Avventure fra le pelli-rosse/23. Il quacchero sorpreso dagl'indiani

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23. Il quacchero sorpreso dagl’indiani

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23. Il quacchero sorpreso dagl’indiani
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23.

Il quacchero sorpreso dagl’indiani


Mentre Morton ed i suoi amici cercavano di condurre a termine il loro audace progetto, la povera Mary era stata ricondotta nella capanna della moglie di Wenouga e lasciata in preda alla più violenta disperazione.

La vecchia indiana però non si era molto allontanata, non volendo perderla di vista un solo momento.

La disgraziata fanciulla la udiva cantare presso la soglia dell’abitazione, su un ritmo bizzarro e selvaggio. Quella megera non si curava né punto né poco della disperazione della sua prigioniera, anzi sarebbe stata forse più contenta se l’avesse veduta in preda ad una maggiore esaltazione.

Era trascorsa già qualche ora dalla separazione con Telie, quando la vecchia improvvisamente cessò dal cantare. Mary credendo di vederla ritornare, si era rifugiata in un angolo della stanza, avendo una paura invincibile di quella strega.

Un istante dopo un uomo, coperto da un grande scialle ricamato e che portava sul capo un turbante rosso, entrava, dicendo:

— Non abbiate paura di me, Mary; io non sono un vostro nemico.

Udendo quella voce, la ragazza aveva mandato un grido d’orrore:

— Miserabile! Finalmente vi ho riconosciuto! Il vostro costume indiano mi aveva fino ad oggi ingannata; ora so chi voi siete, Riccardo Braxley, uscite da qui! Non vi bastava derubarmi delle ricchezze, lasciateci da nostro zio; avete voluto anche la morte di mio fratello.

— Mary, cosa dite mai? — disse Braxley mostrando la più grande sorpresa. — Sì, io sono il tutore del fanciullo adottato da vostro zio, ma io, soprattutto, non sono mai stato vostro nemico, né io ho mai cercato di far uccidere vostro fratello. Io anzi sono sempre stato un amico fedele e devoto e se mi vedete qui, fra gl’indiani, non è stato il caso che mi vi ha condotto.

— Datemi una prova che siete mio amico.

— Sono pronto a darvela ad una condizione.

— A quale?

— Io vi libererò dalla prigionia purché voi acconsentiate a diventare mia moglie.

— Miserabile! — gridò Mary. — Io sposa di un uomo simile! Di un uomo che ha fatto uccidere mio fratello!

— V’ingannate, Mary — rispose sfacciatamente Braxley. — Vostro fratello è vivo.

— Voi mentite! Se non fosse stato ucciso, egli sarebbe qui.

— Verrà presto, ve lo accerto.

— Per quale motivo dunque non è in questo villaggio?

— Nel combattimento che ha dovuto sostenere contro i guerrieri dell’Avvoltoio Nero ha riportata una ferita per cui fu costretto a fermarsi sulle rive del Rio Pecos. Fra qualche giorno sarà guarito e voi lo rivedrete qui.

— Non credo ad una sola delle vostre parole — esclamò Mary. — Voi volete ingannarmi.

— Vi giuro che ho detto la verità, Mary; concedetemi la vostra mano e voi sarete completamente libera e potrete andare incontro a vostro fratello.

— Quale ascendente avete voi per decidere gl’indiani a lasciarmi libera? Sapreste dirmelo, Braxley?

— Io ho pagato una somma ingente all’Avvoltoio Nero per ottenere la vostra libertà.

— La rifiuto! — esclamò Mary, con indignazione. — Io non diverrò mai la moglie di un uomo che ha fatto tanto male a me ed a mio fratello. Non cercate di scusarvi, né di ingannarmi, Riccardo Braxley. Io so quello che avete ordito voi per perderci e per derubarci della sostanza di nostro zio.

— È la vostra ultima parola? — chiese l’avventuriero, con ira concentrata.

— Sì, la mia ultima. Preferisco la morte piuttosto di aver la libertà da voi.

— Ebbene, morite o diventate la schiava di questi crudeli indiani! — esclamò Braxley, furioso di aver trovato una resistenza così inaspettata e così tenace. — Io non alzerò un dito per liberarvi.

