Chi l'ha detto?/Parte seconda/80a
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Parte seconda - 80 | Parte seconda - 80b | ► |
a) Il perchè di questo nuovo paragrafo.
La formidabile guerra, la più vasta e la più terribile che abbia mai insanguinato il mondo, che travolse nella mischia e gettò gli uni contro gli altri quasi un miliardo e mezzo di uomini (159 milioni la Quadruplice, 1298 milioni l’Intesa, comprese le colonie e i protettorati), ebbe origine con la dichiarazione di guerra dell’Austria alla Serbia (28 luglio 1914) cui fecero seguito quelle della Germania alla Russia e alla Francia (1º e 3 agosto) e dell’Inghilterra alla Germania (4 agosto; — l’Italia non intervenne che il 23 maggio 1915, contro l’Austria) ed ebbe fine nel 1918 con gli armistizi di Salonicco (29 settembre), di Mudros (30 ottobre), di Villa Giusti (3 novembre), di Rethondes (11 novembre), ai quali seguirono i trattati di Versailles (28 giugno 1919), di Saint-Germain (10 settembre 1919), di Neuilly (27 novembre 1919), del Trianon (4 giugno 1920), di Sèvres (10 agosto 1920) e altri accordi minori come quello italo-jugoslavo di Rapallo (12 novembre 1920) e altri ancora in discussione frattanto che scrivo, mentre neppure di tutti quelli già ricordati sono scambiate le ratifiche.
La guerra ha coperto il mondo di lutti: oltre 10 milioni di morti! Infatti i soli soldati europei, che sommarono in tutto a 35-36 milioni, ebbero 9.830.000 morti per ferite o per malattie, ai quali vanno aggiunti i morti delle truppe coloniali (asiatiche e africane), dell’esercito americano, dei contingenti australiani, canadesi e zelandesi (si veda Ch. Dörig nel n. 6 del Bulletin der Studiengesellschaft für Sociale Folgen des Krieges, di Copenaghen 1920; e lo studio del dott. Livio Livi nella Rivista Internazionale di Scienze Sociali e discipline ausiliarie, gennaio 1921); del resto la perdita complessiva di vite umane in Europa, tenendo conto dei morti di privazioni e della diminuita natalità, è calcolata dal Dörig stesso a milioni 35, 38; mentre Georg Wolff, in una rivista socialista tedesca (Socialistische Monathefte, Berlin, 17 gennaio 1921) giunge a risultati anche più melanconici, poichè calcola la perdita totale di vite a oltre 40 milioni, dei quali 12 milioni morti in battaglia. I soli morti italiani (compresi quelli caduti in Francia, in Macedonia e in Albania) furono 496.921, oltre a 900.000 feriti. - Ma non soltanto di sangue si è abbeverata la guerra: essa ha anche coperto il mondo di rovine senza limite, che una statistica ufficiale americana calcola nella enorme cifra di 190 miliardi di dollari: ha sconvolto la carta geografica di quattro parti della Terra (restandone immune la sola America), non ancora bene assestate: ha portato negli spiriti e nei cuori un turbamento che ancora non è sedato: e come ha lasciato orme profonde nella storia, nella geografia, nella economia mondiale, le ha lasciate anche nella vita sociale, nel costume, nella lingua. Le frasi storiche alle quali essa ha dato origine, meritavano di essere raccolte: ed io ho voluto riunirle in questo nuovo paragrafo aggiunto del mio Chi l’ha detto?, pensando che l’interesse che potevano presentare nel loro complesso, prevalesse almeno pel momento ad ogni altra considerazione di opportunità, che poteva suggerire di distribuirle secondo il loro particolare significato negli altri paragrafi del libro.
Non è stato davvero facile di mettere insieme questa modesta scelta. Tutti i ricercatori sanno come sia arduo il risolvere certi piccoli problemi di storia contemporanea e si abbiano spesso a propria disposizione fonti più sicure e copiose per i fatti del medioevo che per quelli di cui pure la nostra generazione fu testimone. Si aggiungano le difficoltà specifiche date dalla incertezza delle informazioni, dalla censura, dalla passione politica e dagli altri ostacoli di ogni genere che hanno impedito e impediscono a tutt’oggi le libere comunicazioni intellettuali. Oggi ancora le fonti bibliografiche sulla produzione libraria dei paesi stranieri, massime su quella dei paesi già nemici, scarseggiano o mancano addirittura e il far venire un libro dalla Germania è impresa non sempre agevole. In ogni modo il lettore benevolo accolga questa mia fatica come un primo tentativo al quale sarà più facile di fare più tardi aggiunte e correzioni; se il volume avrà ancora la sorte di un’ottava edizione, pure questo capitolo potrà essere migliorato, riveduto e ampliato; se me ne mancheranno le forze e la possibilità, altri assolverà il compito con maggior lena.
