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Audizioni Commissione d'inchiesta Federconsorzi/40

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Audizione Scotti

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SENATO DELLA REPUBBLICA----------------CAMERA DEI DEPUTATI XIII LEGISLATURA


COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA SUL DISSESTO DELLA FEDERAZIONE ITALIANA DEI CONSORZI AGRARI __________


RESOCONTO STENOGRAFICO 40a SEDUTA MARTEDI’ 25 LUGLIO 2000 __________


Presidenza del presidente Melchiorre CIRAMI


I lavori hanno inizio alle ore 12,15. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente) Presidenza del presidente CIRAMI Comunicazioni del Presidente. PRESIDENTE. Vi comunico che l’Ufficio di Presidenza integrato dai rappresentanti dei Gruppi, nella riunione del 12 luglio 2000, ha deliberato di rideterminare, con decorrenza 1o agosto 2000, nella misura di lire due milioni e mezzo mensili, l’importo delle indennità spettanti ai collaboratori che svolgono attività di consulenza in via continuativa. Informo altresì che, in ottemperanza a quanto deliberato dall’Ufficio di Presidenza costituito in apposito Comitato nella riunione del 14 giugno 2000, la segreteria della Commissione ha provveduto, sotto la mia supervisione, a fotocopiare le agende relative agli anni 1991-1992 consegnate dal dottor Cigliana e ad individuare le parti contenenti annotazioni attinenti all’oggetto dell’inchiesta parlamentare, apponendo gli omissis sulle restanti parti. Preciso che le fotocopie di tali parti sono state da me siglate come copia conforme all’originale e che si è proceduto, quindi, alla trascrizione delle annotazioni, al fine di agevolarne la lettura. Tale trascrizione è stata sottoposta, martedì 27 giugno, al dottor Cigliana, il quale ne ha attestato la perfetta corrispondenza alle annotazioni autografe contenute nelle agende, che gli sono state pertanto restituite. Come convenuto in sede di Ufficio di Presidenza, propongo che le fotocopie integrali delle agende siano distrutte, essendo venuta meno qualsiasi ragione per la conservazione delle stesse, in quanto, ai fini dell’inchiesta parlamentare, assumono rilevanza esclusivamente le copie delle parti contenenti annotazioni riguardanti la vicenda Federconsorzi. Propongo altresì che il documento, costituito dalle fotocopie delle parti delle agende 1991-92 attinenti all’inchiesta e dalle trascrizioni delle stesse, sia classificato come riservato, ai sensi dell’articolo 4 del Regolamento interno sulla classificazione degli atti. Non facendosi osservazioni così resta stabilito. Vi comunico, infine, di aver trasmesso, in data 28 giugno, al Ministro delle politiche agricole e forestali, il testo delle domande formulate nel corso dell’audizione del 27 giugno 2000, alle quali il Ministro si era riservato di rispondere dopo aver raccolto le necessarie informazioni presso i competenti uffici del suo Dicastero.

Audizione del ragionier Luigi Scotti, in qualità di ex direttore generale ed ex presidente della Federconsorzi

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca l’audizione del ragionier Luigi Scotti, che ringrazio per aver accolto con cortese disponibilità l’invito della Commissione.

Ricordo che i lavori si svolgono in forma pubblica, secondo quanto dispone l’articolo 7 della legge n. 33 del 2 marzo 1998, e che è dunque attivato, ai sensi dell’articolo, 12, comma 2, del Regolamento interno, l’impianto audiovisivo a circuito chiuso.

Qualora da parte del ragionier Scotti o di colleghi lo si ritenga opportuno in relazione ad argomenti che si vogliono mantenere riservati, disattiverò l’impianto audiovisivo per il tempo necessario.

Ricordo che l’audizione si svolge, ai sensi dell’articolo 15, comma 3, del Regolamento interno, in forma libera e che il ragionier Scotti ha ritenuto di farsi assistere dal difensore, avvocato Massimo Biffa.

Preciso, infine, che dell’audizione odierna è redatto il resoconto stenografico, che sarà sottoposto, ai sensi dell’articolo 12, comma 6, del Regolamento interno, alla persona ascoltata ed ai colleghi intervenuti perché provvedano a sottoscriverlo apportando le correzioni di forma che riterranno, in vista della pubblicazione negli atti parlamentari.

Infine, ricordo che il cavalier Scotti ha rivestito la carica di direttore generale della Federconsorzi dal 1982 al 1989 e di presidente dal 1989 alla data del commissariamento della Fedit.

Prima di formulare delle domande, vorrei premettere che il cavalier Scotti ha reso diffuse dichiarazioni alla Commissione di indagine ministeriale Poli Bortone. La sua posizione è, in sintesi, la seguente: la Federconsorzi fu commissariata inopinatamente; essa non era in stato di insolvenza; il patrimonio era tale da coprire l’indebitamento; l’indebitamento fu dovuto ad una scelta di sostegno dei consorzi coerente con gli scopi della Fedit; la Fedit era governata dalle associazioni di categoria esterne; esisteva poi un problema strutturale di sottocapitalizzazione della Fedit e dei consorzi.

SCOTTI. Signor Presidente, ovviamente sono qui per rispondere e per collaborare, come richiesto da Lei e dagli onorevoli membri della Commissione.

Se consente, vorrei presentarmi. Mi chiamo Luigi Scotti, sono nato a Lodi il 16 marzo 1921 e risiedo in Milano, Via Stromboli n. 3; coniugato con quattro figli, di cui tre viventi.

Sono entrato nell’organizzazione federconsortile il 9 luglio 1935, quale impiegato presso il Consorzio agrario di Lodi, Milano e Pavia: quindi all’età di 14 anni.

Ho percorso nel predetto Consorzio parecchi gradi della carriera fino a raggiungere, nel 1944, quello di capo ufficio. Nel 1955 fui richiesto dalla Federconsorzi per ricoprire la carica di capo dei servizi amministrativi presso il Consorzio agrario provinciale di Brescia; nel 1956 ritornai al Consorzio di Milano, con la stessa qualifica, divenendone vice direttore nel 1960.

Nel 1969, dopo avere risposto, nel frattempo, negativamente ad alcune proposte di direzione presso altri consorzi agrari, assunsi la direzione di quello di Como, che tenni fino al 1971, dopo di che assunsi la direzione del Consorzio agrario di Milano che lasciai nel 1980 per la direzione dell’Ufficio interregionale di Milano della Federconsorzi, avente giurisdizione sui consorzi della Lombardia, del Piemonte e della Liguria.

Infine, il 1° agosto 1982 fui nominato direttore generale della Federazione italiana dei consorzi agrari, carica che lasciai il 13 aprile 1989 per assumerne la presidenza.

Per quanto riguarda queste due ultime cariche e con riferimento all’attività svolta in detto periodo lascerò questo appunto.

Per quanto concerne i miei studi, ottenni la licenza di avviamento commerciale nel giugno del 1935. Quando mi fu possibile ripresi privatamente gli studi fino ad ottenere il diploma di ragioniere e perito commerciale.

