Aridosia/Atto terzo/Scena quinta
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Lorenzino de' Medici - Aridosia (1536)
Atto terzo
Scena quinta
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Ruffo, Aridosio
- Ruffo
- Io ti so dire che avevano trovato il corribo; dove m’hanno a dare venticinque ducati, volevano con una doppia tirarne cinque de’ miei!
- Aridosio
- Che dice egli di ducati?
- Ruffo
- Farò quello ch’io promisi loro, me n’andrò ad Aridosio, che intendo è in Firenze, e dorrommi con lui, e son certo che mi farà render Livia o pagare il resto dei denari.
- Aridosio
- Che diavolo dice di me e di denari? Dio m’aiuti.
- Ruffo
- Va poi tu e credi a persona senza pegno! Nol farò mai: ma di questo ne sono io più sicuro, che s’io avessi il pegno: anzi mi par di aver guadagnato quei venticinque ducati, e sebbene ella ha perduta la verginità, nessun non sa in quant’acqua si pesca.
- Aridosio
- Costui m’intorbida la fantasia, e non intendo ogni cosa.
- Ruffo
- Il caso sarebbe ch’ella fusse figliuola di chi s’è detto (ben ch’io n’ho perduta la speranza): ma non so se quello che io vedo là è Aridosio o un che lo somigli; egli è pur desso: a tempo per mia fè l’ho riconosciuto.
- Aridosio
- Perchè? che vuoi tu dirmi?
- Ruffo
- Cosa giusta e ragionevole.
- Aridosio
- Che non lo di’?
- Ruffo
- Questa mattina Tiberio vostro figliuolo venne a casa mia, dove è stato più volte per voler comprar da me una fanciulla, ch’io ho allevata da puttina, molto bella.
- Aridosio
- Tu di’ Tiberio?
- Ruffo
- Tiberio dico io.
- Aridosio
- Mio figliuolo?
- Ruffo
- Penso sia vostro figliuolo; sua madre ne sapeva il certo; ma lassatemi dire; egli fino allora non aveva avuto comodità di far altro, ch’andarla a vedere al monistero dove ell’era, perchè non avea da darmi un soldo: ma questa mattina venne con animo deliberato d’averla ad ogni modo, e fatta ch’egli me l’ebbe condurre a casa mia, cominciò a pregarmi, ch’io gliene dessi, dicendo, che stasera mi darebbe i denari; io che sapeva come le cose vanno delle promesse, non volea star saldo a modo niuno. Finalmente quando ei vide, che per amore non la poteva avere; si voltò alla forza, e cavommela di casa.
- Aridosio
- Oimè, che sento io?
- Ruffo
- State pure a udire, e perchè io gli andava dietro dolendomi e rammaricandomi di sì gran torto; ei mi disse, ch’io avessi pazienza sino a stasera che mi pagherebbe venticinque ducati come più volte gli avea detto che ne voleva.
- Aridosio
- Dov’è egli, che lo voglio ammazzare?
- Ruffo
- Adesso ch’io andava pur per vedere se mi voleva pagare, non ch’io ne avessi molta speranza, l’ho lassato che mi voleva giuntare con un rubino falso, e darmi ad intendere che valeva trenta ducati, e deve valere sei carlini; ond’io vedendomi a simil partito, e sapendo quanto voi siete uomo da bene, e quanto vi dispiacciono le cose malfatte; son venuto a voi pregandovi che almanco mi facciate rendere la mia schiava; se vi piacerà poi donarmi qualcosa, per quello ch’ella sia peggiorata avendo perduta la verginità, starà a voi e alla discrezion vostra.
- Aridosio
- Ha fatto questo lo sciagurato, ah?
- Ruffo
- Pensate voi, sono stati rinchiusi soli in casa vostra forse sei ore.
- Aridosio
- In casa mia?
- Ruffo
- In casa vostra.
- Aridosio
- E chi te l’ha detto?
- Ruffo
- Io so che ci veddi ordinare il desinare, ed hannoci desinato Erminio ed egli.
- Aridosio
- Qual è la casa mia?
- Ruffo
- Quella lì.
- Aridosio
- Io non so se tu vuoi la baia del fatto mio. So che in casa mia non può essere stato.
- Ruffo
- E perchè?
- Aridosio
- Come perchè? l’è stata spiritata; e non v’è stato nessuno un pezzo fa.
- Ruffo
- Spiritata, mi piacque; io so che v’ho visto altro che spiriti.
- Aridosio
- Tu dei aver cambiato l’uscio; non so io che mi son trovato a cavargli?
- Ruffo
- Orsù, sia come voi volete: pur che mi facciate rendere la mia schiava o venticinque ducati.
- Aridosio
- Ch’io ti dia venticinque ducati? io non gli ho, quando te li volessi dare, ma la schiava ti prometto io ben che riavrai, e se sarà possibile come gliene desti: e lo voglio conciare in modo che ne verrà compassione a te che ti ha offeso; ma dove lo potrò io trovare?
- Ruffo
- Fatel dire a Lucido, che ne tiene il governo, che era adesso in piazza che mi voleva dar quel rubino, che v’ho detto, per pagamento.
- Aridosio
- Qual Lucido di’ tu?
- Ruffo
- Il medesimo che voi.
- Aridosio
- Lucido d’Erminio?
- Ruffo
- Quello, sì.
- Aridosio
- E che rubin ti voleva dare?
- Ruffo
- Un rubino in tavola; io credo che fusse falso; avea assai bella mostra legato alla antica, scantonato un poco da una banda; dice che è antico di casa vostra.
- Aridosio
- Io non so s’io sogno o s’io son desto, alle cose che tu mi di’; donde dice egli averlo avuto?
- Ruffo
- Io non so tante cose.
- Aridosio
- Ai segni e’ par quello, ma come può esser desso? Io non mi fido in tutto di costui; perchè dice molte cose che non possono stare.