», dissi a mia madre, fingendo di esserne risentito.

«Non volevo arrivare a questo», fece lei. «Chissà cosa hai sognato!».

Ma dimmi, come mai mi racconti tutto questo?».

«Perché sto scrivendo un libro».

«Un libro? E da quando? Non me ne hai mai parlato!». Già, così, dunque, avevo sognato il libro che sto per scrivere, ora mi manca davvero poco, perché questa storia di pura immaginazione è finalmente conclusa. Non mi resta che ritornare alla realtà.

Eccomi qui, a fare i conti con la realtà, con l’ambiente nel quale vivo, con i fatti che si verificano – purtroppo, il più delle volte, in modo negativo – giorno dopo giorno. Qualche tempo fa, ci sono state le elezioni politiche e Berlusconi ha perso alla grande. Il 25 aprile è apparso in tv molto malinconico, perché fino all’ultimo credeva di vincere, ma così non è stato, anche se ha promesso che darà battaglia. Qualche tempo prima delle elezioni è avvenuto un orribile delitto nei confronti di un bambino di 17 mesi, di cui non faccio il nome. Mi limiterò a dire che è stato barbaramente ucciso e che i suoi assassini e rapitori si passano l’uno con l’altro la palla della responsabilità, accusandosi a vicenda. Le parole per eventuali commenti, umanamente, non bastano più. Pur essendo credente e praticante, dico a me stesso che nonostante Dio voglia il bene dell’umanità, a me sembra che il male prevalga e a volte non abbia limiti.

Alcuni giorni fa c’è stata un’esplosione a Nassiriya, l’ennesima, nella quale – si sa per certo – sono morti tre italiani, e qui infuriano le polemiche politiche sul ritiro o meno delle nostre truppe dall’Iraq. Anche il 25 aprile è stato caratterizzato da aspre polemiche. Letizia Moratti è stata fischiata per aver portato con sé il padre invalido sulla carrozzina e raccontato come andarono le cose durante la seconda guerra mondiale. Insomma, la festività del 25 aprile, ancora una volta viene strumentalizzata, mentre dovrebbe essere una ricorrenza che appartiene a tutti gli italiani. Al di là di ogni critica, però, nessuno dice da entrambi gli schieramenti politici che la seconda guerra mondiale poteva esserci risparmiata, con tutte le sue conseguenze.

Ora, però, devo fare i conti con un’altra realtà, quella del libro che ho scritto.

Nella prefazione ho già esposto alcune idee, molto sinteticamente, ora le riprendo per qualche chiarimento in più. Il 22 marzo del 2002 iniziai un corso per computer all’Istituto dei Ciechi di Milano e tre mesi più tardi mi arrivò il computer a casa. Ricordo ancora quel giorno. Era il 5 luglio, ma bisognò attendere altri quattro mesi prima che mi arrivasse la barra Braille e lo scanner con il programma OCR per il riconoscimento dei caratteri. A questo punto, con alcune nozioni che avevo imparato, iniziai ad usare il computer sul serio, in piena autonomia, senza l’aiuto di nessuno, tranne in rari casi.

Iniziai a scrivere per il bollettino parrocchiale una rubrica intitolata Il mondo dei non vedenti, divisa originariamente in quindici puntate, che poi divennero sedici, perché, strada facendo, ne aggiunsi una intitolata I non vedenti e la musica. Poi, qualche mese più tardi, mi fu installata la connessione ad internet con un modem a 56k, così imparai a navigare e, soprattutto, imparai a servirmene senza limiti, visto che in internet si trova di tutto e di più.

Nel giugno del 2003 chiesi ad un mio amico di mandarmi una mail con in allegato i titoli dei temi di maturità. In effetti, io avevo già fatto ogni tentativo per poterli rintracciare, ma senza alcun esito, sia perché alcuni collegamenti erano protetti, sia perché bisognava accettare il collegamento ai cosiddetti dialer, a quei programmi, cioè, che collegano il modem a 56k a numeri ad altissimo costo, ma, soprattutto, perché ero ancora incapace di muovermi, con i comandi dello speciale software che ho sul computer, in una pagina web dotata di centinaia e centinaia di link.

