Audizioni Commissione d'inchiesta Federconsorzi/16

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Audizione Pellizzoni

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SENATO DELLA REPUBBLICA------------------------------------------------------- CAMERA DEI DEPUTATI XIII LEGISLATURA


COMMISSIONE PARLAMENTARE D'INCHIESTA SUL DISSESTO DELLA FEDERAZIONE ITALIANA DEI CONSORZI AGRARI __________


RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA DI MARTEdì 20 LUGLIO 1999 __________


Presidenza del presidente Melchiorre CIRAMI

I lavori hanno inizio alle ore 11,35. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Presidenza del presidente CIRAMI

Comunicazioni del Presidente PRESIDENTE. Vi informo che, con lettera del 9 luglio 1999, il professor Salvatore Paolucci ha comunicato di rinunciare, per motivi personali, all'incarico di collaboratore a tempo parziale della nostra Commissione. Nel prendere atto di tale comunicazione, esprimo, a nome della Commissione, vivo apprezzamento per la disponibilità e la competenza dimostrata dal professor Paolucci nello svolgimento dell'incarico.

Vi comunico che, in data 9 luglio 1999, è stata acquisita copia degli allegati alla relazione redatta dagli esperti della procedura di concordato preventivo della Federconsorzi, dottori Gaspare e Cristiana Marcucci, e depositata il 9 luglio 1998. Tali documenti contengono dati ed elementi di particolare interesse per l'inchiesta parlamentare che potrebbero suggerire alla Commissione ulteriori iniziative di carattere istruttorio.

L'Ufficio di Presidenza integrato dai rappresentanti dei Gruppi e dai collaboratori ha convenuto, su mia proposta, di classificare la relazione e gli allegati come atti riservati, con la conseguenza di consentirne la distribuzione, in copie numerate, ai soli commissari.

Non facendosi osservazioni, così resta stabilito.

Audizione del dottor Silvio Pellizzoni.

PRESIDENTE. La Commissione procede oggi all'audizione del dottor Silvio Pellizzoni, che ringrazio per aver accolto, con cortese disponibilità, il nostro invito.

Devo segnalare che alcuni colleghi deputati - l'onorevole Mancuso, l'onorevole Gaetano Veneto - hanno comunicato la loro impossibilità ad essere presenti, perché la Camera dei deputati sta esaminando il provvedimento relativo al giudice unico. I colleghi mi avevano in un primo momento pregato di differire l'audizione, ma non è stato possibile anche per gli impegni del dottor Pellizzoni. In ogni caso, nulla osta da parte loro che noi si prosegua, però mi hanno raccomandato di dare loro la possibilità di intervenire in seconda battuta. Quindi, pregheremo il dottor Pellizzoni di darci la possibilità di una seconda giornata di audizione, per poter consentire ai colleghi della Camera dei deputati o comunque a coloro che non hanno potuto essere oggi presenti di poter formulare le loro domande.

Prima di dare la parola al dottor Pellizzoni, avverto che i lavori della Commissione si svolgono in forma pubblica, secondo quanto dispone l'articolo 7 della legge istitutiva, e che è dunque attivato, ai sensi dell'articolo 12, comma 2, del Regolamento interno, l'impianto audiovisivo a circuito chiuso. Qualora da parte del dottor Pellizzoni o di colleghi lo si ritenga opportuno in relazione ad argomenti che si vogliono ritenere riservati, disattiverò l'impianto audiovisivo per il tempo necessario.

Ricordo che l'audizione si svolge, ai sensi dell'articolo 15, comma 3, del Regolamento interno, in forma libera e che il dottor Pellizzoni ha ritenuto di non avvalersi della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia.

Preciso infine che dell'audizione odierna è redatto il resoconto stenografico che sarà sottoposto, ai sensi dell'articolo 12, comma 6, del Regolamento interno, al dottor Pellizzoni ed ai colleghi che interverranno, perché provvedano a sottoscriverlo, apportandovi le correzioni di forma che riterranno in vista della pubblicazione negli Atti Parlamentari.


Do ora la parola al dottor Pellizzoni, ricordando che è stato direttore generale della Federconsorzi dal 13 aprile 1989 al 17 settembre 1991; precedentemente ricopriva l'incarico di amministratore delegato della Fedital (dal settembre 1988 al settembre 1991); la sua carriera è cominciata alla Mc Kinsey di Milano ed è trascorsa in varie società alimentari e commerciali: nel gruppo SME, nella Perugina (dove ha ricoperto l'incarico di direttore generale), nella Coin (come direttore generale). Il 2 settembre 1991 è stato nominato assistente del ministro dell'agricoltura Goria per il settore agroindustriale, mantenendo la carica di amministratore delegato della società Massalombarda del gruppo Fedit; attualmente è amministratore delegato della Arkon srl.

PELLIZZONI. Signor Presidente, voglio precisare che mi sono dimesso anche dalla carica di amministratore delegato della Massalombarda. Inoltre, fui nominato assistente del ministro Goria, ma non mi presentai mai; quindi, non ho mai svolto quel ruolo, perché non fui mai chiamato ed io non mi presentai mai.

PRESIDENTE. Dottor Pellizzoni, potrebbe cominciare la nostra audizione, se lo ritiene, informandoci su quelle che sono state le considerazioni da lei svolte davanti alla Procura della Repubblica di Perugia. Dopodiché, ciascuno di noi avrà da formulare delle domande, in attesa che altre ne possano venire nel corso dell'audizione.

PELLIZZONI. Signor Presidente, onorevoli senatori e onorevoli deputati, voglio ringraziarvi moltissimo perché finalmente, dopo circa otto anni dal commissariamento della Federconsorzi, ho la possibilità di avere una audizione, spero abbastanza lunga e dettagliata, perché di fatto, da quando ho lasciato Federconsorzi, tranne l'incontro con il sostituto procuratore dottor Razzi a Perugia (che mi chiamò come persona a conoscenza dei fatti: durante un primo interrogatorio con riferimento al problema dei vitelli e durante un secondo interrogatorio riguardo alla Federconsorzi nella sua generalità), e un brevissimo incontro con il pubblico ministero di Roma dottoressa Canale (che riguardava soprattutto un episodio legato al Credito Italiano), in pratica non sono mai stato ascoltato. Mi ritrovo con un rinvio a giudizio per bancarotta fraudolenta, una delle cose più turpi che un manager possa ascrivere a sé, e non ho mai avuto la possibilità di potermi confrontare con un pubblico ministero. Ci fu una Commissione di Indagine del Ministero dell'Agricoltura che si occupò del periodo di Federconsorzi prima del commissariamento e che presentò un rapporto - credo sia ai vostri atti - dove non fui mai interpellato. Forse per uno scrupolo di coscienza mi interpellarono dopo, ma la commissione terminò il suo mandato e tutto quello che dissi credo sia finito in qualche scantinato.

Siccome tutta questa vicenda ha avuto una implicazione determinante sulla mia vita professionale, sulla mia vita familiare, sulla mia vita sociale, ritengo proprio di avere il dovere verso la mia famiglia, verso me stesso e verso tutti di poter contribuire alla soluzione di questo problema, perché obiettivamente credo che, solo arrivando alla verità, e contribuendo a ricercare la verità si possono sciogliere tutta una serie di nodi della vicenda che, dopo nove anni, ancora sono rimasti. Mi sembrava doverosa questa introduzione, signor Presidente.

PRESIDENTE. L'audizione è libera.

PELLIZZONI. Voglio dire a questa Commissione che sono disponibile in qualsiasi momento del giorno e dell'anno, ma ci terrei che, soprattutto per il periodo che mi riguarda - che, come ha ricordato il Presidente, va dal 13 aprile 1989 a praticamente il 17 maggio 1991 - si possa fare la massima chiarezza; che si analizzi tutto quello che è avvenuto, perché in tutti i documenti che ho visto non è mai stato fatto.

PRESIDENTE. Dottor Pellizzoni, avrei una lunga serie di domande da porle, poi lei sceglierà con quale ordine rispondere.

Al di là di quelli che sono noti, ha altri procedimenti penali pendenti per la Fedit?

PELLIZZONI. Ce ne è uno solo in questo momento.

PRESIDENTE. Quello di Perugia?

PELLIZZONI. No. L’unico riguarda la Fedit ed è quello che chiamiamo "il processone", il grosso processo della Federconsorzi, che è iniziato qualche mese fa e che dopo la prima udienza è stato rinviato ad ottobre. Questo procedimento riguarda tutto il problema della Federconsorzi, e circa 52-54 persone tra amministratori, sindaci e direttori generali.

Per quanto riguarda Perugia so quello che posso leggere sui giornali. C'è stata una richiesta di rinvio a giudizio di alcuni personaggi che hanno operato dopo il commissariamento.

PRESIDENTE. Aveva lavorato nella SME e con quale funzione?

PELLIZZONI. Sì.

Anche qui, se il Presidente mi permette, vorrei fare un brevissimo curriculum, che certamente potrebbe sembrare non rilevante, ma lo sarà dopo, perché così si possono chiarire tutta una serie di fatti.

Provengo da una umilissima, normalissima famiglia monzese. A diciotto anni ho capito che per costruirmi una vita dovevo studiare. Mi sono laureato alla Bocconi con 110 e lode e la mia tesi è stata pubblicata. Ho ricevuto altresì dei premi dall'Università di Pisa. Durante l'università lavorai e scoprii che negli Stati Uniti esistevano le Business Schools; fui ammesso alla Colombia University di New York e presi un master in Business Administration nel 1968. Fui assunto da quella che allora, ma credo anche oggi, era considerata la più prestigiosa società di consulenza, la Mc Kinsey, e cominciai a lavorare in Italia con questa società. Dopo tre o quattro anni, come spesso accade, un cliente mi offrì di lavorare per lui. Scusate ma desidero fare una breve parentesi. Nel periodo Mc Kinsey, sempre come consulente, ho lavorato per l'Alitalia, quindi presso l'Enel per un anno, realizzando un piano di ristrutturazione dell'ente stesso, e per altre società multinazionali. Lasciata la Mc Kinsey, andai al gruppo SME mi fu affidato il progetto di unificare le cosiddette "attività del freddo" della SME, ossia Motta, Alemagna e Tanara. Nacque quella che oggi è chiamata Italgel, acquistata poi dalla Nestlè. Dopo questo episodio tornai per un certo periodo di tempo alla funzione di direttore generale di una società di consulenza, la Hay-Italiana, specializzata nella gestione delle risorse umane. Questa esperienza mi fu estremamente utile perché riuscii a coniugare il matematicismo, l'analisi dei dati e l'analisi strategica in cui la Mc Kinsey era specializzata con una maggiore conoscenza della gestione delle risorse umane. Fui poi chiamato dalla famiglia Buitoni a ristrutturare la Perugina (siamo nel 1978, epoca in cui tutte le aziende dolciarie erano fallite perché i prezzi delle materie prime erano saliti alle stelle essendo in valuta straniera) che allora era una divisione della IBP, quasi sull'orlo del fallimento. Con una serie di operazioni, grazie anche al supporto dei sindacati e dei politici locali, riuscimmo a ristrutturare l'azienda; poi con una fortuna incredibile lanciammo sul mercato un paio di prodotti, di cui forse ricordate la pubblicità: "Tubiamo", che diedero vitalità alla società tanto che la trasformammo da divisione in società per azioni. Quello è stato forse il momento più importante della mia carriera di dirigente. Successivamente passai alla Coin dove rimasi tre anni, anche lì con il compito di ristrutturare l'immagine dell'azienda. Dopo tre anni, al termine dei quali scadeva il mio mandato, andai per un anno alla Bocconi ad insegnare Controllo Strategico e svolsi qualche consulenza. Un giorno, in mia assenza, mi telefonò a casa un signore che mia moglie mi riferì avere a che fare con l'agricoltura. Questo signore era il cavalier Luigi Scotti, direttore generale della Federconsorzi. Andai a Roma e mi dissero che c'era un problema su Milano, precisamente sulla Fedital che tutti conoscevano come Polenghi. Si trattava di un'azienda che non riusciva a trovare un equilibrio economico. Il fatto che si trovasse a Milano e che operava nell'area di mia competenza, mi convinse ad accettare l’incarico. Devo confessare però la mia ignoranza. Quando mi parlarono di Federconsorzi non capivo neanche di cosa si trattava, nel senso che non ero mai stato vicino al mondo agricolo. I primi di settembre iniziai a lavorare alla Polenghi dove trovai una situazione disastrosa, dal momento che la società perdeva circa 100 miliardi l'anno, vale a dire più del 25 per cento del fatturato. Devo confessare che all'inizio fui abbastanza confuso; ero un manager professionista e non avevo generato molti legami o contatti, per cui cominciai a bussare a varie porte tra cui quella del Ministro dell'Agricoltura e quella di Lobianco per chiarire certe questioni. Mi dissero di andare avanti e quindi presentai un piano di ristrutturazione, articolato in tre alternative, che fu approvato informalmente nel gennaio del 1989. Successivamente avviai detto piano. Pochi mesi dopo fui chiamato dal presidente Lobianco di Coldiretti che mi disse che stavano pensando ad alcune modifiche organizzative all'interno della Federconsorzi e che probabilmente sarei stato successivamente contattato dai vari organi ufficiali. Egli voleva sapere se ero disponibile ad una posizione di questo genere in quanto avevano apprezzato molto il mio lavoro alla Polenghi. Probabilmente è stata la decisione più sbagliata della mia vita, ma in quel momento - e credo che voi tutti siate d'accordo - come manager professionista non avrei potuto non accettare un'opportunità del genere. Quindi, il 13 aprile 1989 fui nominato direttore generale della Federconcorzi.

