Angelica (Aretino)/Canto secondo

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Canto secondo

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Canto primo


 
1

Non si curi del ciel chi in terra vive
felice amando e del suo amor contento
né lassú brami fra le cose dive
sentir la gioia ove ogni spirto è intento,
perch'al sommo diletto par che arrive
solo il gioco amoroso, e in quel momento
che de la donna sua si bascia il viso
s'ha il medesimo ben ch'è in paradiso.

2

O beati color ch'hanno duo cori
in un sol core e due alme in un'alma,
due vite in una vita, e i loro ardori
quetano in pace graziosa et alma;
beatissimi quei ch'hanno i fervori
con desio pari scarchi d'ogni salma,
né invidia o gelosia né avara sorte
gli nega alcun piacer sino a la morte.

3

Fa di ciò fede Angelica e Medoro,
ne i quali Amor le sue dolcezze affina,
ch'una beatitudine han fra loro,
mercé de la sua stella pellegrina,
ch'esser gli par sú ne l'eterno coro
e aver la gloria a Dio vie piú vicina
d'alcun beato, anzi gli par che il cielo
altro non sia che il lor ardente zelo.

4

Il queto Sonno, di posar contento,
i lor sacri occhi abandonar non vole;
l'ombra del verde, il respirar del vento,
de l'acque il suon, l'odor de le viole
e de gli augelli il semplice concento
favor gli fan con tante grazie sole,
che, s'Amor non rompea sue dolci tempre,
ivi gioiva, ivi albergava sempre.

5

Ruppesi il sonno umíl, placido e chiaro
ne l'ora che 'l sol perde i raggi caldi,
onde colmi di gioia si levaro
ambo de i freschi e teneri smeraldi.
Ne la partenza a pianger cominciaro
quei che cantavan sopra i rami saldi,
i fior pallidi fersi e sparve l'ombra
et un vedovo orrore il sito ingombra.

6

Mentre i sentier fioriti et egli et ella
premon soavi, spiega il denso velo
l'umida notte, onde la copia bella
prima con gli occhi fe' sereno il cielo,
poi col guardo gli accese ogni sua stella,
e godendo del dolce estivo gelo
si rendono in Albracca, ove un corriero
trovar, qual avea corso ogni emispero.

7

Da i freddi lidi a le cocenti arene
del Tanai e di Libia egli avea corso;
varcato ha il mar qual crea orche e sirene
e calcato d'Atlante il petto e il dorso;
tutte le selve ha cerco, d'orror piene,
sin dove il sol raffrena e prende il corso,
per trovar lei, e la saluta al fine
con volto basso e con ginocchia inchine.

8

Il servo umíl l'altissima cagione
ch'errar fatto l'avea di clima in clima
con parlar breve a da suo par l'espone,
ma lagrime e sospir traendo in prima.
Fattole udir ch'estinto è Galafrone,
ella, che seco il ver tacita estima,
per fare al regno suo presto ritorno
entrò in camin ne lo spuntar del giorno.

9

Il dí ch'uscí d'Albracca ella e il suo sposo
entrò in Parigi con l'essempio altiero
il messo che lasciò nel luogo ombroso
l'alto circasso colmo di duol fiero.
Era il giorno felice e glorioso
che l'onorato singular Ruggiero
sol trionfò con sue virtuti conte
del temerario ardir di Rodomonte;

10

onde con real pompa fur ridotte
nel tempio ivi maggior, sospese in alto,
l'arme smagliate e fieramente rotte
di quel che volle a Dio mover assalto
(vestille il re d'Algier dopo Nembrotte,
e d'antiqua bontà col ver l'essalto)
et in un titol d'or sopra si mise:
" De Rodomonte fur. Ruggier l'uccise ".

11

Perché piacque al buon Carlo, in un momento
fu de l'arme arricchito il tempio tosto
e 'l morto, che de i vivi era spavento,
dove morío suso un pilastro è posto,
a guisa che si suol poscia che il vento
lascia dal mar con impeto discosto,
di squame armato, il monstruoso pesce,
che piú entrar non può ne l'acqua ond'esce.