Numerose sono state le cariche da me ricoperte durante la mia permanenza alla direzione generale e alla presidenza della Federconsorzi. Le elenco: presidente della Agrialco - Società di valorizzazione agricola s.r.l. di Foggia (a titolo completamente gratuito); consigliere della Banca di credito agrario di Ferrara (a titolo completamente gratuito, salvo per gettoni di presenza per complessive lire 800.000 lorde per tutto il periodo della carica); consigliere della Banca nazionale del lavoro, sezione autonoma di credito alberghiero e turistico (e non, come indicato, della sezione della cooperazione); amministratore delegato e presidente della Cappa, società consortile a responsabilità limitata (a titolo completamente gratuito); consigliere delegato del FATA, Fondo assicurativo tra agricoltori s.p.a., assicurazioni e rassicurazioni (a titolo gratuito fino al 13.04.1989); presidente della Federconsorzi Leasing s.p.a.; vice presidente della Federgraf s.r.l. (a titolo completamente gratuito); consigliere delegato della SAI, Società adriatica interconsortile s.p.a. (a titolo completamente gratuito); presidente della Agrifactoring s.p.a.; consigliere delegato nonché presidente della Arsol, Industria italiana prodotti sol. s.p.a. (a titolo completamente gratuito); vice presidente della Cerzoo, Centro ricerche per la zootecnia e l’ambiente a responsabilità limitata (a titolo completamente gratuito); presidente della Federfin s.p.a. (a titolo completamente gratuito); consigliere della Enichem agricoltura s.p.a. di Palermo; presidente della Feditinvest s.p.a. (a titolo completamente gratuito); consigliere delegato della SAIIM, Società agricola immobiliare interconsortile del Mezzogiorno s.p.a. (a titolo completamente gratuito); consigliere delegato e presidente dello Zuccherificio castiglionese s.p.a. (in relazione ai quali ho percepito emolumenti solo per il 1990 per lire 2.400.000 lorde e nessun compenso per gli anni precedenti); vice presidente della Banca nazionale dell’agricoltura; consigliere delegato della S.A.S.A., Società per azioni saccherie agricole (a titolo completamente gratuito); presidente della S.I.L.I.A., Società italiana lavorazioni industriali Aprilia s.p.a. (a titolo completamente gratuito); consigliere delegato e presidente della S.I.A.P.A., Società italo-americana prodotti antiparassitari s.p.a. (a titolo completamente gratuito); presidente della Massalombarda Colombani s.p.a. (in relazione al quale ho percepito emolumenti solo per il 1990 per lire 8.384.000 lorde e nessun compenso per gli anni precedenti); amministratore delegato, fino al 19.07.1989, della Fedital s.p.a. (a titolo completamente gratuito).

PRESIDENTE. Le voglio porre una serie di domande in relazione ad alcuni temi, il primo dei quali riguarda i rapporti con le associazioni di categoria e gli affari "riservati" alla direzione.

Chi gestiva rapporti con la Coldiretti e la Confagricoltura?

SCOTTI I rapporti con la Coldiretti e la Confagricoltura li gestivo io come direttore generale e poi come presidente, sotto il profilo finanziario, a seguito di una delibera del consiglio di amministrazione, delibera che veniva assunta ogni triennio. Comunque, una delibera sempre identica.

PRESIDENTE. Abbiamo già agli atti questa delibera. Quando è che la Federazione iniziò a dare contributi alle due associazioni e di quali e quanti contributi si trattava?

SCOTTI. La Federazione ha iniziato a dare contributi alle due associazioni prima della mia direzione generale, credo nel 1980 o forse anche prima. So però che la Federconsorzi divenne socia delle due Confederazioni nell’anno 1981. Infatti, in esecuzione della deliberazione adottata nella riunione del proprio consiglio di amministrazione dell’11 giugno 1981, comunicata il 30 giugno 1981 al Ministero dell’agricoltura e delle foreste, che ne ha preso atto, la Federconsorzi, volendo proseguire nell’opera di sostegno prestata nei confronti della Confederazione italiana dei coltivatori diretti e della Confederazione generale dell’agricoltura italiana, chiedeva alle citate organizzazioni, con lettera in data 11 settembre 1981 a firma del direttore generale dell’epoca Bassi, che le venisse formalmente riconosciuta anche per il futuro la qualità di socio aderente, richiesta che veniva accolta. Le due organizzazioni interessate rispondevano, con lettere rispettivamente in data 26 novembre 1981 e 7 ottobre 1981, comunicando che era stata deliberata l’ammissione della Federconsorzi quale socio aderente. Ogni anno venivano fissate le quote associative, che venivano comunicate dalle Confederazioni alla Federconsorzi mediante l’invio della delibera internamente assunta a firma dei rispettivi presidenti, Lobianco, da una parte, e dall’altra, se ben ricordo, Wallner, e prima di Wallner, Serra.

PRESIDENTE. Erano solo questi i contributi che erogava la Federconsorzi alle due associazioni?

SCOTTI. No, la Federconsorzi dava anche qualche contributo in occasione di convegni e manifestazioni nei quali le due organizzazioni si preoccupavano di sviluppare la promozione a favore della Federconsorzi, a favore dei consorzi agrari, eccetera.

PRESIDENTE. Quale era l’ammontare dei contributi extra?

SCOTTI. Questo francamente non lo ricordo.

PRESIDENTE. E nelle scritture contabili come venivano annotati questi contributi?

SCOTTI. Erano in bilancio, non so in quale conto venissero annotati, perché avevamo il ragioniere capo che prima era il ragionier Fortunato e successivamente il dottor Bambara. Comunque erano tutti iscritti nelle scritture contabili e tutti iscritti in bilancio. Ma non le so dire francamente in quali conti.

PRESIDENTE. Prima delle iscrizioni come socio delle due associazioni, la Federconsorzi aveva erogato contributi, anche se di natura diversa?

SCOTTI. Non glielo so dire perché l’iscrizione è avvenuta nel 1981 ed io divenni direttore generale nel 1982, quindi trovai l’iscrizione già fatta.

PRESIDENTE. Essendo lei rimasto per tanti anni come direttore e come presidente della Fedit, non ebbe conoscenza se, nel periodo precedente alla sua assunzione della carica di direttore generale, fossero stati erogati dei contributi di natura diversa, per convegni, manifestazioni, eccetera?

SCOTTI. Le direi una bugia, Presidente.

PRESIDENTE. Mi spiega perché questi contributi venivano erogati con assegni circolari?

SCOTTI. Non glielo so dire perché non mi occupavo evidentemente dell’erogazione dei contributi. Questo era un problema di carattere operativo.

PRESIDENTE. E da quali fondi venivano attinti?

SCOTTI. Normali.

PRESIDENTE. Che significa normali?

SCOTTI. Fondi di bilancio della Federconsorzi, non fondi particolari o fondi accantonati appositamente. Fondi di bilancio.

PRESIDENTE. Esisteva una gestione riservata?

SCOTTI. Non le so dire nelle epoche precedenti, ma nella mia direzione generale e presidenza della Federconsorzi non è mai esistita nessuna gestione riservata.

PRESIDENTE. C’è un secondo tema: i preconsigli di Federconsorzi. Dove e quando si svolgevano?

SCOTTI. I preconsigli si svolgevano generalmente il giorno prima del consiglio di amministrazione. Io partecipai ai preconsigli dal momento in cui divenni presidente; i direttori generali non partecipavano ai preconsigli.

PRESIDENTE. Chi vi partecipava?

SCOTTI Vi partecipavano i membri del consiglio di amministrazione della Federconsorzi. Innanzitutto, erano separati: c’era il preconsiglio della Confagricoltura e il preconsiglio della Coltivatori diretti. Vi partecipavano i rappresentanti che, nel consiglio di amministrazione, rappresentavano le singole confederazioni, cioè la Coltivatori diretti da una parte e la Confagricoltura dall’altra. In questi preconsigli si discutevano i principali problemi.

PRESIDENTE. Si è mai verificato il caso che alcune volte partecipassero delle persone estranee alle due associazioni e alla stessa Federconsorzi, anche in funzione consultiva o collaborativa?

SCOTTI. Francamente non ricordo. Può essere che qualche volta abbiano partecipato i direttori delle Confederazioni.

PRESIDENTE. No, io parlo di persone estranee ai tre organismi.

SCOTTI. Quando ero presidente ho partecipato ai preconsigli e non ho mai visto persone estranee.

PRESIDENTE. Da quando era invalso l’uso di tenere i preconsigli?

SCOTTI. Direi da tempo immemorabile; quando io divenni direttore generale già si tenevano i preconsigli. Probabilmente - ma non lo posso affermare con certezza - anche in precedenza, quando era presidente Vetrone, poi sostituito da Truzzi, e poi altri. Ma non lo posso affermare con certezza.

