Clizia/Atto quinto/Scena seconda

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Atto quinto
Scena seconda

../Scena prima ../Scena terza IncludiIntestazione 26 aprile 2008 75% Teatro

Atto quinto - Scena prima Atto quinto - Scena terza


Damone, Nicomaco, Doria

Damone
Che cosa è stata questa, tutta notte. Come è ella ita? Tu stai cheto. Che rovigliamenti di vestirsi, di aprire uscia, di scender e salire in sul letto sono stati questi, che mai vi siate fermi? Ed io, che nella camera terrena vi dormivo sotto, non ho mai potuto dormire; tanto che per dispetto mi levai, e truovoti, che tu esci fuori tutto turbato. Tu non parli? Tu mi par’ morto. Che diavolo hai tu?
Nicomaco
Fratel mio, io non so dove io mi fugga, dove io mi nasconda, o dove io occulti la gran vergogna, nella quale io sono incorso. Io sono vituperato in eterno, non ho più rimedio, né potrò mai più innanzi a mogliama, a’ figliuoli, a’ parenti, a’ servi capitare. Io ho cerco il vituperio mio, e la mia donna me lo ha aiutato a trovare: tanto che io sono spacciato; e tanto più mi duole, quanto di questo carico tu anche ne participi, perché ciascuno saprà che tu ci tenevi le mani.
Damone
Che cosa è stata? Hai tu rotto nulla?
Nicomaco
Che vuoi tu ch’io abbia rotto? che rotto avess’io el collo!
Damone
Che è stato, adunque? Perché non me lo di’?
Nicomaco
Uh! uh! uh! Io ho tanto dolore ch’io non credo poterlo dire.
Damone
Deh! tu mi pari un bambino! Che domine può egli essere?
Nicomaco
Tu sai l’ordine dato, ed io, secondo quell’ordine, entrai in camera, e chetamente mi spogliai; ed in cambio di Pirro, che sopra el lettuccio s’era posto a dormire, non vi essendo lume, allato alla sposa mi coricai.
Damone
Orbè, che fu poi?
Nicomaco
Uh! uh! uh! Accosta’migli. Secondo l’usanza de’ nuovi mariti, vollile porre le mani sopra il petto, ed ella, con la sua, me le prese, e non mi lasciò. Vollila baciare, ed ella con l’altra mano mi spinse el viso indrieto. Io me li volli gittare tutto addosso: ella mi porse un ginocchio, di qualità che la m’ha infranto una costola. Quando io viddi che la forza non bastava, io mi volsi a’ prieghi, e con dolce parole ed amorevole, pur sottovoce, che la non mi cognoscessi, la pregavo fussi contenta fare e piacer’ miei, dicendoli: - Deh! anima mia dolce, perché mi strazii tu? Deh! ben mio, perché non mi concedi tu volentieri quello, che l’altre donne a’ loro mariti volentieri concedano? - Uh! uh! uh!
Damone
Rasciùgati un poco gli occhi.
Nicomaco
Io ho tanto dolore, ch’io non truovo luogo, né posso tenere le lacrime. Io potetti cicalare: mai fece segno di volerme, nonché altro, parlare. Ora, veduto questo, io mi volsi alle minacce, e cominciai a dirli villania, e che le farei, e che le direi. Ben sai che, ad un tratto, ella raccolse le gambe, e tirommi una coppia di calci, che, se la coperta del letto non mi teneva, io sbalzavo nel mezzo dello spazzo.
Damone
Può egli essere?
Nicomaco
E ben che può essere! Fatto questo, ella si volse bocconi, e stiacciossi col petto in su la coltrice, che tutte le manovelle dell’Opera non l’arebbono rivolta. Io, veduto che forza, preghi e minacci non mi valevano, per disperato le volsi le stiene, e deliberai di lasciarla stare, pensando che verso el dì la fussi per mutare proposito.
Damone
Oh, come facesti bene! Tu dovevi, el primo tratto, pigliar cotesto partito, e, chi non voleva te, non voler lui!
Nicomaco
Sta’ saldo, la non è finita qui: or ne viene el bello. Stando così tutto smarrito, cominciai, fra per il dolore e per lo affanno avuto, un poco a sonniferare. Ben sai che, ad un tratto, io mi sento stoccheggiare un fianco, e darmi qua, sotto el codrione, cinque o sei colpi de’ maladetti. Io, così, fra il sonno, vi corsi subito con la mano, e trovai una cosa soda ed acuta, di modo che, tutto spaventato, mi gittai fuora del letto, ricordandomi di quello pugnale, che Clizia aveva il dì preso, per darmi con esso. A questo romore, Pirro, che dormiva, si risentì; al quale io dissi, cacciato più dalla paura che dalla ragione, che corressi per uno lume, che costei era armata, per ammazzarci tutti a dua. Pirro corse, e, tornato con il lume, in scambio di Clizia vedemo Siro, mio famiglio, ritto sopra il letto, tutto ignudo che per dispregio (uh! uh! uh! ) e’ mi faceva bocchi (uh! uh! uh! ) e manichetto dietro.
Damone
Ah! ah! ah!
Nicomaco
Ah! Damone, tu te ne ridi?
Damone
E’ m’incresce assai di questo caso; nondimeno egli è impossibile non ridere.
Doria
(a parte) Io voglio andare a raguagliare di quello, che io ho udito, la padrona, acciò che se le raddoppino le risa.
Nicomaco
Questo è il mal mio, che toccherà a ridersene a ciascuno, ed a me a piagnerne! E Pirro e Siro, alla mia presenzia, or si dicevano villania, or ridevano; dipoi, così vestiti a bardosso, se n’andorno, e credo che sieno iti a trovare le donne, e tutti debbono ridere. E così ognuno rida, e Nicomaco pianga!
Damone
Io credo che tu creda che m’incresca di te e di me, che sono, per tuo amore, entrato in questo lecceto.
Nicomaco
Che mi consigli ch’io faccia? Non mi abbandonare, per lo amor d’Iddio!
Damone
A me pare, che se altro di meglio non nasce, che tu ti rimetta tutto nelle mani di Sofronia tua, e dicale che, da ora innanzi, e di Clizia e di te faccia ciò che la vuole. La doverrebbe anch’ella pensare all’onore tuo, perché, sendo suo marito, tu non puoi avere vergogna, che quella non ne participi. - Ecco che la vien fuora. Va’, parlale, ed io n’andrò intanto in piazza ed in mercato, ad ascoltare, s’io sento cosa alcuna di questo caso, e ti verrò ricoprendo el più ch’io potrò.
Nicomaco
Io te ne priego.