12

Tosto che 'l messo reverente corse
ne le case reali, in seggio altero
tra i dodeci robusti Carlo scorse,
che in terra il padre par d'ogni emispero.
Stansi ne la sua fronte, u' gli occhi porse,
Arme, Religion, la Fede e il Vero,
e tacendo e parlando mostra segni
ch'obietto è sol de i trionfi e de i regni.

13

Vide Ruggier, vide i famosi eroi
de la gran corte al suo valor sovrano
dar corona di lode, e vide poi,
piena di desioso affetto umano,
Bradamante gentil co i modi suoi
basciarli umíl la vincitrice mano,
avendo ancora, benché fosse ardita,
dal suo bel volto ogni beltà smarrita,

14

che, se ben ella come il suo signore
non combatté con Rodomonte fiero,
tutti quei crudi colpi ebbe nel core
ch'avuti per lo dosso avea Ruggiero:
mentr'ei guerra mortal fece di fore,
ella contese dentro col pensiero
e l'avea quasi posta a l'ore estreme
de la sua palma una dubbiosa speme.

15

Mentre a Ruggier con tenera accoglienza
il famoso drappel soggiorna inante,
mentre gioisce de la sua presenza
Marfisa, ch'ha i trionfi nel sembiante,
ecco il corrier con somma riverenza
curvar, chinar, piegar fra genti tante
le spalle, il capo, le ginocchia e dire:
- O magnanimo, sacro, invitto sire,

16

messo de l'alma Angelica son io,
che imponermi degnò, da lei partendo,
ch'al mondo fessi noto che d'un dio
s'è fatta sposa, del suo amor ardendo;
e perché il mondo a te sol paga il fio,
gli incensi e i voti al tuo nome offerendo,
al mondo il dico, s'a te 'l dico -. E intanto
scoperse di Medor l'essempio santo.

{{O|17

La schiera, il cui mormorio ivi risona
quasi quello del ciel quando cangiare
sua faccia suol, che poi balena e tuona,
quetò il saggio uom, come racqueta il mare
estiva calma che nulla aura sprona,
tal che dov'è ciascun nessuno pare,
che, dal nuovo miracol mossi e tocchi,
senza lingue a l'imago han fissi gli occhi.

18

Lo stuol famoso, di mirar contento
la gran beltà del colorato viso,
sembra de buoni un bel numero intento
a porger prieghi al re del paradiso,
e par l'aggia Medusa in un momento
converso in marmo, sí contempla fiso
la non piú vista incredibil beltate,
ch'ha di sé le vaghe alme innamorate.

19

Alda, che in altro foco unqua non arse
di quel ch'accese in lei pudico amore,
sente da quella imagine disfarse,
ch'or l'imprime il desio nel casto core;
in due rose vermiglie trasformarse
le guancie a Bradamante mostrò fore
che la nuova bellezza tocco le have
l'alma de cui Ruggier serba la chiave.

20

Mentre l'effigie a sé conversi avea
gli occhi e 'l cor di ciascun senza far motto,
con l'anima un sospir Marfisa crea
che l'aere e 'l silenzio in uno ha rotto,
ond'ogniun parla. Carlo sorridea
(qual uom per lunga esperienzia dotto)
de l'incauto sospir nato et estinto
mercé del vivo e bel giovin depinto.

21

Ma varco omai a quella donna, a quella
che ne la passion mesta e tremante
comparse oscura, quasi vile ancella,
nel conspetto real di Sacripante;
la qual dopo i saluti gli favella:
- O cavalier, per quel ch'io veggio, errante
e pien de guai e colmo anco di doglia,
dolore è il mio, sia il tuo che duol si voglia.

22

Strano signor, se di contrarie cose
doler si debbe e se ne vive alcuna
che cagion ne abbia per sorti noiose,
quella sono io, che cosí vol fortuna,
e certo, quando in terra il ciel mi pose
(che foss'io di non esservi digiuna!),
consentí ch'ogni sua empia influenza
sopra me trista fesse esperienza.

