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Cantico di Natale/Strofa Terza

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Il secondo dei tre spiriti

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Charles Dickens - Cantico di Natale (1843)
Traduzione dall'inglese di Federigo Verdinois (1888)
Il secondo dei tre spiriti
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Destato nel pieno di un russo prodigiosamente fragoroso e sorgendo a sedere nel mezzo del letto per raccogliere i suoi pensieri, Scrooge non ebbe bisogno di sentirsi dire che il tocco stava per suonare da capo. Sentiva di esser tornato in sé al momento preciso per abboccarsi col secondo messo mandatogli per mezzo di Giacobbe Marley. Se non che, per un molesto ribrezzo che lo pigliò pensando a quale delle cortine il novello Spirito si sarebbe affacciato, le aprì tutte con le proprie mani; poi, rimettendosi a giacere, stette tutto vigile a guardare intorno. Voleva subito affrontar lo Spirito e non già spiritar dalla sorpresa.

Le persone franche, le quali si vantano di non conoscere che un paio di emozioncelle e di star sempre salde ad ogni sorpresa, esprimono la vasta misura del loro coraggio impassibile dicendosi buone così per una partita a birilli come per sbudellare un uomo in duello. Tra i due estremi ci deve essere però un campo piuttosto vasto e variato. Senza osare di mettere Scrooge a quell’altezza, vorrei nondimeno farvi credere ch’egli era pronto a molte e strane apparizioni e che nulla, dalla vista di un bambino a quella di un rinoceronte, gli avrebbe recato un grande stupore.

Ora, l’essere preparato a tutto non volea mica dire ch’ei fosse preparato a niente; e per conseguenza, quando il tocco squillò e nessun’ombra apparve, ei fu preso da un violento tremore. Cinque minuti passarono, dieci, quindici, e niente veniva. Egli intanto, sempre giacente sul letto, si vedeva fatto centro di una gran luce rossastra, piovutagli sopra nel punto stesso in cui l’ora era battuta; la quale luce, non essendo altro che luce, era più spaventevole di una dozzina di spiriti, non potendo egli indovinare che cosa volesse dire e che ne uscirebbe. A momenti, lo pigliava il timore di essere egli stesso un caso interessante di combustione spontanea, senza aver neppure la consolazione di saperlo. Alla fine, però, incominciò a pensare - come voi ed io avremmo pensato subito, perché le persone estranee al caso sanno sempre egregiamente quel che si dovea fare nel tal caso e lo avrebbero fatto senz’altro - alla fine, dico, incominciò a pensare che l’arcana sorgente di cotesta luce spiritica potesse essere nella camera contigua; dalla quale infatti, seguendone i raggi, la si vedea scaturire. Preso da quest’idea, si alzò pianamente e se n’andò strascicando in pantoffole verso la porta.

Nel punto stesso che metteva la mano sul saliscendi una strana voce lo chiamò per nome e gl’impose di venire avanti. Scrooge obbedì.

Era la sua camera, proprio quella, ma trasformata mirabilmente. Pendevano dal soffitto e dalle pareti tante frasche verdeggianti, da formare un vero boschetto, di mezzo al quale le bacche lucenti mandavano raggi di fuoco vivo. Le frondi grinzose delle querce, dell’edera, dell’agrifoglio rimandavano la luce, come specchietti tremolanti; e una vampa così poderosa rumoreggiava su per la gola del camino, che quel gelido focolare non avea mai visto la simile a tempo di Scrooge e di Marley o per molti e molti inverni passati. Ammontati per terra, quasi a formare una specie di trono, vedevansi tacchini, forme di cacio, caccia, polli, gran tocchi di carne rifredda, porcellini di latte, lunghe ghirlande di salsicce, focacce e pasticcini, barili di ostriche, castagne bruciate, mele rubiconde, arance succose, pere melate, ciambelle immani, tazzoni di ponce bollente, che annebbiavano la camera col loro delizioso vapore. Adagiavasi su cotesto giaciglio un allegro Gigante, magnifico all’aspetto, il quale brandiva con la destra una torcia fiammante, quasi a foggia di un corno di Abbondanza, e l’alzava, l’alzava, per gettarne la luce sulla persona di Scrooge nel punto che questi spingeva dentro il capo dalla porta socchiusa.

- Entra! - gridò lo Spirito. - Entra! e impara a conoscermi, uomo! -

Scrooge entrò timidamente e piegò il capo davanti allo Spirito. Non era più l’arcigno Scrooge di prima; e benché gli occhi di quello fossero limpidi e buoni, non gli piaceva troppo di incontrarli.

- Io sono lo spirito di questo Natale - disse lo Spirito. - Guardami! -

Scrooge reverente obbedì. Portava lo Spirito una semplice veste verde-cupo, o tunica che fosse, orlata di pelo bianco, la quale con tanta scioltezza gli pendeva indosso, che l’ampio torace sporgeva nudo come sdegnoso di celarsi o difendersi in alcun modo. Anche i piedi, disotto alle ampie pieghe della veste, vedevansi nudi; e sul capo, nessun altro cappello che una ghirlanda d’agrifoglio aggraziata da ghiacciuoli scintillanti. Lunghi e fluenti i riccioli della chioma nera; liberi, come il viso era aperto e geniale, lucido l’occhio, aperta la mano, gioconda la voce, franchi gli atti, ridente l’aspetto. Legata alla cintura portava un’antica guaina, senza lama dentro e tutta mangiata dalla ruggine.

- Un altro come me, - esclamò lo Spirito, - tu non l’hai visto mai!

- Mai, - rispose Scrooge.

- Non sei andato attorno co’ più giovani della mia famiglia; voglio dire (perché io sono giovanissimo) i miei fratelli maggiori nati in questi ultimi anni?

- Non mi pare, - disse Scrooge. - temo di no. Avete avuto molti fratelli, Spirito?

- Più di milleottocento, - rispose lo Spirito.

- Una famiglia tremenda a mantenere! - borbottò Scrooge.

Lo Spirito si alzò.

- Spirito, - pregò Scrooge in atto sommesso, - menatemi dove vi piace. Stanotte scorsa sono andato fuori per forza ed ho imparato una lezione che già mi va lavorando dentro. Questa notte qui, se m’avete da insegnar qualche cosa, fate che io ne profitti.

- Tocca la mia veste! -

Scrooge non se lo fece dire due volte e vi si tenne saldo.

