Antonio Rosmini/XXXVIII

Da Wikisource.
Capitolo XXXVIII

../XXXVII ../XXXIX IncludiIntestazione 14 giugno 2008 75% saggi

XXXVII XXXIX


Invitato a predicare una quaresima in Domodossola, prese per tutti i sermoni un tema unico a svolgere, l’imitazione di Cristo, egli che questa parola intendeva in senso non rettorico e non servile ma tanto più alto e bello di quel d’Aristotele, quanto dell’Etica e della Rettorica aristotelica la Morale e la Poesia cristiana è più bella e alta; egli amoroso leggitore del Kempis, che giovane, ne faceva a me dono d’una edizioncina elegante, con queste parole: piccolo segno di grande amicizia. E giova rammentare che delle prime stampe pregiate di Venezia è un volgarizzamento del Kempis, e che un Veneto, il Cesari, doveva rifarlo con affettazioni meno del solito discordanti, e riuscirne una delle opere sue migliori. Il Rosmini stendeva il disegno delle sue prediche, mancando il tempo di scriverle; ma le faceva più volte a mente, sì che nulla era a caso, e conciliavansi i pregi dell’improvviso e del meditato.

Nel trentaquattro Rovereto sua patria lo chiama parroco, ed egli, ancorchè il papa se ne mostrasse scontento, per rispondere secondo l’istituto suo a ogni chiamata, scende dal diletto suo monte, e va a fare il parroco daddovero come faceva da prevosto quell’Antonio Muratori, semplice perchè grande, e quanto più buono più grande. Fare il catechismo, visitare i malati e gli afflitti, soccorrere di consiglio e d’elemosina, confessare ogni dì, raccogliere la sera operai che tra esercizi non gravosi di spirito si stornassero dalla taverna e da’ vizi, e così meritare le benedizioni delle famiglie meno affamate e meno maltrattate di prima; erano a lui dolci, ma gravi, cure. Non potendo nel confessionale sedersi per infermità di petto e di stomaco, si teneva ritto: ma, affralito dal lavoro insolito, già sputava sangue. Non tanto per questo, quanto per vedere altri, e non concittadini, ostanti alla sua benefica popolarità, nel seguente anno depose l’incarico; che aggiunse però esperienza al suo senno, e al suo zelo tolleranza, e poi anco alquanto vigore al corpo, riposato che l’ebbe.

Ritornò quindi a’ suoi confratelli; e nel trentanove, approvata da Gregorio XVI la Società, fece i voti solenni il dì del suo battesimo, il dì 25 di marzo: e ne aveva, dopo molto esitare fermato il proposito il dì 25 di dicembre del 1825. Elettone a mal suo grado Generale, non fece pesare sopra nessuno la propria autorità, serbandola spirituale in tutto e sempre, e per sè ritenendo le men facili dipendenze. Da’ suoi segretari, la cui famigliarità ognun vede quanto sia preziosa al cuore e all’ingegno e raccomandata dalla stessa prudenza e dall’affetto del bene, si distaccava a ogni bisogno altrui, ch’era a lui comodo e legge. Tenne seco preti non ascritti alla sua Società, senza insistere che ci entrassero, e lasciò in loro arbitrio l’andare e lo starsene. Agli alunni suoi stessi non imponeva le proprie opinioni, egli sì caldo e possente a difenderle; e interrogato da uno come avesse a governarsi con un esaminatore di dottrina diversa, rispose: come vi pare. E così nella scelta e nell’ordine degli studi lasciava libertà a ciascheduno; zelante più egli dell’obbedire che del richiedere obbedienza.