Breve schizzo dei sistemi di filosofia moderna e del proprio sistema/La filosofia proposta dal Rosmini

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La filosofia proposta dal Rosmini

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Critica dei sistemi precedenti


Dalle cose dette apparisce che l’oggetto conosciuto è cosa intieramente diversa da soggetto conoscitore. Il soggetto conoscitore è una persona, l’oggetto come tale è impersonale. Tuttavia si può in qualche modo dire che l’oggetto conosciuto sia un soggetto conoscente, senza confondersi menomamente con lui o mescolare la sua natura, anzi, distinguendosi da lui per modo che il distinguersi è uno de’ caratteri essenziali della cognizione. Ma non si ha cognizione dove non vi ha distinzione tra soggetto ed oggetto.


La questione si riduce adunque donde venga l’oggetto del conoscimento; questa è la questione dell’origine delle idee e delle cognizioni umane.


Le cognizioni umane si dividono in due classi, che si chiamano cognizioni per intuizione e cognizione per affermazione. Le cognizioni per intuizione sono quelle che riguardano la natura delle cose in sé, le cose nella loro possibilità. Queste cose considerate in se stesse come possibili a sussistere e non sussistere sono appunto le idee.


Le cognizioni per via di affermazione o di giudizio sono quelle che noi acquistiamo coll’affermare o giudicare che una cosa sussista o non sussista.


Da questa definizione procedono due conseguenze :


1°) Che non possiamo avere questa seconda specie di cognizioni senza che preceda la prima, perocché non possiamo affermare che una cosa sussista o non sussista, se innanzi non conosciamo la cosa stessa nella sua natura possibile, esempio, io non posso dire che sussista un albero o che sussista un uomo, se prima non so che sia albero o che sia uomo. Ora il sapere che cosa è, viene al medesimo che conoscere la cosa nella sua possibilità, perocché io posso sapere che cosa è un albero, e tuttavia non sapere che quest’albero non ancora sussista.


2°) Che gli oggetti appartengono solamente al primo genere di cognizioni, perocché col secondo genere non si fa che affermare o negare la sussistenza dell’oggetto conosciuto col primo. Laonde questa maniera di cognizioni non somministra alla mente un oggetto nuovo, ma solamente pronuncia la sussistenza dell’oggetto che già si conosce.


La prima maniera, adunque, di cognizione è quella che ci porge gli oggetti possibili, e questi si chiamano idee; la seconda maniera non ci porge nuovi oggetti possibili, nuove idee, ma ci produce delle persuasioni intorno agli oggetti conosciuti.


Vi hanno adunque due termini delle cognizioni, le idee e le persuasioni: coi primi conosciamo il mondo possibile, coi secondi conosciamo il mondo reale e sussistente. Quindi due categorie delle cose: le cose possibili e le cose sussistenti; in altre parole, le idee e le cose.


Noi abbiamo veduto che gli oggetti delle nostre cognizioni sono essenzialmente distinti da noi stessi, che siamo il soggetto che li conosce. Sieno questi oggetti puramente possibili od anche sussistano, essi sono ugualmente da noi distinti ed indipendenti. Quindi ci viene una nuova luce per conoscere la natura delle idee, poiché noi siamo logicamente obbligati di conchiudere, da una parte, che le idee non sono un nulla, dall’altra, che non sono noi stessi, né modificazioni di noi stessi; finalmente, che esse hanno un loro proprio modo di esistere intieramente diverso da quello delle cose reali o sussistenti.


Questo modo di esistere degli oggetti ideali, ovvero delle idee, è tale che non cade sotto i nostri sensi corporei, e da questo è avvenuto che sfuggì intieramente alle osservazioni di molti filosofi, i quali procedevano a filosofare con un pregiudizio anticipato, pel quale supponevano che tutto ciò che non cade sotto il senso fosse nulla. Ma egli è un fatto che gli oggetti possibili non cadono sotto il senso, e quindi che non si può spiegare in alcun modo la loro cognizione ricorrendo solamente ai sensi corporei, nuova confutazione ed evidente del sensismo.


