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Berecche e la guerra/I. La birreria

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I. La birreria

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Berecche e la guerra II. Di sera, per via
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I

LA BIRRERIA

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F
UORI, un altro sole. Strade del mezzogiorno, sotto l’ardente azzurro del cielo, tagliate da violente ombre violacee. E la gente vi passa, pur cosí carica di vita e di colori, ariosa e leggera. Voci nel sole e selciati sonori.

Dentro, il buon tedescone spatriato s’è fatta un po’ di patria attorno, tra le quattro pareti vestite di legno della sua birreria; e ne respira l’aria nel tanfo dei fusti che viene dalla cantina accanto, nell’odor grasso dei würstel ammontati sul banco, in quello acre delle scatole di droghe stuzzicanti, tutti con l’etichetta in duri e dritti caratteri tedeschi. Son anche nei lucidi e vivaci manifesti turchini, gialli e rossi appesi alle pareti — piú grossi, piú duri, piú dritti — quei cari suoi caratteri tedeschi. E i boccali, i krügel istoriati, gli sciop, disposti in bell’ordine nelle scansíe, gli fan da sentinelle a guardia dell’illusione.

Qual voce remota e angosciosa, di tanto in tanto, quando la birreria è vuota e in ombra, gli canta in fondo all’anima la canzone: [p. 16 modifica]

          Nur in Deutschland, nur in Deutschland
          Da will ich sterben...?

Atteggiato il fulvo faccione d’un largo sorriso cordiale, salutava fino a jeri con festosi gargarismi i suoi fedeli avventori romani. Ora sta aggrondato e immobile dietro il banco e non saluta piú nessuno.


Sempre il primo ad arrivare alla birreria, Berecche lo guarda commosso dal tavolino in fondo alla sala, col suo bravo krügel davanti. La commozione gli dà un’aria truce, perché anche la sua condizione s’è fatta da un momento all’altro difficile.

Vantava Federico Berecche, fino a pochi giorni fa, la sua origine tedesca, chiaramente dimostrata, oltre che dalla quadrata corporatura, dal pelame rossiccio e dagli occhi ceruli, anche dal cognome Berecche, corrotta pronunzia, a suo credere, d’un nome prettamente tedesco. E tutti i benefizii vantava derivati all’Italia dalla lunga alleanza con quelli che erano allora gl’imperi centrali, non che le virtú piú perspicue della gente germanica, che lui da tant’anni si sforzava d’attuare rigorosamente in sé e nell’ordinamento della sua [p. 17 modifica]vita e della sua casa; sopra tutto il metodo. Il metodo, il metodo.

In quella birreria, sul marmo d’un tavolino, gli hanno fatto la caricatura: una scacchiera, e Berecche che vi passeggia sopra con la gamba levata a modo dei fantaccini tedeschi e un elmetto puntuto, a chiodo, sul testone.

La caricatura è nella scacchiera: per dire che Berecche vede il mondo cosí, a scacchi, e vi cammina alla tedesca con mosse ponderate e regolari, da onesta pedina appoggiata al re, alle torri, agli alfieri.

Sotto a quella caricatura un bello spirito ha scritto: Medio-evo, con un gran punto esclamativo.

— La Germania, Medio-evo? — domandò sdegnato Federico Berecche quando vide sul marmo del tavolino quel disegno, non riconoscendosi naturalmente nella caricatura, ma riconoscendo l’elmetto a chiodo germanico. — Medio-evo, la Germania? Cari miei! Primato nella cultura, primato nelle industrie, primato nella musica, e l’esercito piú formidabile del mondo. —

In prova di che, tratta di tasca la scato[p. 18 modifica]letta di legno turchina e gialla, aveva acceso la pipa con uno streichholtz, perché Berecche sdegna come molle l’uso e l’industria dei cerini italiani.


Al primo annunzio della neutralità dichiarata dall’Italia nel conflitto europeo ebbe perciò un fremito d’ira contro il governo italiano.

— E il patto d’alleanza? L’Italia si tira indietro? E chi potrà piú d’ora in poi fidarsi di lei? Neutrali? Ma è tempo questo di stare affacciati alla finestra, mentre tutti si muovono? Bisogna prender subito posto, perdio! E il nostro posto... —

Non lo han lasciato finire. Un coro di fierissime proteste, d’invettive, d’ingiurie, l’ha assalito da ogni parte e sopraffatto. — Il patto d’alleanza? dopo che l’Austria l’ha strappato aggredendo? dopo che la Germania, impazzita, dichiara guerra a destra, guerra a sinistra, guerra finanche alle stelle, senza darcene avviso, senza tener conto delle nostre condizioni? Ignorante! imbecille! Che parola e parola! Combattere ai nostri danni? Ajutare l’Austria a vincere? noi? E le nostre terre [p. 19 modifica]irredente? E le nostre coste e le nostre isole, con la flotta inglese e francese contro di noi? Possiamo essere contro l’Inghilterra, noi? Ignorante! imbecille! —

Federico Berecche ha tentato in prima di tener testa, rinfacciando ai furibondi avversarii i torti e le offese della Francia.

