Come l'onda/VIII
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | VII | IX | ► |
L’UOMO RAPPRESENTATIVO.
VIII.
Grave, solenne nell’aria della persona, negli atteggiamenti, nelle mosse, nell’intonazione della voce, nelle scarse parole che gli uscivano di bocca, sembrava che la natura lo avesse creato apposta per dare con la sua presenza, in certe circostanze, un prestigio, un’importanza a cerimonie e ad avvenimenti, che questi, per loro stessi, non avrebbero avuto.
Parecchi anni addietro, quando Giacomo Romero era un impiegatuccio della Prefettura, nessuno avrebbe potuto prevedere che, a via di lenta ma continua trasformazione, quel giovane biondastro, magro, giallognolo, sarebbe diventato, da modestissimo scrivano, l’uomo rappresentativo, come tutti lo qualificavano ora, l’uomo indispensabile nelle riunioni, nelle feste, nei lieti e tristi casi della vita cittadina.
Era irriconoscibile. Gli accadeva sovente di vedersi fermato da un vecchio amico, che lo aveva da un pezzo perduto di vista:
— Scusi.... Lei è...?
— Giacomo Romero, ai suoi ordini.
— Ah!.. Questo volevo dire! Sei tu!
Ma l’amico, che avrebbe voluto precipitarglisi addosso per abbracciarlo, si sentiva tenuto lontano dalla serietà, dalla dignità della rigida accoglienza che sembrava volesse dire:
— Sì, sono io.... ma non sono più quello.
Soltanto Pasquale Rosada che aveva, per due anni, abitato nella stessa topaia, quando frequentavano il ginnasio e che non aveva mai smarrito il buon umore neppure nei momenti più tristi, soltanto lui non si era lasciato imporre dall’aria solenne la mattina che lo aveva incontrato in cappello a cilindro, redingote e guanti neri. Gli si era piantato dinanzi squadrandolo da capo a piedi e gli aveva detto, ridendo:
— Guarda!... Romero!... Indovino? Direttore di un ufficio di pompe funebri. Mi rallegro!
E con tutta la severità del vestito e con la premura che aveva di non mancare al trasporto di un commendatore segretario al Ministero della guerra, Romero si degnò di stringere la mano di Rosada e di atteggiare le labbra a qualcosa, che avrebbe potuto sembrare un sorriso di compatimento.
— Tu non invecchi, tu non cangi mai! — gli disse — Beato te!
— Vediamoci, rimango qui una settimana. Dove posso venire a trovarti?
Romero gli diè il suo indirizzo.
Era contento di far sapere all’antico compagno di ginnasio, il gran mutamento avvenuto nella sua vita. Nato da buona famiglia — sua madre si gloriava di aver sangue nobile nelle vene — aveva goduto appena gli ultimi bagliori dell’agiatezza del patrimonio dei Romero, andato in rovina per colpa del padre. Rosada appunto lo aveva conosciuto quando tutti e due stentavano a proseguire gli studi per poter arrivare a carpire un impiego. Poi:
Tu ver Gerusalemme, io ver l’Egitto.
come accade nella vita e come soleva affermare con quel verso dei pochissimi tenuti a memoria da lui, ogni volta che Romero voleva filosofare intorno a qualche avvenimento degno di quella poetica citazione.
Egli aveva preparato a quel burlone impenitente di Rosada la sorpresa di un ricevimento coi fiocchi. Voleva fargli vedere e toccare con mano che lo studentuccio Romero non era arrivato ad essere direttore di pompe funebri; ma un signore libero, indipendente, che grazie alla sua discreta posizione, alla sua intelligenza, al suo tatto, già contava per qualcosa nella società.
Rosada giunse preciso, all’ora fissata.
— Ah! — fece, fermandosi su la soglia del salotto dove Romero lo invitava ad entrare.
Non sapeva spiegarsi quell’esposizione di calzoni, di corpetti, di cravatte, di stivaletti, di scarpe, di scarpine che ingombravano il canapè, le poltrone, le seggiole e i tavolinetti.
— Trovi un po’ di disordine, ma con te faccio a fidanza.
— Negozi in abiti belli e fatti?
— Potrei, davvero; ma, capisci, la mia posizione ora m’impone certi obblighi.... Capisci!
— Devi aver vinto una gran quaderna al lotto.
— Ho ricevuto un’eredità. Quando si parla dello zio di America!.... Ebbene ci sono gli zii anche in Italia, nascosti in qualche parte, per non farsi scovare. Se non che.....
— Un giorno li scova la morte..... e avrebbe dovuto scovarli anche prima.
— In tempo, caro Rosada; in tempo e basta.... Che conti?
