Andrea Doria/La Vita/18

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La Vita
Capitolo 18

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Piero Strozzi, uomo d’armi valoroso e creatore degli archibugieri a cavallo, la cui adozione nell’esercito francese contribuì ad ottenergli la nomina a Maresciallo di Francia, era entrato in Siena per riprendere e potenziare la rivolta già in atto contro don Diego de Mendoza e, per conto del Re, stava compiendo azioni che Cosimo de’ Medici reputò dannose per Firenze. Deciso a impedire quell’accentrarsi di forze avverse ai suoi confini, il Duca mosse guerra e sconfisse i Senesi in campo aperto: la città venne assediata, e - per le qualità animatrici ed organizzative dello Strozzi, nonché per la fierezza dei suoi cittadini - oppose una resistenza lunga e saldissima, che terminò solo quando fu umanamente impossibile prolungarla. Lo Strozzi si salvò fuggendo a Porto Ercole, ma quivi fu assediato dalle galee del Principe, che obbligarono anche quella fortezza a capitolare.

Avvenivano intanto fatti di risonanza mondiale. La morte di Edoardo VI re d’Inghilterra aveva portato al trono la figlia Maria Tudor, all’età di 38 anni. La diplomazia spagnola vide nell’unione fra la casa reale di Spagna e quella d’Inghilterra un elemento formidabile nella lotta contro la Francia: e convinse Carlo V a chiedere la mano della regina per Filippo, già vedovo da nove anni di donna Maria del Portogallo. Filippo, nominato re di Napoli lo stesso giorno, aveva da poco compiuto i 27 anni, quando il 25 luglio del 1554 celebrò le sue nozze con la regina d’Inghilterra. Avendo già dal 1546 l’investitura del ducato di Milano, egli era il solo capo e responsabile di quella parte d’Italia che stava sotto la diretta dominazione spagnola; e in virtù di ciò nell’aprile del 1555 firmò da Londra un decreto che conferiva al duca d’Alba il comando generale delle truppe in Italia, e il governo di Napoli e Milano.

Nell’avanzata primavera del 1554, a causa di nuove notizie di minacce da parte turca, nuovamente il Doria si trasferì a Napoli, e di lí parti per un lungo viaggio di esplorazione fino alle Puglie, perlustrando il mare da ogni parte, senza incontrare la flotta turca né aver conferma di suoi movimenti. Tornato a Napoli sulla fine di luglio, ebbe conoscenza del mutamento disposto dall’Imperatore e del titolo reale assunto da don Filippo. Due celeri messaggeri partirono subito, l’uno per le Fiandre e l’altro per Londra, allo scopo di rinnovare all’uno e all’altro il giuramento di fedeltà del Principe.

A tal riguardo si racconta a Napoli l’episodio che sarebbe successo durante i festeggiamenti in onore del nuovo Re. Il Principe, passando dinanzi al Palazzo, vide molto popolo che applaudiva a due grandi quadri, l’uno rappresentante l’Imperatore, e l’altro Re Filippo. Fatto fermare i cavalli, restò un momento a guardare la folla, poi, chiamato un ragazzetto, gli chiese: «Vedo che guardi con tanto amore: bravo! E secondo te, quale preferisci?» al che il ragazzo, senza esitare rispose: «Napoli, Eccellenza».

Leggenda, forse: ma come tutte le leggende indica uno stato d’animo, un’aspirazione.

Intanto continuò per tutto il 1555 la lotta nei vari settori fra gli imperiali e i francesi, con qualche successo degli imperiali, sotto la guida di Emanuele Filiberto di Savoia, nipote dello Imperatore. In Italia giunse nel 1555 il duca di Alba a ravvivare la lotta, ma senza ottenere risultati di grande rilievo.