Molte di queste difficoltà sarebbero state assai minori, se il mio tentativo di raccogliere le frasi storiche della Grande Guerra avesse avuto dei precursori. Ma io credo di essere il primo a fare una raccolta sistematica di queste frasi e se da una parte mi compiaccio di inoltrarmi in una via finora così poco battuta, dall’altra trovo che in tali condizioni la fatica non è piccola e i resultati sono manchevoli. In Francia nei primi mesi del 1915 uscì un volume di Paul Souchon, Les mots héroïques de la guerre (Paris, Larousse, s. a.), ma chi si fidasse del titolo, s’illuderebbe molto: non si tratta che di una raccolta di aneddoti di guerra, col racconto di gesta mirabili e di frasi eroiche, tolte dai giornali del tempo; è quindi una compilazione a tesi, senza critica, senza indicazione di fonti, salvo i titoli generici dei giornali dai quali l’aneddoto è tolto. Chi conosce come fossero fatte di maniera le corrispondenze di guerra dei giornali politici, capisce in qual conto possa aversi un tale libro, il cui autore del resto avverte nella prefazione ch’egli non garantisce l’autenticità dei fatti, non avendone potuto verificare la esattezza, ma ciò che gl’importa è che ces mots héroïques soient vraisemblables! Della stessa forza è un articolo dei primi mesi della guerra, Mots et gestes héroïques, di Victor Du Bled, nella Revue hebdomadaire del 1914, n. 39, pag. 3. In compenso la letteratura francese ha nel libro, ben fatto e interessante, di Albert Dauzat, Légendes prophéties et superstitions de la guerre (Paris, «La Renaissance du Livre», s. a. ma 1919), un curioso paragrafo sopra i mots historiques, sul loro valore sociale, sulle frasi autentiche e sulle apocrife: ci sono anche taluni esempi, ma pochi (pag. 108-111). Ho anche avuto a mano un almanacco inglese, il Daily Mail Year Book for 1918, che a pag. 97 contiene un elenco di Famous Sayings of the War: Words wise and otherwise, cosa breve e senza pretese, da almanacco, ma che pure mi è stata utile: e poi null’altro, nè so che altro esista, neppure nella bibliografia tedesca. S’intende che nulla di più c’è nella letteratura italiana di guerra, dove si hanno sull’argomento pochi scritterelli, e anzi tutto, una serie di articoli che col titolo complessivo La fortuna delle frasi il prof. Ettore Ciccotti, ex-deputato, è venuto pubblicando dal 1917 in avanti su vari giornali politici, il Messaggero di Roma, l’Azione di Genova, il Progresso di Bologna e forse altri che non ho veduti: e neppure ho veduto tutti gli articoli pubblicati nei citati giornali, ognuno dei quali illustra una frase, ma non tutte di guerra, bensì di attualità politica che hanno più o meno lontano riferimento alle cose della guerra e del dopo guerra. E dirò qui, poichè non fui in tempo a dirlo al suo posto, che anche la frase Chi non lavora non mangi, già citata al n. 1086, fu illustrata dall’on. Ciccotti con un articolo di questa serie, comparso nel Progresso di Bologna, n. 273, del 16 novembre 1920. A questi articoli conviene aggiungere un recentissimo scritto dell’egregio dott. Ottorino Cerquiglini, Le frasi celebri della guerra mondiale, nel settimanale illustrato Tutto, a. III, n. 9 (Roma, 27 febbraio 1921), dove egli presenta un piccolo contributo «al futuro Fumagalli che scriverà il Chi l’ha detto? della guerra mondiale», invita cioè «la lepre a correre»; e per farla correr meglio, il cortese e valoroso pubblicista mi ha anche comunicato parecchie notizie che non figurano nel suo saggio. Ma senz’altro è tempo ch’io passi a esporre il materiale da me riunito, e pel quale ho potuto in special modo valermi della ricca suppellettile bibliografica nella Raccolta della Guerra che io formai nella biblioteca dell’Università di Bologna e che è la maggiore che esista in Italia in un pubblico deposito. Il materiale del presente paragrafo è diviso in articoli o capitoletti, secondo i paesi di origine delle varie frasi, non senza però fare spesso a questa ripartizione geografica quelle eccezioni che la opportunità di aggruppar meglio la materia poteva suggerirmi.