Se dunque le idee, che è quanto dire gli oggetti ideali e possibili non vengono somministrati dai sensi, quale è la loro origine?


Conviene che premettiamo l’osservazione dei caratteri propri delle idee. Questi sono due principali, l’universalità e la necessità. In fatti un oggetto ideale, o meramente possibile, è sempre universale, in questo senso che egli solo fa conoscere la natura di tutti gl’indefiniti individui, ne’ quali si realizza. Prendiamo, a ragion d’esempio, l’idea dell’uomo. L’idea dell’uomo è, come noi dicemmo, l’uomo ideale. Gl’individui umani realizzati possono essere in qualunque numero si voglia, e pure in tutti vi ha la stessa natura umana; la natura è una, gl’individui son più. Ora che cosa mi esprime e mi fa conoscere l’idea dell’uomo, l’uomo ideale? la natura. Chi dunque possiede l’idea dell’uomo, qualora avesse la facoltà creatrice, potrebbe con essa sola produrre quanti uomini gli piacesse. Medesimamente con essa sola tutti li conoscerebbe. Così uno scultore, il quale avesse concepito l’idea di una statua, potrebbe riprodurre questa idea nel marmo più e più volte senza che l’idea rimanga giammai esaurita. La statua ideale sarebbe una e sempre quella stessa, che qual tipo esemplare si rimane innanzi alla mente; le copie materiali sarebbero molte, tutte foggiate e conosciute colla stessa idea. Questo è ciò che si chiama l’universalità delle idee, e che le distingue categoricamente dagli oggetti reali, i quali son sempre particolari; come pure dalle sensazioni, che sono particolari anch’esse.


Il carattere della necessità è del pari evidente; poiché le idee essendo gli oggetti possibili, egli è chiaro che quel che è possibile non può a meno di esser tale, e quindi necessariamente tale. Il possibile è ciò che non involge contraddizione: ogni oggetto, adunque, che non involga contraddizione, di necessità è possibile. Ora tutti gli esseri finiti e reali nella loro realtà sono solamente contingenti, e non necessari, all’opposto degli esseri possibili. Perocché di qualunque oggetto finito o reale si può pensare egualmente che egli sia o che egli non sia, laddove dell’oggetto possibile non si può mai pensare che non sia, cioè che non sia possibile. A ragion d’esempio, l’uomo, nella sua possibilità, è necessario, perocché niuno può fare che l’uomo non sia possibile; un uomo reale, all’incontro, è contingente, perché può essere e può non essere, può darsi che sia o che non sia.


L’universalità, adunque, e la necessità sono i due caratteri primitivi delle idee, ma ad questi ne nascono due altri, che sono l’infinità e l’eternità.


Le idee hanno in se stesse una infinità, perché sono universali. Niuno essere reale e limitato è universale, perché è determinato a se stesso e incomunicabile ad altri. Dunque le idee non appartengono alla classe degli esseri reali limitati.


Le idee sono anche eterne, appunto perché sono necessarie; giacché quello che è necessario è stato sempre necessario e sempre sarà, e quello che è stato sempre e sarà, è eterno.


Dalla considerazione di questi eccelsi caratteri delle idee indusse S. Agostino, seguito poscia da S. Tommaso, e preceduto da Platone, che le idee risiedono in Dio come in loro fonte e principio.


Dalla quale sentenza il Malebranche dedusse il suo sistema, che l’uomo, ed ogni intelligenza finita, vede tutto ciò che vede, in Dio, sistema ultimamente difeso dalle imputazioni teologiche, che gli furono fatte, dall’E.mo cardinal Gerdil [1718-1802].