PRESIDENTE. Terzo tema. Terminato l’esercizio 1990, come si pensava di uscire dalla crisi? Per orientare la sua memoria, le leggo un estratto del verbale del comitato esecutivo della Fedit, di cui Ella faceva parte, del 14 maggio 1991, ore 15, e cioè tre giorni prima del commissariamento. Da quel verbale risulta dalle dichiarazioni di Bambara quanto segue: "La Federazione si trova oggi in una situazione di scarsa liquidità dovuta principalmente alla mancata attuazione delle dismissioni previste nel piano e all’inadempimento dei consorzi agrari, anche con riguardo alle procedure correnti" (…) Questa situazione di carente liquidità ha consigliato di differire taluni pagamenti ad alcuni fornitori ed ha prodotto una timorosa attenzione del sistema bancario, che tuttavia mostra nei confronti della Federazione una residua, significativa disponibilità".

In quella stessa seduta Pellizzoni "sottolinea la necessità di evitare un ricorso al credito ulteriore rispetto alle iniziative illustrate se non siano state accertate concrete prospettive di risanamento che come è noto, non dipendono solo dalle iniziative del management…Egli fa presente che sulla base delle valutazioni effettuate dagli uffici la situazione patrimoniale della Fedit presenta ancora un saldo attivo e che sono allo studio presso il Ministero dell’agricoltura e foreste iniziative da adottare per far fronte al momento di difficoltà che la Federazione attraversa".

Questo risulta dalle dichiarazioni di Bambara e di Pellizzoni.

Allora, le chiedo: è a sua conoscenza a quanto ammontava il saldo attivo del patrimonio? Come era stato calcolato e da chi?

SCOTTI. Secondo le informazioni che ho avuto, sono a conoscenza che il saldo attivo del patrimonio alla data del 17 maggio 1991 (in un’ottica direi molto pessimistica, anche perché la valutazione è stata effettuata successivamente al 17 maggio 1991, con la messa in liquidazione di molti altri consorzi agrari proprio in conseguenza dell’avvenuto commissariamento, quando evidentemente le banche avevano "chiuso i rubinetti" anche per i consorzi agrari e non solo per la Federazione) era di 600 miliardi.

PRESIDENTE. Ricorda come era stato calcolato e da chi?

SCOTTI. Evidentemente era stato calcolato dall’interno, credo dal direttore generale. PRESIDENTE. C’erano state delle consulenze e delle perizie?

SCOTTI. Non glielo so dire, perché non c’ero più quando è stato calcolato. È vero, però, che il direttore generale, nella seduta del 14 maggio, ha detto che il saldo del patrimonio della Federazione era ancora positivo. Mi pare che questo risulti a verbale.

PRESIDENTE. Quali erano le iniziative allo studio del Ministero?

SCOTTI. Non glielo so dire. Non ho chiesto al Ministero alcuna iniziativa. In quella seduta fui autorizzato a prendere contatti per il finanziamento dei 250 miliardi di cui parlava Bambara nel comitato esecutivo del 14 maggio.

Presi contatto con l’allora ministro Goria per essere autorizzato, perché il Credito Italiano, come ha detto Bambara, voleva in garanzia pari importo di crediti che la Federazione aveva verso lo Stato, in conseguenza della cessione di credito degli ammassi che i consorzi agrari avevano fatto alla Federazione. Parlai con Goria, il quale mi autorizzò a prendere contatti con il Credito Italiano.

Mi recai dal Presidente del Credito Italiano, che mi disse che se ne sarebbe occupato in sede operativa, perché, come avviene in tutte le società, egli non ha compiti operativi. Il mattino successivo mi telefonò l’amministratore delegato del Credito Italiano, mi pare che fosse il dottor Bruno, chiedendomi in garanzia, oltre ai crediti nei confronti dello Stato, che l’onorevole Goria aveva detto di poter dare, anche il pacchetto azionario della Banca nazionale dell’agricoltura. Gli risposi di no, tuttavia il 17 maggio il direttore generale e il dottor Bambara mi assicurarono che il Credito Italiano aveva dato il via per la concessione del finanziamento di 250 miliardi.

PRESIDENTE. Quindi, in quei giorni, dal 14 al 17 maggio, Lei non ebbe sentore di un possibile commissariamento?

SCOTTI. Assolutamente no, tanto è vero che nell’appunto, che le lascerò, scrivo che per me è stato improvviso, imprevisto, ingiustificato, perché la Federazione non era insolvente. Questo è vero, perché l’ha riconosciuto anche una sentenza del tribunale di Roma, passata in giudicato. Dal punto di vista contabile, poi, se Lei avrà la bontà e il tempo di leggere l’appunto che le lascerò c’è una dimostrazione che ritengo probante; il patrimonio della Federconsorzi era di molto superiore all’indebitamento complessivo. Certo, in sede di concordato, il patrimonio è stato poi valutato in un certo modo.

PRESIDENTE. Sappiamo con sufficiente certezza che del commissariamento, avvenuto il 17 maggio 1991, vi erano almeno le tracce, addirittura con un decreto prestampato, con in bianco, ma di questo abbiamo motivo di dubitare, i nomi dei commissari; questo risaliva quanto meno a 7-8 giorni prima. Il capo di gabinetto di Goria lo aveva addirittura nel cassetto.

Non le sembra contraddittorio il fatto che il Ministro, dal 14 al 17 maggio, l’avesse autorizzata ad accendere nuovamente una posizione debitoria nei confronti del Credito Italiano?

SCOTTI. Mi sembra sì contraddittorio, tant’è vero che lo dico nell’appunto. Se il dottor Virgilio ha detto che il decreto di commissariamento era già stato fatto una settimana prima, mi chiedo come mai il Ministro il giorno 14 mi abbia autorizzato alla trattativa del finanziamento dei 250 miliardi.

PRESIDENTE. Le ho posto questa domanda per sapere se il commissariamento non fosse uno strumento per concretare un qualche accordo precedente con un pool di banche.

SCOTTI. Non glielo so dire.

PRESIDENTE. Si ricorda a quanto ammontava il fabbisogno di liquidità?

SCOTTI. Se ben ricordo, dal 1° gennaio al 17 maggio 1991 vi è stata una gestione ordinaria dei pagamenti ai fornitori, degli stipendi ed altro. Se ben ricordo, sono stati pagati 1.200 miliardi, con un incasso di 1.100 miliardi.

Praticamente si trattava di una gestione ordinaria, come dico nell’appunto che lascerò. Di qui l’incongruenza del commissariamento.

Se è vero, com’è vero, che la Federconsorzi era considerata da tutti uno strumento utile per l’agricoltura italiana, perché, anziché aiutarla come avviene giustamente per le grandi e le piccole industrie, è stata commissariata? Me lo chiedo in questo appunto che Lei potrà leggere.

PRESIDENTE. Sintetizzando, a quanto ammontava il fabbisogno di liquidità? Se gli stipendi sono stati pagati, quali e quanti pagamenti rimasero sospesi?

SCOTTI. Non glielo so dire, bisognerebbe analizzare la contabilità. Glielo avrebbe potuto dire Bambara, perché allora era direttore amministrativo e finanziario.

Comunque, sta di fatto che in portafoglio c’era ancora un parco cambiali di una certa rilevanza. C’erano 600 miliardi di affidamenti non utilizzati e questo, se non erro, l’ha confermato la centrale rischi.

PRESIDENTE. Se, come lei dice, alla data del 14-15 maggio 1991, c’era un saldo attivo di 600 miliardi, come si spiega che i commissari il 31 dicembre 1991 stabilirono che c’era una perdita di bilancio di 2 mila miliardi?


SCOTTI. Non glielo so dire. Dovremmo chiederlo ai commissari.

PRESIDENTE. Quale operazione contabile ha consentito di rilevare un saldo attivo di 600 miliardi al 14 maggio, senza partite di debito sospese? Ci fu un’operazione di consolidamento dei debiti? Ci sono stati dei contatti con le banche? Il fatto è che, al 31 dicembre 1991, registriamo invece una perdita di 2 mila miliardi.

SCOTTI. Non so quali criteri abbiano utilizzato i commissari nel predisporre il bilancio al 31 dicembre 1991. Evidentemente bisognerebbe chiederlo agli stessi commissari o forse al dottor Bambara, che credo fosse ancora in Federazione a quella data.