23

S'udir non vi dispiace, alto signore,
i miei guai conterovvi a parte a parte -.
- Anzi, d'udirlo ho gran desio nel core -
disse il terror de la scola di Marte -,
che tanta passion sento d'amore,
che 'l cor fra tanto foco or mi comparte,
ch'io non scemo il mio male, u' sono e fui,
se non quando ch'io odo il mal d'altrui -.

24

Ella comincia sospirando: - Io nacqui
quasi beata e di tal grazia ch'io
mai ad alcun servo d'Amor non spiacqui
et era vita a chi creommi e dio;
ma il nido, in cui con pompa altera giacqui,
non oso dire, e n'ho sommo desio;
dirò ben che mi fece la mia stella
di re figliuola e mogliere e sorella.

25

Quel che sposo mi fu era nimico
del padre mio, onde col campo venne
nel regno suo, acceso d'odio antico,
e quel con l'arme corse, arse et ottenne.
Tentò piú volte Sua Corona amico
farsi il buon vecchio, et ogni via ci tenne,
e non mai di piegarlo ebbe rimedio,
anzi u' il seggio tenea pose l'assedio.

26

Poi, durando la guerra, Amor piú volte
su le mura mi scorse e mi fece anco
lodarlo mentre apri' a le schiere folte
a questo il petto, a quel la gola e il fianco.
Su le porte un dí corse in ire sciolte
con un trapunto d'oro abito bianco;
senz'elmo il vidi e trappassommi al core
sua dolce vista, come piacque ' Amore.

27

Tosto ch'io fui del suo bel viso accesa,
cieca mi fece Amor, come far sole
desiosa alma, ad amar sempre intesa
quel che piú la consuma e piú le dole.
Io obliai ogni danno, ogni offesa
che ne facea con le sue forze sole,
e tanto amava lui quanto che il rio
odiava il buono e real padre mio.

28

Era re, era vago e gioven era,
era conto, era saggio et era forte,
n'altro piacer avea la Fama altera
che riportar dentro a le nostre porte
de i gesti suoi la lunga istoria vera;
tal ch'io, spinta d'amore e da la sorte,
di lui m'accesi e non m'avidi alora
quanto erra chi per fama s'innamora.

29

Né soffrir possendo io al core in mezzo
l'ardente imago del bel volto adorno,
un fido ritrovai secreto mezzo
e il foco mio li fei scoprire un giorno.
Ei, ciò udendo, dubbitosi mezzo
che fosse un laccio teso per suo scorno,
ond'io men venni a lui pronta e sicura
per una ignota via angusta e scura.

30

Sotto il palagio avea una tomba cava,
fatta per gran bisogni, et in man mia
del sepolto uscio ognior la chiave stava.
Lo apersi, ohimè!, e per l'oscura via
solinga andai -. In questo il pianto lava
suo dolce viso e a pena il retenia,
e segue: - Io stessa andai nel cieco loco,
dove lume mi feci col mio fuoco.

31

Amor, che meco per compagno e duce
visibilmente per la tomba venne,
inanzi al mio dio empio mi conduce.
Ei la lingua mi sciolse e 'l piè ritenne:
ciò ch'io fei, ciò ch'io dissi, Amor mi induce
a fare e dire, e sempre le sue penne
mi scosse intorno al cor, perché la fiamma
de l'ardor mio non si scemasse dramma.

32

Come a lui giunsi e ch'ei s'avide chiaro
ch'io del suo avversario era la figlia,
piú finse amarmi e piú avermi caro
che l'alma in seno e il lume ne le ciglia.
Quel ch'Amor, mentre ardea con duolo amaro,
mi detta, mi amonisce e me consiglia,
quel formai, quel ritenni e quello dissi
con un pianto ch'avria rotto gli abissi.

33

Non sembrai già fanciulla incauta e vile,
anzi serva d'Amore esperta e ardita;
trovai ogni parola che gentile
core a pietà de le sue pene invita,
tal ch'ei, dentro crudel, di fore umíle,
che tanto mor quanto il mio padre ha vita,
in guisa d'uom ch'ingannar altri vole,
disnodò la sua lingua in tai parole:

34

" Donna, io vi giuro per quel nuovo ardore,
del quale accesa omai l'alma m'avete,
ch'odio né sdegno il mio real valore
non ha spinto a quel fin che vi credete,
ma un sol desio di sempiterno onore,
una di gloria inestinguibil sete
è la cagion che fero oggi mi mostra
contra l'altezza de la sede vostra.