Non ricordo i titoli esatti di quei temi, ma so che uno di questi riguardava il concetto di immagine. Decisi di svolgerlo, pur sapendo i rischi che correvo, visto che, nella mente di chi non vede, il concetto di immagine non esiste, salvo per quelli che non sono non vedenti dalla nascita. Poi lo feci correggere da una mia amica insegnante di italiano. Risultato: il linguaggio era buono, ma scarso di contenuti e informazioni su quella materia.

Non mi demoralizzai. Immaginai di scriverne un altro e così feci. In breve, immaginai che Enzo Biagi mi avesse intervistato in eurovisione sul tema svolto e su tanti altri argomenti. Poi, tutto finì.

Un mese più tardi feci un altro tentativo. Tentai di scrivere un trattato intitolato Una storia da rifare, nel quale avrei immaginato di intervistare personaggi storici come Gaetano Bresci, Galeazzo Ciano, Mussolini, Hitler, De Gaulle, Churchill, o come Pierre Laval, figura chiave nel governo di Vichy, presieduto dal maresciallo Philippe Pétain. Volevo ipotizzare come sarebbero andate le cose se la storia avesse preso un altro corso, se questi personaggi si fossero comportati in modo diverso. Ad esempio volevo dimostrare che il Bresci, regicida di Umberto I, pur morendo suicida o “suicidato” in carcere meno di un anno dopo, ebbe un ruolo determinante nei successivi avvenimenti. In altre parole, se il Bresci non avesse commesso quel delitto, il Re sarebbe sopravvissuto e probabilmente non saremmo entrati in guerra nel 1915, come pure, se il Re avesse vissuto almeno fino al 1924, il fascismo, forse, non sarebbe neppure esistito. E se il Bresci non fosse morto in carcere e avesse vissuto fino al 1947, avrebbe avuto 77 anni. Per farla breve, il Bresci, dopo il regicidio, sarebbe stato arrestato e tenuto in prigione a marcire per chissà quanto tempo, senza che nessuno pensasse a liberarlo, in special modo Mussolini, che sicuramente a quell’epoca aveva altri pensieri in testa. A guerra finita, però, non esistendo più alcun presupposto per tenerlo in carcere, una volta crollata la monarchia, il Bresci sarebbe stato graziato e, molto probabilmente, avrebbe visto realizzarsi il suo sogno: quello di aver fatto fuori il Re e quello di veder crollare la monarchia.

Il mio pensiero sui vari personaggi si era condensato in pochissime pagine, certamente insufficienti per scrivere un libro e poi, qualora ciò fosse avvenuto, avrei dovuto svolgere molte ricerche. Così lo distrussi e non ci pensai più. Passò ancora del tempo e di tanto in tanto mi misi a scrivere qualcosa per il bollettino parrocchiale. Tra l’altro, nel giugno del 2004 pensai di aggiungere cinque puntate a quella rubrica sui non vedenti, puntate che mi sono state pubblicate solo recentemente. Poi, in una calda sera d’agosto del 2004 venni a sapere che la Fallaci aveva pubblicato un libro che completava così la sua trilogia. Dopo La rabbia e l’orgoglio e La forza della ragione, la nota scrittrice aveva pensato bene di intervistare se stessa in quel libro appena uscito, dal titolo Oriana Fallaci intervista Oriana Fallaci, che venne distribuito con un numero speciale del Corriere della Sera.

Così mi dissi: “Enea, devi farlo anche tu!”. Io, innanzitutto, partii dal presupposto che il titolo del mio libro non doveva essere uguale a quello della Fallaci, e provvisoriamente decisi di chiamarlo Enea Galetti intervista se stesso, con l’unica differenza che io avevo immaginato di essere intervistato da Enzo Biagi. Vi fu un periodo in agosto in cui tornai a casa presto dal lavoro. La mia prima preoccupazione, essendoci poca attività in ufficio, fu, innanzitutto, di andare in un sito di classifiche di dischi per trovare una canzone – anzi, per meglio dire, il titolo di una canzone – di Orietta Berti, della quale sapevo essere stata presentata al Festival di Sanremo nel 1986, Futuro. Il gioco era fatto. Quella sera, tornato a casa, cercai di nuovo in internet per vedere se vi fosse il testo con le parole e trovarlo non fu affatto difficile. Così, attraverso il “copia e incolla”, aprii una pagina vuota di testo e la inserii.