Agrifoglio, querce, bacche rosse, edera, tacchini, cacio, polli, caccia, tocchi di carne, porcellini, salsicce, ostriche, focacce, pasticci, frutta, ponce, tutto sparì all’istante. E così pure la camera, e il fuoco, e la vampa rosseggiante, e l’ora della notte. Ed eccoli tutti e due, la mattina di Natale, per le vie della città, dove la gente faceva una certa musica barbaresca, ma non affatto spiacente, raschiando la neve davanti alle case o di sopra ai tetti, donde, fra le gioconde acclamazioni dei ragazzi, piovevano le bianche falde e turbinavano nell’aria burrasche artificiali.

Nere parevano le case, più nere le finestre, tra il bianco e morbido lenzuolo di neve steso sui tetti e la neve, un po’ meno pulita, che copriva il suolo. Questa era stata dissodata ed arata in solchi profondi dalle ruote dei carri e delle carrozze; e cotesti solchi, all’incrociarsi delle vie principali, s’intersecavano cento e cento volte, facendo intricati canali nella mota giallognola e nell’acqua diacciata. Il cielo era fosco, e le vie più anguste erano affogate da una densa nebbia che cadeva in nevischio e in pioggia di atomi fuligginosi, come se tutti i camini della Gran Bretagna avessero preso fuoco di comune accordo e allegramente divampassero. In verità né il tempo era molto allegro né la città, e nondimeno una certa allegrezza spandevasi intorno che il più limpido cielo e il più splendido sole d’estate non avrebbero potuto dare.

Perché la gente che spazzava i tetti era piena di brio e di contentezza; si chiamavano da una casa all’altra, si scambiavano di tanto in tanto una pallottola di neve - proiettile più innocuo di parecchi frizzi - ridendo cordialmente se coglievano giusto e non meno cordialmente se sbagliavano la mira. Le botteghe dei pollaioli erano ancora mezzo aperte, quelle dei fruttivendoli raggiavano gloriose. Qua, dei grossi panieri di castagne, rotondi, panciuti, simili agli ampi panciotti di vecchi corcontenti, tentennavano fuori della porta, pronti a rovesciarsi nella via della loro apoplettica corpulenza. Là, delle cipolle di Spagna, rossastre, gonfie, lucenti nella loro carnosità come frati di Spagna, occhieggiavano furbescamente dall’alto delle scansie alle ragazze che passavano guardando di sottecchi ai rami sospesi di visco. E poi, pere e mele, ammontate in piramidi fiorenti; mazzi di grappoli che la benevolenza del venditore avea sospesi bene in vista, perché la gente si sentisse l’acquolina in bocca e si rinfrescasse gratis et amore; montagne di nocciuole, muscose e brune, che ricordavano con la loro fragranza antiche passeggiate nei boschi dove s’affondava fino alla noce del piede nelle foglie secche; biffins di Norfolk, paffuti e nericci, che rialzavano il giallo degli aranci e dei limoni, e nella compattezza delle succose persone urgevano e pregavano per essere portati a casa bene avvolti nella carta e mangiati dopo desinare. Gli stessi pesci d’oro e d’argento, esposti in tanti boccali fra tanta ricchezza di frutta, benché appartenessero ad una razza malinconica e fredda, si accorgevano in certo modo che qualche cosa d’insolito accadeva, e tutti, grossi e piccini, giravano e rigiravano aprendo la bocca pel loro piccolo mondo in una lenta e tranquilla agitazione.

E le drogherie! oh, le drogherie! chiuse a metà, o solo con una o due imposte tolte via; ma che bellezza di spettacolo traverso a quelle aperture! e non era soltanto che le bilance suonassero allegramente sul marmo del banco, o che le forbici tagliassero così svelte lo spago degli involti, o che i barattoli passassero rumoreggiando di mano in mano come bussolotti, o che i profumi mescolati del tè e del caffè accarezzassero il naso, o che i grappoli di uva passa fossero così pieni e biondi, e le mandorle così candide, e la cannella così lunga e dritta, e così squisite l’altre spezie, e le frutta candite così ben vestite e brillanti di zucchero da commuovere e far sdilinquire i più freddi spettatori. E non era nemmeno che i fichi fossero sugosi e polputi, o che le susine di Francia arrossissero nella loro agrezza pudica nelle scatole riccamente adorne, o che ogni cosa fosse buona da mangiare e si mostrasse nei suoi abiti della festa natalizia. Ma gli avventori bisognava vedere! gli avventori ansiosi e frettolosi, i quali per godere le provviste della giornata, si rotolavano l’uno sull’altro alla porta, si urtavano co’ panieri, lasciavano sul banco la roba comprata, tornavano correndo a riprenderla, facendo cento errori simili con la maggior possibile allegria; mentre il droghiere e i suoi garzoni erano così franchi e gioviali che i lucidi fermagli a cuore dei loro grembiuli potevano passare pei loro cuori, esposti all’osservazione generale e a disposizione di chi più li volesse.

Ma di lì a poco le campane chiamarono la buona gente in chiesa o alla cappella, ed eccoli sbucare in frotta dalle vie con gli abiti della festa e i visi più allegri. E, nel punto stesso, ecco scaturire da vicoletti, androni, chiassuoli, una moltitudine di gente che portava il suo desinare al fornaio. La vista di cotesti poveri festaioli pareva star molto a cuore allo Spirito, il quale, con allato Scrooge, si fermò sulla soglia di un forno, e sollevando i coperchi dei piatti via via che passavano, spargeva incenso sulle vivande con una scossa della sua torcia. Strana torcia era questa, perché una o due volte, essendo corse parole vivaci fra alcuni di quei portatori di desinari, ei ne schizzò una spruzzaglia di acqua che subito li fece tornare di buon umore. Era una vergogna, dicevano, bisticciarsi il giorno di Natale. E così era in effetto! Dio di misericordia, così era!

Una dopo l’altra tacquero le campane e i forni si chiusero; eppure, nel vapore umido che si librava sopra ogni forno, le cui stesse pietre fumavano come se anch’esse si cocessero, c’era una gioconda irradiazione di tutti cotesti desinari e del cuocersi lento.

- C’è forse un sapore speciale nello spruzzo della vostra torcia? - domandò Scrooge.

- C’è. Il mio.

- E si può comunicare a qualunque desinare d’oggi?

- A qualunque desinare cordialmente offerto, e soprattutto ai più poveri.

- Perché?

- Perché i più poveri ne hanno più bisogno.