35

Ma se a me date tanto modo ch'io
prenda la terra dove il campo ho intorno,
a ciò ch'io adempisca il gran desio,
che pria m'ucciderei che fargli scorno,
il padre vostro fia suocero mio,
mia sposa voi, con cui farò ritorno
ne l'antico mio chiaro e nobil regno,
che del vostro sarà sempre sostegno ".

36

Come io li udi' " voi la mia sposa " dire,
tanta letizia il mio cor vago strinse
ch'io tornai molle a ciascun suo desire
et a dargli la terra Amor mi spinse.
Ei mi giurò sol de l'onor gioire
del vinto padre, e 'l dito poi mi cinse
de l'anel maritale, e cosí prese
l'albergo dov'io nacqui, e quello accese.

37

Il mio nido arse e uccisemi il fratello
su gli occhi al padre, e la madre infelice
dinanzi al figlio, e passò d'un coltello
in grembo a me, semplice traditrice,
chi l'esser diemmi; e dopo il caso fello
seco mi mena, e non mel contradice
vederlo io molle del mio sangue giusto,
che tutto pote Amor spietato e ingiusto.

38

Or sú, io vado col marito invitto,
ch'ha il mio regno converso in piú ruine,
e, gravida di lui, mio corpo afflitto
de i nove mesi è già condutto al fine,
già il duol m'assale, et ei, ch'ha nel cor fitto
il mio morir, fe' pormi in su le spine,
a ciò le spine e il duol ch'ognior mi accora
sien cagion ch'io e il parto estinto mora.

39

Io stessa mi spogliai la nobil vesta,
che disperato amor mi fe' sicura;
scoprendo i membri dissi: " O ingrato, è questa
l'alta mercé de la mia fede pura?
Parti a reina sí vil morte onesta?
Ove fu mai che il padre sepoltura
a l'unico figliuol vilmente desse
inanzi ch'ei peccasse e ch'ei nascesse? ".

40

A tai parole le spine pungenti
l'acute intenerir punte mortali;
fersi benigni i piú rabbiosi venti
ne l'udir l'innocenzia de i miei mali.
Duo servi intanto, anzi fieri serpenti,
per saziare i desir suoi e i fatali,
me gittar su le spine e gran pietade
ebbe alora di me la Crudeltade.

41

Le spine mi dier luogo e caddi in l'erba
che sotto a quelle era ben folta e verde;
feci un fanciullo che l'effigie serba
del padre in viso e nulla non sen perde;
lo prende un servo e con vista superba
dice: " Il re mio, che teco ira rinverde,
vuol ch'io l'uccida, a ciò finisca insieme
l'odio suo, la tua vita e sí vil seme ".

42

Cosí disse e nel sangue il ferro immerse,
ch'al cor passomme quando in quel si tinse,
e le tenere membra a un tratto aperse
che pure alora il materno alvo avinse
d'intorno a lo spirtel, ch'al ciel s'offerse
prima che 'l sol vedesse, e 'l laccio scinse
de lo stame vital sul far del nodo,
ch'è quel morir che piú che il viver lodo.

43

Fui rivestita, et ecco in aureo vaso
il duro laccio, il coltello e 'l veneno,
dono crudele et inaudito caso.
Meritava io, che l'avea sculto in seno,
che per me sí reo fin fosse rimaso?
Deh, perché non si turba il ciel sereno
mentre io 'l narro co i mesti accenti miei
e perché alora il sopportaro i dei?

44

Èmmi detto: " Ecco il ferro, il tosco e 'l laccio;
eleggi tu quel fin ch'elegger vuoi:
per tre vie trar l'anima d'impaccio,
mercé del re, fallace donna, puoi ".
L'empia proposta, che restar di ghiaccio
ogni alma ardente avria fatto fra noi,
nulla mi sbigottí, nulla mi mosse,
anzi stimai che in lei mia gioia fosse.