— Tunisi! Vi siete cosí subito dimenticati della ragione della triplice alleanza? Ma or ora, durante la guerra libica, i contrabbandi ai turchi? E domani — ignoranti e imbecilli voialtri! — domani ci rivedremmo a Campoformio o a Villafranca! —

Poi, interrotto quasi a ogni parola, s’è provato a dimostrare che, in ogni caso... — scusate, scusate... — neutrali? ma che neutrali! di nome, non di fatto! perché in realtà, piú atto ostile di questo? Vantaggio inestimabile sopratutto per la Francia. Pecoroni... neutralità... Ma Niccolò Machiavelli... (avevano il coraggio di dare dell’ignorante a lui professore di storia in ritiro), sicuro, Machiavelli, Machiavelli, su i pericoli della neutralità, il formidabile dilemma: Se due potenti tuoi vicini vengono alle mani...

Un’urlata generale gli ha troncato in bocca [p. 20 modifica]la citazione. Ma se lui stesso diceva di nome e non di fatto la neutralità, che c’entrava piú Machiavelli col suo dilemma? Atto ostile, sissignori! Contro l’Austria, sissignori! Perché l’Austria agisce a nostro danno. Tanto è vero che s’è mossa senza dircene nulla. E dobbiamo esser grati alla sorte, che lei stessa da sé con la sua azione inconsulta ci abbia disimpegnati. Domani... che? la Francia e la Russia, vincendo, non vorranno tener conto dei vantaggi recati loro dalla nostra astensione? Eh via, ci penserà l’Inghilterra a salvaguardarci, che non potrà permettere, nel suo stesso interesse, una diminuzione nostra sul Mediterraneo.

Con tali e simili argomenti la neutralità dell’Italia è stata difesa; cosí calorosamente, che alla fine Berecche ha dovuto arrendersi e non ha piú osato fiatare. L’idea che l’Italia per la sua posizione geografica sarà domani il timone della situazione l’ha impressionato moltissimo. Il timone della situazione! Vuol dire che la fortuna volgerà da qual parte noi, al momento opportuno, ci gireremo. E la rotta non potrà esser dubbia.

— Ma almeno armiamoci, perdio! — ha [p. 21 modifica]tonato Berecche esasperatamente, levando le pugna pelose.

E, cosí tonando, in questo grido — è inutile — Federico Berecche s’è sentito, in fondo al cuore, tedesco.


Tuttavia, jersera alla birreria non ha piú osato difendere i Tedeschi dalle terribili accuse dei suoi amici. Nemmeno uno, nemmeno il buon Fongi sonnacchioso, sempre d’accordo con lui per amor di pace, favorevole alla Germania.

Non diceva nulla il buon Fongi, ma di tratto in tratto si voltava a guardarlo timorosamente con la coda dell’occhio, forse aspettandosi un suo scatto di ribellione da un momento all’altro. E Berecche ha avuto quasi la tentazione di scaraventargli un pugno in faccia. Ha rifiatato quando gli amici, lasciando da parte i Tedeschi, si sono abbandonati a considerazioni generali. Una specialmente gli s’è fissata, anche per l’aria cupa e grave con cui, in un momento di silenzio, l’amico che gli stava di fronte la enunciava, guardando dentro il piccolo sciop il velo salivoso lasciato dalla spuma a galla della birra. [p. 22 modifica]

— Tutto sommato, per quanto funesti saranno gli eventi, tremende le conseguenze, possiamo esser lieti almeno di questo: che ci sia toccato in sorte d’assistere all’alba di un’altra vita. Abbiamo vissuto quaranta, cinquanta, sessanta anni, sentendo che le cose, cosí com’erano, non potevano durare; che la tensione degli animi si faceva a mano a mano piú violenta e doveva spezzarsi; che infine lo scoppio sarebbe venuto. Ed ecco, è venuto. Tremendo. Ma almeno, vi assistiamo. Le ansie, i disagi, l’angoscia, le smanie d’una cosí lunga e insostenibile attesa, avranno una fine e uno sfogo. Vedremo il domani. Perché tutto muterà per forza, e noi tutti usciremo certamente da questo spaventoso sconquasso con un’anima nuova. —

Subito Berecche ha fissato nella sala un tavolino e tre sedie da cui si levavano gli avventori. Li ha fissati a lungo, avvertendo di punto in punto sempre piú, per quelle tre sedie vuote e quel tavolino abbandonato, una strana malinconica invidia.

Se n’è distratto con un profondo sospiro, allorché un altro degli amici ha preso a dire:

— E chi sa! pensate che l’India, la Cina, [p. 23 modifica]la Persia, l’Egitto, la Grecia, Roma diedero esse un tempo il la alla vita, sulla terra. Un lume s’accende e sfavilla per secoli e secoli in una regione, in un continente; poi, a poco a poco si smorza, vacilla, si spegne. Chi sa! Forse ora sarà la volta dell’Europa. Chi può prevedere le conseguenze d’un cosí inaudito conflitto? Forse non vincerà nessuno e si di struggerà tutto, ricchezze, industrie, civiltà. Il la alla vita cominceranno forse a darlo le Americhe, mentre qua la rovina si farà a mano a mano totale e verrà tempo che le navi approderanno alle coste d’Europa come si approda a terre di conquista. —

Dentro un altro piú profondo sospiro Berecche s’è veduto lontano lontano, con tutta l’Europa, retrospinto nelle caligini d’una favolosa preistoria. Poco dopo è sorto in piedi e s’è licenziato bruscamente dagli amici per ritornarsene a casa.