Proprio mentre i turchi stavano preparando una nuova spedizione - che si sarebbe risolta, nel settembre dell’anno stesso in un grave scacco cristiano e spagnolo con la caduta di Bugia difesa da soli 500 uomini contro i 50.000 dei turchi - a Roma si succedevano ben tre papi: il 23 marzo 1555 moriva Giulio III, e il 9 aprile veniva eletto il cardinale Marcello Cervini di Montepulciano, che prese il nome di Marcello II, ma che dovette soccombere a una grave malattia dopo soli 22 giorni di regno. Dal nuovo Conclave, il 13 maggio uscì il nome del card. Gian Pietro Carafa, che si chiamò Paolo IV, regnando poi fino al 1559.

In quegli anni molto dovettero preoccuparsi i Genovesi e, per essi il Principe, sempre vigile sugli interessi della Repubblica, per le sorti della Corsica. Quest’isola, in verità, non costituiva per Genova una attività, tutt’altro: ma era necessario il suo possesso per garantire la sicurezza delle coste liguri, del commercio e dei rifornimenti marittimi. La Corsica in mano alla Francia avrebbe significato un pericolo continuo, specialmente per la sua alleanza col Sultano turco, protettore di corsari.

Trovandosi il Principe a Napoli, dove come abbiamo detto - lo aveva raggiunto don Garcia di Toledo, venne a conoscenza che l’armata turca, agli ordini di Dragut, dopo aver svernato nell’isola di Chîo, aveva preso il mare, attraversato lo stretto di Messina, e si dirigeva verso il settentrione, dove avrebbe trovato aiuti e rinforzi provenienti dalla Francia. Scrisse perciò subito a Genova, perché fosse con urgenza disposto il rafforzamento dei maggiori centri corsi, e per primi Calvi e Bonifacio. Ulteriori notizie confermarono che la flotta turca aveva imbarcato tremila soldati francesi sotto la guida di comandanti francesi e di fuorusciti corsi, fra i quali Giordano Orsino e Sampiero di Bastelica.

L’intervento di costoro fu purtroppo decisivo, perché le popolazioni, credendo alle promesse di libertà e di indipendenza da loro solennemente formulate in nome del Re di Francia, facilitarono grandemente il compito delle truppe, che poterono occupare senza quasi trovar resistenza l'isola, a cominciare da Bastia, sede del governatore. Solo Calvi e Bonifacio rimanevano in potere dei genovesi, perché più saldamente tenute, e da poco rinforzate secondo gli ordini del Principe. Compiuta la spedizione, la flotta turca fece ritorno nel Levante.

Si commosse a quella perdita la popolazione genovese, che manifestò la volontà di ricuperare l’isola a qualunque costo. Richiamato da Napoli il Principe, unanimemente a lui si ricorse per il comando generale dell’impresa, ed egli, benché ottantasettenne, si dispose all’opra. Scrisse intanto all’Imperatore che si trovava a Bruxelles, chiedendogli aiuto, e la risposta fu quale egli desiderava: dover cioè, Genova e il Principe contare su tutto l’aiuto che egli poteva dar loro, e potere il Principe disporre di tutti i mezzi imperiali che poteva radunare, cosa cui il Doria subito provvide.

Mentre continuavano i preparativi, il Principe inviò in Corsica Agostino Spinola con ventisette galee e con gli ottomila fanti già giunti Suo compito primissimo era di liberare Calvi dall’accerchiamento dei francesi, cosa che egli fece con rapidità, mentre da Genova partivano le nuove truppe con le rimanenti galee. Andrea Doria decise di espugnare al più presto San Fiorenzo, luogo solidamente tenuto da Monsignor di Valaron, cui dava man forte il fuoruscite, Giordano Orsino. Data la solidità della rocca , ordinò di metterle l’assedio, che durante i mesi invernali fu durissimo per gli assediati e anche per gli assedianti. Finalmente, riconosciuta l’inutilità della resistenza, i francesi vennero a patti, capitolando.

Occupati così, al seguito di queste azioni vittoriose i centri e le basi più importanti del settentrione dell’isola, poteva Genova ritenersi per il momento tranquilla, anche se qualche centro meno importante era rimasto ancora in mano francese.