Noi non accettiamo intieramente questo sistema, di cui sarebbe troppo lungo l’istituire in questo luogo una critica, ma riconosciamo in esso un fondo di verità, e solo sui particolari cadono le differenze del sistema malebranchiano dal nostro.


Noi poniamo ogni diligenza nel distinguere le idee in quanto sono in Dio, e in quanto sono vedute dal nostro intelletto. Le idee sono in Dio in un modo diverso da quello nel quale risplendono alla mente nostra. Le idee in Dio hanno un modo di essere che non è diverso da quello di Dio stesso, e questo è il modo del Verbo divino; il quale è unico senza alcuna distinzione reale in se stesso, ed è Dio egli stesso. Ma non così le idee risplendono alla mente nostra.


Nella nostra mente le idee sono molteplici e non costituiscono da sé il verbo dell’uomo; poiché verbo, ossia parola, esprime un giudizio, un’affermazione, un pronunciato che termina sempre nella realità, laddove le idee pure non fanno conoscere che la possibilità. Quindi le idee vengono limitate dalla mente umana che le riceve, per modo che non possono più chiamarsi coll’appellazione di Dio, o di Verbo divino, perché Iddio è l’essere assoluto, a cui è necessaria la sussistenza; laddove le idee non sono che i possibili intuiti della mente. E tuttavia le idee ritengono alcuni caratteri della divinità, quali sono i sopra nominati, onde convenientemente si possono dire divine appartenenze.


Dalle quali considerazioni procede che, in generale parlando, l’origine delle idee viene da Dio, il quale le fa risplendere alla mente umana; né possono venire dall’uomo o dalle cose esteriori, perché gli esseri finiti non hanno que’ caratteri sublimi, e nessuno dà quel che non ha.


Ma dopo di ciò si deve venire ad indagare in un modo più determinato l’origine delle idee umane, e sopra tutto spiegare la loro molteplicità, e mostrare altresì come esse concorrano a produrre quella classe di cognizioni che abbiamo chiamate di persuasione.


Vediamo adunque di classificare le idee e di rinvenire quale ordine di subordinazione tengano fra loro. In questa ricerca noi troviamo che v’ha un’idea sola appieno indeterminata e d’ogni parte universale, la quale è l’idea dell’essere. Tutte le altre idee sono più o meno determinate e fanno conoscere i possibili in una sfera più ristretta. Ora, tra l’idea indeterminata dell’essere e tutte le altre idee passa questa relazione, che le altre idee contengono sempre l’idea indeterminata dell’essere, a cui si sopraggiungono diverse determinazioni. Prendiamo in esempio l’idea della pietra, dell’albero, dell’animale e dell’uomo. Che cosa mi fa conoscere l’idea della pietra? Un essere, ma non qualunque essere, bensì quello che ha le determinazioni della pietra. Che cosa mi fa conoscere l’idea dell’albero? Un essere colla sopraggiunta della determinazione dell’albero. Che cosa mi fa conoscere l’idea dell’animale? Ancora un essere, ma determinato coi caratteri dell’animale. Che cosa mi fa conoscere l’idea dell’uomo? Sempre un essere, ma coi caratteri e colle determinazioni che sono propri dell’uomo. Dunque l’essere si trova in tutte le idee, e ogni determinazione non è altro che la stessa idea dell’essere vestita e limitata da certe determinazioni. Tutte le idee, adunque, hanno un fondo uguale, hanno un elemento comune, che è l’essere ideale o possibile.