È vero che, per chiedere alle banche il consolidamento della posizione, presso lo studio di un noto avvocato si svolse un incontro al quale erano presenti: il direttore generale, dottor Bambara; il segretario generale, avvocato Porpora; il professor Confortini, consulente legale della Federazione. In questo incontro si decise di prendere contatto con le banche per ristrutturare i debiti; una ristrutturazione che poteva anche essere propedeutica ad altre operazioni. D’altra parte, quante ristrutturazioni di grandi e piccole aziende sono state effettuate per migliaia di miliardi a tasso zero o dell’1 per cento? Lo potrebbe dire la Banca d’Italia. Comunque consideri questa cifra con il beneficio dell’inventario, perché non la conosco.

PRESIDENTE. Quando Bambara, in sede di comitato esecutivo, parla di timorosa attenzione del sistema bancario, nessuno chiese a cosa si riferisse e quali banche l’avevano manifestata?

SCOTTI. Evidentemente no, perché non risulta a verbale. Bisognerebbe chiederlo al dottor Bambara.

Io, d’altra parte, come presidente, non mi occupavo della parte amministrativa o finanziaria. Quando fui nominato presidente chiesi, per la verità, ai due vice presidenti confederali di avere qualche delega di carattere operativo, ma mi fu negata, giustamente intendiamoci.

DE CAROLIS. Cavalier Scotti, lei è stato direttore generale della Fedit dal 1982 al 1989, negli otto anni che, a dire di quanti si occupano di questa vicenda non solamente negli ultimi tempi, sono stati il periodo in cui si è determinata una situazione finanziaria direi devastante per la Federconsorzi, una situazione senza prospettive per il futuro più o meno immediato della Federconsorzi stessa. Le dirò di più. Io non mi soffermo, anche se ha una certa valenza, sul quesito che le ha rivolto il presidente relativo ai contributi alla Coldiretti e alla Confagricoltura. Lei sarà leggermente più anziano di me; ricordo che agli inizi degli anni 60 mi dilettavo a seguire le prime tribune politiche televisive e Pajetta prima di mettersi a sedere diceva: voglio vedere i conti della Federconsorzi. E così iniziavano le tribune televisive, molto partecipate, devo dire molto migliori di quelle che si svolgono al giorno d’oggi.

Però, tra le sue dichiarazioni, quella che mi sembra più sconcertante è quella secondo la quale per lei non c’erano le condizioni per un commissariamento della Federconsorzi. Allora andiamo a vedere i conti, perché rispetto alle sue affermazioni bisogna guardare quella che è la situazione. Al 31 dicembre 1990, prima del commissariamento, risulta che la Fedit avesse un capitale di solo 98 miliardi e passività per oltre 5.000 miliardi. La gestione era fortemente in perdita, come era noto a tutti, anche se si tentava di nascondere la situazione con ingenui artifici, di cui siamo venuti a conoscenza anche durante i lavori della nostra Commissione. La Fedit, ad esempio, concedeva crediti di forniture a società finanziarie ad un tasso estremamente elevato, ricavandone cospicui interessi attivi che le consentivano di raggiungere il pareggio. Pareggi fittizi, che poi erano tutti sulla carta e tali si sono rivelati. A loro volta, i consorzi agrari, avendo avuto un tale insegnamento a livello centrale, coprivano gli interessi passivi mediante continue rivalutazioni dei cespiti, e le conseguenze si sono viste quando abbiamo esaminato la realtà di questi bilanci. Rispetto a queste cifre, o Lei riesce a dimostrarmi che non è vero che la Fedit aveva solamente un capitale di 98 miliardi e passività per oltre 5.000, o Lei riesce a dimostrarmi che queste cifre sono infondate, altrimenti, pur con tutta la stima che io nutro per Lei, credo che sia infondata la sua tesi secondo la quale non si doveva arrivare ad un commissariamento.

SCOTTI. Innanzitutto devo dire che il capitale sociale della Fedit e dei consorzi agrari era troppo basso rispetto al giro d’affari. I consorzi agrari avevano un capitale sociale di tre miliardi e mezzo in tutt’Italia (riuscimmo soltanto in Sicilia ad aumentarlo leggermente perché c’era un limite posto per il finanziamento degli ammassi volontari) e con un giro d’affari intorno ai 5.500 miliardi. E’ chiaro che nessuna azienda, neanche la Fiat, se avesse un capitale di questo genere, potrebbe a un certo punto fare una gestione senza ricorrere al credito bancario. Debbo però dire che, il professor Capaldo, in seguito a degli incontri alla fine del 1998 con tutti i direttori dei consorzi agrari, prendendo atto della situazione della Federazione, ebbe a dire, relazionando verbalmente, che i consorzi agrari avevano numerosissime potenzialità, che evidentemente dovevano essere ristrutturati, per la qual cosa è stato fatto un piano durante la mia presidenza, e che la Federazione aveva un patrimonio netto di più di 1.000 miliardi, al netto dell’effetto fiscale, il che significa un patrimonio intorno ai 1.500 miliardi senza effetto fiscale. L’effetto fiscale c’è quando si liquida la società, altrimenti non c’è. Quindi, il patrimonio netto della Federazione era di 1.500 miliardi, non i 98 miliardi che contabilmente figuravano in bilancio. Ecco perché le banche finanziavano la Federazione, ecco perché le banche finanziavano anche i consorzi agrari.

Debbo anche dire che la Federconsorzi, che non ha mai avuto finanziamenti dallo Stato, soltanto con la legge n. 752 del 1986, credo del ministro Pandolfi, poté accedere ai benefici previsti dall’articolo 4 di questa stessa legge che prevedeva finanziamenti per investimenti, passività onerose e altri titoli. La Federazione sulla base di questa legge, che all’articolo 4 prevedeva uno stanziamento di 1.400 miliardi - parlo della Federazione, società controllate e consorzi agrari - soltanto per investimenti, e non per passività onerose, eccetera, se le notizie che io ho avuto sono esatte, ha avuto poco più di 100 miliardi, 106 miliardi, pari al 7,6 per cento, contro i 1.294 miliardi che ha avuto tutta l’altra cooperazione, legittimamente intendiamoci. Questo per dire che cos’era la Federazione nei confronti dello Stato. Senza dire che la citata legge n. 752 prevedeva ad un certo articolo anche il finanziamento ad un certo tasso e per un certo numero di anni per la ricapitalizzazione della cooperazione. Io feci fare allora un piano (il gruppo Federconsorzi aveva allora 450.000 soci), che prevedeva 2 milioni, che allora era il massimo consentito, per ciascun socio e si sarebbero quindi avuti 900 miliardi di capitale sociale se questo articolo fosse stato reso operativo. Questo articolo non è stato reso operativo, per cui i conti che ho fatto rimasero sulla carta.

Io ho letto l’intervento di una persona da voi ascoltata, che si chiedeva come mai le banche finanziassero largamente la Federconsorzi di tanti milioni in più rispetto al capitale sociale; le banche tuttavia non guardavano il capitale sociale nominale iscritto nei bilanci, ma guardavano evidentemente la struttura della Federconsorzi, la sua capacità di stare sul mercato ed anche il patrimonio effettivo della Federazione.

D’altra parte, se ben ricordo, l’attivo al 30 novembre 1991, indicato dai commissari in 6.600 miliardi, successivamente fu svalutato. Nell’appunto che lascerò all’onorevole Presidente ho scritto queste cose. Ecco perché affermo che la Federazione non era da commissariare.