PRESIDENTE. Lei alla Procura di Perugia ha dichiarato che il suo nominativo sarebbe stato segnalato a Wallner da Prodi.

PELLIZZONI. Su questo punto dobbiamo eliminare un po' di folklore.

PRESIDENTE. La domanda non è assolutamente folkloristica.

PELLIZZONI. No, mi scusi, ma questo l'ho saputo solo in seguito. Le cose sono andate nel seguente modo. Era stato dato l'incarico ad una società di consulenza, di recruting, la TMC di Milano, di ricercare l'amministratore delegato della Polenghi. Evidentemente questa società non aveva prodotto dei nomi soddisfacenti, e da quanto mi è stato raccontato successivamente, Wallner, allora presidente della Confagricoltura, si recò da Prodi per farsi dare dei nomi. Prodi segnalò quattro nomi di cui uno lo ricordo perché è molto simile al mio, ossia Pellizzari, un importante esponente del settore agroalimentare dell'epoca, che fu anche mio capo nella IBP. Credo che il cavalier Scotti lo contattò. Fu lo stesso cavalier Scotti a dirmi che il mio nome era stato fatto dal professor Prodi, presidente dell'Iri e conoscitore del mondo manageriale italiano. PRESIDENTE. Lei aveva già avuto dei contatti con Prodi?

PELLIZZONI. Nella mia vita credo di aver incontrato il professor Prodi non più di quattro volte, due volte all'epoca della Perugina, durante un paio di convegni, di cui uno a Milano. Mi fu presentato da un amico e tutto finì lì. Successivamente lo incontrai in un altro convegno internazionale a Roma. Certamente, quando Scotti mi riferì della segnalazione di Prodi mi recai all'Iri per ringraziarlo, ma l'incontro non durò più di cinque minuti. Successivamente incontrai di nuovo il professor Prodi in un'occasione sociale particolare, il 25° anno di matrimonio di un loro amico di Bologna che conoscevo anch'io.

PRESIDENTE. Dottor Pellizzoni, vorremmo sapere a quanto ammontava e come è stato fissato il suo emolumento presso la Fedit. La domanda non deve essere considerata un'indiscrezione in quanto serve a ricostruire l'intera gestione Fedit.

PELLIZZONI. Quando fui assunto in Fedital (Polenghi), lo stipendio che chiesi corrispondeva al valore di mercato dell'epoca ed era pari a 400 milioni lordi l'anno, che però fu articolato in un certo modo, cioè una parte come amministratore delegato di Fedital, una parte come direttore generale di una società che si chiamava Federfin. In totale il mio emolumento era di 400 milioni lordi l’anno e quindi non solo come amministratore delegato di Fedital ma anche per le altre cariche che mi avevano dato per arrivare a questa cifra.

PRESIDENTE. Se parlassi di 760 milioni lordi l’anno sbaglierei?

PELLIZZONI. No, perché quando fui nominato direttore generale della Federconsorzi chiesi l’equivalente di 100 milioni netti in più e quindi credo che la somma totale fosse un poco meno di 600 milioni.

PRESIDENTE. Compresi i benefits?

PELLIZZONI. No, quelli facevano parte della struttura organizzativa centrale, non erano scritti sul contratto. E’ successo invece che la Federconsorzi aveva uno stranissimo contratto con i propri dirigenti, che poi io mi adoperai per cambiare. Questi dirigenti avevano uno stipendio abbastanza basso rispetto agli altri dirigenti, però esisteva la clausola che tutte quelle che si chiamavano gratifiche, l’anno successivo dovevano essere erogate in modo tale che il totale degli emolumenti non doveva essere inferiore a quello dell’anno precedente. Quindi i dirigenti nominalmente magari avevano uno stipendio di 100 milioni lordi, però siccome avevano avuto una gratifica di 100 milioni, che non compariva tra le voci dello stipendio, di fatto percepivano 200 milioni e l’anno successivo dovevano percepire almeno la stessa cifra.

Trovavo questo sistema inusuale, nel senso che non c’era alcuna incentivazione reale per la gratifica. Quindi uno degli istituti che volli introdurre fu l’incentivazione per risultati e, dopo una serie di discussioni e lotte che potete immaginare, feci cambiare questo contratto specifico dei dirigenti Federconsorzi, per adeguarlo maggiormente a quello degli altri dirigenti; purtroppo tutta la parte retributiva che era gratifica e che era stata acquisita ormai di diritto, non poteva essere negata e confluì nella voce stipendio.

Probabilmente se andate ad analizzare gli stipendi dei dirigenti della Federconsorzi del 1990 osserverete un salto retributivo che sembra impressionante, ma il motivo è proprio questo.

Credo che a quell’epoca, il 1989, il dottor Scotti mi diede una gratifica, per cui anch’essa finì nel mio stipendio.

Tuttavia questa possibilità, che poi purtroppo non abbiamo potuto utilizzare, di non concedere più gratifiche automatiche, ma solo in funzione del raggiungimento di obiettivi da parte dei dirigenti, si sarebbe realizzata attraverso una forma di bonus basato però sul merito e non su un diritto acquisito. Non so se mi sono spiegato, perché si tratta di un punto molto importante.

PRESIDENTE. Quando assunse la carica di direttore generale, le fu illustrata la reale situazione e da chi?

PELLIZZONI. La reale situazione devo dire che forse non mi fu mai illustrata da nessuno.

Quando fui nominato alla Fedit, i giorni prima e i giorni dopo ebbi contatti con i due presidenti confederali, che chiaramente andai a salutare per dovere. Tutti e due evidentemente avevano compiuto questa scelta di cambiare direttore generale e nominare il vecchio direttore generale presidente in modo unanime e mi diedero alcuni briefings precisi. Il primo obiettivo che dovevo raggiungere era quello di compiere una diagnosi approfondita della situazione della Federconsorzi. Il secondo era quello di elaborare un piano di modernizzazione dell’ente. Il terzo obiettivo era di arrivare il più presto possibile al bilancio certificato. Il quarto era quello di modernizzare in senso culturale tutto il sistema che purtroppo aveva perso un decennio sul piano di un adeguamento culturale. Venni a sapere che nel periodo precedente, cioè dall’ottobre 1988 al gennaio 1989, era stato interpellato il professor Pellegrino Capaldo per analizzare la situazione della Federconsorzi e per dare un suo parere. Infatti conobbi il professor Capaldo, che probabilmente stava già lavorando su questo progetto, perché nel mese di ottobre o novembre 1988, quando preparai il piano di ristrutturazione della Fedital (Polenghi), mi chiesero di consultarmi con il professor Capaldo e di andare nel suo ufficio, dove apprezzò il mio approccio ai problemi. Successivamente, prima di essere nominato direttore generale della Federconsorzi mi fu chiesto di andare a parlare con il professor Capaldo; fu una specie di scusa perché di fatto, da come andò il colloquio, probabilmente voleva capire un po’ di più chi ero, le mie competenze professionali. Infatti parlammo dei problemi agroalimentari del Paese, della SME, di come vedevo il futuro e di altro. Credo avessero chiesto a un tecnico il parere su un altro tecnico.

Una volta nominato direttore generale della Federconsorzi, venni a conoscenza che era stato compiuto questo studio, questa analisi su Federconsorzi e sui consorzi agrari. Credo che dopo 15 giorni dal mio insediamento, cioè i primi di maggio, il professor Capaldo mi invitò nella banca, di cui era Presidente, mi fece i complimenti per la nomina e mi tracciò un quadro di quello che in un certo senso aveva trovato e di quello che suggeriva di fare.

Questi suggerimenti erano principalmente: che il sistema richiedeva interventi con una certa velocità perché si stava "inviluppando" sui propri oneri finanziari; che probabilmente quanto aveva osservato andava approfondito con tecniche più puntuali; che – ed era la filosofia che avevo anch’io - occorreva costituire dei gruppi di lavoro per affrontare tutta una serie di problemi. Mi resi conto che effettivamente questo ente purtroppo aveva vissuto per circa 98 anni chiuso al suo interno e non era riuscito a percepire tutto il cambiamento che si era verificato nel mondo industriale e commerciale dalla crisi petrolifera, nel 1976–1977, e in tutti gli anni ‘80. Cambiare la cultura di un ente di queste dimensioni era molto complesso e quindi l’idea di costituire gruppi di lavoro che mobilitassero energie e dessero credibilità agli interventi rappresentava una tecnica manageriale abbastanza diffusa e applicabile anche in questa situazione. Infatti, con l’accordo di tutti si introdusse una società di consulenza (io proposi la Mc-Kinsey, ma il dottor Scotti disse di aver avuto con questa società delle esperienze non positive ) che conosceva Capaldo, conosceva la Fiat e anche tutto il mondo dei fornitori, che si chiamava Cuneo e Associati e poi divenne la Bain & Cuneo. Quindi, con l'allora Cuneo Associati abbiamo disegnato un programma di lavoro, che fu presentato in una Convention tenutasi a Bracciano, alla quale parteciparono tutti i direttori e i presidenti dei consorzi, i dirigenti della Federconsorzi, i sindaci e alcuni rappresentanti dei Ministeri. Mi venne rivolta l'accusa di essere molto americano con questo tipo di approccio. Però si dovevano attivare quelli che tecnicamente si chiamano momenti di rifondazione: bisognava rifondare la cultura dell'azienda, bisognava "approcciare" le cose in modo nuovo e quindi bisognava dare un certo stile al modo con cui si facevano queste cose.

Nacquero così tredici progetti (che poi se necessario enuncerò), articolati in una numerosa serie di sottoprogetti. Si analizzava tutto quello che riguardava la Federconsorzi, i consorzi agrari e le società controllate. Questi progetti andarono avanti in un certo modo fino al mese di aprile del 1990 e poi proseguirono in un altro modo. Si cercò di creare la massa critica necessaria per poter smuovere questa vecchia signora di 98 anni - come la chiamavo io - e che faceva fatica a muoversi.

A questo proposito vorrei far rilevare che questo piano è stato elaborato dalla Fedit e da altri. Non si può mai togliere la paternità di qualcosa. Ho avuto due società di consulenza che mi hanno fornito dei dati, tuttavia quello che chiamavamo master plan è stato elaborato dalla Bain & Cuneo.

Scusi, Signor Presidente, se faccio un passo indietro: quello che non ho mai visto in nessun documento, in nessuna carta è la descrizione del massacrante lavoro compiuto dal 13 aprile 1989 fino al giorno del commissariamento. I lineamenti del piano strategico sono stati elaborati dalla Bain & Cuneo, andando in giro per l'Italia a insegnare a tutti i consorzi agrari a fare il piano triennale (peraltro alcuni non sapevano neanche cosa fosse). Ai consorzi fu fornito uno schema di piano triennale tale da poter evidenziare alcuni punti, con l’assistenza di questa società. Tuttavia, bisogna considerare la mole di lavoro, che era enorme, e la cultura interna riguardo a questi problemi (perché nessuno li aveva evidenziati né alcun ammodernamento era stato loro insegnato, per cui non sapevano nulla neanche di marketing). Quindi, per poter ottenere dei risultati, abbiamo inserito tutte le risorse che potevamo gestire. Quando sento criticare i 23 miliardi spesi per le consulenze, vorrei rispondere che, se ne avessi potuti spendere 50, l'avrei fatto. Si trattava infatti di un malato talmente grave da richiedere un intervento immediato. Di fatto non saremmo mai stati capaci di gestirli. Dovete pensare che contemporaneamente gestivamo, da una parte tutto il filone di diagnosi e di strategia delle attività centrali della Federconsorzi, che sono moltissime; dall’altra la diagnosi e la messa a punto dei piani triennali di 74 consorzi agrari; la diagnosi e la messa a punto dei piani triennali, anche se con diversi gradi di approfondimento, di un centinaio di società controllate; tutto il rifacimento del sistema informativo perché purtroppo, tra la fine del 1988 e l'inizio del 1989, era stato introdotto un software che si chiamava "Orchidea", ma anche in questo caso, per ragioni culturali, era la prima volta che veniva fatto in novant'anni. Avevano messo un pacchetto nel computer, ma non si capiva che tutto l'aspetto organizzativo-procedurale era indispensabile per poterlo far funzionare, per cui quando arrivai trovai una situazione del tutto fuori controllo (ogni tanto venivano fuori tre volte le fatture che erano già state pagate e via dicendo). Quando arrivai io, vi erano già le società Coopers & Lybrand e Sistemi Informativi, che avevano fornito un pacchetto. Quindi, continuammo con queste due società in modo massiccio finché nel giro di un anno, verso la metà del 1990, il sistema fu abbastanza sotto controllo. Chi ha un minimo di esperienza di queste cose conosce che questo è un lavoro traumatizzante per qualsiasi azienda e soprattutto estremamente impegnativo, sia dal punto di vista delle risorse umane da impiegare, sia dal punto di vista finanziario, sia come cambiamento culturale perché quando si è abituati a fare le scritture in un certo modo, ad amministrare in un certo modo, è molto difficile adattarsi al cambiamento.

Fu fatto tutto l'inventario del patrimonio immobiliare, perchè non esisteva un inventario come quello che hanno tutte le società immobiliari ben organizzate, che presume l'indicazione non solo dell'esatta collocazione dell'immobile, ma anche della conoscenza del suo stato giuridico, della destinazione del terreno, se verde o meno, eccetera. Non vi era un quadro preciso della situazione patrimoniale in quanto indubbiamente il patrimonio immobiliare della Federconsorzi non era chiaramente definito. Appena arrivai, nominai un'unità che chiamai "Relazioni con i consorzi agrari", perché questi erano il problema, come aveva detto Capaldo, ma non vi era una struttura organizzativa atta a presidiarli. Questa unità lavorò molto con tutti i consulenti, non solo per poter arrivare a fare i piani triennali, di cui abbiamo parlato prima, ma anche per avere un supporto informativo proveniente dai consorzi stessi, al fine di poter controllare la loro attività. Prima arrivavano solo i bilanci ogni tre-quattro mesi. Come voi sapete, il bilancio è poco significativo per fare delle previsioni, e anche in quel caso fu svolto un lavoro massiccio.