— E mi lascerete morire fra questi rettili?

— Sì, se non cedete ai miei desideri.

— Non mi piegherò mai.

— Fate come volete. Voi potrete invocare il cielo in vostro aiuto ma non certo Braxley. Morite schiava e dimenticatemi.

L’avventuriero stava per volgersi e uscire, quando due braccia vigorose lo afferrarono strettamente, gettandolo violentemente a terra.

Un ginocchio s’appoggiò sul petto di Braxley mentre un coltello scintillava dinanzi ai suoi occhi stupiti.

Una voce bassa e minacciosa, gli mormorò all’orecchio:

— Se aprite la bocca siete uomo morto!

Braxley guardava con terrore il suo avversario, essendo impotente a difendersi.

Vedendo sopra di sé quell’acuta lama, si guardava bene dal muoversi, temendo che gli entrasse tutta nel cuore.

— Sta’ fermo e lasciami fare! — disse Morton, poiché era proprio lui.

— Volete uccidermi? — chiese Braxley, con voce appena intelligibile.

— Sì, se cercherai di opporre resistenza.

— Mi stupisce che un indiano venga a minacciarmi. Io sono l’amico dell’Avvoltoio Nero e di Cuor Duro.

— Se tu non lo fossi, non ti avrei minacciato di ucciderti.

— Chi sei tu?

— Chi voglio io. Basta e non muoverti se vuoi vivere ancora.

Morton si mise il coltello fra le labbra, lanciò a Mary, che lo guardava con stupore, uno sguardo che voleva essere una assicurazione di non aver nulla da temere, poi si levò di sotto la giacca una lunga corda e legò l’avversario per bene, trascinandolo poscia in un angolo oscuro.

Colà gli frugò nelle tasche con l’abilità d’un borsaiolo, togliendogli il portafoglio contenente il famoso testamento dello zio di Randolfo.

— State zitto — gli disse poscia. — Se odo un grido, tornerò per piantarvi nel cuore il mio coltello.

Gli gettò addosso parecchie pelli di bisonte e d’orso a rischio di soffocarlo, poi tornò verso Mary, la quale lo guardava ancora con stupore, chiedendosi chi poteva essere quell’indiano che veniva a salvarla.

— Non mi conoscete? — le chiese.

— No — rispose la ragazza.

— Eppure sono un vostro amico.

— Non siete un indiano?

— Morton non lo è mai stato.

— Voi siete Morton, il quacchero! — esclamò ella, soffocando un grido di gioia.

— Silenzio, miss. Seguitemi o meglio lasciatevi condurre, se volete che vi salvi. Dove mette la capanna?

— Presso un fossato.

— Vi sono delle piante?

— Sì e foltissime.

— Che possano vederci?

— Non lo credo, Morton.

— E la vecchia incaricata di sorvegliarvi?

— Se n’è andata dopo l’entrata di Braxley.

— Seguitemi subito.

Attraversarono lestamente la tenda e uscirono dall’altra parte.

Al di fuori la pioggia cadeva a torrenti e l’oscurità era profonda, essendo le nuvole nerissime.

Morton guardò il fossato. La scarpata scendeva dolcemente; però in fondo all’escavazione vi si era già raccolta molta acqua.

Morton sollevò dolcemente la ragazza, se la mise fra le braccia e scese nel fossato, attraversando velocemente l’acqua.

Sulla riva opposta si trovavano molte piante palustri.

Morton vi si cacciò in mezzo per sottrarsi agli sguardi delle sentinelle e s’avanzò correndo, cercando di dirigersi verso il recinto dei cavalli.

La pioggia che cadeva sempre a torrenti, favoriva la fuga. Nessuna sentinella vegliava sulle palizzate, né sul bestiame. Il cattivo tempo le aveva cacciate entro le tende o le capanne.

Morton, alla luce dei lampi, aveva già scorto il recinto, quando udì avvicinarsi il galoppo di molti cavalli.

S’arrestò inquieto non sapendo se avanzare o indietreggiare.