- Spirito, - disse Scrooge dopo aver pensato un momento, - io stupisco che proprio voi, fra tutti gli esseri dei tanti mondi che girano intorno, proprio voi vi siate accollato l’ufficio di lesinare a questa gente le occasioni di un piacere innocente.

- Io! - esclamò lo Spirito.

- Voi togliete loro il mezzo di desinare ogni settimo giorno, che è spesso il solo giorno in cui si possa dire che siedono a mensa. Non è forse vero?

- Io! - esclamò lo Spirito.

- Non siete voi che volete chiusi questi forni il settimo giorno? Mi pare che torni lo stesso.

- Io voglio cotesto! - esclamò lo Spirito.

- Perdonatemi se ho torto. In vostro nome si fa, o almeno in nome della vostra famiglia, - disse Scrooge.

- Vivono alcuni su cotesta tua terra, - rispose lo Spirito, - i quali si figurano di conoscer noi e compiono in nome nostro i loro atti di ira, orgoglio, malvagità, odio, invidia, ipocrisia, egoismo; e costoro sono così estranei a noi e a tutta la nostra famiglia come se mai fossero venuti al mondo. Ricordati questo, e le azioni loro addebita a loro, non già a noi. -

Scrooge promise che così avrebbe fatto; e andarono oltre, invisibili come prima, per entro ai sobborghi della città. Una singolare virtù avea lo Spirito (già da Scrooge notata pocanzi) che, ad onta della gigantesca statura, ei s’acconciava comodamente dovunque, e che sotto il tetto più basso serbava la stessa grazia e la stessa dignità soprannaturale che avrebbe spiegato sotto le volte maestose di un palazzo.

E fu per avventura la compiacenza che il buono Spirito trovava nel far mostra di cotesto suo potere, o forse la sua stessa natura generosa e cordiale e la sua simpatia per tutti i poveri, che lo portò difilato a casa del commesso di Scrooge. Ivi si recò, traendosi dietro Scrooge, attaccato al lembo della veste; e giunto sulla soglia, lo Spirito sorrise e si fermò per benedire la dimora di Bob Cratchit con gli spruzzi della sua torcia. Figurarsi! Bob non aveva che quindici bob alla settimana, come il popolo chiama gli scellini; tutti i sabati intascava appena quindici esemplari del suo nome di battesimo; eppure lo Spirito di Natale volle benedire quella sua casetta di quattro camere.

Si alzò allora la signora Cratchit, la moglie di Bob, con indosso una povera veste due volte rivoltata, ma tutta galante di nastri, i quali costano poco e fanno una figura vistosa. E la signora Cratchit mise la tovaglia, con l’aiuto di Belinda Cratchit, secondogenita, anch’ella raggiante di nastri; mentre il piccolo Pietro Cratchit, chinandosi per immergere una forchetta nella pentola delle patate, riusciva a cacciarsi in bocca le punte del suo mostruoso collo di camicia (proprietà paterna, conferita al figlio ed erede in onore della festa) e bruciava dalla voglia di far pompa di tanta biancheria nelle passeggiate alla moda. Due Cratchit più piccini, maschio e femmina, irruppero dentro gridando che di fuori al forno aveano sentito l’odore dell’oca e che l’avevano riconosciuta per l’oca loro; e inebriandosi nella festosa visione di una salsa di salvia e cipolla, i due piccoli Cratchit si dettero a danzare intorno alla tavola, e levarono a cielo il signor Pietro, il quale, umile in tanta gloria benché quasi soffocato dal collo immane, soffiava nel fuoco, fino a che le patate levarono il bollore e picchiarono forte al coperchio della pentola per esser tratte fuori e pelate.

- Che fa il babbo che non si vede! - disse la signora Cratchit. - E vostro fratello, Tiny Tim? E Marta? l’altro Natale era già qui da mezz’ora!

- Ecco Marta, mamma! - disse una giovinetta entrando.

- Ecco Marta, mamma! - gridarono i due Cratchit piccini. - Se sapessi che oca c’è, Marta, che oca!

- Ah, figliuola mia, che Dio ti benedica, come vieni tardi! - disse la signora Cratchit, baciandola una dozzina di volte e togliendole lo scialletto e il cappellino con materna sollecitudine.

- Abbiamo avuto un sacco di lavoro da finire, rispose la fanciulla, - e s’aveva a consegnarlo stamane, mamma.

- Bene, bene! Adesso che ci sei, non importa, - disse la signora Cratchit. - Mettiti un po’ qui al fuoco, cara, datti una fiammatina, che il Signore ti benedica!

- No, no! Ecco papà che viene, - gridarono i due piccoli Cratchit, che si trovavano nel momento stesso dapertutto. - Nasconditi, Marta, nasconditi! -

E Marta si nascose; e subito, ecco entrare Bob, il padre, con tre braccia di cravatta pendente davanti, senza contar la frangia, co’ vestiti ben rimendati e spazzolati per parer di festa, e con Tiny Tim sulla spalla. Povero Tiny! ci portava una gruccetta e una macchinetta di ferro per tenersi ritto!

- E Marta dov’è? - esclamò Bob guardandosi attorno.

- Non viene - rispose la moglie.

- Non viene! - ripetette Bob, perdendo di botto tutta l’allegria con la quale avea trottato per conto di Tiny dalla chiesa fino a casa. - Non viene, il giorno di Natale! -

Marta mal soffriva di vederlo scontento, fosse anche per celia; sicché sbucò prima del tempo dal suo nascondiglio e gli si gettò fra le braccia, mentre i due piccoli Cratchit si pigliavano Tiny Tim e se lo portavano nel lavatoio per fargli sentire come cantava il bodino nella casseruola.

- E come s’è portato il piccolo Tim? - domandò la signora Cratchit, dopo aver motteggiato Bob sulla sua credulità e dopo che questi si fu saziato di abbracciar la figliuola.

- Come un angelo, - rispose Bob, - e meglio ancora. Stando tanto tempo a sedere, diventa meditativo e non ti puoi figurare che strani pensieri gli vengono. M’ha detto or ora, tornando a casa, che sperava essere stato guardato in chiesa dalla gente, storpio com’è, e che deve far piacere, il giorno di Natale, ricordarsi di colui che fece camminare i poveri zoppi e vedere i ciechi. -

La voce di Bob tremava un poco così dicendo, e più forte tremò quando soggiunse che Tim s’andava facendo più sano e più forte.