Si effettuò poi un altro intervento sui consorzi agrari perché era evidente che ormai 74 consorzi non avevano ragione di esistere. Da quando questi sono stati costituiti, nel 1948, il loro ambito era stato fatto coincidere con quello della provincia. Però si deve considerare che quando parliamo di consorzio agrario dobbiamo pensare ad un palazzo situato in una sede della provincia (ad esempio, a Parma vi è il palazzo del consorzio agrario), però questo è un fatto amministrativo-burocratico perché la vera operatività viene svolta dalle agenzie o filiali che siano. Quindi il problema era che molti di questi consorzi avevano dei costi fissi che non si giustificavano per il bacino di utenza esistente, troppo piccolo, per cui una delle operazioni da fare era proprio quella di ampliare il bacino di utenza del consorzio agrario e quindi avere dei consorzi pluriprovinciali o addirittura in certi casi regionali. Un'unità amministrativa può gestire un numero di agenzie non solo a livello di una provincia ma anche di altre.

Fu iniziato un progetto di quella che avevamo chiamato la "Federfin" (non ricordo più quale fosse il nome esatto). Ciascun consorzio agrario aveva un proprio sistema informativo (magari l'uno diverso dall'altro); tali sistemi informativi non erano collegati col centro, per cui uno dei nostri progetti era quello di costituire una "Fedit data", cioè una società di informatica del gruppo, e di fornire sistemi o per lo meno di adeguare tutti i consorzi agrari con programmi omogenei per far sì che tutti potessero utilizzare un computer centrale: ciò avrebbe fornito dei risparmi notevolissimi, ma avrebbe anche consentito di accedere in tempo reale a tutti i dati di questo sistema. (Oggi, con Internet sarebbe un po' più facile, ma allora era diverso.)

PRESIDENTE. Questo documento del piano di risanamento è rinvenibile e, se sì, dove?

PELLIZZONI. Lei può trovare due documenti (in realtà ne può trovare tantissimi, ma credo che siano "chiusi" in qualche stanza della Federconsorzi): uno è quello della Cuneo Associati, composto da circa otto volumi; ha rappresentato il punto di partenza. Poi, nell'aprile del 1990, c'è il mio intervento in Consiglio di amministrazione, e poi gli interventi mio e del presidente in Assemblea, dove vengono presentati i lineamenti strategici del piano di risanamento o "di modernizzazione", come veniva definito allora. Se vuole, signor Presidente, credo di poterle trasmettere una copia di tale piano.

PRESIDENTE. Ci farebbe cosa davvero gradita. PELLIZZONI. Naturalmente. La prego poi di predisporre un elenco della documentazione di interesse per la Commissione e, se sarò in possesso dei documenti richiesti, li fornirò: molti sono stati sequestrati in Federconsorzi.

PRESIDENTE. Questo suo piano ebbe una copertura politica?

PELLIZZONI. Guardi, signor Presidente: perché crede che avrei fatto quella lunga storia? Purtroppo, di politica...

PRESIDENTE. Lo ebbe un imprimatur o no?

PELLIZZONI. Volevo dire che io non ho mai conosciuto alcun politico.

Sono arrivato qui a Roma e ho avuto due punti di riferimento. Uno tecnico, che rispondeva al nome di Pellegrino Capaldo, l'unico che mi era stato presentato come il "consigliere" dei due presidenti confederali e poi, da quanto capivo, uomo molto autorevole, che quindi aveva anche accesso al livello dei Presidenti del Consiglio e così via: avevo l'impressione che fosse la persona che "lo Stato italiano" avesse utilizzato per osservare cosa si stava facendo in Federconsorzi perché i sintomi, già nel 1987, erano di una certa preoccupazione. Si tratta di persona che ha fornito una squisita collaborazione, preparatissimo e con cui ho avuto un rapporto professionale molto, molto buono. Il secondo punto di riferimento era certamente rappresentato dal presidente della Coldiretti, che era la persona più preoccupata di come andassero le cose, anche perché Wallner, che era presidente della Confagricoltura, dopo pochi mesi si dimise. Divenne presidente della Confagricoltura Gioia, che già sedeva in Comitato Esecutivo e in Consiglio di amministrazione, mentre invece Lobianco no, e quindi ogni tanto, anche per avere - per così dire - il conforto se si stava procedendo bene o no… Dovete capire che mi sono trovato in un mondo che non conoscevo e quindi avrei potuto fare delle cose magari tecnicamente valide, ma che potevano scontrarsi con tutto il mondo agricolo e in tal caso sarebbero state assolutamente inutili. Ogni tanto, quindi, mi confrontavo con lui e lo informavo su come andavano le cose, perché non partecipando ai Comitati non aveva "la presa diretta", se non parlando successivamente coi rappresentanti di Coldiretti che sedevano nei vari Consigli. Nei 24 mesi di mia permanenza in Federconsorzi, questi sono stati i miei due referenti.

PRESIDENTE. Ricorda a quanto sia ammontato il costo di questo piano? C'è stato uno studio elaborato e fatturato dalla Fedit? PELLIZZONI. Sì. Se vuole glielo dico con precisione, perché devo avere qui con me dei dati che mi hanno fornito recentemente: la Cuneo Associati, diventata poi Bain & Cuneo, credo abbia fatturato una cifra di circa 3 miliardi, anzi 2 miliardi e 900 milioni (bisognerebbe poi verificare se quest'ultimo importo sia comprensivo di IVA).

PRESIDENTE. Ha qualche scritto del professor Capaldo relativo al periodo in cui ha avuto contatti con lui? PELLIZZONI. Guardi, questa è una domanda che mi hanno fatto spesso in molti o forse tutti: non ho mai trovato all'interno della Federconsorzi uno scritto che portasse la firma di Capaldo. Quello che ho trovato in Federconsorzi (che poi mi fecero vedere i miei collaboratori) erano delle analisi fatte da loro (perché Capaldo si avvalse molto di questi collaboratori, soprattutto di un dirigente che si chiama Genualdo: classificavano i consorzi agrari in funzione della loro redditività, eccetera). PRESIDENTE. Non vorrei prevaricare i colleghi presenti, che prego di fermarmi quando lo ritengano opportuno, ma vorrei ancora porre dei quesiti.

Questo piano di risanamento era stato pensato anche nella prospettiva di un finanziamento da parte dello Stato?

PELLIZZONI. No.

PRESIDENTE. Non facevate cioè affidamento anche sul piano di finanziamento o di rifinanziamento da parte dello Stato?

PELLIZZONI. No. Ci sono stati due periodi ben precisi: quello che va dal 13 aprile 1989 al 30 giugno 1990 (che possiamo definire "piano numero 1") durante il quale, siccome le analisi del professor Capaldo e i dati che erano a disposizione all'inizio si riferivano al 1987, la dimensione del problema in termini di necessità finanziarie per poter, per così dire, "salvare il sistema" sembrava sì notevole, perché per comuni mortali parlare di 200 o 400 miliardi significava riferirsi a cifre alte, ma all'interno del sistema esistevano molte capienze in termine di patrimonio per poterlo fare. Quando arrivai io, dopo poco, arrivarono i bilanci dei consorzi agrari del 1988: rielaborando questi dati stimai che il fabbisogno era passato da 200 ad 800 miliardi, fabbisogno che si poteva ancora ritrovare all'interno del patrimonio della Fedit. Qui finisce il primo periodo. Il 30 giugno...

PRESIDENTE. Mi scusi, ma lei come spiega questa superfetazione di un fabbisogno di 800 miliardi che l'anno successivo è divenuto di 1.500?

PELLIZZONI. Glielo posso spiegare. Ho cercato di spiegarlo quando sono arrivato, quando sono andato in giro per tutta l'Italia, ma con scarsissimo risultato.

Cerco di spiegarvelo con parole molto semplici, però vorrei che mi faceste tutte le domande possibili in merito, perché questa è la chiave di volta di tutto il problema Federconsorzi e, se mi permettete di affermarlo, di tutto il mondo cooperativo. Supponiamo che un'attività abbia cento lire di attivo; se finanzio questo attivo interamente con mezzi di terzi, devo generare un utile lordo operativo perlomeno pari agli oneri finanziari che devo pagare.

Ricordo quando effettuai uno studio sull'ENEL: in teoria una società potrebbe anche vivere senza capitale proprio, purchè generi una cassa annuale che le permetta di coprire gli ammortamenti, gli oneri finanziari. Se ottengo un credito illimitato dal mercato, sopravvivo. All'epoca il professor Capaldo stimò che gli affari gestiti da Federconsorzi e dai consorzi agrari avessero una potenzialità di utile operativo mediamente pari al 3,5 per cento; ciò vuol dire che, poste le vendite pari a cento, se ottengo un utile pari al 3,5 per cento, ho raggiunto la massima possibilità che può offrire il sistema competitivo nel quale opero. Il compenso dipende dal numero di giri del mio capitale per poter pagare i tassi di interesse. In altre parole, quello che si chiama tecnicamente il ROA, cioè l'Utile Operativo diviso le Attività Nette investite, posso suddividerlo in due componenti: la prima è costituita dalle lire di fatturato prodotte come utile; la seconda è rappresentata dalle lire di investimento necessarie per generare una lira di fatturato. Il tasso di interesse medio all’epoca era pari al 14 per cento: pertanto sarebbe stato necessario un rapporto tra Vendite e Attività nette investite uguale a 4, per ottenere una gestione equilibrata, cioè con un ROA del 14 per cento. Tutto il mondo agricolo e cooperativo ha sempre ignorato questa seconda componente della formula: nei bilanci di queste entità economiche si osserva molto spesso un rapporto Vendite e Attività Nette investite troppo basso: per esempio, cento miliardi di attività generano cento miliardi di vendite. E' evidente che in passato la Federconsorzi, i consorzi agrari e le società collegate hanno ricevuto finanziamenti agevolati che purtroppo si sono trasformati successivamente in debiti a breve, perché i soldi arrivavano in ritardo. I bilanci avevano un attivo pesantissimo, che generava proporzionalmente uno scarsissimo fatturato e dava un utile operativo estremamente ridotto. Occorreva pertanto modificare il sistema e, per fare ciò, vi sono soltanto due possibilità: con le stesse risorse, con lo stesso attivo, si deve aumentare fortemente il fatturato oppure, se ciò non è possibile (perché il mercato e la concorrenza non lo consentono), occorre ridurre drasticamente l'attivo e, contemporaneamente, l'indebitamento. Non bisognava essere grandi esperti per capire questa alternativa. Vi furono tuttavia delle difficoltà e non ho mai capito se fossero legate alla complicazione di questo concetto oppure dipendevano dal fatto che il sistema non si rassegnava alla necessità di vendere un camioncino.

Occorre considerare un arco storico di 98 anni: il sistema è stato commissariato diverse volte; ha ricevuto aiuti pubblici; è stato, per così dire, viziato. Non vi sono mai stati stimoli per introdurre elementi di imprenditorialità basati su questi concetti. I problemi, prima o poi, si risolvevano: era dunque inutile vendere, per esempio, il palazzo al centro della città di Parma per recuperare risorse finanziarie, come farebbe una società di tipo industriale. Era un sistema bloccato.

Se le dimensioni del fabbisogno finanziario per tutelare il sistema erano di ottocento miliardi, attraverso diverse dismissioni si sarebbe potuto raggiungere l'obiettivo. A questo punto, occorre esaminare che cosa è successo in seguito.

PRESIDENTE. Esamineremo dopo la fase del commissariamento. Esistevano documenti, bilanci, relazioni riservate sulle reali condizioni di Fedit?

PELLIZZONI. Esistono quelle che ho presentato in sede di comitato esecutivo; sono documenti agli atti del comitato esecutivo e del consiglio di amministrazione.

PRESIDENTE. Non esiste una memoria storica alla quale attingere notizie al di fuori dei canali ufficiali?

PELLIZZONI. No, per quanto ne sappia.

PRESIDENTE. E' a conoscenza delle fatture gonfiate?

PELLIZZONI. Nessuno me ne ha mai parlato. Quando sono arrivato c'era un direttore amministrativo, un personaggio che conoscevo perché era di Milano, che dopo pochi mesi se ne andò. Assumemmo un nuovo direttore amministrativo, poi diventato direttore amministrativo e finanziario, al quale assegnai il compito, insieme alle società di audit, di verificare anche queste cose.

PRESIDENTE. Lei fece eseguire un monitoraggio apparentemente completo sulla Fedit a numerose società di consulenza. I risultati furono trasfusi in un documento di sintesi reso pubblico o rimasto riservato? Quali conclusioni furono tratte dal monitoraggio?

PELLIZZONI. Le conclusioni tratte dal monitoraggio riguardano due momenti: il primo è quello della presentazione del piano di risanamento, curato prevalentemente dalla Cuneo, la quale aveva una funzione di capogruppo, nel senso che le altre società di consulenza avevano fornito alla Cuneo i risultati delle loro indagini. La Cuneo mise tali risultati in quello che ho chiamato scherzosamente un "frullatore", e presentò un master plan. Il lavoro della Cuneo è stato svolto recependo anche documenti redatti da altre società. Il lavoro della Cuneo forniva determinati indirizzi per l'interno sistema.