— Ventidue paia di calzoni! Trenta corpetti!.... sessantacinque cravatte! — Appena il necessario, caro Rosada. Tu, fortunatamente, ignori le miserie della vita elegante: cambiar di vestito tre, quattro volte il giorno, secondo i diversi posti dove sei costretto ad andare; e stillarti il cervello se là conviene un abito grigio e là un pantalone scuro, e là quel corpetto, e là quella e questa cravatta.... Mi guardi, spalancando gli occhi, ma è così; uno sbaglio può far ridere di te, disonorarti, sì, disonorarti, perchè la reputazione di un galantuomo certe volte dipende da insignificanti nonnulla, che pesano su la bilancia del merito più di qualunque cosa savia.
— E tu ti rassegni a queste stupide imposizioni?
— Per forza, caro mio, per forza, se voglio conservarmi il posto che con molti stenti mi son acquistato nella società. Sono già qualcuno.... niente.... ma qualcuno da non poter essere confuso con gli altri.
— Ti compiango.
— Ci sono compensi, grandi compensi.... morali; sodisfazioni che non si possono ottenere facilmente.
— Ma io, nel tuo caso.... Come? L’eredità ti ha liberato da ogni preoccupazione economica..... Hai avuto il gran coraggio di prender moglie.... Spero che non hai commesso lo sbaglio di cercarti un’amante, col pretesto di sfuggire quell’altro malanno. Sogliamo dire stupidamente così: malanno! Io però posso assicurarti.... Ah, se tu sapessi quel che ho attraversato nella vita prima di arrivare ad assestarmi un po’! Ora sono in un gran giornale genovese.... Amministratore. Scrivo io i più belli articoli. Domandalo a tutta la redazione.... a ogni fine di mese! Ho moglie e due figliuoli; ce n’è in fabbrica un terzo. Sarà il benvenuto anche lui. Ma io ho tempo di riposarmi, di divertirmi con la mia buona mogliettina e coi bambini. E tu ti stilli il cervello intorno alla scelta di un calzone, di un corpetto, di una cravatta e devi essere serio, serio, serio, agli ordini di tutti, alla mercè di tutti, da quel che ho potuto capire. Sinceramente, ti compiango!
— T’invidio, avrebbe dovuto dire! — pensò Romero, che non sapeva persuadersi come mai Rosada non fosse rimasto impressionato di quel che aveva visto e sentito.
Già certe cose non era in caso di intenderle. L’eredità! Ma si trattava del meno in quella sua grande trasformazione. Un altro avrebbe commesso sùbito la volgarità di prender moglie; un altro, più imbecille, si sarebbe dato in braccio di una piovra di amante e a quest’ora sarebbe nudo e crudo peggio di prima con la bella sodisfazione che si era goduto la vita! Lui, no. Aveva detto: — Bisogna scancellare il passato! — E aveva cominciato dalla sua persona. Sì, sì, gli scultori, i pittori.... Cose da far ridere! Ci vuol poco a mutare nella creta, nel marmo, su la tela i connotati di una persona. Ecco qui: la natura vi ha regalato un naso, una bocca, certe mani, e voi dovete farvene, per così dire, degli altri assolutamente migliori. Sissignore, si può. La natura si è compiaciuta di darvi un carattere, un’individualità; e voi dovete disfare il capriccio di essa.... È un capriccio, una cosa irragionevole. Vi ha dato appetiti che non potete sodisfare, facoltà che vi è impedito di adoperare, e.... Sissignori!
Si può! Homo novus! Ma dal dirlo al farlo.... ci corre. E quel cretino di Rosada non ha capito niente di tutto questo! Ha contato i calzoni, i corpetti, le cravatte; ha ammirato diciotto paia di scarpe di ogni sorta. Ed ha concluso: — Ti compiango!
Egli soltanto, Romero, egli soltanto poteva apprezzare il gran valore della creazione di sè stesso. Chi è che ha detto: — Se vuoi che gli altri piangano, piangi tu il primo? — Avrebbe dovuto dire: — Se vuoi che gli altri ammirino, comincia dall’ammirarti tu il primo!
Era il suo grande assioma. E aveva imbastito intorno ad esso una vasta teoria.
— Non bisogna tentare di sbalordir la gente, ma lusingarla, ma illuderla.... Se voleste, potreste fare questo e meglio; ma non val la pena di confondersi, quando un altro si prende questa scesa di testa.
E, infatti, tante scese di testa se le prendeva volentieri lui.
— Caro Romero, mi metto nelle vostre mani.... Voi lo sapete: i genitori, nel caso del matrimonio di una loro figliuola, perdono la testa. E ci sono tante pratiche da fare.... Disponete, ordinate.....
— Caro Romero, la gioia della paternità.... istupidisce. Pel battesimo.... Una cosa degna dell’occasione.... Come se fosse cosa vostra....
— Caro Romero.... È stata una grande disgrazia! Certe perdite annichilano mente e cuore.... Nessuno sa prendere un provvedimento opportuno.... Voi; non c’è altri che voi....