Queste determinazioni sono più o meno complete, poiché o determinano pienamente l’essere, o lo determinano soltanto da qualche lato e lo lasciano indeterminato da qualche altro. A ragion d’esempio, io posso formarmi l’idea di un libro di una data grandezza, di una data forma, stampato con certi caratteri e, insomma, fornito di tutti gli accidenti che cadono in un dato libro. Questa è l’idea determinata di un libro, e tuttavia questa idea è generale ancora, perché è una pura idea, non è un libro reale, è un tipo, un esemplare che sta dinanzi alla mia mente, sul quale potrebbe formarsi un numero indefinito, un numero reale di libri tutti eguali. All’incontro, io posso avere medesimamente l’idea di un libro da qualche lato indeterminata, come avviene quando io penso a un libro co’ suoi costituitivi essenziali, prescindendo dagli accidenti della grandezza, della forma, del carattere, ecc., ecc. Ora, le idee al tutto determinate si chiamano idee concrete; le idee da qualche lato indeterminate si chiamano idee astratte. Ma se io tolgo all’idea di libro tutte le sue determinazioni tanto accidentali quanto essenziali, mi sfugge dalla mente il libro, e non mi resta che l’idea di un essere al tutto indeterminato.


Le idee, adunque, sono distribuite nella mente nostra a forma di piramide che finisce in punta. Il primo strato di questa piramide è formato dalle idee concrete, al tutto determinate; le quali appunto per ciò formano un maggior numero. Gli altri strati sono composti da idee sempre meno determinate; le quali diminuiscono di numero quanto più si rimuovano da esse le determinazioni. La punta della piramide è l’idea dell’essere unico e da tutti i lati indeterminato.


Volendo adunque dare una soddisfacente spiegazione dell’origine delle idee, è necessario di render conto di due cose: primo, dell’origine dell’idea indeterminata; secondo, delle sue determinazioni.


E in quanto alle determinazioni dell’idea dell’essere (che è appunto l’idea presa indeterminata) ne troveremo, facilmente, l’origine mediante la seguente osservazione.


Presupponendo che l’uomo abbia l’idea dell’essere, cioè che egli sappia che cosa è essere, incontamente s’intende come egli possa cangiare la sensazione in idee. Perocché quando egli esperimenta delle sensazioni, può dire seco stesso: qui vi è un essere limitato e determinato dalla sensazione. Per esempio, vedendo una stella, egli può dire col suo pensiero: questo è un essere luminoso, ecc. Le sensazioni, adunque, gli somministrano le prime determinazioni dell’essere, di modo che quando pensa un essere luminoso che agisca sul suo senso visivo, allora egli non pensa più solamente all’essere indeterminato, ma pensa un essere colla determinazione della luminosità, dei gradi intensivi di questa, della grandezza, della forma, ecc.. Tutte queste qualità rendono l’essere determinato, e tutte sono somministrate dal senso. Ma non è perciò che tali determinazioni dell’idea sieno le sensazioni stesse; il che s’intenderà distinguendo le diverse operazioni che fa in questa bisogna lo spirito umano.


In fatti, quando l’uomo alla vista d’una stella dice col suo pensiero: qui vi ha un essere luminoso, egli allora pronuncia una affermazione, un giudizio; e noi abbiamo distinte le cognizioni di affermazione dalle semplici idee. Ma abbiamo detto che quella maniera di cognizioni suppone queste ultime, di modo che non si può affermare la sussistenza di un oggetto di cui non si abbia affatto l’idea. Dunque nel giudizio con cui io affermo la stella presente a’ miei occhi, il quale si chiama percezione della stella, già si contiene l’idea. Rimane adunque che noi con un’altra operazione dello spirito isoliamo l’idea dagli altri elementi della percezione. Ora questa operazione chiamasi universalizzazione, ed ella si fa in questo modo: nella percezione della stella il mio pensiero si trova legato coll’oggetto particolare e sensibile. Ma egli se ne può slegare prescindendo al tutto dal pensiero della sussistenza attuale della stella, mantenendone l’immagine, considerandola come stella possibile, come tipo ed esemplare di tutte quelle stelle uguali, indefinite di numero, che potrebbero essere realizzate dalla potenza del Creatore. Ora la stella possibile è appunto un’idea pura determinata. Questa determinazione possibile della stella non è più la sensazione, la quale è reale e non possibile; ma nondimeno la sensazione mi diede l’occasione di rinvenirla; e lo spirito intelligente la rinvenne col considerare siccome possibile ciò che la sensazione mi dava come reale. Il che lo spirito potè ben fare, avendo noi presupposto che egli conoscesse che cosa è essere possibile. Ma la stella possibile è universale; però questa operazione dello spirito viene da noi chiamata universalizzazione.