Non dico che il gruppo Federconsorzi non attraversasse dei momenti di difficoltà, però lo stesso Goria nelle comunicazioni che ha reso, sia alla Commissione agricoltura della Camera dei deputati, sia all’Assemblea del Senato, parla di una situazione che non era tale da far temere un tracollo economico. Infatti nel mio appunto scrivo che lo stato di persistente squilibrio economico e finanziario in cui - secondo il Ministro - versava da tempo la Federconsorzi "tale da cagionare grave pregiudizio al conseguimento dei fini statutari" non esisteva affatto. Senza aggiungere che mai - dico mai - nel periodo delle mie cariche di Direttore Generale e di Presidente della Federazione, né il Ministero dell’Agricoltura - organo vigilante - né il suo rappresentante in seno al Collegio sindacale, ebbero a muovere rilievi sui bilanci, regolarmente inviati al suddetto Ministero unitamente alle deliberazioni assembleari e degli Organi Collegiali, come disposto dall’art. 35 del decreto legislativo 7 maggio 1948, n.1235, nè mai furono eseguite da parte del Ministro vigilante, in detto periodo, ispezioni alla Federconsorzi e, allo stato delle mie conoscenze, ai consorzi agrari. Unica eccezione, come ho già citato, la lettera del Ministro in data 8 maggio 1991 sul bilancio dell’esercizio 1990, che chiudeva peraltro in pareggio, bilancio che il Ministro dell’agricoltura, rispondendo il 30 luglio 1991, in Senato, ad alcune interpellanze, definiva "alla stregua dei controlli effettuati" rispondente a "criteri di veridicità e completezza", ribadendo quanto affermato nell’audizione presso la Commissione agricoltura della Camera dei deputati che "i bilanci presentati sono veritieri e reali pur rappresentando e determinando una situazione difficile". Aggiungeva, sempre nella stessa sede, che, a suo avviso, "il bilancio non è affatto scorretto e tanto meno falso anzi - se mi si passa il termine - è al massimo ingenuo". Se ben ricordo, il dottor Virgilio nella sua audizione diceva che il bilancio chiudeva in pareggio attraverso artifici giuridici. Giuridicamente non ci sono artifici, ci sono le leggi, le norme, il codice civile. Quindi il bilancio è vero e reale. PRESIDENTE. Cavaliere, mi lasci dire che, a quei livelli, si può dire di tutto e possiamo definire come vogliamo i bilanci, tranne che ingenui; se si trattasse di una gestione familiare, potrei definirla ingenua. Lei riferisce che il Ministro avrebbe affermato che i bilanci potevano essere definiti ingenui, però vorrei interpretare questa parola "ingenui"; a quei livelli non credo si possa parlare di ingenuità.

Mi consenta questo appunto.

SCOTTI. Ho detto che il commissariamento era ingiustificato perché il patrimonio c’era e la Federazione non era in stato di insolvenza, come ha detto il tribunale.

DE CAROLIS. Ringrazio il cavaliere Scotti anche per la dovizia di particolari con cui ha informato la Commissione, però nasce in me spontaneo un dubbio che vorrei sottoporre alla sua attenzione. Abbiamo ascoltato autorevoli rappresentanti del Governo e soggetti che avevano un ruolo di primaria importanza nella Coldiretti, come ad esempio l’onorevole Cristofori di Ferrara. Fra i tanti incarichi che lei ha avuto, ne ha ricoperti anche in quella zona, ad esempio nella Massalombarda. Anch’io vivo nella regione e quindi conosco tante vicende.

Secondo lei, il commissariamento è stata un’azione motu proprio di Goria oppure, come sembra ventilare, è stata concertata con una serie di soggetti molto influenti e molto importanti del mondo democristiano?

Una volta che ha capito che era fallito il piano di ricapitalizzazione, cosa ha fatto? Ha consegnato tutto a Pellizzoni? Avrà pure avuto qualche reazione personale rispetto ad una situazione che le stava scappando di mano? SCOTTI. Il piano di ricapitalizzazione non è stato fatto perché non è stata data attuazione all’articolo cui ho fatto in precedenza riferimento. Parlai anche in sede di Confederazione di questo piano. Mi si fece presente che l’operazione non sarebbe stata possibile. La Federazione non poteva imporre la ricapitalizzazione dei consorzi agrari, perché non aveva potere cogente. È vero che aveva un potere di coordinamento, però le decisioni spettavano ai consigli di amministrazione dei consorzi agrari. Ricordo che furono effettuati dei piani per la fusione di taluni consorzi agrari o di loro servizi. Mi riferisco ad un piano toscano, alla fusione dei consorzi della Calabria, mentre per quanto riguarda la Sicilia non mi ricordo se fu formulata la proposta di un piano di fusione o di messa in comune dei servizi. Però, si svolsero molte riunioni.

Riferisco un episodio. Il dottor Pellizzoni ed io, nell’ambito di una progettata fusione tra il consorzio agrario di Alessandria e il consorzio agrario di Asti, andammo prima al consiglio del consorzio agrario di Alessandria a spiegare l’opportunità, la convenienza, e così via, della fusione, e poi al consorzio agrario di Asti. Ci hanno detto che la cosa era indubbiamente apprezzabile e che l’avrebbero esaminata, ma rimase lettera morta. Chi poteva avere semmai più forza del direttore e del presidente della Federazione e dello stesso consiglio della Federazione sui consorzi agrari erano le organizzazioni sindacali, perché i membri dei consigli di amministrazione dei consorzi agrari e gli stessi presidenti facevano parte delle due Confederazioni agricole. Per questo, non avendo potere cogente, non potevamo deliberare di fare la fusione, perché in effetti le fusioni andavano fatte. D’altra parte, quando si è trattato di mettere in liquidazione coatta dei consorzi agrari, siamo stati noi che lo abbiamo detto al Ministero; può essere che l’abbiano detto anche i sindaci di nomina ministeriale, però io ricordo che, nel novembre o dicembre del 1989 o ’90, andai personalmente dal ministro dell’agricoltura Saccomandi per fargli presente l’ineluttabilità o l’opportunità di mettere in liquidazione coatta amministrativa un certo numero di consorzi. Io nel documento cito questo episodio, non ricordo quali furono i consorzi in liquidazione coatta, ma voi lo sapete. Credo di essermi quindi costantemente adoperato per fare questo.

MANCUSO. Signor Presidente, io continuo a trovare una profonda, irrisolvibile difficoltà persino nel tentare di raccogliere questi disparati filamenti di indagine in funzione non dico di certezze, ma di probabilità. Anche quella di oggi, per la parte che ho ascoltato, è un’audizione nella quale si trasferiscono, certamente in buona fede - su questo non ho dubbio - elementi che nascono più che dalla esigenza del nostro lavoro, dalla sensibilità e dalla esperienza delle persone interpellate. Manca nel complesso un humus dentro il quale il materiale che noi andiamo apprendendo fertilizzi l’intelligenza della Commissione. Abbiamo notizie sparse in un caleidoscopio che mi rafforza nell’idea, signor Presidente, che noi dobbiamo proseguire i lavori della Commissione al di là dell’imminente scadenza. Speriamo che con il tempo per lo meno qualche cosa acquisiremo.

Due domande, cavaliere, se lei consente. Sono esse essenzialmente dipendenti dalla mia inidoneità a comprendere per intero le problematiche su cui Lei con tanta competenza si è soffermato. In primo luogo, Lei non ha trovato contraddittorio il fatto che, in quella situazione di sofferenza, le banche continuassero ad accordare credito alla Federconsorzi, dicendo una cosa: che le banche non necessariamente, anzi giammai, si riferivano ai bilanci formali, ma alla sostanza dei rapporti fatti di mobilità, di lavoro in sostanza finanziaria, economico ed imprenditoriale. Allora, se la valutazione della convenienza di queste operazioni di finanziamento fondavasi non sugli elementi formali del bilancio del contraente, su che cosa si sarebbe dovuta fondare, a meno di non presupporre che i bilanci fossero già in partenza inaffidabili? Questo è certamente un dubbio che nasce da me, però chiederei alla sua cortesia che mi venisse chiarito.