— Cosa avete, Morton? — chiese la giovane, con spavento. — Siamo inseguiti?

— Non lo so — rispose il quacchero.

— Vi aspettava qualcuno qui?

— Sì, Ralph, l’Alligatore del Lago salato.

— E non lo vedete?

— Scorgo invece dei cavalli a galoppare e venire verso di noi.

— Sono montati?

— Non mi pare.

Parecchie dozzine di cavalli correvano sulla riva del fossato, nitrendo ed impennandosi.

Essi passarono a breve distanza da Morton, varcarono la palizzata di cinta e si rovesciarono nel villaggio, facendo un baccano assordante.

— Fuggiamo o verremo presi — disse Morton. — Cosa sarà accaduto a Ralph? Che ne abbia commesso qualcuna delle sue? Non dovevo fidarmi di quel millantatore.

— Vengono gl’indiani? — chiese Mary.

— Non li vedo ancora.

— Volete che cammini?

— Preferisco portarvi.

— Vi peserò troppo.

— Le mie braccia sono robuste, miss.

La coprì con la sua coperta di lana per difenderla dalla pioggia che non cessava dal cadere e si mise a correre lungo la cinta esterna, per giungere alla capanna dove lo attendevano Diego e Randolfo.

Già credeva di poter raggiungere felicemente i compagni, quando udì un grido d’allarme, tosto ripetuto da altre sentinelle.

Sulle palizzate si gridava:

— Dei Lunghi Coltelli! Degli uomini bianchi! Accorrete! Fate fuoco!

Morton, approfittando della confusione generale e dell’inazione dei suoi nemici, si cacciò in mezzo ad un alto strato di fieno secco, nascondendovisi entro.

Un indiano, che possedeva maggior spirito dei suoi confratelli, invece di gridare prese un tizzone infiammato e lo lanciò sul fieno.

Una fiamma altissima subito si alzò, illuminando altre bande di cavalli che galoppavano lungo il fossato, nitrendo e sferrando calci.

Gl’indiani vedendoli, si slanciarono giù dalla cinta per impedire a loro di fuggire e anche per impadronirsi dell’uomo che si era nascosto nel fieno.

Il povero Morton, per non morire arrostito era già balzato fuori, senza abbandonare la ragazza.

In quel momento vide apparire un bellissimo cavallo nero montato da un uomo bianco il quale faceva grandi sforzi per frenarlo. Morton lo riconobbe sull’istante: quell’uomo era l’Alligatore del Lago salato.

Gl’indiani vedendolo, non s’occuparono subito di Morton, il quale approfittando della confusione, poté gettarsi inosservato in mezzo ad un gruppo di piante.

Grida di furore s’alzavano dappertutto e lance e fucili si erano appuntati verso Ralph.

— L’uomo bianco ha fatto fuggire i nostri cavalli! Fermatelo! Strappategli la capigliatura!

Morton, vedendo gl’indiani giungere in gran numero, aveva ripresa la corsa tenendo sempre la povera Mary fra le braccia. Si credeva quasi sicuro di sfuggire all’inseguimento, quando si udì chiamare per nome.

S’arrestò stupito ed inquieto guardandosi intorno e vide sorgere fra le erbe Randolfo e Diego.

— Fuggite, disgraziati! — gridò.

Randolfo invece di obbedire gli veniva incontro correndo. Aveva veduto sua sorella e non aveva potuto trattenersi. Anche Mary aveva scorto il fratello e dimenticando ogni prudenza, aveva gridato con quanta voce aveva:

— Randolfo!

— Ci avete perduti! — esclamò il quacchero con tono di rimprovero. — Cosa avete fatto, disgraziati!

Gl’indiani avevano udito il grido della ragazza ed avevano anche veduto Randolfo e Diego avanzarsi fra i cespugli.

Una parte di loro lasciarono Ralph, il quale stava per venire stretto da una banda di nemici montati su cavalli e si diressero verso il gruppo dei fuggiaschi, sbarrando loro il passo.

— Giacché ci avete perduti, incaricatevi di salvare vostra sorella ora — disse Morton a Randolfo. — Io mi incarico del resto.

