Asolani/Libro terzo/V

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Libro terzo - Capitolo V

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Dico adunque, Madonna, che con ciò sia cosa che Amore niente altro è che disio, il quale come che sia d’intorno a quello che c’è piaciuto si gira, perciò che amare senza disio non si può, o di goder quello che noi amiamo o d’altramente goderne, che noi non godiamo, o di goderne sempre, o di bene, che noi con la volontà all’amate cose cerchiamo; e disio altro non è che amore, perciò che disiderare cosa che non s’ami non è di nostra possa, né può essere in alcun modo: ogni amore e ogni disio sono quel medesimo e l’uno e l’altro. E questi sono in noi di due maniere solamente, o naturali o di nostra volontà. Naturali sono, sì come è amare il vivere, amare lo intendere, amare la perpetuagione di se medesimi, i figliuoli, e le giovevoli cose che la natura senza mezzo alcuno ci dà, e sempre durano e sono in tutti gli uomini ad un modo. Di nostra volontà sono poi quegli altri, che in noi separatamente si creano, secondo che essa volontà, invitata da gli obbietti, muove a disiderare or uno or altro, or questa cosa or quella, or molto or poco; e questi disii e scemano e crescono, e si lasciano e si ripigliano, e bastano e non bastano, e in quest’animo d’una maniera e in quello sono d’altra, sì come noi medesimi vogliamo e acconci siamo a dar loro ne’ nostri animi alloggiamento e stato. Ma non a ventura né a caso ci furono così date queste guise di disii, Madonna, che io vi ragiono, anzi con ordinato consiglio di chiunque s’è colui, che è di noi e di tutte le cose prima e verissima cagione. Perciò che volendo egli che la generazion de gli uomini, sì come ancho quelle de gli altri animali, s’andasse col mondo perpetuando, ricoverandosi di tempo in tempo, s’avide essere di necessità crear in tutti noi altresì, come in loro, questo amor di vita, che io dissi, e de’ figliuoli e delle cose che giovano e fanno a nostro migliore e più perfetto stato; il quale amore se stato non fosse, sarebbe co’ primi uomini la nostra spezie finita, che ancor dura. Ma perciò che, avendoci esso a maggiori cose e a più alto fine creati, che fatto gli altri animali non avea, aggiunse ne’ nostri animi le parti della ragione, fu di mestiero, acciò che ella in noi vana e oziosa non rimanesse, che egli la volontà, che io dissi, eziandio aggiugnesse in noi libera e di nostro arbitrio, con la quale e disiderare e non disiderare potessimo d’intorno alle altre cose, secondo che a noi venisse parendo il migliore. Così aviene che nelle naturali e primiere nostre voglie tutti amiamo e disideriamo ad un modo, sì come fanno gli altri animali medesimi, i quali procacciano di vivere e di bastare al meglio che essi possono ciascuno; ma nelle altre non così, perciò che io tale ne potrò amare, che non amerà Perottino, e tale amerà egli, che io per aventura non amerò, o egli molto l’amerà, dove io l’amerò poco. Ora è da saper quello di che hieri Gismondo ci ragionò, che, perciò che la natura non s’inganna, i disii, che naturali sono, sono similmente buoni sempre, né possono rei essere in alcuna maniera giamai; ma gli altri, il che non ci ragionò già hieri Gismondo, perciò che la nostra volontà può ingannarsi, e più sovente il fa che io non vorrei, e buoni e rei esser possono altresì, come sono i fini a cui ella dirizza il disio. E di questa maniera di disii è quello di cui ci propose il ragionare Gismondo, e il quale Amore generalmente chiamano le genti tutto dì, e per lo quale noi Amanti comunemente ci chiamiamo; con ciò sia cosa che secondo l’arbitrio di ciascuno amiamo e disamiamo, e diversamente amiamo, e non necessariamente sempre e tutti quel medesimo e ad un modo, sì come aviene ne’ naturali disii. Per che egli e buono e reo esser può, secondo la qualità del fine che dalla nostra volontà gli è dato. Quantunque Gismondo per sostegno delle sue ragioni, che cadeano, co’ naturali disii ne ’l mescolasse, volendoci dimostrar per questo che egli buono fosse sempre, né potesse malvagio essere in alcun tempo. Perciò che chi non sa che se io gentile e valorosa donna amerò e di lei lo ’ngegno, l’onestà, la cortesia, la leggiadria e l’altre parti dell’animo, più che quelle del corpo, né quelle del corpo per sé, ma in quanto di quelle dell’animo sono fregio e adornamento, chi non sa, dico, che se io così amerò, il mio amore sarà buono, perciò che buona sarà la cosa da me amata e disiderata? E allo ’ncontro, se io ad amare disonesta e stemperata donna mi disporrò, o pure di casta e di temperata quello, che suole essere obbietto d’animo disonesto e stemperato, come si potrà dire che tale amore malvagio e fello non sia, con ciò sia cosa che quello che si cerca è in se medesimo fello e malvagio? Certo, sì come a chi in quella guisa ama, le più volte aviene che quelle venture lo seguono, che ci disse Gismondo che seguivano gli amanti: risvegliamento d’ingegno, sgombramento di sciocchezza, accrescimento di valore, fuggimento d’ogni voglia bassa e villana e delle noie della vita in ogni luogo in ogni tempo dolcissimo e salutevolissimo riparo, così a chi in questa maniera disia, altro che male avenire non gliene può, perciò che bene spesso quell’altre sciagure lo ’ncontrano, nelle quali ci mostrò Perottino che incontravano gli amanti, cotante e così gravi: scorni, sospetti, pentimenti, gielosie, sospiri, lagrime, dolori, manchezza di tutte le buone opere, di tempo, d’onore, d’amici, di consiglio, di vita e di se medesimo perdezza e distruggimento.