Seconda domanda. Non mi scandalizza il preconsiglio; purtroppo la precamera di consiglio si fa anche in Cassazione e non è esemplare perché in un certo modo, almeno psicologicamente, il preconsiglio, la precamera di consiglio condiziona. Nel caso che Lei ha riferito, cioè l’esistenza di una tradizione di preconsiglio anteriore al suo avvento, a quanto le risulta essa si svolgeva in modo da prestabilire il risultato del consiglio formale? Costituiva un vincolo nei confronti degli eventuali dissenzienti o non partecipanti? Aveva un valore di vincolo morale, una sorta di patto interno che vincolava al di là della deliberazione formale? Secondo me, quando si lavora in collegio non bisogna consultarsi prima: la coscienza e la mente devono entrare libere nel momento della consultazione. Ma se poi, caso mai, il preconsiglio o la precamera di consiglio si fosse espressa in maniera vincolante nei confronti della votazione imminente, allora forse questa sarebbe stata una vera e propria scorrettezza.

SCOTTI. Risponderò prima alla seconda domanda. I preconsigli si svolgevano evidentemente in funzione dell’ordine del giorno del consiglio di amministrazione; si discutevano gli argomenti, però non ho mai sentito, nei preconsigli a cui ho assistito come presidente, porre vincoli alle determinazioni del consiglio del giorno successivo. Nel preconsiglio vi era un dibattito sugli argomenti. Il giorno successivo, nel consiglio di amministrazione, ciascuno evidentemente si comportava in funzione della propria coscienza e del proprio intendimento. Quindi, ripeto, per quei due anni nei quali io in qualità di presidente, ho assistito ai preconsigli, non c’è stata nessuna imposizione del vincolo. Per quanto riguarda le banche, esse conoscevano i bilanci, perché non è che si limitassero a leggere le relazioni del consigli di amministrazione; le banche venivano presso la Federconsorzi ad esaminare i bilanci nella loro profondità, nella loro verità. Certo, nel disporre i finanziamenti non si guardano soltanto i bilanci, si guarda il valore di azienda, si guarda la valutazione dell’azienda, la valutazione di quanto l’azienda fa e la capacità dell’azienda di restituire i soldi che le banche prestano. Le banche non sono degli istituti di beneficenza, anzi tutt’altro. Mi sorprende il fatto che talune banche estere dicano che la Federconsorzi era un ente pubblico: non è vero! Non è mai stato detto alle banche estere che la Federconsorzi era un ente pubblico, le banche estere probabilmente lo dicono adesso, per cercare di recuperare dallo Stato quello che non sono riuscite a recuperare dalla Federconsorzi. Che la Federconsorzi non fosse un ente pubblico non è che lo abbiamo detto noi, l’ha detto la Cassazione a sezioni unite, l’hanno detto altri, l’ha detto la giurisprudenza in numerosissimi casi. Non solo, ma per quanto riguarda le banche estere, nell’intervento che feci in occasione della riunione che si è tenuta a Londra il 19 gennaio 1990 per la firma dell’ultimo prestito, io dissi, dopo aver espresso soddisfazione per i rapporti instaurati sul piano operativo dalla sede di Londra della BNL e della Mitsubishi Bank, che, come presidente della Federazione italiana dei consorzi agrari, rappresentavo l’espressione più antica e genuina della cooperazione agricola italiana fondata nel 1892; quasi un secolo, quindi, di attività al servizio dell’agricoltura e dei produttori agricoli, nell’ambito di quel movimento e comportamento della società civile nell’ambiente agricolo che vive e si sviluppa in consonanza con i principi della associazionismo e della cooperazione. Questa è la verità. Le leggi stabiliscono questo e la Cassazione a sezioni unite ha così deciso.

Ho sentito che qualcuno, leggendo gli statuti, si è chiesto se la Federazione era un ente pubblico o meno. Evidentemente ha letto male gli statuti.

Le banche ci pensano bene nell’erogare denaro. È vero che il sistema bancario ha 110 mila miliardi di sofferenze, che mi pare in questi ultimi tempi si siano ridotte, ma questo fa parte del gioco; come le sofferenze della Federazione fanno parte del rischio dell’impresa.

PRESIDENTE. Quel che sembra strano è che le banche per i debiti che erogavano non chiedevano affatto garanzie. Il riferimento alla Federconsorzi come ente pubblico o al servizio pubblico che espletava era perché, a fronte di soli 10 miliardi di crediti privilegiati e supportati da garanzie, c’erano migliaia di miliardi di crediti chirografari che garanzie non avevano. Sembra strano che le banche non si fossero garantite sufficientemente con delle garanzie formali, così come avviene nei confronti di tutti i clienti. Molti hanno sostenuto che forse la Federconsorzi appariva come ente pubblico o come gestore di un servizio pubblico. Nessuno mai dal punto di vista giuridico ha voluto sottoscrivere o sottolineare che la Federconsorzi fosse un ente pubblico.

ALOI. Cavalier Scotti, ho letto la sua memoria del 30 maggio 1995, dalla quale - con tutta franchezza - emergono degli elementi che mi lasciano un po’ perplesso. D’altronde Lei ha ora ribadito la sua perplessità circa il fatto che si parlava di un patrimonio netto di circa 601 miliardi, ma di fatto la situazione era diversa, e Lei ha parlato di un patrimonio netto di 1.500 miliardi. Queste perplessità sono le sue, ma anche le mie. Veniamo al problema del rapporto tra le banche la Federconsorzi. Io distinguerei tra le banche italiane e quelle straniere, perché posso capire che le banche italiane - primo fra tutti il Credito Italiano, pronto a supportare la Federconsorzi con 250 miliardi - in fondo potevano conoscere la situazione reale, perché pensavano (quel che dico, come sanno i colleghi, è frutto di precedenti audizioni) di avere in fondo qualche garanzia. Le banche straniere, invece, come ci è stato detto nelle altre audizioni, avevano stabilito l’equazione Federconsorzi uguale Governo se non Stato italiano. Mentre prima c’era una fiducia incondizionata da parte delle banche straniere, ad un certo punto queste si volatilizzano, e non siamo riusciti a capire il perché di questo atteggiamento. Ci sono state fornite versioni diverse, ma non siamo riusciti a cogliere la vera sostanza. Questo ci deve far riflettere.

C’è poi il discorso di Goria, ma lei sa che in certe "famiglie" si scarica tutto sul morto. Goria è morto e quindi qualche esponente dei vertici è venuto a dirci che Goria stesso volle quella soluzione: non lo possiamo interpellare, perché il morto non risponde.

MAGNALBO’. Non sempre: a Prodi risponde.

ALOI. Lei ha letto un passo delle dichiarazioni di Goria secondo cui non c’erano le condizioni per un commissariamento. Sembra una vicenda kafkiana o pirandelliana: a lei la scelta. Qual è il vero nodo politico? Leggo nella sua relazione un episodio di casa DC. I democristiani, che avevano una posizione di potere nella Federconsorzi, ad un certo punto rinunciano alla Federconsorzi stessa. Non ho capito per quale motivo: si tratta di un’opera di autocastrazione o di altro?

Lei, d’altronde, intelligentemente, parla di qualcosa d’altro. Questo è il punto cruciale. Ci vuole dire di cosa si tratta, secondo Lei? È qualcosa che Lei non conosce o che Lei ritiene di non dover rendere esplicito? Ovviamente non l’accuso di un reato di omissione o di reticenza, come direbbe il Presidente magistrato, tutt’altro. Questo qualcosa d’altro mi incuriosisce parecchio. Era un nodo politico? C’era da salvaguardare o da coprire una determinata responsabilità? Si chiude la partita della Fedit perché bisogna guardare le spalle a qualcuno? Può bastarci solo il fatto che Goria sia morto? Esiste una contraddizione nei confronti di Goria, che, da una parte, sembra adoperarsi per una soluzione e, poi, procede alla liquidazione.

Ha ragione il presidente Mancuso. Noi chiediamo la proroga di questa Commissione, ma siamo all’anno zero. Mi consenta di esprimere una mia ingenuità, molto apparente. Ho molte perplessità e dico che forse queste cose possono succedere solo in questo nostro Paese.

