Canti dell'ora/VI. Poemetti guerreschi/La conquista

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VI. Poemetti guerreschi - La conquista

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LA CONQUISTA

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Non più su noi co ’l lampo de le spade
passa la forza e tutto l’altro schiaccia
3come sotto la macina le biade.

Non più le madri si fan bianche in faccia
al suono de le tragiche novelle,
6straziate dal ver ne la minaccia.

La guerra stride ormai sotto altre stelle,
come percuote l’invisibil sprone
9che avventa ne la notte le procelle.

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Risorge ’l cor dopo la passïone;
e la mente, ove breve han stanza i lutti,
12respira un soffio di ripensazione.

Del seme amaro vede i dolci frutti,
su ’l suolo a cui dettero ’l sangue gli uni
15novera i beni che saran di tutti.

E par che qualche cosa si rabbruni
mentre la vita ai soliti negozi
18torna e la morte ai soliti infortuni.

Il popolo, che ignora i flaccidi ozi,
e abbatte l’idol su l’iniquo altare,
21e vitupera i falsi sacerdozi,

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crede a la gloria. Egli che deve osare
tutto per far franca a sè l’esistenza,
24placida ad altri, egli che deve dare

braccia gagliarde e viva intelligenza
per cimentarsi con la sua fatica
27e coronarsi d’ogni pazienza,

egli che da la nova anima esplica,
come il bisogno d’ogni giorno chiede,
30le virtù de la grande anima antica

fuse nel sangue, egli a la gloria crede,
e al sogno dona il sopruman valore
33del sacrifizio che non ha mercede.

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O angustia sempre egual di tutte l’ore,
o senza tregue mai curva giornata,
36o anni logorati in un sudore,

il qual farà che a la soglia negata
d’un ospizio famelica t’assidi
39implorando, vecchiaia abbandonata!

A voi la gloria. O come a’ noti gridi
s’illuminava il fondaco ed il banco
42e la grama soffitta! Io vidi io vidi

la sera intorno a l’operaio stanco
i figli accolti a la lor scarsa mensa.
45— Mangiate — dice il padre; e volta ’l fianco.

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Nessuno mangia. Ecco, uno legge. Immensa
ne gli occhi sta la visione e nello
48smunto viso a ciascun l’anima intensa.

Vedono il figlio, vedono il fratello
ne lo scontro, colà dove la Barca
51Marmarica sanguigna fe’ ’l tranello

de’ Beduini. È lui. Certo egli varca,
adesso, la terribile pendice
54che i cacti enormi imbosca e ’l suolo inarca

a l’agguato. La torre traditrice
fulmina piombo. Un tuon risponde orrendo:
57e sta. Colpita è la mitragliatrice,

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e a lei s’avvince il puntator morendo.
— Viva, o prodi! — Fin che la storia parli
60di valore, dirà: — Vincean cadendo,

e la morte sentì ne l’atterrarli
il trionfo de l’anime non dome.
63Morte ucciderli può, non disarmarli. —

Qualcuno piange. Ma improvviso come
il folgorar d’un lampo arde ne gli occhi.
66— Onore ai forti! — e il giornale fa il nome

del lor soldato. Qual se fuori scocchi
da ogni fibra un’elettrica scintilla
69sussultano essi. Odono già ne i crocchi

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fremere e palpitar quel nome. Brilla
con la luce d’un astro. Di lui tutta
72la città, di lui tutto ’l mondo squilla.

O poesia! tra la feroce e brutta
necessità, di queste fiamme d’oro
75fu la magica tua veste costrutta.

Mancavano le braccia pe ’l lavoro,
mancava ’l soldo al misero pecuglio,
78non mancava a le fronti ’l tuo decoro.

E incessante venìa la romba e ’l muglio
de l’armi e l’eco de gli scempii atroci
81e un gemer d’agonìe da ottobre a luglio,

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da Tripoli a Tobruk, sol queste voci:
da Bengasi a Misrata: e l’orme altere
84de la conquista, che premean veloci

l’oasi dopo le città costiere;
fin che tutte, una dopo l’altra, via
87furono rase al Turco le bandiere.

Al popolo spiravi, o poesia,
il tuo possente anelito. Per esso
90l’aura de l’infinito ognun sentia

fluire, quella ch’è come un amplesso
de la Divinità, che va e che viene,
93e glorifica l’uom sopra se stesso.

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Quella che l’armonia die’ a l’arti ellene
e il nume, quando celebrava l’ode
96di Pindaro i cavalli di Cirene.

Beati i dì che da la gesta prode
irradiando sorge quest’aurora
99di bellezza che ’l tempo non corrode!

Altra è la sorte quando si colora
dopo l’ignava tenebra al suo raggio.
102Altra è la nazione ch’esce fuora

da l’epica sementa del coraggio
e dei martìri. Altra è la pace poscia
105ch’ella su ’l turpe strame del servaggio

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gravata di torpore non s’accoscia.
O tu, che trascinavi ’l tuo fardello
108nel deserto, senz’odio e senz’angoscia,

in ginocchio al destin, come ’l cammello
al vento, e surto a i tradimenti, quali
111contro il Numida fean cauto Metello,

barbarie esausta d’energie vitali,
in che trapassa come belva stanca
114la razza de gli schiavi e de’ corsali,

se a l’enorme viltà la sferza manca,
flagel sia ’l ferro e ’l fuoco, e la tempesta
117fulmini ’l raggio che la notte imbianca.

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Al dominio correa l’Italia. E questa
era la meta onde mirava i cieli
120illuminarsi de la propria gesta.

Umanità, umanità che aneli
sempre al ristoro, e di combattimento
123l’anima sempre insaziata sveli,

fin che v’è un lauro per il buon cimento,
e per l’ozio una steppa, arma la mano,
126con la sfida misurati a l’evento,

che il giorno de la pace è ancor lontano.