Avventure fra le pelli-rosse/27. Ultimo combattimento

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27. Ultimo combattimento

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26. I coloni del capitano Linthon

27.

Ultimo combattimento


Mentre gli uomini del capitano Linthon s’avvicinavano silenziosamente al villaggio per sorprenderlo, le pelli-rosse, terminata la cerimonia funebre, avevano trascinati i prigionieri sulla piazza dove erano stati preparati quattro roghi altissimi, formati di tronchi d’alberi ben secchi e di rami di piante resinose.

Randolfo ed i suoi disgraziati compagni, dopo d’aver subìto gl’insulti di tutte le donne e di aver ricevuto percosse in quantità, erano stati trascinati verso i roghi per attaccarli ai pali innalzati appositamente.

Il povero giovane non comprendeva quasi più ciò che gli accadeva d’intorno. Affranto da tante emozioni, era come inebetito. Un solo pensiero ancora lo preoccupava: sua sorella.

Diego guardava tranquillamente i suoi carnefici, rassegnato ormai al suo destino. Ralph solo manifestava, malgrado le sue spacconate, una certa paura. Nondimeno alle ingiurie rispondeva con altrettante ingiurie e quando poteva, scagliava calci.

La folla, anziché irritarsi, si divertiva della rabbia impotente del ladro di cavalli e lo stordiva con urla e risate di scherno.

— L’Alligatore è preso! Mostri i suoi denti! Metta in opera la sua coda! L’Alligatore lo vedremo contorcersi per bene!

I tre prigionieri, giunti presso i roghi, furono legati ai pali con corde grossissime; poi, mentre le donne urlavano con maggior forza, alcuni guerrieri avevano dato fuoco alla legna.

Abel Doc, impotente, fremente, non aveva osato opporsi. D’altronde nulla avrebbe potuto fare contro quei selvaggi furibondi. Al primo tentativo sarebbe stato preso e gettato anche lui sul rogo, assieme a sua figlia.

Già la legna cominciava a scoppiettare ed i tre prigionieri avevano chiusi gli occhi, quando delle scariche violentissime scoppiarono verso la cinta del villaggio.

Erano gli uomini del capitano Linthon che si slanciavano all’attacco.

Poco dopo due colonne di cavalieri invadevano le vie del villaggio sparando contro le case e le tende e speronando senza pietà le loro cavalcature.

Gl’indiani, sorpresi da quell’improvviso assalto, si erano precipitati verso gli sbocchi delle vie tentando una inutile resistenza.

I primi furono calpestati dai cavalli e gli altri, atterriti, si diedero a fuggire in tutte le direzioni senza nemmeno pensare a mettere mano alle armi.

Tuttavia alcune bande obbedendo alla voce dei capi, corsero ad armarsi per contrastare il passo ai vincitori.

Mentre le donne ed i fanciulli scappavano disordinatamente, alcuni indiani, pensando che quegli uomini bianchi avessero invaso il villaggio per salvare i prigionieri, tornarono verso i roghi.

Le fiamme non avevano ancora avvolti Randolfo ed i suoi due compagni. Ralph anzi udendo le fucilate, con uno sforzo supremo aveva spezzato i legami che gli imprigionavano le gambe.

Un indiano, vedendolo dibattersi, si gittò sul rogo a rischio di abbruciarsi e tentò con un colpo di coltello di freddarlo. Male gliene incolse, perché l’Alligatore del Lago salato gli allungò un calcio così potente in mezzo al petto, da mandarlo a terra mezzo morto.

Tre o quattro indiani intanto si erano avvicinati a Randolfo per ucciderlo prima che potesse venire raggiunto dai vincitori.

Mentre alcuni disperdevano le legne fiammeggianti, un altro aveva alzato la scure per spaccargli il cranio.

Il valoroso giovane si considerava già perduto, quando vide slanciarsi verso i roghi un uomo la cui sola vista fece gelare il sangue nelle vene dei guerrieri.

Alla sua cintura, fra sei capigliature disseccate, ne portava una ancora rossa di sangue, adorna d’un becco e da un paio d’ali d’Avvoltoio Nero, l’emblema di Wenouga.

Nella sua destra brillava la scure dell’estinto capo.

— Scibellok! — urlarono gli indiani, fuggendo precipitosamente.

Morton, senza esitare, si scagliò in mezzo alle fiamme e uno dopo l’altro liberò i tre prigionieri.

— Credevate che vi avessi abbandonati? — diss’egli. — Vi eravate ingannati, Morton pensava a voi.

— O meglio Bertet — disse Ralph che saltava come un pazzo.

— Sì, Bertet, Scibellok o Morton, come volete — rispose il quacchero.

— E mia sorella? È salva, Morton? — chiese Randolfo.

— È fra i nostri bravi. Ho ucciso Braxley mentre stava per fuggire con lei. Il miserabile ha avuto la sua giusta punizione. Presto, venite. Nelle vie del villaggio si combatte ancora ed il vostro rinforzo deciderà la vittoria.

A terra vi erano delle armi abbandonate dagli indiani fuggenti. Randolfo, Diego e Ralph si armarono e seguirono Morton il quale brandiva sempre la scure dell’Avvoltoio Nero.