45

Con intrepido core e fronte ardita,
con gli occhi fissi a le mie stelle forti,
presi il ferro, la corda e il tosco. Uscita
fuor d'ogni speme, volsi con tre morti
tormi ad un tratto una noiosa vita,
et mi fecero i cieli ingiusti torti,
non mi lasciando con le mandate armi
appendermi, ferirmi e avelenarmi.

46

Io, mendica di speme, il laccio presi
per richiuder la via del spirto mio;
ruppesi quel tosto ch'a lui m'app[r]esi.
Il tosco bevvi con mortal desio,
né con la vertú sua mio corpo offesi,
che contra quel presi il ripar già io.
Strinsi il coltel per trapassarmi il core,
ma ratto entrò tra 'l ferro e 'l petto Amore,

47

Amor, che in mezzo al mio desio si misse,
non per camparmi, anzi per piú martíre,
et alzando io la mano: " O Folle ", disse,
" come ti può l'alma e 'l cor soffrire
d'offender l'idol tuo, che a luci fisse
mira la spada che lo vuol ferire? ".
A questo suon restò sospeso il colpo,
che lui e Amor del duol ch'or pato incolpo.

48

Io aveva ritratto al naturale
di serica opra il mio signor nel petto,
in vista dolce, a quella propio eguale
ch'ei mi porgea ne l'amoroso affetto,
e mentre il ferro discendea mortale
di man mi cadde, onde ebbi piú rispetto
a la imagine sua di spirto priva
ch'ei non ebbe a la mia senza cor viva.

49

Allora quel, che ne le notti inferne
nacque, perch'io morissi d'ogni morte
trar femmi in mar; ma l'alme dee eterne
sacre a Nettunno uscir pietose e accorte
da l'ampie, salse et umide caverne,
e lor mercé, non bontà de la sorte,
mi salvaro; e 'l miracolo piú sdegno
crebbe in colui de la mia fede indegno.

50

Ei, per mostrar che 'l mio mal prende a gioco,
con rabbioso, ostinato e inuman zelo
accender fece in sua presenza un foco,
et io a lui: " Sgombra da gli occhi il velo,
ch'a tormi l'alma tal martíre è poco,
perché farieno a piovere col cielo
questi occhi, e con il mar, ch'entro vi sento,
la fiamma e il foco avrò consunta e spento ".

51

Ma parlo a l'ombra di teatro o loggia:
il fuoco è acceso, e mentre in mezzo a quello
era gittata, ecco una orribil pioggia
ch'avria spento ancor seco Mongibello,
ond'io, ch'ardea d'una piú strana foggia,
non arsi, ond'il mio sposo e amante fello,
per far il fier desio di me satollo,
stender mi fe' l'umíl tenero collo;

52

poi, chiamato un uom reo, com'egli fero,
disse: " La testa vil tronca a costei ".
Mia morte è in l'aria e giú piomba l'altero
colpo crudele, fin de i dolor rei;
mi trema ancor pensandoci il pensiero,
fa il membrarlo agghiacciar gli spirti miei,
che smarriti nel cor sen fuggir via
quando al collo sentir la spada ria.

53

Il ciel, che tanto mal soffrir non volse
sol perché io sia d'angoscie albergo e nido,
dove il ferro non taglia in me rivolse,
onde s'udí sonare il comun grido,
che da gli animi altrui pietate asciolse,
il qual con pregar dolce, umíle e fido
dicea, mostrando il cor ne le parole:
" Non die' volersi quel che 'l ciel non vole ".

54

Ma nulla vale. Ove abita un leone
fe' pormi l'inventor di crudeltade,
il qual ebbe di me compassione,
forse onorando la mia nobiltade,
over che la sua alta condizione
con donna afflitta e in giovenetta etade
non si degnò di pur guardarmi appena;
ma gli fui tolta e data a un'altra pena.

55

Dentro il carcer mortal rinchiusa io fui
e viva in crude tenebre sepolta.
Le mie lagrime e 'l duol, caro a colui
di ch'io ragiono, cibarme ogni volta;
quel ch'io soffri' vederlo ora in altrui
mai non potrei, e chi mia sorte ascolta
e non piagne o sospira in luce tetra
è in carne e in ossa una insensibil petra.