S’udì l’agile gruccetta sbattere sull’impiantito, e Tiny Tim subito riapparve, accompagnato dal fratello e dalla sorella fino al suo sgabelletto accanto al fuoco. Bob intanto, rimboccate le maniche - quasi che, poveretto, si potessero consumare di più! - faceva in una brocca un suo miscuglio di ginepro e limone e girava e rigirava e lo metteva sul fuoco a bollire; mentre il piccolo Pietro co’ due Cratchit onnipresenti correvano a prendere l’oca, con la quale tornarono di lì a poco in processione solenne.

Tanto fu il trambusto che ne seguì da far pensare che un’oca fosse il più raro fra i volatili, un fenomeno pennuto, al cui confronto un cigno nero era la bestia più naturale di questo mondo: e davvero in quella casa c’era da credere che così fosse. La signora Cratchit fece friggere il succo, già preparato in una padellina; Pietro, con vigore incredibile, si diè a schiacciare le patate; la signorina Belinda inzuccherò il contorno di mele; Marta strofinò le scodelle; Bob si fece seder vicino Tiny Tim a un cantuccio della tavola; i due piccoli Cratchit disposero le sedie per tutti, non dimenticando sé stessi, e piantatisi di guardia ai posti loro si cacciarono i cucchiai in bocca per non gridar prima del tempo di voler l’oca. Alla fine, messi i piatti, fu detto il benedicite. Successe un momento di silenzio profondo, mentre la signora Cratchit, guardando lungo il filo del coltello, si preparò a trafiggere la bestia. Ma quando il coltello fu immerso, quando sboccò dalla ferita il ripieno tanto aspettato, un mormorio di allegrezza si levò tutt’intorno alla tavola, e lo stesso Tiny Tim, messo su dai due piccoli Cratchit, si diè a battere sulla tovaglia col manico del coltello e fece sentire un suo debole evviva!

Un’oca simile non s’era mai data. Disse Bob che, secondo lui, un’oca di quella fatta non era stata cucinata mai. La sua tenerezza, il profumo, la grassezza, il buon mercato furono oggetto dell’ammirazione universale. Col rinforzo del contorno di mele e delle patate, il pranzo era sufficiente: anzi, come diceva tutta contenta la signora Cratchit guardando ad un ossicino nel piatto, non s’era potuto mangiar tutto! Eppure ciascuno s’era satollato, e i due Cratchit minuscoli specialmente erano immollati di salvia e cipolle fino agli occhi! Ma ora, mutati i piatti dalla signorina Belinda, la signora Cratchit uscì sola - tanto era nervosa da non voler testimoni - per prendere il bodino e portarlo in tavola.

E se il bodino non era a tempo di cottura! e se si rompeva nel voltarlo! e se qualcuno, di sopra al muro del cortile, se l’avesse rubato mentre di qua si facea tanta festa all’oca! I due piccoli Cratchit si fecero lividi a quest’ultima supposizione. Ogni sorta di orrori furono immaginati.

Olà! questo sì ch’è fumo! il bodino è fuori della casseruola. Che odor di bucato! È il tovagliolo che lo involge. Un certo odore che è tutt’insieme di trattoria e del pasticciere accanto e della lavandaia che sta a uscio e bottega! Questo poi era il bodino. In meno di niente, ecco entrare la signora Cratchit, accesa in volto, ma ridente e gloriosa, col bodino in trionfo, simile a una palla di cannone chiazzata, liscia, compatta, ardendo in un quarto di quartuccio d’acquavite in fiamme, e con in cima bene infisso l’agrifoglio di Natale.

Oh, un bodino stupendo! disse Bob, gravemente, ch’ei lo riguardava come il massimo trionfo della signora Cratchit dal matrimonio in poi. La signora Cratchit, liberatasi ormai di quel gran pensiero, confessò schiettamente di essere stata un po’ in dubbio sulla quantità della farina. Ciascuno disse la sua, ma nessuno osservò o pensò che un bodino di quella fatta fosse scarso per una famiglia numerosa. Questa sarebbe stata un’eresia bell’e buona, e l’ultimo del Cratchit ne avrebbe arrossito fino alla radice dei capelli.

Alla fine, terminato il desinare, si sparecchò, si spazzò il camino, si attizzò il fuoco. Assaggiato e trovato squisito il miscuglio nella brocca, furono messe in tavola mele ed arancie e una palettata di castagne sul fuoco. Allora tutta la famiglia si strinse presso al fuoco in circolo, come Bob diceva per significare un semicircolo; e accanto a Bob fu messo tutto il servizio di cristalli: due bicchieri e un vasettino da crema, senza manico. I tre recipienti però raccolsero la calda bevanda né più né meno che tre coppe d’oro avrebbero fatto; e Bob la servì intorno con viso raggiante, mentre le castagne sul fuoco barbugliavano e scoppiettavano. Poi Bob disse forte:

- Un allegro Natale a tutti noi, cari miei. Dio ci benedica! -

Tutta la famiglia ripetè l’augurio.

- Dio benedica tutti quanti siamo! - disse, ultimo di tutti, Tiny Tim.

Sedeva sul suo sgabelletto, proprio accosto al padre. Bob gli teneva la manina scarna per meglio fargli sentire il suo affetto, e se lo voleva sempre vicino, e quasi avea paura di vederselo portato via.

- Spirito, - disse Scrooge con insolita sollecitudine, - dimmi se Tiny Tim vivrà.

- Vedo un posto vuoto - rispose lo Spirito, - all’angolo del povero focolare, e una gruccetta gelosamente custodita. Se queste ombre non muterà l’avvenire, il fanciullo morrà.

- No, no, - esclamò Scrooge. - Oh no, buono Spirito! dimmi che sarà risparmiato.

- Se queste ombre non muterà l’avvenire, nessun altro della mia stirpe, - rispose lo Spirito, - lo troverà qui. Che monta? S’egli muore, tanto meglio, perché di tanto scemerà il soverchio della popolazione. -

Scrooge abbassò il capo, udendo le proprie parole citate dallo Spirito, e si accasciò sotto il pentimento e il dolore.

- Uomo, - disse lo Spirito, - se d’uomo è il tuo cuore e non di adamante, lascia cotesto tuo tristo linguaggio, finché non saprai qual è quel soverchio e dov’è. Osi tu forse decidere quali uomini debbano vivere, quali morire? Può darsi che agli occhi del cielo, tu sii più indegno di vivere che non milioni di creature simili al fanciullo di questo povero uomo. Oh Dio! udir l’insetto sulla foglia pronunciare che c’è troppi viventi fra i suoi fratelli affamati nella polvere! -

Tremò Scrooge al fiero rabbuffo e abbassò umile gli occhi. Ma subito li rialzò, udendo pronunziare il suo nome.