— Cosa vuoi fare, Morton?

— Caricare gl’indiani per proteggere la vostra ritirata.

— No, lasciate a me ed a Diego questo incarico — rispose Randolfo. — Fuggite, Morton; tentate di salvare Mary.

Il quacchero riafferrò la ragazza e partì di corsa, cacciandosi in un vicino boschetto.

Randolfo e Diego scaricati i fucili, impugnarono le asce e si scagliarono arditamente contro gl’indiani.

A quella temerità inattesa, le pelli-rosse si fermarono stupite, poi proruppero in una grande risata.

Era una follia quella che commettevano Randolfo ed il suo compagno, avendo dinanzi a loro più di trenta avversari e tutti bene armati.

In pochi istanti, quasi senza lotta, i due temerari furono circondati, disarmati e legati.

Mentre alcuni di loro rimanevano a guardia dei prigionieri, gli altri si erano slanciati dietro al quacchero, il quale faceva sforzi prodigiosi per allontanarsi sempre più dal villaggio.

Quell’uomo pareva che avesse acquistata, in quel momento, un’agilità ed una forza straordinaria, sovrumana. Se fosse stato solo, forse si sarebbe salvato. Dovendo portare anche la ragazza, le probabilità scemavano assai.

Nondimeno era riuscito a internarsi in un bosco, dove calcolava di trovarsi un rifugio e di far perdere agli inseguitori le sue tracce.

Cominciava a sperare di salvare la ragazza, quando fra le alte erbe sorsero due selvaggi di statura atletica.

Vedendo a poca distanza una capanna, Morton cercò di rifugiarvisi, invece si vide assalito da una dozzina di cani-lupi, questi amici inseparabili degl’indiani.

Morton senza abbandonare la ragazza levò dalla cintura l’ascia e con pochi colpi ne uccise due, mettendo gli altri in fuga.

I due indiani però gli correvano addosso colle scuri alzate, mentre altri stavano per sopraggiungere.

Morton si vide perduto e riconobbe essere inutile ogni resistenza.

Depose Mary, poi scoprendosi il petto, si fece innanzi e fissando sui due avversari due occhi terribili, disse:

— Uccidetemi, miserabili rettili!

I due indiani invece lasciarono cadere le scuri.

In quel momento in lontananza si udirono le grida di vittoria degl’indiani che avevano catturati Randolfo e Diego.

— I tuoi compagni sono nelle nostre mani — dissero i due indiani.

Morton non rispose. Con le braccia strette sul petto, guardava fissamente i suoi avversari.

— Chi sono i tuoi compagni? — chiese uno dei due indiani.

Eguale silenzio da parte di Morton.

— Se non vuoi rispondere a noi, dirai chi sono al nostro capo.

Un vecchio indiano, seguìto da molti altri, si avvicinava. Era l’Avvoltoio Nero, il gran capo delle pelli-rosse.

Si avvicinò a Morton, gli mise una mano sulla spalla e con l’altra alzò la scure, per fendergli il cranio.

Stava per lasciar cader l’arma, quando Cuor Duro, il padre di Telie, gli mormorò alcune parole all’orecchio.

Il capo si ritrasse di due passi, dicendo a Morton:

— L’Avvoltoio Nero non è abituato a risparmiare i suoi prigionieri. Io amo le stragi e non disdegno di bere il sangue degli uomini bianchi. Per ora ti lascio in vita; più tardi mi prenderò la rivincita.

Morton non aveva risposto nemmeno questa volta. Era stato assalito da un tremito nervoso così forte, da non potersi più reggere in piedi. Era stata l’emozione provata, o la fatica, o qualche altra cosa, il tremito si era cambiato in un accesso convulso. Agitava le braccia, increspava le dita, apriva smisuratamente gli occhi e tirava calci in tutti i versi.

Dinanzi a quello strano spettacolo, gl’indiani si erano ritirati rispettosamente di alcuni passi. Essi guardavano con superstizioso terrore il loro prigioniero.

Solamente Cuor Duro conservava la sua calma.