56

Stetti in quel nuovo et empio abisso chiusa
la terza parte d'una fredda luna,
tanto a nudrirmi de le mie pene usa
che ne stupia fin la mia rea fortuna.
Ogni cor pellegrin di biasmo accusa
quel monstro uman che non ha pièta alcuna,
anzi al suon de l'oneste alte querele
piú rigido tornava e piú crudele.

57

Le preghiere d'altrui cortesi e pie,
per cui dovea il cor rintenerire,
noiose gli fur sí che notte e die
rinovar meco gli facevan l'ire,
e per saziarsi de le pene mie
molti archi e strali a sé fece venire,
poscia al busto d'un albero legarmi
et inumanamente saettarmi.

58

Ch'il crederà? Mentre da gli archi uscia
questo e quel strale a tormi l'alma intento,
de le saette il fier nembo partia
per miracol divino il mobil vento,
e quanto il ferro piú dritto venia
per darmi al cor, di quel ferir contento,
tanto piú il pietoso vento in vano
fece il colpo da me cader lontano.

59

Al fine elesse una superba torre,
alta e profonda, perch'io cada giuso,
ond'io mi sento in crude braccia torre
e subito portar, mesta, lassuso.
Tevere et Arno sí ratto non corre
per lo suo letto qua e là diffuso,
qual corse il rio ch'ogni mio ciglio sparse
quando la mia persona in alto apparse.

60

Già le mie care membra non pians'io,
che mi dovean fiaccar le ruine adre:
altamente temea lo spirto mio
d'incontrar l'ombra del mio caro padre,
che certo detto avria con parlar pio
ne la presenzia di mia dolce madre:
" O cielo, o abisso, che puoi legge darne,
costei spogliommi, io le vesti' la carne ".

61

Orsú, io fui gittata de la mole,
che col ciel contendea d'altezza quasi;
corse a veder l'empia ruina il sole
e pianse i miei troppo infelici casi;
sonaro le mie ultime parole:
" Voi, che dopo di me sete rimasi,
con chi viene scusatemi, ch'errai
d'ogni altra piú, che piú d'ogni altra amai ".

62

I panni d'or, gonfi da i venti, fanno
al mortal cader mio vivo sostegno,
tal che senza disconcio e senza affanno,
quasi ch'io fosse di penne, giú vegno.
Questo ultimo miracol d'ogni danno
mi ristorò, perché il mio sposo degno
in tal compassione a un tratto cade
che pianse di stupore e de pietade,

63

e con pianti e sospir le braccie porse
al collo a me con tenerezza tanta
che lo spirito quasi col piè corse
fuor de l'uscio del cor, che mi si schianta
pensando al caso non piú inteso forse;
e fu la non sperata pietà santa
per fare in me, dopo gli strazii e i torti,
quel che far non potero undici morti.

64

Ei, che pur ora al duro core avea
piú ghiaccio che non ha di monte falda
ove il sol mai a stagion buona o rea
penetrando non vien con luce calda,
di me pietoso in tante fiamme ardea
che con meno Cupido arde e riscalda
mille anime gentili e mille cori,
e sol pensando in me par che s'accori.

65

Le piú superbe nozze e le piú rare
fece ordinar con pompa gloriosa
ch'uman pensier si possa imaginare
e di nuovo mi fe' sua donna e sposa.
Venne la notte e quando coricare
mel viddi a lato con gioia amorosa
dissi, volgendo a lui l'anima e 'l viso:
" Io son teco, signore, e in paradiso ".

66

Ei con le nude e preziose braccia
parte cingendo de le membra mie,
chinando umíle la sua nobil faccia
le luci affisse mestamente pie
ne gli occhi miei, onde l'alma s'agghiaccia
quel sol mirando a le mie notti die,
che mi parea che non so che di male
m'apparecchiasse il suo mirar fatale.

67

Pensosa io 'l guardo et ei con pensier mira
questo viso e mirando immobil fassi.
Chi ha visto un uom quando fuor l'alma spira
vede colui ch'a rimirarmi stassi.
Io dicea col mio cor: " Forse il martira
il mio soffrir, ch'a pièta ha mosso i sassi ";
et era ver che 'l suo pensier gli avea
spiegato in mente ogni mia pena rea.