Desidererei aprire una breve parentesi: girando l'Italia, feci presente un problema, che spiegai con parole molto semplici ricorrendo al seguente paragone: abbiamo due orologi; il primo è quello degli oneri finanziari, il quale gira a velocità costante; il secondo è quello delle nostre azioni. Ebbene se noi saremo tanto bravi da far girare l'orologio delle azioni più velocemente di quello degli oneri finanziari, vinceremo la corsa e la partita, ma se non lo sapremo fare la perderemo, perché il sistema si "inlooppa".

Pertanto, il piano presentato il 30 giugno, presumeva tutta una serie di azioni da effettuare in determinati tempi con il fine di battere il famoso orologio degli oneri finanziari.

Questo è sostanzialmente il motivo per cui c'è stata la seconda fase ed ecco il richiamo ai 1500 miliardi della sua domanda, signor Presidente. Dopo il 30 di giugno 1990, una volta formulato questo piano, cominciarono ad arrivare i bilanci dei consorzi agrari relativi al 1989 dai quali si poté verificare che il "gap" economico ad essi relativo era più grave di quanto previsto. Non solo, nel frattempo, avendo effettuato una serie di audit presso i consorzi, ci si rese conto dell'esistenza di un certo tipo di realtà. Basta immaginare che tutto ciò si verificò dal 1° luglio dell'89 e in quel lasso di tempo era stato necessario farsi rilasciare i piani triennali dei consorzi agrari e, una volta ricevuti, si dovette ovviamente valutare la loro fattibilità. Quindi, a giugno cominciammo a leggere la realtà di questi consorzi con una certa consapevolezza rispetto a prima. Effettuate queste stime, si riscontrò che il fabbisogno finanziario - si trattava sempre di stime e quindi non erano calcoli alla lira - si attestava intorno ai 1.500 miliardi.

Ciò voleva dire che il piano così come era stato concepito all'inizio, e che doveva essere di modernizzazione, necessitava di un adeguamento. Infatti, occorrevano degli interventi molto più drastici di quanto non previsto precedentemente; con tali interventi si sarebbe dovuto cercare di valorizzare tutto l'avviamento che esisteva nelle attività della Federconsorzi.

In secondo luogo, era stato messo in luce un aspetto chiarissimo e cioè che il sistema presentava degli elementi di inerzia per cui in quello stato non si sarebbe mai potuta vincere la battaglia della velocità. Infatti, io stesso parlai in sede di comitato dell'esistenza di lacci e lacciuoli - di cui ovviamente non accuso nessuno - tuttavia, va tenuto presente al riguardo che ogni consorzio agrario aveva un suo consiglio di amministrazione e quest'ultimo era formato da diversi gruppi. Inoltre ogni volta era necessario interpellare anche le associazioni locali e poi ridiscutere tutto in base a quanto esse avevano detto. Si era quindi in presenza di una situazione che richiedeva un processo decisionale che era certamente più vicino ai tempi della politica che non a quelli dell'imprenditorialità, questo naturalmente detto con tutto il rispetto nei confronti della politica. Pertanto, gli unici strumenti con cui si poteva ancora salvare la situazione erano sostanzialmente due. In primo luogo, era opportuno individuare una formula che poteva chiamarsi commissariamento ma anche in altri modi; noi usavamo la parola commissariamento in termini ampi considerato che generalmente i consorzi agrari si commissariavano. Arrivava un signore che cominciava a fare il severo, magari a prendere decisioni impopolari, ma senza dover troppo discutere. La seconda ipotesi di soluzione era che Federconsorzi intraprendesse quella che oggi definiremmo una privatizzazione. Intendo dire che dal momento che la legge istitutiva del 1948 garantiva a questo istituto certi privilegi, forse era il caso di trasformarlo in una sorta di "fondazione" individuando, per tutte le principali attività, dei partners imprenditori, i quali avrebbero potuto assicurare due aspetti molto importanti: in primo luogo assicurare del capitale fresco risolvendo il problema della mancanza del capitale proprio; infatti non c'era la possibilità di raccogliere capitale proprio in quanto per farlo sarebbe stato necessario rivolgersi direttamente agli agricoltori e chiedere loro soldi sarebbe stata una cosa ovviamente impossibile. In secondo luogo, questi imprenditori avrebbero portato in tutte le attività, soprattutto quelle industriali quell'imprenditorialità che, malgrado il massiccio e massacrante inserimento di consulenti, non si riusciva a garantire al sistema.

Mi riferisco a quello che oggi in termini tecnici viene definito best owner, e cioè a società con cultura multinazionale e che sono in possesso di determinati sistemi, che hanno per effetto quello di cambiare, in brevissimo tempo, la cultura di aziende tradizionali. Ebbene, questo avrebbe dovuto essere realizzato anche per la Federconsorzi e probabilmente anche per i consorzi agrari. Per questa ragione dal settembre del 1990 si dette inizio ad una revisione del piano che aveva appunto queste finalità. Parallelamente, sensibilizzai tutti su questi problemi; tuttavia ciò voleva dire anche un'altra cosa: anche se avessimo inventato delle golden share o strumenti di questo genere, certamente quel potere che esisteva su tutto il sistema e che era quasi unico e in mano a poche persone sarebbe venuto meno; infatti in quel caso ci si sarebbe dovuti sedere in consigli di amministrazione di finanziarie e quindi con rappresentanze in funzione delle quote possedute (e con i patti parasociali che si sarebbero potuti ottenere). Da parte delle Confederazioni agricole vennero iniziate una serie di attività che possiamo definire di ricerca di aiuti esterni. Al riguardo debbo dire - non ricordo se questa mia affermazione sia riportata nel verbale che mi riguarda - che osservai che il giorno che sarebbero arrivati degli aiuti esterni senza però che si fosse riusciti a cambiare il sistema e qualora la legge me lo avesse permesso, mi sarei dimesso. Infatti, ciò avrebbe voluto dire inserire dei quattrini in un contesto, ma poi continuare tutto come prima.

L'aspetto più importante, invece, era individuare per prima cosa le modalità al fine di operare in maniera nuova e poi, una volta sicuri di poterlo fare, in possesso di un livello di imprenditorialità adeguato, magari attraverso la creazione di una Spa, invece che di una struttura cooperativa, ritengo che l'arrivo di un aiuto esterno avrebbe permesso di sviluppare il sistema e di avere i capitali necessari per farlo funzionare. Furono messe in campo diverse iniziative dal settembre al dicembre del 1990. Ad esempio, si costituì una società - anche se in realtà non si andò mai davanti al notaio - che mi sembra si chiamasse Agrifin o qualcosa del genere, alla quale parteciparono tutte le centrali cooperative, quindi mi riferisco alla Confcooperative, alla Federconsorzi, alla Agica e alla Lega delle cooperative. Ricordo che ci furono anche discussioni a non finire e mi sembra che si procedette anche alla assegnazione delle cariche e, secondo quanto mi fu riferito, il primo anno la presidenza dell'Agrifin sarebbe spettata alla Agica mentre alla Federconsorzi la vicepresidenza; rammento inoltre che tale società fu presentata anche alla stampa. Poi sparì, e di essa già a Natale del 1990 non se ne sapeva più nulla.

Contemporaneamente furono portate avanti delle iniziative a livello parlamentare. Ricordo ad esempio l'intervento del dottor Micolini - che avevo avuto modo di conoscere molto bene perché era stato presidente della Polenghi quando anch'io ne facevo parte - che aveva richiesto - scusate la mia imprecisione, ma non sono un esperto legislativo - una modifica normativa con la quale si equiparassero i consorzi agrari alle altre cooperative al fine di poter ottenere determinati benefici. Ma anche in questo caso credo che questa iniziativa venne bocciata. Quindi, ancora una volta c'era questa reazione da parte del sistema che, a mio modo di vedere, non teneva conto delle necessità, dell'urgenza di attuare certi interventi. Urgenza fatta in un momento di estrema prudenza, perché il patrimonio era ancora molto capiente, ma si andava assottigliando. Forse io sono abituato a ragionare a 2-3 anni avanti e quindi, se un patrimonio oggi è grosso, ma vedo che nel sistema ci sono dei meccanismi che lo assottigliano, tiro su la bandiera rossa oggi, non aspetto che si sia assottigliato. Quindi dissi di stare attenti, perché se andavamo avanti in quel modo, era vero che avevamo ancora centinaia di miliardi di differenza tra attivo e passivo, ma ce li saremmo mangiati presto se non fossimo intervenuti in maniera massiccia. Allora, quasi per dare una provocazione al sistema, per vedere come avrebbe reagito, chiedemmo al Ministero se metteva in liquidazione coatta amministrativa sei consorzi agrari; il Ministero puntualmente lo ha fatto ed è venuto fuori il "caos", perché per la prima volta Federconsorzi non si è surrogata ai debiti dei consorzi agrari, con una ripercussione politica notevolissima. Devo dire però che lo rifarei domani mattina, perché per lo meno uno scossone venne dato.

All'inizio del 1991, con oramai in mente questo disegno che avevo presentato in consiglio di amministrazione e soprattutto quello rivolto al Ministro, che voleva essere uno strumento per dire al Ministero "guarda che abbiamo in testa questo", presi contatto con alcune banche e trovai da parte loro una grossa disponibilità ad aiutare Federconsorzi: dal Credito Italiano, all'Istituto San Paolo di Torino, ma soprattutto - e lì mi meravigliai della disponibilità - da Mazzotta della Cariplo, il quale mi chiamò e mi disse che sapeva che ci stavamo ristrutturando, che avevamo dei problemi, che però vedeva che stavamo cominciando ad approcciare le cose in un certo modo e quindi avrebbe messo a disposizione le casse rurali, le casse di risparmio e non so cos'altro avesse a disposizione; quindi mi presentò i suoi funzionari dicendomi di lavorare con loro, anche se chiaramente sarebbe stata opportuna una trasformazione in Spa. Io risposi che avrei voluto abbracciarlo, perché se avessi potuto trasformare in Spa Federconsorzi e il sistema, saremmo stati già avanti nella possibilità di arrivare ad una struttura che poteva economicamente stare in piedi nel tempo. Lui presentò questa idea in qualche convegno, fu riportata dai giornali, ma non trovò un grande entusiasmo da parte delle due Confederazioni, per cui la cosa rimase lì.

Mi fu chiesto di non prendere più contatti con le banche, perché sarebbe arrivato un ministro più autorevole di me. Finché non arrivò Goria: devo dire che tutti noi fummo felici, contenti e soddisfatti, perché in quel determinato momento sembrava la persona venuta dal cielo: era stato due volte Ministro del tesoro, una volta Presidente del Consiglio, quindi un "ragioniere" che sembrava capisse di bilanci, di economia e di cose di questo genere, quindi noi managers eravamo veramente contenti. L'unico problema è che il ministro Goria non ci interpellò mai, malgrado quel piano che avevo mandato attraverso il verbale del consiglio di amministrazione; mi aspettavo che chiamasse il management per chiedere informazioni e spiegazioni, ed invece aspettò il bilancio del 1990 che, malgrado pubblici ministeri e cose di questo genere, vi garantisco è di una trasparenza tale che lo stesso Goria lo definì perfino ingenuo (perché nel bilancio c'è scritto chiaramente: signori la situazione è questa, occorre intervenire velocemente, occorre una ristrutturazione finanziaria per dare all'ente una fisionomia che sia duratura nel tempo, eccetera).

PRESIDENTE. Parliamo del bilancio del 1990?

PELLIZZONI. Sì, quello del 1990, presentato nell'aprile 1991. Quindi, il ministro Goria non ci interpellò. Vennero ad un certo momento due suoi consulenti. Un certo Della Valle, che voleva verificare la parte immobiliare e ci fece i complimenti per il sistema informativo, le modalità con cui l'avevamo fatto (perché abbiamo tirato fuori, immobile per immobile, che tipo di destinazione aveva, eccetera). I collegamenti tra Goria e Federconsorzi erano tenuti dal presidente, cioè dal cavalier Scotti; fu lui a dirmi che sarebbero arrivati due consulenti e, infatti, uno venne e andò direttamente da lui, mentre, per l'altro, la sera del giorno 16 il capo di Gabinetto di Goria mi telefonò preannunciandomi che la mattina dopo sarebbe venuto Dezzani. Apro una parentesi. Per poter attuare quel piano noi avevamo negoziato con il Credito Italiano un prestito di 250 miliardi, pur avendo 700 miliardi ancora di credito inutilizzati. Pur avendo tutto questo, avere della cassa sufficiente, cioè un gruppo di banche - che poi si chiamassero Cariplo di Mazzotta o chi per loro - che ci assistesse in questa operazione di grossa trasformazione della Federconsorzi, era un volano necessario. Debbo dire che anche di questo avevo parlato con Capaldo e lui stesso diceva spesso: "Organizziamo un bel pacchetto di quattrini garantito da banche, facciamo un piano con le banche e poi troviamo la formula giuridica per poter attuare questo determinato piano". La mattina del 17, mentre stavo parlando con Dezzani, che mi diceva: "Sì, giusto, è vero, anche noi abbiamo stimato così le partecipazioni, eccetera", ho ricevuto una telefonata dal capo di Gabinetto del Ministro, che mi avvertiva che il Ministro aveva commissariato la Federconsorzi.

PRESIDENTE. Fermiamoci un attimo qua. Sul capitolo commissariamento ritorneremo appositamente. Si ricorda qual era la valutazione dell'attivo relativa al bilancio 1990?