Coll’universalizzazione si formano le idee pienamente determinate, coll’astrazione si formano quelle idee che sono determinate solamente da qualche lato e che restano indeterminate da qualche altro. Così se il mio pensiero, oltre il prescindere dalla sussistenza della stella, prescinde ancora dalla grandezza, dalla forma, dal grado di luce e dagli altri accidenti della stella, che cosa gli resta? Gli resta ancora l’idea di stella, ma astratta, generica che può convenire egualmente alle stelle di 1a, 2a, 3a grandezza, ecc. Questa idea è determinata in parte, perocché tale idea della stella non si può confondere coll’idea delle altre cose; ma rimane altresì in qualche parte indeterminata, poiché non conviene più a una stella che ad un’altra.


Presupposta adunque nella mente dell’uomo l’idea dell’essere possibile, non è difficile rinvenire le sue determinazioni; le quali la vestono, la limitano e la trasformano in tutte le altre idee. Le quali determinazioni vengono occasionate e materialmente somministrate dalle sensazioni formate poi in idee dalle due osservazioni dello spirito umano, che abbiamo descritto, cioè dall’universalizzazione e dall’astrazione.


Resta adunque a spiegarsi onde proceda l’idea dell’essere universale, che è la sola idea indeterminata; data la quale allo spirito umano, non incontra più alcuna difficoltà la spiegazione di tutte le altre idee, perché, come abbiamo veduto, esse non sono altro che questa stessa idea dell’essere, che lo spirito umano veste di determinazioni in occasione delle sensazioni e in qualunque de’ sentimenti che sperimenta.


E per giungere alla spiegazione di tale quesito conviene prima di tutto mettersi davanti all’animo que’ corollari che dalle cose esposte discendono, i quali sono.


1°) L’idea dell’essere in universale è anteriore a tutte le altre, perché le altre idee non sono che la determinazione di lei, e il determinare una cosa presuppone che sia già la cosa da determinarsi.


2°) Questa idea non può venire dalla sensazione o da’ sentimenti, non solo perché le sensazioni sono reali, particolari e contingenti, quando quell’idea porge allo spirito la notizia dell’ente possibile, universale e necessario nella sua possibilità; ma ben anche perché le sensazioni e i sentimenti non somministrano allo spirito altro che le determinazioni dell’idea dell’essere, le quali la limitano e la restringono.


3°) Ella non può venire ne pure dalle operazioni dello spirito umano, quali sono l’universalizzazione e l’astrazione; perocché queste operazioni altro non fanno che aggiungere determinazioni a quell’idea, togliere dopo aggiunto, e ciò in occasione delle sensazioni e de’ sentimenti.


4°) Queste operazioni dell’intendimento umano non sono possibili se non presupposta l’idea dell’essere, che è il mezzo, l’istrumento, la condizione del medesimo.


5°) Quindi senza l’idea dell’essere lo spirito umano non farebbe più alcuna operazione razionale, resterebbe privo della facoltà di pensare e d’intendere, il che è quanto dire cesserebbe dall’essere intelligente.


6°) Che se col togliersi all’anima l’idea dell’essere ella rimane priva dell’intelligenza, e coll’accordarlesi questa idea ella diventa essere intelligente, dunque può dirsi che questa idea costituisca lo stesso lume della ragione, e così si scopre che cosa sia il lume della ragione da tutti ammesso, da nessuno definito.


7°) E poiché i filosofi sogliono chiamare forma quello pel quale una cosa è quello che è, perciò l’idea dell’essere in universale può giustamente chiamarsi la forma della ragione o dell’intelligenza.