Intanto cominciarono nella mia mente ad affacciarsi le prime idee per iniziare a scrivere un libro. Già, ma fare un libro di sola intervista avrebbe rischiato di annoiare chi legge. Attorno a quell’immaginaria intervista, avrei dovuto creare una cornice in forma romanzata, fatta di personaggi, di luoghi e di ambienti. Naturalmente, quella cornice fu frutto unicamente della mia fantasia. Tra bene e male riuscii a scrivere e salvare 14 pagine. Poi, una sera, scaricai da internet un’applicazione sbagliata, convinto che ciò fosse necessario perché il mio computer funzionasse con maggior efficienza. Fu la rovina. Tutto il lavoro era andato perso, perché commisi la l’errore di tenere tutto sul mio hard disk, senza mai crearne una copia su floppy o una qualsiasi altra unità rimovibile.

Il computer fu fatto riparare all’Istituto dei Ciechi di Milano, dove vi rimase per cinque mesi, perché ogni qualvolta si pensava di concludere il lavoro, c’era sempre qualcosa che non andava. Tra l’altro si dovette procedere alla formattazione dell’hard disk. Avevo perso tutto.

Poi, quando lo riebbi, il 13 maggio dello scorso anno, ricominciai tutto da capo, a partire dal titolo. La trasmissione immaginaria con Biagi doveva intitolarsi Affronti e confronti, trasmissione che nella realtà non è mai esistita con questo titolo. Ma poi dovetti aggiungere un sottotitolo, perché il titolo, per la verità, non mi sembrò sufficiente, e così vi scrissi: Enea Galetti si racconta.

In tutto il romanzo ho usato il mio nome reale, come pure vi sono nomi reali – solo alcuni – di persone che vivono con me a R.

Degli altri personaggi del romanzo non ve n’è alcuno, salvo un obiettore di coscienza triestino di nome Leandro che conobbi realmente. Aveva 26 anni quando lo incontrai nel 1998, era laureato, non ricordo in quale materia, ma non fumava e di certo non aveva nulla a che vedere con il Leandro di cui ho parlato nel libro. A colpirmi, però, ci fu quel nome. Questo obiettore fu anche, nella realtà, il mio accompagnatore in università e quando lo conobbi per la prima volta fui colpito da quell’insolito nome che prima di allora non avevo mai sentito. Ricordo però, quel nome, di averlo ritrovato in un libro di Gianpaolo Pansa, ovvero Il sangue dei vinti, in cui veniva citato un gerarca fascista, tale Leandro Arpinati, ucciso a fine guerra dai partigiani. Quel nome mi colpì ancora una volta. Così immaginai di creare un personaggio di sinistra chiamato Leandro Portici. Tutto il resto è pura immaginazione, tranne il fatto che ciò che dichiaro nella presunta intervista di Biagi corrisponde alla realtà. Avrei potuto mettere tutto ciò all’inizio, ma avrei rischiato di rovinare il finale. Dissi a me stesso che non ci sarebbe stata cosa migliore se non quella di scrivere la presentazione di un libro alla fine e non all’inizio come fanno gli altri, se no, dove sta l’originalità di chi scrive? Io sono fatto così.

In questo mio desiderio di veder pubblicato un libro ce n’è poi un altro, mi piacerebbe che Enzo Biagi lo leggesse e si esprimesse a tal proposito.

Ora, potrei andare avanti a scrivere ed inventare un’altra storia, ma non lo farò, come pure non penso di scrivere altri libri, salvo cambiare idea negli anni a venire. All’inizio del libro ho copiato le parole dei versi di una canzone, ed ora desidero fare la stessa cosa ricordando il verso di un’altra canzone, che durante il racconto ho avuto modo di citare una volta, perché sia di buon auspicio per il futuro. Io, infatti, dico a me stesso e agli altri che a volte bisogna guardare, oltre al presente, anche al futuro, pur correndo il rischio di fissare lo sguardo troppo lontano. A volte mia madre mi rimprovera per questo mio atteggiamento, perché già non si sa se siamo vivi oggi, figuriamoci domani o chissà fra quanto tempo! Questo per farmi capire che non esistono certezze per l’avvenire e allora nei momenti di maggiore sconforto penso a ciò che cantava Ornella Vanoni nel 1971, “Domani è un altro giorno, si vedrà!”. A questo punto vorrei dire “stop”, ma, rileggendo attentamente questo libro, mi sono accorto che devo aggiungere ancora qualcosa.