PELLIZZONI. Non farei una valutazione dell'attivo relativa al bilancio 1990. Dividiamo le due cose: se prendo il bilancio del 1990, dico che il passivo è uguale all'attivo perché il bilancio chiudeva in pareggio; per fare una valutazione dell’attivo bisogna trasformare extracontabilmente tutti i dati storici in dati di mercato. Per quello che ho detto, noi facevamo un monitoraggio periodico per vedere quanto ossigeno avevamo; lo facevamo al nostro interno, "piffometricamente" come lo chiamavamo noi, cioè un po' a naso, non avevamo preso dei periti. Non avevamo problemi di ossigeno finanziario, avevamo tutti i soldi che volevamo, però da amministratore prudente dovevo stare molto attento che, pur avendo i soldi, però poi non ci venisse a mancare il capitale. Devo dire che una stima del patrimonio netto - è qui il punto fondamentale - ad azienda, a sistema funzionante, ammontava ancora a 700-800 miliardi; è chiaro che, se dopo il commissariamento, si prende una fabbrica e si chiude non ha più quel valore, ma ha un valore di pezzi di ferro che rappresentano i macchinari. Ecco perché - questo lo dico con grande rammarico, perché ho lavorato sodo per due anni e oggi mi trovo con numerosissimi problemi giuridici e un giorno qualcuno mi spiegherà il motivo - se si fosse trovato un sistema per tenere in piedi, lo garantisco, magari si doveva consolidare il debito con le banche, magari si dovevano rinegoziare i tassi di interesse un po' più bassi, magari si dovevano fare altre operazioni che si fanno normalmente per tutte le aziende che devono essere ristrutturate… Ricordo che quando fu presentato al comitato dei creditori il patrimonio Federconsorzi, che pur con tutti i tagli effettuati copriva ancora il 75 per cento del passivo, ci fu un giapponese che si domandò come mai l'azienda fosse fallita.

E' vero, fu il più grosso concordato preventivo d'Europa, e mi spiace di essere stato un manager che ha partecipato a questa avventura ma, obiettivamente, il fatto che l'azienda coprisse ancora il 75 per cento del passivo stava a significare che il sistema era ancora in grado di coprire i debiti. Questa, infatti, era l'opinione del management.

PRESIDENTE. Questi sono interrogativi sui quali ritorneremo ancora. Per chiudere il capitolo della valutazione, vorrei sapere perché fu utilizzato lo studio Pavan Cattaneo pur non essendo questi iscritti in alcun Albo.

PELLIZZONI. Quando giunsi alla Polenghi, mi trovai di fronte ad una situazione molto complessa, direi disastrosa. Infatti, anche se i bilanci riportavano perdite poco rilevanti, da un'analisi più approfondita mi accorsi che le perdite erano notevoli. Pavan era stato per anni direttore amministrativo, dirigente del gruppo Fiat ed era poi andato a lavorare presso lo studio Provasoli di Milano (Provasoli tra l'altro è stato un mio compagno di studi alla Bocconi). In quel momento, avendo appena terminato un lavoro, era disponibile ad accettare nuovi incarichi. Dietro Pavan quindi, persona molto abile, c'erano però diversi uffici tra cui lo studio Provasoli, e la Metodo, una piccola società di audit molto qualificata. Questa società è del signor Gianluca Ponzellini. Lei, signor Presidente, mi deve fare la cortesia di andare a fondo su una certa questione per capire chi ha trasformato Gianluca Ponzellini in Gianluca Pellizzoni. Infatti, leggendo gli atti di accusa si trova "Metodo di Gianluca Pellizzoni", mentre in tutte le perizie si parla invece di "Metodo di Gianluca Ponzellini". Mi scusi la battuta, ma desidero tornare su questo punto in seguito. Dentro di me ho un'amarezza incredibile. Riprendendo il discorso, si trattava di un nucleo di professionisti molto qualificato che mi aveva già aiutato alla Polenghi e, nel fare ciò, aveva compreso anche le problematiche del gruppo Federconsorzi. Il mio obiettivo era portare a Roma un gruppo che fosse fuori dall'ambiente romano che, purtroppo, appare influenzato da tutte le parti politiche. Volevo un'analisi obiettiva dei fatti, cosa che sono riuscito ad ottenere. PRESIDENTE. Vorrei sapere chi redigeva e chi controllava i bilanci e se tra i controllori vi era il professor Sica.

PELLIZZONI. Anche qui abbiamo un'altro misunderstanding. I bilanci della Federconsorzi, approvati dal consiglio di amministrazione, venivano firmati dal presidente, dal direttore generale e dal capo contabile.

PRESIDENTE. Mi scusi, volevo sapere non chi li firmava ma chi li redigeva. PELLIZZONI. I bilanci 1989-1990 furono redatti dalla struttura interna ed ebbero il supporto di professionisti esterni perché il lavoro di riclassificazione effettuato fu immane. I bilanci quindi furono redatti da Bambara, direttore amministrativo, dallo Studio Metodo e in parte anche con l'aiuto della Coopers & Lybrand. Il professor Sica non ha mai lavorato per la Federconsorzi. Anche qui c'è un caso di omonimia. Tra i consulenti che ho assunto c'è un certo professor Lucio Sicca dell'Università di Napoli, che conobbi quando ero alla SME, considerato uno dei maggiori esperti di problemi agroalimentari italiani. Sui giornali allora si disse che Sica lavorava per la Federconsorzi. Sono due persone completamente diverse. Il professor Sica ebbe un incarico quando fu richiesta la preparazione della domanda di concordato preventivo. PRESIDENTE. Per chiudere il capitolo dei bilanci, i risultati dei bilanci 1989-1990 furono comunicati al Ministro dell'agricoltura in forma riservata o in forma pubblica? PELLIZZONI. Furono comunicati al Ministro dell'agricoltura secondo le normali procedure. Occorre però ricordare che il presidente del collegio sindacale della Federconsorzi, il famoso Cocco che lei citava prima, era un dirigente del Ministero dell'agricoltura. In tutti i consorzi agrari esisteva un sindaco in rappresentanza del Ministero dell'agricoltura, un sindaco in rappresentanza del Ministero del lavoro e un sindaco in rappresentanza del Ministero del tesoro. Pertanto, quando il signor Cocco è venuto in assemblea, immagino che, in qualità di rappresentante del Ministero dell'agricoltura, abbia preso una copia del bilancio per trasmetterla con molta probabilità al Ministro stesso. PRESIDENTE. Su questa materia ebbe colloqui con il ministro Saccomandi?

PELLIZZONI. No, non ho mai visto il ministro Saccomandi se non una volta in occasione di una cena a casa di romani quando non era ancora Ministro.

PRESIDENTE. Ha mai presentato una relazione al ministro Saccomandi? PELLIZZONI. Non ho mai fatto relazioni al Ministro. PRESIDENTE. Secondo Cocco, che presiedeva il collegio sindacale, il Ministro avrebbe riferito della illiquidità della Fedit in Consiglio dei ministri. Le risulta? PELLIZZONI. Dovrei andare a rivedere la documentazione.

PRESIDENTE. Dottor Pellizzoni, poiché necessariamente lei dovrà farsi carico di una seconda audizione, sulle domande alle quali non è in grado di rispondere al momento, perché ha bisogno di consultare documenti o appunti, può riservarsi di farlo in seguito.

PELLIZZONI. Benissimo. Tuttavia a questa domanda posso risponderle. Se il Ministro ha parlato di illiquidità della Fedit lo ha fatto qualche settimana dopo il commissariamento. PRESIDENTE. Stiamo parlando del ministro Saccomandi. PELLIZZONI. Mi scusi, allora non ne so nulla. PRESIDENTE. Quindi non sa se il ministro Saccomandi riferì della illiquidità della Fedit in Consiglio dei ministri. PELLIZZONI. No, assolutamente no.

PRESIDENTE. E' a conoscenza del fatto che il ministro Saccomandi dispose un'istruttoria sulla Fedit?

PELLIZZONI. Se ne parlò dopo il commissariamento. Poiché si cercava di capire perché il ministro Goria non avesse interpellato il management, circolarono voci, basate probabilmente su una relazione di un ex Arthur Andersen, circa un'eventuale istruttoria del ministro Saccomandi. Ma non le sto riportando dei fatti, ma discorsi sentiti un mese dopo il commissariamento. PRESIDENTE. Veniamo al sistema delle banche. Nel 1990, il 19 gennaio la Fedit attinge al mercato internazionale per un prestito di 300 miliardi. Circa questo prestito, tra l’altro concesso da un sindacato di banche estere ed erogato dalla filiale di Londra dalla BNL, che si occupò dell’operazione, Le chiedo quali finalità aveva, tenuto conto dell’indebitamento complessivo di Fedit, quali garanzie furono richieste e date, furono dati degli affidavit e da parte di chi?

PELLIZZONI. Quando arrivai in Federconsorzi l’allora direttore amministrativo e finanziario, dottor Anghileri, aveva già studiato la possibilità di trasformare i debiti a breve termine in debiti a lungo termine e aveva ipotizzato di compiere un’operazione di questo genere. Appena arrivai lui chiese il mio parere, e io concordai sull’utilità di trasformare i debiti a breve in debiti a lungo termine. Egli si occupò dell’operazione e si fece assistere da una società specializzata di cui adesso non ricordo il nome; prepararono loro tutta la documentazione, non furono mai richieste garanzie (di questo rimane traccia nel comitato esecutivo, la cui documentazione posso fornirvi quando volete); si svolse una specie di cerimonia di firma a Londra alla quale abbiamo partecipato io e il presidente, che eravamo stati delegati dal comitato esecutivo. Questo è tutto. PRESIDENTE. Come lei avrà saputo, da parte delle banche estere non c’è stato alcun intervento in un certo senso per recuperare i loro crediti non avendo voluto partecipare alla società S.G.R.; però questa è un’altra vicenda. Quand’è che per la prima volta il bilancio fu certificato? PELLIZZONI. Mai, nel senso che il lavoro svolto per il bilancio 1989 e per quello del 1990 è stato quello di predisporre un bilancio per il 1990 che costituisse la base per la certificazione. Infatti, per poter certificare un bilancio le società di Audit richiedono un bilancio di riferimento che sia certificabile. Allora, il bilancio 1990 ha tutte la caratteristiche del bilancio certificabile, è stato il primo consolidato nella storia centenaria della Federconsorzi. Nell’assemblea del 1991 fu designata la società Coopers & Lybrand come società di certificazione che avrebbe certificato il bilancio 1991. Quindi con un anno di anticipo, perché si era stimato che per questo lavoro sarebbero occorsi 3 anni, siamo riusciti, grazie soprattutto al dottor Bambara ed altri, ad arrivare a questo risultato. Quindi sarebbe stato certificato il bilancio 1991. Ho letto da qualche parte che il dottor Wallner ha detto di aver mandato il bilancio a certificare. Invece il bilancio 1990 era certificabile perché così richiedevano le società di Audit; sarebbe stato certificato il bilancio del 1991. PRESIDENTE. Questo è uno dei nodi che dovrà sciogliere la Commissione. Data la disponibilità delle banche ad erogare ancora crediti nei confronti della Fedit, come spiega che, nel giro di pochissime ore, le banche revocarono i loro fidi subito dopo il commissariamento? Questa situazione di credito pieno che fino a qualche giorno prima era notoria a tutti per quanto riguarda la Fedit e i consorzi agrari provinciali finì di colpo e le banche revocarono ogni forma di fido. Subito dopo lei è stato licenziato, ma questo è un altro capitolo. PELLIZZONI. Vi posso dire la mia impressione e la mia opinione su fatti che non conosco. Indubbiamente tutto il sistema bancario considerava (ero compagno di scuola di Guido Rosa, presidente dell’Associazione delle banche estere in Italia, per cui qualche colloquio informale l’ho avuto con lui a Milano) Federconsorzi con lo stesso rischio del sistema - Italia. Sia dal comportamento storico che dall’importanza che aveva sul territorio nazionale (il fatto di essere sotto la vigilanza di un Ministero e che quando si verificava qualche problema venivano presentate interpellanze parlamentari) non si stava parlando di una società qualsiasi, ma di un ente che nessuno aveva mai indagato bene se aveva natura pubblica o privata ma che sui giornali finanziari stranieri veniva definito una Agency del Ministero dell’agricoltura italiano. Pertanto i fidi erano concessi, perché fra le altre cose le banche, dato il giro di affari, guadagnavano abbastanza bene. I tassi non erano quelli delle primarie aziende ma anche per loro erano remunerativi e dunque il sistema andava avanti. Una delle tante domande che mi sono posto e che non mi ha lasciato dormire per tanti mesi è perché il dottor Goria avesse tenuto quell’atteggiamento. L’unica risposta, forse da persona che giudica il bicchiere mezzo pieno anziché mezzo vuoto, è che si sia fidato della sua autorevolezza come ex Presidente del consiglio e della sua conoscenza delle banche. Il problema è invece che quando c’è stato il commissariamento probabilmente le banche hanno paventato che venisse a cadere quel supporto derivante dal credere che si trattasse di una entità giuridica pubblica. BUCCIERO. Lo hanno scoperto solo in quel momento? PELLIZZONI. A quel punto le banche devono aver preso una paura dell’accidente perché, cambiato il sistema politico nell’Italia dopo il 1989… PRESIDENTE. Il senatore Bucciero voleva probabilmente sottolineare il modo semplicistico con cui le banche hanno cambiato atteggiamento. Non credo che la situazione non fosse conoscibile già da prima. PASQUINI. Si tratta di una presa di distanza da parte del Governo e dello Stato. Le banche si rendono conto che lo Stato non avrebbe pagato più.

