Avventure straordinarie di un marinaio in Africa/5. La principessa Ben-Bera

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5. La principessa Ben-Bera

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5.

LA PRINCIPESSA BEN-BERA


Sarebbe contrario alla verità il supporre che tutte le negre siano laide, brutte, come sarebbe contrario alla verità il credere che tutti gli abitanti dell'Africa siano d'egual tinta.

Gli abitanti delle coste della Guinea, pare che abbiano il monopolio della tinta color dell'ebano ed anche della bruttezza. Fisicamente sono i più robusti, i più instancabili, ma in quanto ai lineamenti sono poco attraenti. Come vi sono delle razze negre che posseggono delle donne belle, ben fatte, con dei tratti del viso delicatissimi, con dei piedi piccoli e dei denti d'una bianchezza abbagliante, vi sono poi altre che hanno le loro donne d'una bruttezza scimmiesca, con visi larghi e quasi schiacciati, nasi che sembrano caverne da zanzare, le labbra grosse e sporgentissime, la fronte bassissima, gli occhi cupi. Le razze migliori si trovano al nord dell'Equatore, forse perché si sono incrociate col gagliardo sangue arabo. Le razze meridionali invece sono le più brutte ed anche le meno intelligenti.

La figlia del possente monarca Mao-Kombo, apparteneva adunque alle razze meridionali, quindi nulla poteva avere dei bei tratti che si riscontrano nelle donne dei yolof, del Dahomey, dei fanti e dei kuibongas. Ella aveva bensì la pelle nera, color della fuliggine o dell'inchiostro dei yolof e dei kuibongas, ma nei lineamenti non reggeva al paragone.

Il suo naso era orribilmente schiacciato, le sue labbra di una grossezza mostruosa, il corpo grosso, tozzo, le braccia male modellate e mani grandi come quelle d'una scimmia.

Per di più, aveva sulla fronte tre incisioni verticali, fattesi fare per sembrare più attraente, tale essendo la moda delle bellezze congolesi, ma invece davano al suo volto una espressione ancora più ributtante.

Mentre il re suo padre si occupava degli affari commerciali, la principessa aveva fatto segno a Finfin di sederlesi di fronte e si era rimessa a mangiare con un'avidità da bestia feroce digiuna da tre settimane, adoperando per forchetta le sue lunghe e grosse dita.

Quando ebbe divorato per una buona mezz'ora, la figlia del potente monarca si mise a guardare con una tenace insistenza Giovanni Finfin, il quale già da parecchio tempo aveva terminato il suo pasto. Il giovane ufficiale, assai imbarazzato da quegli sguardi, avrebbe desiderato chiedere qualche spiegazione alla principessa, però non era in grado di farlo non conoscendo una sola parola della lingua congolese. Il capitano Dorsemaine avrebbe potuto venire in suo aiuto, ma quel vecchio lupo di mare aveva ben altro da fare in quel momento. Stava discutendo animatamente con quell'ubriacone di Mao-Kombo, combinando chissà quali vantaggiosi affari commerciali.

Cominciando a trovarsi a disagio, il giovane marinaio, approfittando del momento in cui la principessa stava specchiandosi, cercò di alzarsi per uscire dalla capanna, ma così non la intendeva la negra. Con un gesto imperioso gli intimò di rimanere al suo posto, poi si volse verso suo padre il quale aveva allora concluso i suoi affari col capitano.

— Mio padre vuole soddisfare un desiderio di sua figlia?

— Piccina mia, non hai che da parlare — rispose il monarca, il quale nutriva molta affezione per la sua erede.

— Allora mio padre pregherà il suo amico capitano di regalarmi questo giovane uomo bianco.

Il monarca non parve molto stupito da quella domanda. Abituato a vendere od a regalare i suoi schiavi ed anche i suoi stessi sudditi, trovava naturalissimo il desiderio della figlia.

Guardò, per alcuni istanti Giovanni Finfin, poi fece un gesto di soddisfazione, dicendo:

— È un garzone solido e bello e non troverei alcun inconveniente che diventasse lo sposo di mia figlia. Rientra nella tua capanna, piccina mia, come si conviene alla figlia d'un così possente monarca e lascia che io tratti questo affare col mio amico capitano.

La negra, lietissima di quella risposta e fidando completamente nella possanza di suo padre, s'affrettò a obbedire, dopo d'aver lanciato un nuovo sguardo e d'aver sorriso a Giovanni Finfin.

Il capitano Dorsemaine aveva perfettamente compreso il discorso della principessa e la risposta data da suo padre. I suoi sguardi si fissarono sul re, mentre una viva emozione gli si dipingeva sul viso, però si contenne ed attese gli avvenimenti, riservandosi di fare, a tempo opportuno, un grosso colpo.

— Ah! — mormorò fra sé. — Ecco la combinazione che io andavo cercando.

Assunse un'aria indifferente e si sedette accendendo un grosso sigaro. Mao-Kombo guardò Finfin che stava sulla soglia della capanna ignaro di tutto, poi si volse verso il capitano dicendogli:

— Io devo fare una grave comunicazione al mio amico bianco.