PRESIDENTE. Onorevole Aloi, mi consenta di precisare che ho apprezzato le parole dell’onorevole Mancuso circa la necessità di una proroga, non per assicurare uno status symbol a chi presiede la Commissione. Lei sa, perché ha partecipato più di altri ai lavori di questa Commissione, quanto laboriosa sia stata la ricerca di una soluzione per questi dubbi, e le posso garantire che, attraverso l’attività istruttoria, di cui debbo rendere merito ai nostri consulenti, siamo riusciti a reperire documenti preziosissimi per aiutarci a sciogliere i dubbi di cui lei parla. Però noi abbiamo bisogno del tempo necessario per elaborare ed integrare questo quadro.

ALOI. Presidente, vorrei che il mio fosse un intervento cartesiano.

PRESIDENTE. Credo che nessuno di noi possegga l’arte magica di indovinare le cose. Siamo uomini e accerteremo quelle verità che la nostra buona volontà, l’intelligenza, il buonsenso e i testimoni ci offrono per aiutarci a ricostruire quanto è avvenuto in questa vicenda.

I suoi dubbi sono prima di tutto i miei, e ne ho uno grossissimo che esterno immediatamente, se Lei mi consente di inserirmi dopo la sua domanda.

È mai possibile che chi ha presieduto la Federconsorzi nell’ultimo periodo, e precedentemente è stato direttore generale, non sappia niente di queste vicende e sia all’oscuro dei rapporti con le banche? A mio modo di vedere, non è possibile che il presidente, pur non avendo mansioni di direttore generale, non avesse sentore di queste difficoltà nella macrogestione, non dico nella gestione minuta, della Federconsorzi. È mai possibile che il presidente, prima direttore generale, non si facesse carico della macrogestione della Federconsorzi e dei suoi associati e non avesse conoscenza dei problemi esistenti fino alla decisione governativa di Goria, che appare a tutti ad oggi e, dopo la sua audizione, ancor di più contraddittoria?

SCOTTI. Vorrei precisare, Presidente, che ho detto che avevamo deciso di chiedere la ristrutturazione e il consolidamento dei debiti della Federconsorzi. Cioè, c’era stato un incontro nello studio di un noto avvocato professore universitario, alla presenza, come ho detto, del direttore generale, del sottoscritto, del direttore amministrazione e finanza, del segretario generale, avvocato Porpora, del professor Confortini. Evidentemente questo era stato fatto per chiedere un consolidamento. I debiti poi della Federconsorzi non erano 5.000 miliardi o 8.000 miliardi come molti hanno detto, ma erano intorno ai 3.000 miliardi, di cui 1.000 miliardi erano cambiali dei consorzi agrari che, se avessero pagato i 1.000 miliardi, sarebbero stati detratti dai 3.000 miliardi. Non so se li hanno pagati o non li hanno pagati. Quindi, che ci fosse una situazione di un certo disagio lo dice anche Bambara nel comitato esecutivo del 14 maggio. Già avevamo però sentito l’avvocato per prendere contatti con le banche, per fare quello che poi le banche hanno fatto largamente in tutto il sistema industriale e commerciale.

L’onorevole Aloi chiede perché le banche straniere si siano volatilizzate. Questo non lo so. Io ho letto in un’audizione che pare le banche italiane si siano ritirate, dando la precedenza ai crediti delle banche straniere. Non lo so, è un periodo che non ho vissuto, l’ho letto qui. D’altra parte, le banche straniere non è che siano sprovvedute, le banche straniere sapevano perfettamente, anche perché con le banche straniere c’erano anche delle banche italiane. Nel primo prestito negoziato che abbiamo fatto c’era l’Istituto San Paolo di Torino e, nel secondo, c’era la Banca nazionale del lavoro di Londra. Le banche straniere sapevano benissimo che cos’era la Federazione; secondo me hanno cercato, al momento opportuno, di recuperare i crediti, e forse hanno ottenuto qualche favore dalle banche italiane per non compromettere i rapporti di carattere internazionale.

Lei parla del commissariamento. Io non credo che la decisione di commissariare la Federconsorzi sia stata presa soltanto dall’onorevole Goria o studiata soltanto da lui. Io, ad un certo momento, dico che l’impressione è che fosse una decisione politica, forse un rush finale per regolare conti ovviamente politici, approfittando di un momento di debolezza della Federconsorzi e dei consorzi agrari. Questa è la sostanza di quello che ho scritto. Ripeto, non credo che un Ministro dell’agricoltura potrebbe prendere da solo una decisione di questo genere. Mi spiace che il Ministro dell’agricoltura sia purtroppo morto. Non sono abituato ad attribuire le colpe ai morti. Onorevole Aloi, volevo aggiungere che noi avevamo messo in mora il Ministero perché pagasse i suoi debiti di 430 miliardi il 7 marzo. E’ strano che poi il commissariamento avvenga successivamente. Ci sono molte cose strane.

MAGNALBO’. Signor Presidente, nell’ultima risposta il nostro audito ha parlato di regolamento di conti politico; non sappiamo il perché, però penso che questa sia la conclusione del tutto. Tutto quello che è successo non si spiegherebbe se non ci fossero state delle altissime coperture politiche che riguardavano tutte le questioni della Federconsorzi e la disinvoltura con cui venivano erogate somme a Confagricoltura e a Coldiretti, in bilancio dal 1988 e prima no. Se non ci fossero state grosse coperture, probabilmente tutto questo non sarebbe avvenuto.

Noi andiamo però rincorrendo un fantasma che si aggira per l’Italia: chi era questa forza grande che faceva e disfaceva nell’ambito della Federconsorzi fin dal 1948? Ci arriveremo poco a poco attraverso le varie audizioni. Io faccio l’avvocato, quindi so benissimo che Lei svolge qui il ruolo che le è di competenza e che le è dovuto; non può venire a dire qui che avete sbagliato, avete fatto cose semplificate o agito scorrettamente. Lei giustamente dice che tutto è stato fatto secondo certe regole. Le faccio ora una domanda precisa: Lei conosceva personalmente Capaldo?

SCOTTI. Sì.

MAGNALBO’. Sapeva anche che il professor Capaldo era presidente della Banca di Roma e sarebbe diventato presidente della S.G.R., e nello stesso tempo era consulente della Federconsorzi? Era normale tutto questo? In un contesto normale si sarebbe parlato di conflitto di interessi; più palese di questo penso non ci possa essere. Da chi era coperto Capaldo? E infine, è a conoscenza che esistevano archivi della Federconsorzi dislocati nei vari palazzi, che la Federconsorzi assegnava poi alle cooperative dei propri dipendenti? Cera una proprietà diffusa della Federconsorzi in Roma. In questi palazzi abitati dai dipendenti risulta che esistessero degli archivi della Federconsorzi. Ne è a conoscenza?

SCOTTI. In primo luogo, le somme erogate alla Coldiretti e alla Confagricoltura sono sempre state registrate in bilancio. Non mi chieda i conti; l’onorevole Presidente me lo aveva già chiesto prima ed ho risposto che io non so in quali conti, ma sono state registrate in bilancio da sempre. Quindi, non esistevano contabilità separate, non esistevano contabilità riservate. Ovviamente parlo del periodo della mia direzione generale e della mia presidenza. Per quanto riguarda il professor Capaldo, mi fu presentato dall’onorevole Lobianco quando gli parlai dopo che, assistito da due dirigenti, avevo avuto un incontro con tutti i direttori dei consorzi agrari sui bilanci del 1987. Se ben ricordo, tutti dissero che avevano applicato puntualmente le norme civilistiche e fiscali. Ne parlai all’onorevole Lobianco per sviluppare interventi più approfonditi, anche perché probabilmente erano state effettuate, sia pure legittimamente se non si distribuiscono dividendi, delle rivalutazioni di immobili.