BUCCIERO. Il commissariamento è solo una forma di controllo. PELLIZZONI. Non so rispondere. PRESIDENTE. Chi seguiva nella Fedit l’indebitamento bancario? PELLIZZONI. Il direttore amministrativo e finanziario, il quale periodicamente faceva delle relazioni. PRESIDENTE. Il livello di indebitamento come mai era arrivato a così alti livelli? PELLIZZONI. Era arrivato a questi alti livelli per una ragione molto semplice. Se andiamo a vedere tutte le cause, la crisi della Federconsorzi - anche se ho visto in certi documenti che la questione è invertita - è stata determinata dalla crisi dei consorzi agrari. I consorzi agrari vendono agli agricoltori; il credito fatto dai consorzi agrari agli agricoltori - se non ricordo male, comunque potremo poi accertarlo - mediamente sul territorio nazionale è a 180 giorni con punte di 240. Quindi, la Federconsorzi fatturava ai consorzi agrari; i fornitori fatturavano la Federconsorzi e quest'ultima pagava a 90 giorni. La Federconsorzi ha sempre pagato puntualmente a 90 giorni i fornitori. Riceveva dai consorzi agrari cambiali a pagamento e questi ultimi rilasciavano agli agricoltori un termine di pagamento molto più ampio. Finché il sistema bancario ha finanziato questa necessità di circolante ai consorzi agrari, il sistema è andato avanti, ma quando i consorzi agrari hanno cominciato a battere in testa, a presentare bilanci negativi, e via dicendo, le banche non hanno tolto i fidi, ma non li hanno neanche aumentati e tutto il fabbisogno finanziario dei consorzi agrari è ricaduto sulla Federconsorzi. Ciò vuol dire che per le cambiali che prima ritiravano, hanno cominciato a chiedere dei rinnovi. Ho conosciuto per caso questo meccanismo alla fine del 1989: un giorno venne nel mio ufficio il responsabile finanziario per dirmi che i rinnovi cambiali erano assai più alti dell'anno precedente; io che non ne sapevo nulla allora gli chiesi cosa fossero i rinnovi cambiali e lui cercò di spiegarmelo. Pertanto, andai a controllare sullo statuto e mi resi conto che un rinnovo di quel tipo non può essere dato normalmente dal servizio finanziario ma deve essere dato dal comitato esecutivo. Da quel momento in poi tutti i rinnovi cambiali furono portati a quest'ultimo. Nel 1989, quindi in un periodo in cui il sistema non era sotto controllo, l'indebitamento aumentò di circa mille miliardi. BUCCIERO. Solo in quell'anno? PELLIZZONI. Sì, per il 1989. Se si calcola che vi sono 74 consorzi agrari, moltiplicando 20 miliardi circa per ognuno, viene una cifra anche superiore. Da quanto ho potuto appurare, la crisi dei consorzi agrari ha cominciato a manifestarsi nel 1987, e chiarisce forse anche la richiesta a Capaldo di analizzare il sistema, ma poi la crisi dei consorzi agrari è diventata esponenziale perché - qui entreremmo in un discorso delicato - non avevano più capienza e quindi dovevano presentare le perdite. Questo era un sistema - giusto o sbagliato che fosse - per cui, nonostante la presenza di un sindaco del Ministero dell'Agricoltura, di un sindaco del Ministero del Tesoro e di un sindaco del Ministero del Lavoro, da quanto ho potuto vedere io, per un certo numero di anni hanno fatto molte rivalutazioni e quindi, facendo tali rivalutazioni, riuscivano a chiudere in pareggio. Nel momento in cui queste rivalutazioni non si sono più potute fare, hanno cominciato a perdere. Dichiarando delle perdite, il sistema bancario si preoccupa di stare attento. L'unica modalità di finanziamento del consorzio è verso la capogruppo, la quale invece ha ancora capienza patrimoniale per poter ricevere dei finanziamenti. Ecco perché dicevo che bisognava interrompere questo loop. E' vero che la Federconsorzi ha ancora una grande capienza patrimoniale ma la domanda è per quanto potrà ancora averla se non blocchiamo questa situazione. PRESIDENTE. Dottor Pellizzoni, lei ha parlato del piano del risanamento presentato a Bracciano: ebbe modo di discuterne con le banche? PELLIZZONI. Vorrei fare una precisazione. A Bracciano non è stato presentato un piano di risanamento: è stato presentato un programma di lavoro per generare un piano di risanamento. In quell'occasione ne parlai con alcuni banchieri che mi chiedevano cosa stavamo facendo; si trattava di banchieri anche illustri, i quali erano tutti contenti perché, dicevano, finalmente si sarebbe presa in mano la situazione. PRESIDENTE. Tra questi banchieri, si possono indicare anche quelli della Banca nazionale dell'agricoltura e della Banca nazionale del lavoro. PELLIZZONI. Mai parlato con nessuno della Banca nazionale dell'agricoltura. Ebbi modo di parlare con Barucci quando era Presidente del Credito italiano. Fui invitato al ristorante dell'Hassler e in quell'occasione mi chiese - non ricordo ora se era già Presidente dell'ABI - qualcosa su di noi, voleva sapere cosa stavamo facendo alla Federconsorzi. BUCCIERO. Lei ne parlò a livello di direttori o di azionisti della Banca nazionale dell'agricoltura? PELLIZZONI. Vorrei precisare che tutte le cariche delle società finanziarie erano sempre del Presidente. Non ero membro del consiglio di amministrazione della Banca nazionale dell'agricoltura; si trattava di un'area in cui a partecipare era il Presidente, per cui ne parlai con lui come direttore generale della Federconsorzi, manager che stava operando e cercando di arrivare a formulare il piano di ammodernamento. PRESIDENTE. Del complessivo indebitamento e del rapporto tra patrimonio complessivo e indebitamento ebbe a parlare con il professor Capaldo? PELLIZZONI. Certo, spessissimo perché lui era la persona che, come dicevo prima, le due Confederazioni mi avevano messo a disposizione per consultarlo. Tra l'altro aveva anche un ufficio non molto lontano dalla Federconsorzi per cui ogni tanto lo chiamavo perché volevo da lui alcuni consigli, ad esempio sulla percorribilità o meno di una certa via.

Per me il professor Capaldo è stato un punto di riferimento e ho lavorato bene con lui; era l'unica persona con cui parlavo usando un certo linguaggio e lui si sentiva anche molto legato a cercare di risolvere questo problema. L'impressione che ne avevo era che gli fosse stato chiesto - non so da chi - un aiuto a risolvere questi problemi.

PRESIDENTE. Lei ha già parlato della stima del patrimonio. Noi non abbiamo ancora visto il piano di risanamento, speriamo di acquisirlo presto, e quindi Le debbo chiedere come furono stimati gli immobili e se eventualmente sono state previste o eseguite delle dismissioni.

PELLIZZONI. Nel primo piano, quello della Cuneo, era stato previsto un certo numero di dismissioni e con la plusvalenza di queste dismissioni si facevano alcune operazioni, quindi lei vede un piano che parte da valori storici e poi prosegue man mano che si effettuano dismissioni. Il problema delle dismissioni cominciò subito dopo la presentazione del piano, il 1° maggio 1990, ed è stato cosa complicatissima. Credo che il massimo che siamo riusciti a fare sia stato di dismettere un paio di immobili. Si cominciarono a prevedere delle procedure estremamente complicate, per assicurarsi che nessuno si potesse approfittare della situazione, al punto che tutto ciò bloccò il sistema: ci furono delle aste andate a vuoto. Insomma, non si riuscì a dismettere nulla. Proprio per questo motivo ogni tanto andavo "a tirare la giacca" al professor Capaldo, chiedendogli di darmi una mano. Infatti, poi, facemmo delle riunioni congiunte Confagricoltura-Coldiretti nelle quali - pur non avendo l'autorevolezza di Capaldo - spingevo questi signori a pensare al famoso "orologio" e dicevo: "Guardate che se qui continuiamo ancora a ritardare le cose, l'orologio degli oneri finanziari ci ucciderà". Devo dire che Capaldo mi diede una grande mano in questo. Anche lui alle volte veniva fuori da queste riunioni un po' depresso, perché c'erano moltissimi problemi.

PRESIDENTE. Questi problemi erano reali o lei ha potuto accorgersi che c'erano delle resistenze a fare le dismissioni? Lei ha vissuto quel periodo e quindi una risposta chiara in tal senso potrebbe essere importante.

PELLIZZONI. L'impressione che ho avuto (le parla una persona che proviene da una scuola anglosassone, per cui vede sempre le cose secondo il principio della bottiglia mezza piena) è che "una certa parte" non volesse privarsi di beni in attesa di un intervento pubblico. E' inutile che venda la quota della Banca Nazionale dell'Agricoltura quando magari fra tre mesi mi verranno 500 miliardi di aiuto pubblico; è inutile che venda i palazzi, quando magari verrà un intervento pubblico. Forse, quindi, una certa ritrosia a dismettere derivava dal fatto che qualcuno pensava di riuscire a far aiutare Federconsorzi.

CARUSO Antonino. Chi pensava questo?

PELLIZZONI. Era "un po' di più" (non voglio offendere nessuno) tutto il filone Confagricoltura, che vantava collegamenti con l'allora presidente Andreotti, ma non furono mai cose esplicitate. Voi avete chiesto la mia impressione da persona di buon senso. Perché non vogliono? Non lo so, probabilmente perché ritengono inutile vendere i "gioielli di famiglia", quando poi si può ereditare dallo zio d'America.

BUCCIERO. Oppure speravano nei crediti verso lo Stato?

PELLIZZONI. Ecco, quando si parla di aiuto non so che cosa potevano immaginare. Può essere che qualcuno riuscisse a mettere qualcosa nella finanziaria, si sarebbero trovati i famosi 1000 miliardi e ciò avrebbe permesso di tirare avanti. Dal mio modo di vedere - l'ho detto prima - se il sistema non funzionava erano solo 1000 miliardi "messi lì" che ci avrebbero fatto vivere per tre anni e poi saremmo tornati da capo.

PRESIDENTE. Parlò mai con Goria delle reali condizioni della Fedit?

PELLIZZONI. No: Goria non l'ho mai visto in vita mia, se non in un'occasione.

Commissariamento: 17 maggio 1991. Dal 18 maggio, cioè da quando arrivarono i Commissari, ho perso completamente il mio ruolo. Ero diventato un signore seduto in un bellissimo ufficio in Via Curtatone, in quanto - cosa che probabilmente si capisce anche - i commissari si erano dati dei ruoli. Il dottor Cigliana era praticamente a tempo pieno, mentre Locatelli e Gambino venivano una volta a settimana o a seconda di quando c'erano dei problemi. Dal momento in cui Cigliana si insediò, fece praticamente l'amministratore unico di Federconsorzi, perché non c'erano più il consiglio di amministrazione, il comitato esecutivo e il collegio sindacale (c'era ancora l'assemblea, ma poteva intervenire solo su alcune questioni). Lui operò dunque praticamente da solo. Ogni tanto, all'inizio, mi mandava delle lettere in cui diceva "ho bisogno di questo e questo" e sembravano quelle classiche comunicazioni che si inviano ad un dirigente quando lo si vuole licenziare, per cercare di "beccarlo in castagna". D'altra parte capivo il momento, bisognava operare con una certa velocità, e comprendevo che era molto meglio una linea di comando diretto, anche per evitare di mettere in imbarazzo i miei collaboratori. Venivo a sapere le cose ogni tanto, solo per avere una presenza fisica nel palazzo, ma non ho mai più potuto incidere su alcun tipo di decisione. Tanto è vero che da direttore generale (che era segretario del comitato esecutivo, del consiglio di amministrazione e dell'assemblea) non ho mai partecipato alle riunioni dei commissari e facevano loro il verbale: le cose, quindi, le venivo a sapere chiedendole ai vari collaboratori.

Dopo che è stato presentato il concordato preventivo, dopo tutta questa grande bagarre iniziale (non ho mai partecipato a riunioni ABI e così via): ero un signore seduto con una matita che aspettava di sapere cosa stesse succedendo.

Alla fine di luglio venne da me Cigliana e mi disse: "Ma lei, dottor Pellizzoni, cosa fa qui? Lei è molto "caro", ma nella situazione che stiamo vivendo non abbiamo bisogno di un manager con le sue caratteristiche. Si sta ridimensionando tutto e sarebbe forse meglio che studiassimo un modo per effettuare la sua uscita". Mi sono detto che forse aveva ragione, ma chiaramente la cosa riempì il mio cuore di una certa amarezza. Telefonai a Lobianco per chiedergli cosa dovevo fare, perché non c'era più nessuno, nemmeno il presidente, ed egli mi disse che avevo un contratto e che lo avrei dovuto far valere. Chiesi a Lobianco stesso se fosse successo qualcosa se avessi chiamato Goria, e lui mi rispose di farlo. Chiamai Goria, che mi diede appuntamento un paio di giorni dopo. Lo andai a trovare e mi fece un lungo discorso sul fatto che il mio lavoro era stato stupendo, ma che ero stato solo un po' ingenuo a fare quel bilancio, che era talmente trasparente che non si sarebbe che potuto agire in altro modo, ma dovevo anche capire che in quella situazione bisognava cambiare le facce. Io risposi che andava bene. Lui mi disse che di lì a poco ci sarebbero state le ferie, che ci si sarebbe sentiti dopo le ferie e che avrebbe cercato di darmi una mano per una situazione alternativa dal punto di vista lavorativo.

