Capitolo XXXII
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14 giugno 2008
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saggi
<dc:title> Antonio Rosmini </dc:title>
<dc:creator opt:role="aut">Niccolò Tommaseo</dc:creator>
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Antonio Rosmini - Capitolo XXXII Niccolò Tommaseo1855
Giacchè l’ordine del discorso ci ha condotti alla vita attiva del Rosmini, sarebbe qui luogo a dire com’egli abbia applicati i suoi principi alle cose civili: ma questo è argomento che darebbe pretesti a frantendere a coloro delle due contrarie parti a’ quali lo studiosamente frantendere per utile e bello. E lo stesso Rosmini, che fin ne’ libri di filosofia pura allargandosi nel dilucidare e confermare le idee principali, non si prende cura di tutte dedurne le conseguenze fecondissime, ne’ libri di cose civili si tiene non senza ragione ancora più parco. Ma chi sappia meditare su quanto egli dice del fine determinato e degl’indeterminati delle umane società, della ragione speculativa e della ragione pratica d’essa società, delle facoltà di pensare e d’astrarre guardata non in tale o tale uomo, ma nell’intera società quasi uno spirito solo; de’ poteri essenziali necessari alla vita di lei, un de’ quali se manchi, non è formata la vita; della legge di provvidenza ch’egli riconosce nel sociale andamento, legge di continuità insieme e di varietà; di quella norma altissima del minimo mezzo, posta dalla natura a tutte le cose; dell’analogia ch’è parte di prudenza nell’arte del governare; del non si dover confondere il processo della civiltà con le passeggere questioni de’ luoghi e de’ tempi; chi ripensi alla sua sentenza che la società universale del genere umano è il primo rudimento d’ogni altra società, e ogni altra società deve essere volta a perfezionarla e compirla; e all’altra sentenza, corollario di questa, che la società domestica e quelle che troppo tengon di lei, ancorchè necessarie alla civile, se non si accentrano co’ cerchi più ampi, la fanno debole e disfanno sè stesse; che le leggi civili debbono aver per iscopo l’amore, che quindi non solo il tristo senno del Guicciardini e de’ pari suoi è alle nazioni calamità, ma che la stessa legge romana, stata per secoli la norma del giusto, è con tutte le parti ch’ell’ha di sapienza, insufficiente a’ popoli cristiani; chi considera quell’altra verità strettamente connessa alle precedenti, che la civiltà vera provvede al bene degli uomini singoli e non solamente alle moltitudini in massa con discapito e disprezzo de’ singoli, che e a questi e a quelle son differenti le misure come di capacità così d’appagamento; e che il troppo ragguagliare è tirannide; che il ledere la persona tentando privarla della proprietà del vero e della virtù è tra le offese la gravissima e politicamente la meno contata; quegli riconoscerà che l’ideale politico del Rosmini è ben più sicuro di quello de’ politicanti retrogradi, se pur hanno ideale costoro, ben più largo e alto che quello de’ politicanti che diconsi liberali, conoscerà quant’egli stia sopra e al Lamennais e al Ventura, uomini del passato tuttochè camminanti da ultimo in due versi contrari; com’egli non s’intrometta tra partiti ma stia sopra quelli, vedendo in ciascuno una qualche parte accettabile, e agli uni e agli altri offrendo consigli che sono rimproveri, e, non ascoltati, diventeranno minacce; come nessuna delle forze vive della nazione egli lasci da parte, ma alle spirituali conceda maggiore importanza secondo che faceva il senno italiano, da que’ governi pittagorici e etruschi che originarono l’antica grandezza d’Italia, alle repubbliche dal cui cenere l’incivilimento d’Europa risuscitò, come qui le sue massime di mite austerezza e d’indulgenza incolpabile consuonassero con la sua vita, della quale può dirsi quello che scrive dell’amico suo Cicerone con parole che rendono la grave e amabile armonia delle cose: Ita temperatis moderatisque moribus ut summa severitas summa cum humanitate jungatur.