Si avvicinò al prigioniero fingendo di volerlo soccorrere, poi con un rapido colpo di mano gli rubò il testamento che il quacchero aveva preso poco prima a Braxley, facendolo scomparire nella propria tasca.

Ciò fatto si rialzò, dicendo all’Avvoltoio Nero:

— Quest’uomo è un grande mago. Non vedi come viene preso dal convulso, come i nostri stregoni? Ti sarà utile per sapere dove si trova il tuo mortale nemico, lo spirito dei boschi.

— Sì, il fratello bianco deve essere un grande mago — disse l’Avvoltoio Nero che guardava con ammirazione Morton, rotolantesi al suolo.

Il vecchio capo aveva preso le convulsioni del quacchero per una manifestazione soprannaturale e si proponeva di trarne partito per conoscere uno dei suoi più acerrimi nemici, il famoso Scibellok, lo spirito della foresta, lo sterminatore delle pelli-rosse.

Mentre contemplava, sempre più stupito, il prigioniero, un indiano venne ad avvertirlo che uno dei due prigionieri era l’uomo che avevano affidato al vecchio Pankiskaw e che credevano ormai morto.

Udendo quella notizia, un lampo di furore passò negli occhi del capo.

— Ancora vivo! — esclamò egli. — Chi può averlo protetto?

— Questo grande mago — disse Cuor Duro. — Vedi di quale potenza può disporre quest’uomo!

— Era assieme a quel giovane?

— In sua compagnia — confermarono parecchi indiani.

— E di Pankiskaw, cosa sarà accaduto?

— Bisognerebbe interrogare il mago.

— Proviamo.

Morton cominciava a rimettersi, anzi aveva udito tutto quel discorso e si preparava a trarne profitto, essendosi di già accorto che gl’indiani gli attribuivano un potere magico.

— L’uomo bianco, che è un gran mago, mi saprebbe dire se Pankiskaw ed i suoi guerrieri sono ancora vivi?

— Sono morti — rispose Morton con un riso stridulo.

— Sono stati uccisi dal giovane che avevano in consegna?

— No, non avrebbe potuto farlo avendo le mani legate.

— E da chi adunque?

— Dallo spirito dei boschi.

— Da Scibellok?

— Sì, da lui — rispose Morton.

Il capo delle pelli-rosse mandò un ruggito.

— Dallo sterminatore della mia tribù? — urlò. — Dove si nasconde quell’uomo?

— Non è il momento di dirlo — rispose Morton.

— Lo potrò sapere?

— Sì.

— Se tu me lo dirai io ti nominerò mio mago e avrai regali in grande quantità. L’Avvoltoio Nero sarà tuo amico fino alla morte.

— Te lo farò anzi vedere.

— Quando?

— Domani.

— Io lo ucciderò.

— Per dirti però dove si nasconde, dobbiamo essere soli. Egli è uno spirito potente e ci vogliono delle precauzioni.

— Farò tutto quello che tu vorrai. Vieni nella mia tenda; tu sei mio amico.

Due indiani sollevarono Morton e vedendo che penava a sorreggersi, se lo presero fra le braccia.

Quando la banda giunse nel villaggio, Morton vide, con dolore, che anche Ralph era stato catturato.

Il povero Alligatore del Lago salato non aveva avuto più fortuna dei suoi compagni.

Seguendo le istruzioni di Morton, egli si era recato nel recinto dei cavalli per procurarsi alcuni rapidi animali che dovevano servire per Telie e per la sorella di Randolfo.

Giunto felicemente nel recinto, invece di accontentarsi di prendere due di quei mustani, aveva sciolti anche gli altri per rendere più difficile l’inseguimento da parte degli indiani.

I corsieri, invece di prendere il largo e fuggire nella prateria, si erano diretti verso il villaggio, dando così l’allarme.

Ralph, stretto da quella banda sbrigliata, non era stato capace di uscire, sicché le sentinelle non avevano avuto molto da fare a prenderlo con alcuni lacci.

Vedendo passare Morton, il povero Alligatore gli fece un triste saluto, poi seguì i suoi feroci guardiani, mormorando:

— Ormai per noi è proprio finita. Questi rettili ci arrostiranno dopo d’averci martirizzati.