Vado in ferie. Nel frattempo Cigliana mi fece un'offerta di risoluzione consensuale approvata dal giudice fallimentare. Alla fine di agosto accettai questa offerta e telefonai al capo di gabinetto di Goria, il quale ultimo non c'era, e il capo di gabinetto medesimo mi rispose che Goria avrebbe preso contatto con me al ritorno da Bruxelles. Il 2 settembre l'ANSA riporta la notizia che "il dottor Silvio Pellizzoni è stato nominato assistente del Ministro Goria per gli affari agroindustriali".

PRESIDENTE. Con quale emolumento, se ce n'era uno?

PELLIZZONI. Non ho mai...

Adesso non lo so, ma siccome lo vedevo un modo per dire "togliti dalle scatole", un modo tale che - poi - tutto il mondo agricolo si ribellò. Insomma, avrò anche fatto il gesto più maleducato della terra, ma non mi sono mai presentato, e nei documenti che ho ricevuto era solo indicato "è stato nominato assistente del Ministro per gli affari agroindustriali". PRESIDENTE. Il che non ha mai avuto conseguenze.

PELLIZZONI. Non ha mai avuto seguito.

PRESIDENTE. Tenterei di scendere un po' più a fondo nella questione, non soltanto per curiosità, ma per capire ciò che avvenne prima e per avere anche un elemento di intelligenza per ciò che è avvenuto dopo.

Lei con il dottor Razzi, il pm di Perugia, nella deposizione del 7 novembre 1995 ebbe ad usare questa espressione, che vorrei interpretare al meglio: "Venni allontanato dalla Fedit su sollecitazione politica e da allora non ho trovato alcun impiego dirigenziale né nel settore privato né in quello pubblico."

PELLIZZONI. E' vero.

PRESIDENTE. Leggendo queste parole, senza conoscere i fatti, può sembrare che lei con il suo operato, con la presentazione del piano di risanamento, abbia disturbato - è una mia opinione - equilibri politici consolidati, e che perciò abbia dovuto subire una punizione valevole anche per il futuro. Quali colpe doveva scontare ?

PELLIZZONI. Non posso rispondere con certezza; posso riferire impressioni. Interpretando la mia nomina ad assistente come una sorta di medaglietta per un lavoro ben svolto, non mi presentai. Sono stato forse maleducato, ma nessuno dal Ministero dell'Agricoltura mi telefonò per avere mie notizie. Si vociferò anche di una decisione politica: ero l'unico rappresentante del vecchio mondo, un uomo di Confagricoltura e Coldiretti, l'unico ad avere questo connotato. Il fatto di non aver trovato lavoro non è dipeso dalla nomina ad assistente del Ministro dell'Agricoltura, che i miei conoscenti interpretarono positivamente. Il mondo agricolo e sindacale pensò che fosse intervenuto un accordo tra me ed il ministro Goria per far commissariare la Federconsorzi e ciò mi ha nuociuto.

In secondo luogo mi hanno danneggiato gli avvisi di garanzia. Conosco tutte le società di recruting di Milano, avendo ricoperto incarichi di direttore generale fin da giovanissima età ed essendo citato sui giornali tra i managers più richiesti. Le società però mi chiedevano se avessi risolto il problema dell'avviso di garanzia per bancarotta fraudolenta e per bancarotta preferenziale. L'unica alternativa che ho avuto è stata quella di continuare a fare il consulente, da solo. Recentemente, con un collega di Mc Kinsey ed un collega di Booz - Allen ho costituito una piccola società che si chiama Arkon. Nel mondo del lavoro sono stato distrutto: da otto anni vivo principalmente dei risparmi accumulati e sto cominciando ad intaccare quelli della mia famiglia.

PRESIDENTE. Il piano di risanamento che ci ha esposto, che ci riserviamo di esaminare in modo specifico e sul quale potremmo avere un ulteriore colloquio, disturbava, a suo avviso, un equilibrio consolidato? All'inizio dell'audizione lei ha formulato un atto di accusa contro l'inefficienza del sistema gestionale di Federconsorzi, così come si è stratificato nel tempo. Pensa di aver potuto nuocere a qualcuno sotto il profilo politico?

PELLIZZONI. Non lo so. Negli anni ho accumulato una grande competenza tecnica, ma una scarsa sensibilità politica. PRESIDENTE. Esistevano somme a disposizione del direttore generale per la gestione riservata?

PELLIZZONI. Assolutamente no, non ho mai gestito una lira.

PRESIDENTE. Ebbe occasione di accorgersi di fondi riservati o di una particolare utilizzazione delle riserve?

PELLIZZONI. No, mai. Nelle analisi dei bilanci si scoprì, ad un certo punto, che nel passivo erano inseriti debiti vecchissimi, degli anni '50-'60. Ascoltammo i nostri consulenti i quali ci dissero che non potevamo cancellare i debiti, ma dovevamo verificare se fossero stati prescritti. Prendemmo la Coopers and Lybrand e analizzammo tutti i debiti. Nel bilancio del 1989 furono cancellati circa 150-200 miliardi.

BUCCIERO. Rispetto a quali soggetti erano stati contratti questi debiti?

PELLIZZONI. Il dottor Bambara può rispondere in maniera precisa.

CARUSO Antonino. Erano benefattori vari? PELLIZZONI. Risalivano agli anni '60, erano legati agli ammassi. BUCCIERO. Quale scopo aveva il perpetuarsi della iscrizione a debito? Non lo ha chiesto? PELLIZZONI. Ne abbiamo parlato con gli ispettori del Ministero i quali affermarono che non dovevano essere cancellati. Se però dovevo certificare il bilancio, non potevo lasciarli lì; per toglierli dovevo seguire una procedura precisa. Tutti i fiscalisti ed i legali che ho consultato hanno suggerito di verificare ogni singolo debito, che, qualora avesse superato i 10 anni di prescrizione, avrebbe potuto essere cancellato. Nei bilanci del 1989 e del 1990 sono specificate molto bene le passività liberate. Abbiamo potuto verificare, attraverso un'Audit, che una certa somma era andata in prescrizione. PRESIDENTE. Quale era la gestione riservata? Quella che in Fedit era contrassegnata con la lettera "R" ? PELLIZZONI. Può rivolgere questa domanda al presidente. Tra le altre cose, quando fui nominato direttore generale, ricordo che mi venne tolta la delega relativa ai rapporti con le due Confederazioni che precedentemente faceva parte di quelle affidate al direttore generale, tanto è vero che quando Truzzi era presidente e Scotti era direttore generale, erano loro ad intrattenere tali rapporti. Ripeto, quando fui nominato, la suddetta delega passò ad essere di competenza del presidente Scotti. Al riguardo, quindi, anche se con le Confederazioni ebbi moltissimi rapporti sul piano della operatività e delle strategie, non ne ebbi mai su quello amministrativo. PRESIDENTE. Dottor Pellizzoni, desidero porle una domanda che potrà forse sembrarle indiscreta... PELLIZZONI. Sono otto anni che vorrei che mi si desse l'opportunità di rispondere a domande indiscrete... PRESIDENTE. Ci sono stati dei suoi familiari ad avere interessi in una delle società incaricate di prestare delle consulenze? PELLIZZONI. No. Al riguardo, mi chiedo come possa un pubblico ministero procedere ad un rinvio a giudizio solamente perché un certo signor Lorenzi - peraltro anche in galera - sostiene che in Federconsorzi giravano delle voci secondo cui la moglie di Pellizzoni aveva una partecipazione alla Cuneo Associati. Magari l'avesse avuta, considerato che la Cuneo Associati è una delle più grosse società di consulenza italiane! Ribadisco che la signora Pellizzoni faceva la casalinga. Non solo, vorrei precisare anche che Gianluca Pellizzoni in realtà si chiama Gianluca Ponzellini. Al riguardo, vorrei aprire una parentesi: medici, avvocati, professionisti, quando sbagliano sono chiamati qui davanti alla Commissione o ai tribunali per giustificare i loro eventuali errori. Ora, però, come si fa a prendere una perizia dove si parla di Gianluca Ponzellini e a tradurla in una richiesta di rinvio a giudizio con la dizione: Gianluca Pellizzoni! Se si avesse un minimo di coscienza si chiamerebbe a rispondere il signor Pellizzoni e gli si porrebbero le domande che lei, signor Presidente, mi sta rivolgendo. Perché non si procede in questo modo? Vi rendete conto del danno morale che questa vicenda mi ha creato e di tutte le voci che sono girate sul mio conto in Federconsorzi ed in altri ambiti! Perché non c'è un minimo di diligenza? BUCCIERO. L'inchiesta sulla magistratura la faremo in un'altra occasione. PELLIZZONI. Senatore, mi permetta umanamente uno sfogo; perché, torno a ripetere non c'è un minimo di diligenza su tali questioni! Anche perché va considerato che se poi si accerta che non esistono responsabilità, di ciò se ne ha notizia solo in un trafiletto di giornale! PRESIDENTE. Lei, dottor Pellizzoni, ha il diritto di rispondere nel modo che ritiene più giusto. Chiuderei la seduta rivolgendole due ulteriori domande per poi riprendere l'audizione in una futura occasione. La Fedit durante il suo periodo di gestione ha finanziato manifestazioni di partito o comunque politiche? PELLIZZONI. Desidero premettere che non ero conosciuto nel mondo politico per il quale ero soltanto uno strano individuo che veniva da Milano. Pertanto, qualsiasi richiesta di finanziamento generalmente perveniva al presidente Scotti che svolgeva questa funzione da 12 anni e quindi era un personaggio molto conosciuto. Nel merito, se ricordo bene, in quel periodo furono finanziate manifestazioni agricole e, probabilmente, fu erogato qualche contributo a favore di manifestazioni politiche ma solo quando si trattava di eventi in qualche modo collegati all'agricoltura. Tuttavia, torno a ripetere, di tali questioni si occupava il presidente Scotti e quindi lui potrebbe essere senz'altro più preciso su questo argomento. PRESIDENTE. Dottor Pellizzoni, era al corrente dell'esistenza di un caveau occultato da un armadio negli uffici della Fedit? PELLIZZONI. Questa è una delle notizie che sorprese tutti. PRESIDENTE. Tuttavia esisteva! PELLIZZONI. Io non ne conoscevo l'esistenza, forse potreste chiederlo al dottor Bambara che su questo argomento sa tutto. Quando in data 15 settembre - formalmente il 31 di agosto - lasciai il mio incarico, fu nominato direttore generale il dottor Bambara che era stato il mio direttore amministrativo- finanziario e quindi credo che tutte le vicende che seguirono al mio periodo di gestione siano a sua conoscenza. Tra l'altro, mi è capitato di incontrarlo a Roma e ricordo che, in tali occasioni, ha avuto modo di mettermi al corrente di vari fatti, ma non di questo caveau di cui sono venuto a conoscenza dai giornali. So comunque che questa vicenda era nota al dottor Bambara. PRESIDENTE. Sapeva dell'esistenza dei titoli - che ammontavano a circa 800 miliardi - che sono stati poi trovati in questo caveau? PELLIZZONI. No, non so niente. Torno a ripetere che il dottor Bambara dovrebbe invece essere al corrente di questa vicenda. PRESIDENTE. In quali banche erano depositati i circa 140 miliardi della Fedit ad interesse pari quasi a zero? PELLIZZONI. Non lo so. CARUSO Antonino. Signor Presidente, mi riservo di porre alcune domande al dottor Pellizzoni nella prossima audizione. Tuttavia, per ragioni di tempo, vorrei approfondire un argomento che è stato già oggetto di alcune delle domande da lei poste e riguardanti la cancellazione dei debiti datati, nel bilancio della Fedit. Dottor Pellizzoni, lei ci ha parlato della procedura obbligata attraverso cui si è pervenuti a questa obiettiva incamerazione di poste insussistenti, tuttavia la sua delucidazione ha evocato in me qualche dubbio. Lei ha dichiarato di aver incaricato degli auditors per individuare i singoli conti, per analizzarli e per pervenire ad una conclusione di legittimità riguardo all'operato contabile della cancellazione di questi debiti. Ebbene, la domanda che pongo al riguardo è la seguente: la struttura della Federconsorzi, quindi i dirigenti, il più volte nominato dottor Bambara - in quel momento direttore amministrativo - la struttura di riferimento della direzione amministrativa, gli impiegati, non erano in grado di ripercorrere questi conti di bilancio per poi individuare un fatto oggettivo e banale e cioè se questi crediti di terzi verso la Federconsorzi fossero in realtà assistiti da comunicazioni formali di interruzione della prescrizione? Seconda domanda. Dottor Pellizzoni, mi consenta, se si trattava di crediti di terzi nei confronti della Federconsorzi - e cioè di quell'istituto di cui lei prima ha dichiarato, riferendosi ad un'altra questione, che pagava puntualmente a 90 giorni i propri fornitori - la direzione generale, e quindi lei ed in genere l'apice organizzativo dell'azienda, non si chiese per quale ragione questa molteplicità di soggetti terzi mancò di rivendicare i crediti, immagino per prestazioni fornite? PELLIZZONI. Prima di tutto desidero precisare che io sono arrivato in Fedit nell'aprile dell'89 mentre il dottor Bambara nell'ottobre dello stesso anno, e quindi era più giovane di me riguardo alle vicende della Federconsorzi. Considerato che il vecchio direttore amministrativo era andato in pensione e il dottor Anghileri si era dimesso, fu assunto il dottor Bambara, il quale, tra i suoi innumerevoli compiti, aveva anche quello di portare il bilancio in una situazione di ordine, obiettivo quest'ultimo che anch'io portavo avanti. Quando mi vennero a riferire su determinate questioni, ricordo che interpellammo una serie di professionisti anche perché va tenuto presente che talvolta di alcuni aspetti non si avevano neanche delle tracce cartacee: bisognava quindi, rifare la vita di Federconsorzi dal 1960 al 1989. Chiedemmo anche al Presidente - perché era l'unica memoria storica che esisteva in quel determinato momento - e lui stesso ci riferì che erano cose vecchissime, che erano sempre rimaste nel bilancio e che nessuno aveva mai pensato di togliere. Allora, il lavoro che ci sembrò più efficace e più corretto fu quello di prendere iscrizione per iscrizione a bilancio e andare a verificare quello che esisteva e quello che non esisteva. Chiaramente questo è un lavoro che non ho fatto materialmente io - io supervisionavo - ma che era delegato alla società di auditing, eccetera. Se lei mi chiede oggi che cosa abbiamo trovato, non glielo so dire. So che hanno trovato il primo anno più di 100 miliardi prescritti e nel secondo anno quasi 200 miliardi prescritti. Nessuno ha mai pensato di fare un excursus storico - forse avrebbe dovuto farlo il Ministero - perché risalivano ad anni precedenti, perché avevamo tante altre cose da fare e perché tutto il sistema delle cosiddette liquidazioni passate era complicatissimo, c'era un apposito ufficio al Ministero. Lei sa che non erano state chiuse ancora situazioni che riguardavano soldi che lo Stato doveva a Federconsorzi per i servizi resi per gli anni precedenti. Di questa parte, per esempio, non mi sono occupato; non perché non lo volessi fare, ma perché era talmente complicata e specialistica per cui Scotti stesso si fece parte diligente e disse: "Lei ha tante cose da fare, me ne occupo io". Quindi su questo, non è che non voglio rispondere, ma fareste bene a sentire il cavalier Scotti e il dottor Bambara che senz'altro vi daranno le informazioni che volete.