- Al signor Scrooge! - disse Bob; - propongo un brindisi al signor Scrooge, protettore di questa festa!

- Bel protettore davvero! esclamò la signora Cratchit facendosi rossa. - Lo vorrei qui, lo vorrei. Gli darei una certa festa a modo mio, che non gli andrebbe mica a genio.

- Mia cara, - disse Bob, - ci sono i ragazzi; è Natale!

- Un bel giorno di Natale - ribatté la moglie - se s’avesse a bere alla salute di un uomo così odioso, taccagno, duro, egoista come quello Scrooge. Tu lo sai, Bob! nessuno lo sa meglio di te, poveretto!

- Cara mia, - ripeté Bob con dolcezza, - è Natale.

- Beverò alla sua salute per amor tuo e perché è Natale, - disse la signora Cratchit, - per lui no. Cento di questi giorni, un allegro Natale e felice capo d’anno! Starà proprio allegro e felice, figurati! -

I ragazzi bevvero anch’essi alla salute di Scrooge. Era il primo dei loro atti che non fosse cordiale. Tiny Tim bevve in ultimo, ma non gliene importava niente. Scrooge era l’Orco della famiglia. Il solo nome di lui avea gettato sulla lieta brigata un’ombra, che non si dileguò per cinque buoni minuti.

Dopo che fu svanita, tornò l’allegria dieci volte più schietta, pel solo sollievo di essersi sbrigati di Scrooge il Malo.

Bob Cratchit disse loro di avere in vista un certo posticino per messer Pietro che avrebbe portato in casa una sommetta di sei lire e cinque soldi la settimana. I due Cratchit minuscoli si sganasciarono dalle risa all’idea che Pietro diventava uomo d’affari; e Pietro, per conto suo, guardò tutto pensoso al fuoco di mezzo alle punte del collo, quasi ventilando dentro di sé che sorta d’investimenti avrebbe preferito quando fosse entrato in possesso di una rendita così sbalorditiva. Marta, povera apprendista da una crestaia, disse allora che sorta di lavoro avea da fare e quante ore di fila lavorava e che si volea levar tardi il giorno appresso e godersi il riposo della festa. Disse pure di aver visto qualche giorno fa una contessa e un gran signore, e che il signore avea su per giù la statura di Pietro; al che, Pietro si tirò così alto il collo che non gli avreste più visto il capo. E intanto, castagne e bevande andavano intorno; e poi ci fu una canzone a proposito di un ragazzo smarrito nella neve, e la cantò Tiny Tim; la cantò con la sua vocina dolente, ma molto bene davvero, molto bene.

Niente di nobile in tutto ciò. La famiglia non era bella; nessuno sfoggio di vestiti; le scarpe tutt’altro che impermeabili; meschina la biancheria; forse e senza forse Pietro avea anche fatto una certa conoscenza col rigattiere. Ma erano felici nondimeno, riconoscenti, lieti di trovarsi insieme; e nel punto stesso che si dileguavano, sembrando ancor più felici nella pioggia di luce di cui gl’inondava la torcia dello Spirito in segno d’addio, Scrooge li guardò fiso, soprattutti Tiny Tim, fino all’ultimo istante.

Calava intanto la notte e cadea fitta la neve: e mentre Scrooge e lo Spirito andavano per le vie, era mirabile lo splendore dei fuochi rugghianti nelle cucine, nei tinelli, in ogni sorta di stanze. Qua, la fiamma vacillante mostrava i preparativi di un buon pranzetto, co’ piatti messi in caldo davanti al fuoco, con le spesse tendine rosse pronte ad essere abbassate per tener fuori il freddo e le tenebre. Là, tutti i ragazzi della casa sbucavano correndo nella neve per essere i primi a salutare le sorelle maritate, i fratelli, gli zii, le zie, i cugini, le cugine. Qua, ancora, si ripercotevano sulle tende le ombre dei convitati; e là, un gruppo di belle fanciulle, tutte incappucciate e con gli stivaletti impellicciati, e tutte chiacchierando a coro, se n’andavano saltellanti da qualche loro vicino; e guai allora allo scapolo - e ben lo sapevano le furbe! - guai allo scapolo che le avesse viste entrare in un baleno di luce e di bellezza!

Dal numero della gente che si avviava alle amichevoli riunioni, c’era da figurarsi che nessuno fosse in casa per ricevere, mentre invece in ogni casa s’aspettava gente e si faceano enormi fiammate nei caminetti. Come esultava lo Spirito, Dio benedetto! come scopriva l’ampio torace, come apriva la palma capace, e si librava alto, versando su tutto con mano generosa lo splendore della sua gioia innocente! Perfino il lumaio, che correva avanti punteggiando di luce le vie tenebrose, già agghindato per passar la sera in qualche posto, rise forte quando lo Spirito gli fu accanto, benché non sapesse di aver altra compagnia che quella del Natale!

Di botto, senza che lo Spirito ne desse avviso con una parola, si trovarono in una deserta e malinconica palude, disseminata di massi mostruosi di pietra greggia, come se fosse un cimitero di giganti. L’acqua si spandeva libera dove più le piacesse, o almeno così avrebbe fatto se il gelo non l’avesse imprigionata. Non vi cresceva altro che musco, ginestra, erbaccia. Giù, verso occidente, il sole al tramonto avea lasciato una striscia infocata, che un momento balenò, come il vivido sguardo di un occhio dolente, su quella desolazione, e via via velandosi sotto le palpebre si spense nell’orrore di una notte profonda.

- Che è qui? - domandò Scrooge.

- Qui - rispose lo Spirito - vivono i minatori, i quali lavorano nel ventre della terra. Ma essi mi conoscono. Guarda! -

Brillò una luce alla finestretta di una capanna e subito andarono verso di quella. Attraversando il muro di sassi e mota, trovarono una gaia brigata raccolta intorno a un bel fuoco. Un vecchio decrepito e la sua donna, co’ loro figli, e i figli de’ figli, e un’altra generazione per giunta, rilucevano tutti nei loro abiti di festa. Il vecchio, con una voce che di rado levavasi sui sibili del vento all’aperto, cantava loro una canzone di Natale, una canzone già antica di molto quando egli era ragazzo; di tanto in tanto, gli altri a coro ripetevano il ritornello. Alzandosi le voci loro, si alzava anche e diveniva più gioconda la voce del vecchio; finito il ritornello, cadeva insieme la voce di lui.