Caro figliolo, vorrei dirti di essere il tuo papà. Tu hai un solo genitore che, però, oltre che da padre ti ha fatto un po’ anche da madre.

Come madre, ti ho generato, ti ho fatto nascere, dandoti le cure che solo una mamma può dare. Ti ho cresciuto, ti ho dato il mio affetto, avendo per te mille cure e riguardi, affinché non ti mancasse nulla e crescessi sano. Come padre, ti ho reso forte e, soprattutto, ti ho insegnato ad essere uomo. Ho preteso molto da te. Mille volte avrei voluto fermarmi, ma, nel rileggerti, mi accorgevo che c’era sempre qualcosa che mancava. Sono stato un padre molto severo, ma alla fine ce l’ho fatta. Tu non ti sei mai ribellato, come invece fanno i figli nei confronti dei genitori. Sai, io non ho più il papà ormai da tanto tempo. Così, ho voluto esserti padre una volta di più, facendo ciò che mio padre non ha potuto fare con me, avendolo perso quand’ero ancora un ragazzino.

Ora continuo a vivere con mia madre. Sai, figliolo, io ho una mamma tanto buona e sempre premurosa nei miei confronti che ha rivolto e continua a rivolgermi mille attenzioni, fin da quando sono nato. Mi ha sempre stimolato e dato consigli, mi ha sempre spronato in ogni mia scelta di vita, è sempre stata un’inesauribile fonte di stimoli, affinché anch’io potessi migliorare il mio stile di vita, cercando di alleggerire il mio handicap che, però, non vivo come un limite alle mie capacità, ma, anzi, lo vivo con amore e sopportazione. E di questo, mia madre ne va fiera, perché in questo modo tutto ciò mi tiene lontano da quei pensieri che potrebbero appesantire la mia mente.

Sai, mia madre non vede l’ora di leggerti. Sapessi com’è in ansia per te!

Io, non vedendoci, non potrò seguirti ovunque tu vada. Tu, invece, puoi farlo. Qualcuno ti apprezzerà, altri invece, si metteranno a ridere, diranno che ho sprecato tempo inutilmente, altri ancora ti umilieranno. Ma tu, non arrenderti! Non chiuderti in te stesso, ma apri le tue pagine e racconta a ciascuno quanto come madre e come padre abbia fatto per te. Fatti leggere, perché la gente sappia ciò che ho scritto su di te. Io, se nessuno mi accompagnerà, rimarrò a casa ad aspettarti. Ovunque tu sia, sarai sempre con me.

Tra qualche giorno ti inciderò su un cd. Mentre sarò in viaggio, o nei momenti in cui non avrò nulla da fare, ascolterò una voce sintetica, che non ha nulla di umano. Eppure, quella voce, per chi non vede, è importante, perché ci guida passo a passo. Io, la ascolterò con gioia, perché quella voce mi parlerà di te.

Non farti mettere in un anonimo scaffale dove saresti dimenticato. Fatti, invece, prendere in braccio da chi ti vuole leggere, perché al mondo ci sarà sempre qualcuno che ti vorrà bene e ti terrà gelosamente con sé.

Ora, non mi resta altro da aggiungere. Abbi cura di te, sii felice, ma, ti prego, non abbandonarmi! Non ti chiedo di pensare a me tutti i giorni, ma, almeno una volta tanto, pensami, come madre, come padre e anche come amico. In casa mia ci sarà sempre un posto per te, ma, soprattutto, qualunque cosa ti accadrà, avrai sempre un posto speciale nel mio cuore e nel cuore di chi ti saprà apprezzare.

Con i migliori auguri per una vita lunga e sana, e con tutta la felicità di questo mondo!

Enea Galetti