CARUSO Antonino. Mi scusi, la domanda è: ci sono 500 miliardi di debiti di Federconsorzi nei confronti di terzi; non si riesce a comprendere dagli elementi che sono visibili chi sono i terzi... PELLIZZONI. Probabilmente di molti ci sono. Se prendiamo in mano le relazioni che hanno fatto questi auditors, queste cose sono specificate.

CARUSO Antonino. Mi consenta, ma io ho percorsi elementari. Lei, esaminando un progetto di bilancio, si avvede che ci sono 500 miliardi di debiti di Federconsorzi verso terzi; dai dati che esamina in quel momento non sa chi sono i terzi, non sa per che cosa Federconsorzi è debitrice nei confronti di questi terzi e non sa per quali singole cose; l'unica cosa che sa - da quello che ho capito - è che questi debiti di Federconsorzi risalgono ad epoca archeologica. A questo punto, lei poteva prendere il signor "Brambilla" - "se fosse stato ancora in territorio monzese" - o piuttosto un altro impiegato di Federconsorzi e dirgli: "analizza questo conto, dimmi chi è, per che cosa, quando e se ha mai interrotto la prescrizione di questo suo credito nei confronti di Federconsorzi". Invece lei fa un'altra cosa, e cioè nomina una società di auditing per svolgere questo compito.

Quindi, la mia prima domanda era: lei, da direttore generale, quindi da vertice organizzativo di Federconsorzi, era nella consapevolezza che la struttura, composta da svariate centinaia di dirigenti e migliaia di impiegati, non era in grado di svolgere questo compito?

La seconda domanda: al di là del fatto che fossero cose remote, non si è chiesto se dietro queste cose remote, essendo impensabile che non vi fossero state rivendicazioni da parte dei terzi, non potessero nascondersi, viceversa, delle alchimie di bilancio che dovevano giustificare... PASQUINI. Riserve occulte.

CARUSO Antonino. Il senatore Pasquini le chiama riserve occulte, diciamo altre poste contabili di cui queste costituivano mascheramenti?

PELLIZZONI. Non ho nominato il signor "Brambilla" all'interno, per le stesse ragioni per cui ci siamo rivolti alla Metodo e a Pavan di Milano, perché volevamo che ci fosse una visione esterna su un certo tipo di problemi.

BUCCIERO. Perché lei non si fidava dei dirigenti? PELLIZZONI. Beh, fidarsi di un dirigente... BUCCIERO. Le faccio questa domanda: lei si fidava o non si fidava dei dirigenti? PELLIZZONI. C'era una certa solidarietà tra il gruppo dirigenziale per cui ero molto cauto in quello che mi dicevano e non mi dicevano. Questa è la mia risposta. Inoltre, per un problema così grosso occorreva qualcuno estremamente autorevole. In questo caso, per esempio, non abbiamo dato l'incarico alla Metodo, pur essendo bravissima - e la Metodo ha lavorato con Federconsorzi anche per diversi anni dopo il commissariamento, quindi fu accettata anche dagli stessi commissari -, perché c'era la Coopers & Lybrand. Abbiamo interpellato due legali e due fiscalisti e ci hanno consigliato questa società. L'unica cosa che forse lei mi può dire è perché non ho letto il rapporto. Sì, forse il rapporto non l'ho letto, però quando il direttore amministrativo e la Coopers & Lybrand vengono nel mio ufficio e mi dicono che hanno analizzato uno per uno questi crediti e che questi non esistono, per cui valgono tanto, per cui in bilancio scriveremo questo, per me, nel ruolo di direttore generale, è stata una diligenza sufficiente. Forse lei mi potrebbe dire che avrei potuto prendere l'elenco dei numerosi nomi e analizzarli uno per uno; questo non l'ho fatto. CARUSO Antonino. Dottor Pellizzoni, lei prima ha avuto uno sfogo sul trattamento che ha subito e che subisce tuttora. Non vorrei che scambiasse me per l'ennesimo pubblico ministero con cui si deve misurare; non ho alcuna intenzione e nessun compito per criminalizzare il suo operato.

Le domande erano semplicemente volte al fine di capire e lei deve riconoscere che, in parte, la ripetizione delle domande ha sortito anche un effetto maieutico, perché lei ci ha detto una cosa che è interessante ai fini e per gli obiettivi di questa Commissione, cioè ha spiegato che aveva a volte il dubbio, a volte la sensazione, di percorsi solidali all'interno della struttura...

PELLIZZONI. Questo molto. CARUSO Antonino. ... tali da giustificare, per esempio, che l'indagine su un problema che poteva essere critico fosse svolta da un soggetto terzo, a condizioni ovviamente più onerose per Federconsorzi, perché andava a duplicare un costo rispetto a quello della struttura ordinaria che poteva svolgere... PELLIZZONI. Non credo per quel motivo, perché la struttura ordinaria si occupava di altre cose. Non c'era un servizio ispettorato all'interno della Federconsorzi. CARUSO Antonino. Qui serviva un impiegato che prendeva, per esempio, il fascicolo del trasportatore tal dei tali, osservava la fattura, il mancato pagamento... PELLIZZONI. Sì, d'accordo. E lei scrive su un bilancio che ha tolto 120 miliardi perché un "Giovanni Rossi" di Federconsorzi ha detto che non c'è più? Non volevo trovarmi poi dopo con un'altra accusa di aver tolto delle cose che invece esistevano. E se aveva commesso un errore? Un conto è se fa un errore la Coopers & Lybrand, che è un soggetto qualificato, viene chiamata apposta per far questo e mi hai detto questa cosa. Io al signor "Giovanni Rossi" di Federconsorzi - ammesso che esistesse un soggetto in grado di fare una cosa del genere - non avrei mai affidato un compito del genere.

BUCCIERO. Cioè erano degli impiegati e dei dirigenti irresponsabili?

PELLIZZONI. No, era gente che per anni era stata abituata a fare determinate cose. La maggior parte dei dirigenti era quasi a livello di pensionamento. Non c'era una situazione di competitività. Il fatto che arrivasse un auditing in Federconsorzi credo che abbia creato scandalo sopra scandalo.

Il primo giorno che arrivai alla Federconsorzi, in via Curtatone, all'esterno non solo non compariva alcun numero, ma non c'era nemmeno il nome Federconsorzi. Quando entrai alla Federconsorzi si disse che era arrivato uno strano personaggio da Milano, un giovane che ogni tanto parlava in inglese. E io avrei dovuto dare un compito del genere al signor "Brambilla"? Accusatemi pure di negligenza o di imperizia.

CARUSO Antonino. Chiedo che la Commissione disponga l'acquisizione del rapporto fornito dalla società di revisione indicata dal dottor Pellizzoni, a seguito del quale venne disposta la prescrizione dei debiti Fedit.

PELLIZZONI. Nel passivo della Fedeconsorzi rientravano debiti di vario genere. Chiedo scusa, sono passati nove anni e la mia memoria non mi consente di ricordare esattamente ogni cosa.

PRESIDENTE. Dottor Pellizzoni, vorrei capire se la procedura della prescrizione seguita per i debiti è stata adottata anche per i crediti.

PELLIZZONI. Da quanto so esistevano tutti. Non vi erano crediti prescritti. Non mi risulta inoltre che un nostro credito verso terzi avesse più di dieci anni. Scusate, ho svolto un lavoro per 24 mesi, se poi nei sei anni successivi sono emerse o accadute cose diverse io non ne sono a conoscenza.

PRESIDENTE. Ha ragione, non siamo degli inquirenti, desideriamo soltanto rivolgerle delle domande. Devo dire, assumendomene la responsabilità, che anche da parte dei giudici inquirenti è mancato l'approfondimento di alcune questioni particolareggiate e complesse. Quindi, dovendo questa Commissione presentare al Parlamento una visione d'insieme, sorge la necessità di andare oltre la visione emersa nelle indagini delle Procure di Perugia, di Roma o di qualsiasi altra città. Il nostro è un ruolo più ampio che in qualche modo supera addirittura le competenze della stessa magistratura inquirente.

PELLIZZONI. Come ho già affermato all'inizio, auspico da parte vostra un approfondimento dell'intera vicenda. Ho visto fare cose con una superficialità tale da far trarre conclusioni assolutamente prive di significato. Non vorrei aver dato adito alla sensazione di essermi seccato per le domande che mi avete rivolte. Divento animoso perché fa parte del mio carattere.

BUCCIERO. Di persone animose ne abbiamo parecchie in questa Commissione.

PELLIZZONI. Ho spiegato i fatti, come dice lei, in maniera monzese, brianzola. Desidero tuttavia che mi rivolgiate qualsiasi domanda perché voglio che del periodo in cui ho lavorato alla Fedit si sappia, ora per ora, quello che ho fatto, che ho scritto e tutte le persone che ho incontrato. Sono stufo di constatare che da nove anni il mio periodo venga ignorato.

PRESIDENTE. Dottor Pellizzoni, siamo consapevoli di tutto ciò. Tra l'altro, il senatore Antonino Caruso solo apparentemente è la persona più calma della Commissione; in realtà usa la parola come un fendente, tanto che la spada è meno pericolosa. A chiusura di questa nostra audizione, le volevo rivolgere un'ultima domanda. E' mai venuto in possesso di un'indicazione scritta, anche di una bozza, di un appunto da parte del professor Capaldo?

PELLIZZONI. All'interno della Federconsorzi non ho mai visto alcun documento firmato dal professor Capaldo. Il dottor Genualdo, invece, mi ha fatto vedere i risultati di alcune analisi effettuate (classificazioni). Probabilmente si trattava di stralci del lavoro compiuto in quel determinato periodo. Comunque, non ho mai visionato alcun documento che portasse la firma del professor Capaldo.

BUCCIERO. Signor Presidente, vorrei rivolgere una breve domanda al dottor Pellizzoni. Quando entrò alla Fedit, e credo anche quando entrò alla Polenghi, conosceva esattamente la natura giuridica della Fedit?

PELLIZZONI. No.

BUCCIERO. Quando ne è venuto a conoscenza?

PELLIZZONI. Della Fedital ne ero perfettamente a conoscenza trattandosi di una Spa.

BUCCIERO. Le ho chiesto della Fedit.

PELLIZZONI. Quanto alla Fedit, una delle prime cose che mi feci dare il primo giorno, il 14 mattina, fu proprio lo Statuto della Federconsorzi che ho riletto più volte per capire "quale strano animale fosse". Non solo, chiesi anche un parere al professor Cassese affinché mi spiegasse di cosa si trattava, dal momento che mi trovavo di fronte ad uno strumento per me nuovo che non mi era mai capitato di vedere prima. Inoltre, ci tenevo a capire bene quale fosse il ruolo del direttore generale e quindi che tipo di diritti e di obblighi ero chiamato ad acquisire e ad assumermi. Nessuno di noi però si pose mai il problema della natura giuridica pubblica o privata della Federconsorzi.

BUCCIERO. Quindi conosceva perfettamente la natura giuridica della Federconsorzi.

PELLIZZONI. No, il professor Cassese mi aveva spiegato come funzionava la struttura e quale era il mio ruolo, ma non ci ponemmo mai alcuna domanda sulla natura, pubblica o privata, della Federconsorzi. L'interpretazione che ne davamo era che fosse di natura privata, ma il problema non fu mai sviscerato.

BUCCIERO. Mi scusi, quindi al suo amico, direttore delle banche estere, lei non ha mai detto che era di natura privata.

PELLIZZONI. Questa persona l'ho rivista solo dopo il commissariamento. Ho incontrato di nuovo questo amico dopo tanti anni proprio a seguito del commissariamento. In quell'occasione, infatti, venne alla Federconsorzi e quindi ci salutammo, ma non ci incontrammo mai prima di allora.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Pellizzoni per la disponibilità manifestata a rispondere a tutte le nostre domande. Rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

La Commissione tornerà a riunirsi martedì, 27 luglio 1999, alle ore 11,30, per procedere all'audizione dell'avvocato Francesco Lettera.

I lavori terminano alle ore 14,15.