I quattro uomini si slanciarono nella prima via che s’apriva, dove si trovavano numerosi indiani.

All’apparire di Morton, un grido di terrore si alzò:

— Scibellok!

Bastò quel grido per metterli tutti in fuga, tanto era lo spavento che cagionava la presenza dello spirito dei boschi, ritenuto da tutti come un essere invincibile.

Trovata la via sgombra, Morton e Randolfo, seguìti da Ralph e da Diego poterono unirsi agli uomini del capitano Linthon.

La battaglia durava assai aspra.

Gl’indiani, riavutisi dalla loro sorpresa, si erano radunati cercando di contrastare ancora il passo ai vincitori. Quello sforzo doveva essere vano.

La notizia che Scibellok si trovava fra gli uomini bianchi era bastata a spargere il terrore fra i difensori del villaggio.

Dove Morton si mostrava col suo sanguinoso trofeo, bastava per mettere in fuga le pelli-rosse.

Pure un drappello, concentrato sulla piazza, resisteva ancora ostinatamente agli sforzi dei coloni del capitano Linthon.

Harry, suo figlio, desideroso di finirla, radunò una cinquantina d’uomini e dopo alcune scariche nutrite li condusse all’attacco di quest’ultimo baluardo, costringendoli a evacuare il villaggio.

La vittoria era completa. Gl’indiani, pienamente sconfitti, erano fuggiti nella prateria assieme alle donne ed ai ragazzi.

Mentre i vincitori si precipitavano in mezzo alle tende, un uomo avvertì Randolfo ed il capitano Linthon che un capo indiano moribondo desiderava parlare a loro.

Si recarono, insieme a Morton, sulla piazza e si trovarono dinanzi ad Abel Doc.

Il padre di Telie aveva ricevuto una palla attraverso il petto e stava per spirare.

Vedendo Randolfo si alzò e tendendogli la mano gli disse:

— Mi perdonate, signor Harringhen? Io avevo intenzione di salvarvi vostro malgrado; gli avvenimenti me lo hanno impedito.

— Vi perdono, Abel Doc — rispose Randolfo.

— E voi, capitano Linthon, che avete avuto sempre cura di mia figlia, mi perdonate?

— Voi un tempo siete stato mio amico — rispose il capitano. — So quali furono i motivi che vi hanno costretto, vostro malgrado, a diventare un alleato degli indiani. Abel Doc, amico mio, vi perdono.

— Grazie, capitano.

Si mise una mano in tasca e levò una carta. Prima di porgerla a Randolfo, gli chiese:

— Braxley è stato ucciso?

— Non occupatevi di lui — gli disse Randolfo.

— Io sono moribondo, — rispose Abel Doc, — potete dirmelo. D’altronde Braxley non era mio amico.

— È morto.

— Allora prendete. Questo è il testamento di vostro zio; voi e vostra sorella siete gli eredi legittimi di quelle ricchezze.

«Ora vorrei chiedervi un favore.»

— Parlate, Abel Doc.

— Pensate a mia figlia.

— Vi giuro che m’incaricherò io di Telie.

— Grazie, signor... Harringhen...

Ciò detto Abel Doc ricadde al suolo. Un fiotto di sangue gli uscì dalle labbra e spirò.

— Partiamo — disse il capitano. — Darò ordine ai miei uomini che sia data onorevole sepoltura a questo uomo che è stato più disgraziato che colpevole.



Il combattimento era terminato con la distruzione completa del villaggio, divorato dalle fiamme dei falò.

I coloni, dopo d’aver fatto raccolta di quanto vi era di buono, cavalli, giovenche, tende, pelli e viveri, erano risaliti a cavallo per far ritorno al forte.

Mary, a fianco di suo fratello e di Telie, si erano messi all’avanguardia con Morton, Diego, il capitano e Ralph.

La traversata della prateria fu compiuta senza pericoli.

Giunti sulla riva del Rio Pecos, fecero una fermata di qualche giorno per riposarsi dalle fatiche, poi ripresero il cammino giungendo l’indomani al forte.

Randolfo che aveva rinunciato a cercare le miniere d’oro indicategli dal gambusino, non si fermò che pochi giorni, essendo impaziente di prendere possesso delle immense ricchezze di suo zio.

Prima di partire chiamò Morton per proporgli di seguirlo nel Messico.

Voleva procurare a quel bravo e disinteressato amico una vita tranquilla e comoda in compenso dei suoi preziosi servigi, ma non ebbe che una risposta:

— Sono nato nella prateria e nella prateria morrò. Andate e siate felici.

Non volle accettare nulla e rimase al forte sotto la protezione del capitano Linthon. A lui la vendetta, da tanti anni attesa, era bastata.

Quindici giorni dopo, Randolfo, tornato nel Messico, prendeva possesso delle piantagioni di suo zio.

Aveva condotto con sé Ralph, che aveva nominato intendente delle sue piantagioni, e anche Diego.

Telie non ebbe a lagnarsi della liberalità del giovane e di sua sorella.

Qualche anno dopo, riccamente dotata, essa diventava la moglie di Diego, l’intrepido scorridore di prateria che aveva così validamente aiutato Randolfo a liberare sua sorella dalle unghie dell’infame Braxley.