— Ti ascolto, re — rispose Dorsemaine.

— Si tratta della felicità di mia figlia, la principessa Ben-Bera.

— Una cosa assai importante senza dubbio.

— Mia figlia desidererebbe sposarsi.

— Allora la si marita.

— Ma l'uomo che ha scelto è un uomo bianco.

— Uno dei miei uomini forse? — chiese il capitano fingendo la più alta meraviglia.

— Il tuo giovane ufficiale.

— Diavolo!...

— Io ho l'abitudine di non rifiutare mai nulla a mia figlia e sarei anzi soddisfatto che ella sposasse un uomo bianco.

Il capitano guardò il monarca senza rispondere, poi guardò Finfin, il quale stava sempre appoggiato allo stipite della capanna, ignaro di tutto.

— Il mio amico bianco, cosa mi dice? — chiese Mao-Kombo dopo alcuni istanti d'inutile attesa.

— Dico che la cosa è assai seria — rispose Dorsemaine.

— Forse che non è un alto onore sposare mia figlia? È giovane, è bella, è figlia d'un monarca possente e per di più la mia sola erede. Il giovane ufficiale bianco un giorno diverrà il mio successore.

— Una posizione splendida, non dico di no, ma devo dire al mio amico re che il giovane ufficiale mi è stato affidato dai suoi parenti.

— E cosa vuoi concludere?

Il lupo di mare sorrise, mentre un lampo gli balenava negli occhi.

— Voglio dire — riprese — che io sarò costretto a portare ai suoi parenti dei doni ingenti per ricompensarli della perdita del giovane ufficiale.

— Se si tratta solo di questo, fissa la cifra che devo sborsare ai parenti del mio futuro genero.

Il capitano Dorsemaine che tendeva a concludere un grosso affare all'insaputa di Finfin, fissò una somma di circa centomila lire, pagabili parte in avorio e parte in polvere d'oro.

— Accettato — disse il re. — E quando si faranno le nozze?

— Allorquando tu mi avrai consegnata la polvere d'oro e l'avorio — rispose Dorsemaine. — Per ora il mio giovane ufficiale mi occorre a bordo.

— Sarà contento il tuo ufficiale del matrimonio?

— Oh!... Certamente!... Come si può rifiutare un tale onore?

— Allora informalo del desiderio di mia figlia.

Il capitano Dorsemaine si volse verso Finfin, ma invece di metterlo al corrente della cosa, gli chiese semplicemente se la scialuppa si trovava ancora ormeggiata alla riva. Il giovane ufficiale rispose affermativamente colla voce e col capo.

— È contentissimo — disse l'astuto lupo di mare.

— Allora faremo le nozze assai presto.

— Certamente, potente monarca.

— Io vado a dare ordine ai miei ministri di radunare i regali per i parenti del tuo giovane ufficiale.

— Ed io vado a sbarcare i miei marinai per imbarcare il carico.

Il furbo capitano e Mao-Kombo, entrambi soddisfattissimi di quei felici risultati, si lasciarono stringendosi calorosamente la destra e giurandosi la migliore amicizia.

Quando Dorsemaine uscì dalla capanna era raggiante e si stropicciava allegramente le mani.

— Ebbene, capitano, siete assai contento dei vostri affari? — gli chiese Finfin, vedendolo così allegro.

— Contentone, mio giovanotto, e ben presto lo sarai anche tu — rispose il lupo di mare con un sorriso. — Aspetta qualche giorno ancora e lo vedrai.

— E perché devo essere soddisfatto? Non nego di non esserlo, ma per voi.

— Ho concluso un affare che ti riguarda.

— E quale, mio capitano?...

— Zitto per ora. Ti ho promesso di fare la tua fortuna ed il capitano Dorsemaine manterrà la sua parola.

— Grazie, capitano, ma...

— Ah!... Tu vorresti sapere di che si tratta.

— È vero.

— Aspetta, giovanotto mio. Per il momento accontentati di sapere quanto ti ho detto e di non parlare con chicchessia.

— Ciò sarà tanto più facile, mio capitano, perché non so nulla affatto — disse Finfin ridendo.

— Parlare troppo, nuoce, ragazzo. La verità verrà poi, a suo tempo.

Ciò detto, il lupo di mare ritornò a bordo senza spiegarsi di più. Pel momento non voleva dire assolutamente di cosa si trattava, per tema che Giovanni Finfin, di cui conosceva la natura leale, non volesse uniformarsi al suo progetto.

Non crediate d'altronde che il vecchio marinaio avesse intenzione di sbarazzarsi del suo bravo ufficiale, anzi tutt'altro. Voleva tentare un brutto tiro al re negro, prendersi la dote della principessa e regalarne una parte a Finfin, almeno il terzo. Con quel denaro il giovane luogotenente avrebbe potuto aprirsi una più brillante e più rapida carriera.

Disgraziatamente quel progetto che pareva così semplice al capitano Dorsemaine doveva avere uno scioglimento ben diverso e serbare a Finfin delle straordinarie avventure nella terra dei negri.