Non s’indugiò lo Spirito fra quella gente, ma imponendo a Scrooge di tenerglisi forte alla veste, varcò tutta la palude e si librò... sul mare, forse? Sì, proprio, sul mare. Voltandosi indietro, Scrooge ebbe ad inorridire vedendo lontano le rive, una fila spaventevole di scogli; e lo intronava il tuono dei flutti furiosi che fra le atre caverne scavate avvolgevansi, muggivano, infuriavano, fieramente si sforzavano di minar la terra.

Eretto sopra un banco di roccie basse, una lega all’incirca dalla riva, contro le quali rompevansi le acque per quanto lungo era l’anno, stava solitario un faro. Aderivano alla base enormi viluppi di alghe, e gli uccelli della tempesta - partoriti forse dal vento come l’alga del mare - vi svolazzavano intorno alzandosi e abbassandosi come le onde che sfioravano con l’ala.

Ma anche qui, due guardiani aveano acceso un loro fuoco, e questo traverso alla feritoia del muro massiccio mandava un raggio lucente sulle tenebre del mare. Strigendosi le mani callose di sopra alla rozza tavola e al loro boccale di ponce, si davano l’un l’altro il buon Natale; e il più vecchio dei due, dalla faccia accarnata e cicatrizzata dalle intemperie come una di quelle teste scolpite che sporgono dalla prua di una vecchia nave, intuonò una selvaggia canzone che poteva parere una raffica.

E lo Spirito andava, andava sempre sulle onde cupe e anelanti, fino a che, lontani da ogni riva, com’ei disse a Scrooge, raccolsero il volo sopra un bastimento. Qua il pilota alla sua ruota, lassù nella gabbia la vedetta, più in là gli ufficiali di quarto: figure fantasticamente immobili: ma ciascuno di loro canticchiava una canzone di Natale, o pensava a Natale, o di qualche passato Natale parlava basso al compagno con soavi speranze di ritorno. E ciascuno a bordo, desto o dormiente, buono o malvagio, aveva avuto per l’altro una parola più gentile che in qualunque altro giorno dell’anno; avea partecipato in una certa misura alla festa; avea ricordato i cari lontani, pensando con dolcezza al loro memore affetto.

Fu per Scrooge una gran sorpresa, mentre badava ai gemiti del vento e pensava alla terribilità del muoversi fra le tenebre vaneggianti sopra una ignota voragine, profonda e segreta come la morte, fu per Scrooge una gran sorpresa, così assorto com’era, l’udire una risata squillante. E crebbe la sorpresa a mille doppi, quand’ei riconobbe la voce del proprio nipote e si trovò in un salottino ben rischiarato, ben caldo, aggiustato, con accanto lo Spirito che sorrideva e che fissava quel medesimo nipote con uno sguardo di compiacenza.

- Ah, ah! - rideva il nipote di Scrooge. - Ah, ah, ah! -

Se mai, per un caso poco probabile, vi capitasse d’incontrare un uomo che ridesse più cordialmente del nipote di Scrooge, io vi dico che sarei lietissimo di farne la conoscenza e di cercarne la compagnia. Vogliate presentarmelo, ve ne prego.

È un bel compenso, ed è anche giusto e consolante nell’ordine delle cose umane, che se il dolore e il malanno si attaccano, non ci sia al mondo cosa più contagiosa del buonumore e del riso. Il nipote di Scrooge rideva, tenendosi i fianchi, scotendo il capo, facendo col viso le più strane contorsioni; la moglie, anch’essa nipote di Scrooge, rideva con la stessa espansione; tutti gli amici raccolti ridevano sgangheratamente, con tutto il cuore e con un fracasso indicibile.

- Ah, ah! Ah, ah, ah, ah!

- Ha detto, figuratevi, che Natale è una sciocchezza! - gridava il nipote di Scrooge. - Com’è vero che son vivo, l’ha detto. E lo pensava pure!

- Due volte vergogna per lui, Federigo! - esclamò tutta accesa la nipote di Scrooge. Benedette coteste donne; non fanno mai niente a mezzo. Pigliano tutto sul serio.

Era graziosa, molto graziosa. Un visino tutta ingenuità, stupore e pozzette; un bocchino maturo, che pareva fatto per esser baciato, e lo era di certo; ogni sorta di fossettine intorno al mento, le quali confondevansi insieme quando ella rideva; il più raggiante par d’occhi che abbia mai illuminato fronte di fanciulla. In complesso, una certa figurina provocante, capite; ma anche pronta a dar soddisfazione. Oh, altro che pronta!

- È buffo davvero il vecchio - disse il nipote di Scrooge, - questa è la verità. Niente di male se fosse un tantino meno scontroso. Fatto sta che i suoi stessi difetti sono il suo malanno, ed io non ho niente da dire contro di lui.

- Scommetto ch’è ricco sfondato, - venne su la nipote di Scrooge. - Sei tu stesso, Federigo, che me lo dici sempre.

- E che vuol dire, cara mia! La ricchezza sua non gli serve a niente; non fa un briciolo di bene, nemmeno per sé. Non ha nemmeno la soddisfazione di pensare... ah, ah, ah!... che ce la serba a noi tutta quanta, proprio a noi.

- Io non lo posso vedere, - affermò la nipote di Scrooge. Le sorelle di lei e tutte le altre signore espressero lo stesso sentimento.

- Oh, io sì invece! - disse il nipote. - Me ne dispiace per lui; se pure mi vi provassi, non riuscirei a volergli male. Chi è che ne soffre pei suoi capricci? Lui, nessun altro che lui. Ecco, per esempio, ora s’è fitto in capo di guardarmi di traverso e non vuol venire a desinare con noi. Che ne viene?... ogni lasciato è perso. È vero però che un gran pranzo non lo ha perduto...

- Niente affatto, - interruppe la moglie, - io credo invece che ha perduto un pranzo eccellente. - Tutti a coro dissero lo stesso, e ne aveano da saper qualche cosa, perché appunto si alzavano di tavola e si stringevano intorno al fuoco.