8°) Per la stessa ragione questa idea merita l’appellazione di idea prima, di idea madre, di idea per se stessa e di luce intellettiva. E’ idea prima, perché anteriore a tutte le altre; è l’idea madre, perché genera tutte le altre associandosi coi sentimenti mediante le operazioni dello spirito; è l’idea per se stessa, perché i sentimenti non sono idee, e lo spirito ha bisogno di aggiungerli come determinazioni a quell’idea prima a fine d’averne le idee determinate; finalmente è luce intellettiva, perocché essa è conoscibile per se stessa; laddove i sentimenti sono conoscibili per mezzo di lei, divenendo sue determinazioni, e come tali conoscendosi.


Le quali cose tutte attentamente considerandosi, viene sopra modo agevolata la soluzione del gran problema dell’origine delle idee e delle cognizioni umane. Che anzi, questo problema rimane già sciolto dallo stesso senso comune degli uomini. Perocché il senso comune ammette nello spirito umano un lume della ragione o dell’intelligenza, e questo lume lo dichiara così naturale e proprio dell’uomo, che differenzia l’uomo stesso dalla bestia. Ora, essendo dimostrato che questo lume della ragione non è altro che la stessa idea dell’essere in universale, consegue che, secondo la testimonianza del senso comune, questa idea è naturale all’uomo e propria della sua natura, e perciò non è un’idea formata od acquistata, ma innata, cioè inserta in lui da natura, resa presente al suo spirito dallo stesso Creatore che lo ha formato. Infatti, l’essere conviene che sia noto per se stesso, o niuna altra cosa si trova che lo renda noto; che anzi, qualunque altra cosa si renda nota per lui, perocché ogni cosa essendo essere, se non si conosce che cosa è essere, non si conosce nessuna cosa.


E così rimane sciolta la gran quistione dell’origine delle idee, perocché tutte le idee specifiche e generiche si trovano essere la stessa idea dell’essere variamente determinata mediante le sensazioni e le operazioni dello spirito; e quell’unica idea primitiva non potendo di conseguente essere il prodotto di queste operazioni, di cui è la condizione indispensabile, conviene che sia data all’uomo dalla natura; di modo che l’uomo sappia che cosa è essere, senza che abbia bisogno d’impararlo, imparando tutte le altre cose coll’aiuto di questa primitiva cognizione.


Né si può ragionevolmente domandare una definizione dell’essere, come quello che è noto per se stesso e che entra nella definizione di tutte le altre cose: si può solamente descrivere, se ne possono analizzare i caratteri e nulla più.


L’idea abbiam veduto contenere la pura essenza della cosa; l’idea dell’essere contiene dunque e fa conoscere l’essenza dell’essere. L’essenza è immune dallo spazio: l’essere ideale, adunque, è incorporeo. Ma l’essere ideale è la forma dell’anima intellettiva, e per la semplice intuizione di quello l’anima intellettiva sussiste. Dunque anche l’anima intellettiva è incorporea: dunque è spirituale: dunque è incorruttibile e immortale.


L’essenza è anche immune dal tempo, perocché l’essere nella sua essenza è sempre l’essere e non può mai cessare; giacché sarebbe contraddizione che l’essere cessasse di essere l’essere. Dunque è eterno. Ma egli fu unito all’anima nel tempo. Dunque egli era prima che fosse l’anima umana, ed è indipendente da questa. Ma l’essere è luce intellettiva, e la luce intellettiva è condizionata all’esistenza in cui sia la luce. Dunque esiste una mente anteriore all’anima, una mente eterna, e questa è Dio; dunque esiste Iddio.


L’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima sono i due fondamenti della morale. Perocché Iddio è il fine al quale deve tendere l’anima immortale, e questo è quel dovere complessivo e sommario a cui si riducono tutti gli altri; così la ricerca astratta dell’origine delle idee diventa grave ed importante pei destini dell’uomo.