Cecilia/IV
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IV.
L’anno appresso in quell’istesso giorno, poco dopo il tramonto, una bara coperta di un panno nero, con sopra una ghirlanda di fiori usciva dalla casa di Sebastiano e s’avviava lenta lenta pel sentiero serpeggiante che conduce alla chiesa di Bivigliano. Mesto e lento era il tocco della campana; il vento che soffiava impetuoso trasportava le foglie secche che ad una ad una si staccavano dal ramo, e la campagna spogliata del suo lieto e verde ammanto metteva nell’animo una profonda tristezza. Sei giovanette accompagnavano il feretro, e le loro voci dolenti si perdevano nell’immensa vastità dello spazio. Nascosto dietro un alto abete seguiva un giovane da lungi col guardo cupamente fisso il mesto convoglio che a poco a poco si allontanava.
Povera Cecilia! Gustate appena le dolcezze della terra, il suo cuore avvezzo ai patimenti non avea potuto sostenerle. Già essa stava per giurare eterna fede all’uomo che le aveva resa gioconda l’esistenza, e la colse la morte; e fu a Dio più gradito, perchè più doloroso il sacrifizio della sua vita nel fiore degli anni e nel sorriso dell’amore!
Sovente il desolato giovane recavasi a cercar pace sulla zolla segnata di una croce, che ricuopriva le amate ossa, e allora sentiva aleggiarglisi intorno lo spirito di Cecilia, e sussurrargli all’orecchio arcane e non mai udite voci di mesto conforto!
Antonietta Pozzolini.