- Tanto meglio, ci ho gusto! - disse il nipote di Scrooge, - perché davvero non ho una fede straordinaria in questa donnetta di casa. Che ne dite voi, Topper? -

Topper, si vedeva chiaro, aveva adocchiato una sorella della nipote di Scrooge, perché rispose che uno scapolo era una disgraziata creatura incapace di emettere un parere in proposito: Al che la sorella della nipote di Scrooge - quella pienotta col fazzoletto di pizzi, non quell’altra con le rose - si fece rossa come una ciliegia.

- Continua, Federigo - disse la nipote di Scrooge, battendo le mani. - Questo benedetto uomo lascia sempre i discorsi a mezzo! -

Il nipote di Scrooge dette in un’altra risata, e poiché non si poteva evitare il contagio, quantunque la ragazza pienotta lo tentasse a furia di aceto aromatico, l’esempio fu seguito da tutti.

- Stavo per dire - riprese il nipote di Scrooge - che per dato e fatto del suo guardarci di traverso e della sua cocciutaggine di non stare allegro con noi, egli si perde dei momenti piacevoli, che non gli farebbero niente di male. È certo ch’ei si priva di una compagnia meno uggiosa di quanti pensieri può trovare in quella stamberga umida del suo banco o nelle sue camere polverose. Per me, tutti gli anni, voglia o non voglia, gli farò la stessa offerta, perché mi fa pena. Padronissimo di schernire il Natale fino al giorno del giudizio, ma non potrà fare a meno di pensarne un po’ meglio, sfido io, quando mi vedrà ricomparire tutti gli anni sempre di buon umore, per domandargli: Come si va, zio Scrooge? Se questo servisse nient’altro che a fargli venir l’idea di dar cinquanta sterline a quel diavolaccio del suo commesso, tanto per far cifra tonda, sarebbe già qualche cosa. E se non mi sbaglio, debbo averlo scosso ieri. -

Adesso toccò agli altri a ridere, all’idea di cotesto scotimento: Ma essendo egli un bravo ragazzo né curandosi di che ridessero, purché ridessero, gl’incoraggiò nella loro espansione, facendo allegramente circolare la bottiglia.

Dopo il thè, si fece un po’ di musica. Perché davvero tutta la famiglia era musicale e sapeva il fatto suo quando intuonava un’arietta o un ritornello; Topper in ispecie, il quale pigliava ogni sorta di note di basso profondo, senza gonfiar le vene della fronte e senza farsi rosso come un gambero. La nipote di Scrooge suonava l’arpa assai benino; e, fra le altre, suonò un’arietta semplicissima (una cosa da nulla, che in due minuti avreste imparato a zufolare), la quale era stata familiare alla bambina che veniva a prendere Scrooge alla scuola, come gli avea ricordato lo Spirito dell’altro Natale. Suonandogli dentro le note di quella cantilena, tutte le cose mostrategli dallo Spirito gli tornavano in mente. Via via si sentì rammollire; e pensò che se avesse potuto udirle spesso, tanti anni fa, avrebbe forse coltivato con le proprie mani e per la propria felicità le gentilezze affettuose della vita, anzi che ricorrere per conforto alla vanga del becchino che avea scavato la fossa di Giacobbe Marley.

Ma non tutta la sera fu dedicata alla musica. Dopo un po’, vennero i giuochi di penitenza; perché fa bene a momenti tornar bambini, e più che mai a Natale, ch’è una festa istituita da Dio fattosi anch’egli bambino. Aspettate! Si giocò prima di tutto a mosca cieca: Era naturale. Ed io credo tanto che Topper fosse cieco davvero per quanto posso credere che avesse gli occhi negli stivali. A parer mio, c’era una tacita intesa tra lui e il nipote di Scrooge; e anche lo Spirito n’era a parte. Il suo modo di correr dietro alla sorella pienotta dal fazzoletto di pizzi era proprio un oltraggio alla umana credulità. Inciampando nelle seggiole, facendo cader le molle, urtando contro il pianoforte, soffocandosi nelle tende, dovunque ella andava, Topper andava appresso. Sapeva sempre dove trovavasi la ragazza pienotta. Se gli andavate addosso, come qualcuno facea, e gli stavate davanti, egli fingeva di volervi afferrare facendo così un affronto alla vostra perspicacia, e subito sgusciava di fianco nella direzione della sorella pienotta. Ella gridava spesso che non istava bene; ed avea ragione, poverina! Ma quando alla fine l’afferrò; quando, a dispetto dei guizzi di lei e del fruscio della sottana di seta, ei la incalzò in un cantuccio donde non c’era più scappatoia; allora la sua condotta fu a dirittura esecrabile. Perché infatti quel suo pretendere di non conoscerla, e che era necessario di toccarle la pettinatura, e che si dovea assicurare dell’identità stringendo non so che anello al dito di lei e palpando non so che catena ch’ella portava al collo, fu davvero una mostruosa vigliaccheria! E non c’è dubbio che la ragazza gli disse il fatto suo, quando, venuta in mezzo un’altra persona bendata, si dettero insieme a bisbigliare con tanto accaloramento dietro le tende.

La nipote di Scrooge non giuocava con gli altri a mosca cieca, e si raggomitolava tutta in poltroncina, con uno sgabelletto sotto i piedi, in un cantuccio dove lo Spirito e Scrooge le stavano alle spalle. Ma alle penitenze prese parte e rispose d’incanto al "Come vi piace?" con tutte le lettere dell’alfabeto. Così pure nel gioco del "Come, quando e dove", si dimostrò grande a dirittura, e con represso giubilo del marito, sgominò tutte le sorelle; benché anche queste fossero furbe parecchio, come Topper l’avrebbe potuto dire. In tutti erano una ventina, tra giovani e vecchi; ma tutti giuocavano, e Scrooge con essi; il quale, scordandosi per la foga improvvisa del sollazzarsi che la voce sua non potea da loro essere udita, gridava alto la parola dell’indovinello, e più di una volta imbroccava anche; perché l’ago più sottile non era più sottile di Scrooge, con tutta la sua smania di far lo gnorri.

Lo Spirito era molto lieto in vederlo così disposto, e con tanta benevolenza lo guardava, ch’ei pregò come un bambino gli si permettesse di rimanere fino in fondo. Ma a questo lo Spirito si oppose.