68

Il pensier gli spiegò ne l'alta mente
mia sola fé, che tal non fu né fia;
gli addita me che gli do puramente
padre, madre e fratel com'ei desia,
e pate quel dolor teneramente
che soffrisce un mentre ch'a vol s'invia
di madre, di fratel, di padre l'alma,
grave a la carne piú d'ogni altra salma.

69

Vede il foco ch'abrucia archi e teatri,
de gli dei e dei re le case e i tempî
e n'ha quel duol ch'avria se de' suoi patri
vedesse in cener gir gli antiqui essempi.
Pensa a la siepe armata di spini atri
che dovea lacerarmi in feri scempi,
et a quella pensando, ogni sua punta
mortalmente ne l'anima gli è giunta.

70

Ecco che dice " ohimè! ", e tremando io
tremare il veggio e al ciel comporre il ciglio,
che vede trappassar dal coltel rio
suo propio cuor come suo proprio figlio;
ma d'assai vinse il suo dolore il mio,
che, mio mal grado, uscí da lui il consiglio
ch'uccise con un ferro a un colpo solo
la sua succession nel suo figliuolo.

71

Innocente mi vede al laccio appesa
e gli par che 'l suo collo il fune prema;
vede bermi il veneno e quella offesa
sente nel core e sbigottito trema;
mira la spada ch'ho ne la man presa
per tormi l'alma, ond'avien ch'ei ne gema,
perché il ferro, ministro al crudo effetto,
si sente fitto nel core e nel petto.

72

Il mar profondo ove gittommi vede
e summerger pargli ivi a poco a poco;
per se stesso mercé piangendo chiede
nel rammentarsi che viva nel foco
fe' pormi a torto, perch'egli si crede
le propie membra abruciare in quel loco;
pargli che 'l colpo nel suo collo cada
nel pensar qual nel mio giunse la spada.

73

Guarda il leon famelico che mira
me misera con orrido sembiante,
e credendo che venga seco in ira
pallido fassi, gelido e tremante;
pensa ch'io stetti ne la prigion dira
senza cibo assai dí con pene tante,
e ciò pensando l'assalgon le brame
di lunga, ingorda e insopportabil fame.

74

Ei seco pensa a le saette dure
che piovevan da gli archi in schiera forte
per rompermi le membra, e le paure
ch'io ebbi alor di cosí fera morte
circondan lui e fa le ciglia oscure,
ch'esser giunto li pare a simil sorte;
e la torre u' fe' trarmi rimembrando
cadde ne le mie braccia sospirando.

75

Ne le mie braccia cadde e ratto al core
si ristrinser gli spiriti vitali
e diventaro un'anima che fore
uscir volendo, aperse ambe due l'ali.
Io il sento molle in gelido sudore,
freddi ha gli estremi de i membri mortali,
e gli fur queste braccia, ahi sorte dura!,
gioia, duol, vita, morte e sepoltura.

76

Non fu nulla il veder mio genitore,
la pia madre, il buon frate e il figlio caro
morir di ferro, e l'incendio e 'l furore
che il mio regno abatté, piú tempi chiaro;
poco fu ogni spezie di dolore
che il mio corpo provò con martír raro:
doglia si può chiamar quella partita
che mi tien viva e seco ha la mia vita.

77

Io so ben che il suo fin, d'amanti essempio,
gran giustizia è d'Amor, ma dovea io
patir per lui perché 'l suo cor fece empio
natura no, anzi il peccato mio;
ma il ciel mi face (per cui di duol m'empio)
de l'error piú di lui pagare il fio;
e che sia 'l vero, ei gí del mondo fora
sola una volta et io vi vado ogn'ora -.

78

Seguitava la donna e dir volea
il nome suo e come disperata
partí, morto il suo dio, con pena rea
mentre istoria sí dura ha racontata,
ma le parole in bocca le rompea,
facendo a punto ne la selva entrata,
un rumor che direste, o cade il mondo,
o il centro ha fin sotto il terrestre pondo.




FINIS