L’onorevole Lobianco mi presentò il professor Capaldo, il quale si incontrò con i rappresentanti dei consorzi, assistito da alcuni dirigenti della Federconsorzi, ed effettuò anche una valutazione approssimativa del patrimonio della Federconsorzi. Come ho detto prima, rispondendo alla domanda del Presidente, Capaldo svolse una relazione orale in sede di Coldiretti, in presenza anche di esponenti della Confagricoltura, del sottoscritto e non ricordo di chi altro, nella quale affermò che era vero che i consorzi stavano attraversando un periodo piuttosto difficile, però avevano delle potenzialità non espresse notevoli. Inoltre disse che il patrimonio della Federconsorzi, come ho detto prima, al netto dell’effetto fiscale, era di circa 1.000 miliardi.

Non so se poi il professor Capaldo abbia continuato ad essere consulente della Federconsorzi anche sotto la mia presidenza, perché cessai di essere operativo e quindi non ebbi più contatti con i consulenti.

Per quanto riguarda gli archivi, lei ha riferito una circostanza che non conosco. E’ vero che la Federazione aveva, non soltanto durante la mia gestione ma anche durante le precedenti, archivi dappertutto. Ricordo che quando vennero ad esaminare un vecchissimo rendiconto, che credo risalisse agli anni ’40, l’archivio era depositato in un appartamento affittato dove non abitava nessuno; quel rendiconto fu riscontrato come regolare, se non per pochissime irregolarità nel passaggio dagli americani alla Federconsorzi e per una firma non autenticata di chi aveva ritirato del materiale, mi pare di Charles Poletti, per la quale mandarono un documento in un consorzio del Meridione perché l’autenticasse. Questa purtroppo è la burocrazia.

Quel che Lei dice può essersi verificato, però non ne sono a conoscenza.

PRESIDENTE. Come apprese la notizia del commissariamento?

SCOTTI. Nel testo stenografico della mia audizione davanti alla Commissione ministeriale si parla erroneamente di telegramma. Invece, mi telefonò il capo di gabinetto Virgilio, se ben ricordo, verso le ore 13. Gli chiesi di inviarmi il decreto di commissariamento; egli me lo mandò accompagnato da un biglietto di saluti. Inviai un telegramma a tutti gli amministratori e a tutti i sindaci, e me ne andai.

PRESIDENTE. Lei come reagì all’arrivo di due esperti di Goria? Ne ha parlato con Lobianco?

SCOTTI. Dei due esperti, da me venne soltanto Della Valle, che era un immobiliarista di una società che si chiamava SIB s.p.a., che Goria aveva indicato per una eventuale gestione del patrimonio immobiliare della Federconsorzi. Della Valle era già stato da me, non mi ricordo più mandato da chi, nel gennaio o febbraio 1991, chiedendo notizia degli immobili che la Federazione aveva posto in vendita. Se ben ricordo, mi disse esattamente: c’è del grasso che cola. Non so qual è il significato da attribuire a quella espressione; ho consultato il dizionario italiano e "grasso" significa abbondante, ricco.

Goria mi aveva scritto il giorno 8 maggio comunicandomi di aver incaricato come consulenti Dezzani e Della Valle. Quest’ultimo venne da me il giorno 9 maggio chiedendo un elenco di tutti gli immobili della Federconsorzi e dei consorzi agrari. Bastava schiacciare un bottone per avere questo inventario, che fra l’altro esisteva anche sotto la mia direzione generale; infatti, l’abbiamo fornito il giorno successivo. Dezzani, invece, non venne mai da me; lo incontrai il 17 maggio nell’ufficio del direttore generale, dove mi fu presentato, prima ancora che mi telefonasse Virgilio per dirmi del commissariamento.

PRESIDENTE. Nel momento in cui apprese la notizia da parte del Virgilio, ne parlò con Lobianco?

SCOTTI. Certo.

PRESIDENTE. Quale fu la sua impressione?

SCOTTI. Lasciatemi comunque il beneficio dell’inventario, perché sono passati nove anni. Mi parve sconcertato e mi disse di aver appreso del commissariamento da una telefonata di Goria. Nel documento, che consegno, scrivo che il commissariamento fu deciso il 17 maggio in sede di Presidenza del Consiglio, alla presenza di Andreotti, Forlani, Cristofori, Cirino Pomicino e Lobianco, al quale per la verità il commissariamento fu comunicato in seguito; tant’è vero che i commissari furono officiati per quell’incarico il giorno prima, cioè il 16 maggio; come ha giustamente rettificato Diana, che prima aveva parlato del 17 maggio.

PRESIDENTE. A suo giudizio, che alternative aveva Goria al commissariamento?

SCOTTI. Si poteva ricorrere forse alla liquidazione coatta amministrativa ovvero alla legge Prodi. È vero che la Federazione non era una società industriale, però ai fini contributivi era considerata tale.

PRESIDENTE. C’era stata una legge che nel frattempo aveva fatto transitare la Federazione da un settore all’altro ai fini contributivi.

SCOTTI. Esatto.

PRESIDENTE. A qualcuno chiederò qual è stato l’onere che la Federconsorzi ha sopportato per questo cambiamento di trattamento contributivo, quando è transitata nel settore industriale.

SCOTTI. Pagava meno.

PRESIDENTE. Non lo so; vedremo un po’ qual è la differenza.

DE CAROLIS. Il ragionier Scotti ha fatto cenno ad un incontro tra il presidente del consiglio Andreotti e l’allora ministro del bilancio, che era Cirino Pomicino, Goria, ministro dell’agricoltura, e Forlani, segretario nazionale della DC. C’era anche Lobianco ma, se ho ben capito, egli è stato informato delle decisioni assunte solamente dopo l’incontro. E’ così?

SCOTTI. Questa è l’impressione che ho riportato.

DE CAROLIS. Ma lei ha l’impressione che in quell’incontro si sia deciso il commissariamento, oppure lo sa con certezza? Non è un fatto secondario perché, ad esempio, Andreotti è venuto in audizione e non ne sapeva niente, come pure Cristofori. Entrambi hanno detto che il commissariamento avvenne per decisione personale di Goria.

SCOTTI. Io ho riportato la mia impressione e – ripeto – mi è sembrato che Lobianco fosse sconcertato.

PRESIDENTE. Ultima domanda: è un pettegolezzo o è un dubbio chiederle se il commissariamento non sia stato invocato anche da Pellizzoni?

SCOTTI. No, non è un pettegolezzo. Pellizzoni chiese a Lobianco il commissariamento; Lobianco disse che ci avrebbe pensato. Sta comunque di fatto che il management fu contento quando Goria fu nominato Ministro dell’agricoltura, anzi mi pare di aver letto che Pellizzoni disse che fecero salti di gioia. Evidentemente, auspicando il management il commissariamento, Lobianco dice perchè le decisioni dovevano essere sottoposte ai consigli di amministrazione, od al comitato esecutivo, cosa che si fa in tutte le società ordinate. Io nell’appunto allegato ho precisato tutte le volte che si è riunito il consiglio di amministrazione, tutte le volte che si è riunito il comitato esecutivo e ho detto che mai è stato rinviato niente a memoria e, se qualcosa è stato rinviato, ciò è avvenuto per motivi giustificati. Quindi, non escludo - e non ho difficoltà a dirlo - che chi lo auspicava lo abbia anche ricercato - l’ho messo anche per iscritto - magari con contatti malaccorti, contatti che poi hanno portato problemi a tutti, compresi quelli che il commissariamento avevano auspicato.

PRESIDENTE. Nell’acquisire agli atti la relazione del cavalier Scotti, concludiamo quest’audizione.

SCOTTI. Mi scusi, Presidente, vorrei dire che io oggi ho risposto con tutta sincerità alle domande rivoltemi, a prescindere ovviamente dalla mia posizione nel processo penale.

PRESIDENTE. Onestamente le devo dire che noi non ci occupiamo del processo penale; abbiamo un ruolo assolutamente indipendente rispetto a quello della magistratura. Come lei avrà visto dalle domande che le abbiamo posto, noi cerchiamo di arrivare a dei risultati che sono assolutamente diversi da quelli che si propone la magistratura penale.

Ringrazio il cavalier Scotti per il contributo offerto ai nostri lavori e dichiaro conclusa l’audizione. Rinvio il seguito dell’indagine ad altra seduta.

I lavori terminano alle ore 13.50.