- Ecco un altro giuoco - disse Scrooge. - Una mezz’oretta, Spirito, solo una mezz’oretta! -

Era il giuoco del Sì e del No. Il nipote di Scrooge pensava una cosa, gli altri doveano indovinare, rispondendo egli soltanto sì o no, secondo il caso. Il fuoco vivace delle domande gli cavò di bocca ch’egli pensava a un animale, a un animale piuttosto brutto, a un animale selvaggio, a un animale che grugniva qualche volta e qualche altra volta parlava, che stava a Londra, e girava per le vie, e non si mostrava in una baracca, e non era portato attorno da nessuno, e non viveva in un serraglio, e non era mai trascinato al macello, e non era né cavallo, né somaro, né vacca, né toro, né tigre, né cane, né porco, né gatto, né orso. A ogni nuova domanda, codesto nipote si sganasciava dalle risa; e così forte ei si spassava, che a momenti si dovea alzare dal canapè e batteva i piedi in terra. Alla fine la sorella pienotta, presa dalla stessa convulsione d’ilarità esclamò:

- L’ho trovato! so quel che è, Federigo! so quel che è!

- E che è? - domandò Federigo.

- È vostro zio Scro-o-o-oge! -

E così era infatti. L’ammirazione fu universale, benché qualcuno obbiettasse che alla domanda: "È un orso?" bisognava rispondere: "Sì" visto che bastava la risposta negativa a frastornarli da Scrooge, caso mai ci avessero pensato.

- Ci ha fatto divertire un mondo, - disse Federigo, - questo è certo, e noi saremmo ingrati a non bevere alla sua salute. Ecco appunto un bicchiere di vino caldo, pronto per tutti. Alla salute dello zio Scrooge!

- Ebbene! - gridarono tutti, - alla salute dello zio Scrooge!

- Un allegro Natale e un buon capo d’anno al vecchio, checché egli sia! - disse il nipote di Scrooge. - Da me non se lo piglierebbe questo augurio, ma io glielo fo lo stesso. Alla salute dello zio Scrooge! -

Lo zio Scrooge era diventato a poco a poco così gaio e leggiero di cuore, che avrebbe risposto volentieri al brindisi della brigata e ringraziato con un discorso inaudibile, se lo Spirito glien’avesse dato il tempo. Ma tutta quanta la scena, nello spegnersi dell’ultima parola detta dal nipote, si dileguò; e Scrooge e lo Spirito viaggiavano come prima.

Molto videro, molto andarono lontano, molte case visitarono, ma sempre con buon effetto. Lo Spirito stette al capezzale degl’infermi, e gl’infermi sorrisero; presso i pellegrini in terra straniera, e quelli sentirono vicino la patria; con gli uomini combattuti dalla sventura, e quegli uomini si rassegnarono in una più alta speranza; con la povertà, e la povertà si sentì doviziosa. Nell’ospizio, nell’ospedale, nella prigione, in ogni rifugio della miseria, dove l’uomo superbo nella sua breve autorità non avea potuto sbarrar la porta allo Spirito, ei lasciò la sua benedizione e insegnò a Scrooge i suoi precetti di amore.

Fu una lunga notte, se pure fu una notte; ma Scrooge ne dubitava un poco, perché gli pareva di veder condensate molte feste di Natale nel rapido tempo passato insieme. Notò anche, ma non ne fece motto, che mentre egli rimaneva sempre lo stesso, lo Spirito si faceva manifestamente più vecchio. La cosa era strana, ed ei non si poté più tenere, quando lasciando una brigata di fanciulli che solennizzavano la Befana, si accorse che i capelli dello Spirito s’erano imbiancati.

- Così breve - domandò - è la vita degli Spiriti?

- La mia vita su questa terra - lo Spirito rispose - è brevissima. Termina stanotte.

- Stanotte! - esclamò Scrooge.

- A mezzanotte. Ascolta! l’ora si avvicina. -

In quel punto i tocchi degli orologi battevano tre quarti dopo le undici.

- Perdonami se sono indiscreto, - disse Scrooge guardando fiso alla veste dello Spirito, - ma io vedo venir fuori dal lembo della tua veste non so che di strano che non t’appartiene. È un piede o un artiglio?

- Potrebbe essere un artiglio, per la poca carne che lo ricopre, - rispose malinconico lo Spirito. - Guarda. -

Dalle pieghe della sua veste trasse fuori due bambini stremenziti, abietti, spaventevoli, ributtanti, miserabili. Caddero ginocchioni ai piedi di lui e si attaccarono saldi ai lembi della veste.

- Guarda, uomo! - esclamò lo Spirito. - Guarda, guarda qui, per terra! -

Erano un bambino e una bambina. Gialli, scarni, cenciosi, arcigni, selvaggi; ma prostrati anche nella umiltà loro. Dove la grazia della gioventù avrebbe dovuto fiorir rigogliosa sulle loro guance, una mano secca e grinzosa, come quella del tempo, gli avea corrosi, torti, tagliuzzati. Dove gli angeli doveano sedere in trono, ascondevansi i demoni e balenavano minacciosi. Nessun mutamento, nessuna degradazione, nessun pervertimento del genere umano, in qualsivoglia grado, in tutti i misteri della maravigliosa creazione, ha mai partorito mostri così orrendi.

Scrooge indietreggiò, atterrito. Tentò di dire allo Spirito, il quale glieli additava, che quelli erano due bei bambini; ma le parole gli fecero groppo, anzi che partecipare alla enorme menzogna.

- Spirito! son figli tuoi? - potette appena domandare Scrooge.

- Sono figli dell’Uomo - rispose lo Spirito chinando gli occhi a guardarli. - E a me s’attaccano, accusando i padri loro. Questo bambino è l’Ignoranza. Questa bambina è la Miseria. Guàrdati da tutti e due, da tutta la loro discendenza, ma soprattutto guardati da questo bambino, perché sulla sua fronte io vedo scritto: "Dannazione", se la parola non è presto cancellata. Negalo! - gridò lo Spirito, protendendole mani verso la città. - Diffama pure coloro che te lo dicono! Serba il male, carezzalo, pei tuoi fini perversi. Ma bada, bada alla fine!

- Non hanno un rifugio? - domandò Scrooge; - non c’è per loro un sollievo?

- E non ci son forse prigioni? - ribatté lo Spirito, ritorcendogli contro le sue proprie parole. - Non ci son forse case di lavoro? -

L’orologio batté le dodici.

Scrooge si guardò intorno cercando lo Spirito e non lo vide più. Squillando l’ultimo colpo, gli sovvenne la predizione del vecchio Giacobbe Marley, e alzando gli occhi, scerse un solenne fantasma, ammantato e incappucciato, il quale avanzavasi, come nebbia che sfiori il terreno, alla sua volta.