E bisognava vedere com’egli si trasformasse, secondo le circostanze, portando attorno dignitosamente la bella barba rossiccia, la testa ben pettinata, la persona diritta, impettita, quasi un matrimonio, un battesimo, un funerale avessero ai suoi occhi uguale importanza, ed egli si credesse in dovere di concedersi ad essi, egualmente, ma con le opportune modificazioni che testimoniavano della sua abilità, della sua pratica, della sua fine intelligenza per tutto che era mostra, apparato, esteriorità.
Non era arrivato a questo di primo acchito, nè senza aver dovuto reprimere dentro di sè certi sentimenti e certi impulsi che nei primi tempi rinascevano più forti, più violenti; quando già sembravano vinti e domati.
Eh, no! Un piccolo adulterio — e voleva dir: facile — può rovinare la posizione di un galantuomo. Perchè infine? Per far piacere a una signora isterica, malata, che non ha niente da perdere, specialmente se il marito è maneggevole. Chi ha tutto da perdere è.... il complice, l’amante che, spesso spesso, non ama affatto, e mette a repentaglio la sua vita per far piacere a una donna, che non merita affatto così gran sacrifizio.
Se avesse voluto!... Ma non aveva voluto. Già gli mancava il tempo di pensare a frivolezze. Le signorine poi!... Le fuggiva come la peste.... moralmente; perchè, col fatto nessuno era più ossequioso, più garbato, più disposto a profondere ogni gentilezza ai loro piedi.... E se avesse voluto anche con loro! Avrebbe avuto l’imbarazzo della scelta. Niente! Cortese, amabile con tutte.... E se n’erano lusingate parecchie. Ma lui, alla larga! Il giorno che si fosse lasciato invischiare da qualcuna, sarebbe finita per lui. Diventava un uomo come un altro, un marito e, forse, anche un marito.... Non si sa mai; neppure quando siete stato, per modo di dire, rapito. E c’era voluto un gran sforzo di volontà, di resistenza, di persistenza. Giacchè le più pericolose signorine sono le.... zitellone, che non sanno rassegnarsi, che sono capaci di tutto pur di compromettere un galantuomo e farsi sposare. Anche questi scogli aveva dovuto evitare! In certi momenti, nei quali rifletteva intorno alla sua vita, egli rimaneva meravigliato che fosse riuscito a liberarsi da tante insidie, da tanti agguati. E ricordava con orrore un periodo di parecchie settimane, in cui, per poco, la maligna cocciutaggine di una donnaccola non aveva compromesso tutto il magnifico resultato dei suoi quasi eroici sforzi.
Se l’era vista comparire davanti una mattina, poveramente vestita — e sarebbe stato il meno! — ma sciatta, enormemente sciatta! Aveva stentato a riconoscerla. Ne sapeva qualcosa Rosada, quando convivevano in quella topaia da studentini di Liceo.... In quei benedetti anni non si sa quel che si fa. Una stiratrice sembra una principessa; non si bada alle conseguenze. Per fortuna il bambino era morto da due mesi; ma lei gli si era appiccicata addosso, e non per interesse, sinceramente, perchè lui era il padre del suo bambino.... Una serva! Una schiava! Una cagna, di quelle che anche prese a calci, a legnate, tornano a leccarvi le mani!
Dopo tanti anni, come mai era riuscita a trovarlo?
— Sono sempre la tua Rina. Voglio esser sempre la tua serva, la tua schiava, la tua cagna, come dicevi allora!
Era mai possibile?
— Non voglio esser altro! In nome del nostro bambino.
Era mai possibile?
E non c’era verso di farle sentir ragione. Sarebbe stata nascosta, in cucina, in uno stambugio, non l’avrebbe vista nessuno; ma voleva servirlo lei; spazzare, ripulire, lustrargli le scarpe, spazzolargli i vestiti, preparargli la colazione e il desinare....
Giacomo Romero era stato preso da un senso di orrore al solo pensiero che la sua casa potesse cadere in balia di quella sozza creatura, che pur gli ispirava compassione e un sentimento di rispetto.
Non era riuscito a convincerla, a persuaderla, a indurla a ricevere un po’ di danaro, con la promessa di qualche altro soccorso di tanto in tanto. Arrivò fino a mentire, per farle intendere che quel che lei pretendeva era impossibile.
— Ma io... ho moglie! Ho moglie!
— Che importa? Farò la serva anche a lei.
Quel giorno la persuase ad andar via con la promessa che l’avrebbe mandata a chiamare. E nei giorni appresso la trovò accoccolata sul pianerottolo, dietro l’uscio, in attesa di vederlo uscire e rientrare.
Aveva dovuto ricorrere al questore per liberarsene e farla rimpatriare. Non gli era parso vero che niente fosse trapelato tra i suoi amici e i conoscenti evitando così il ridicolo, che lo avrebbe ucciso come uomo di mondo.
E continuò la sua vita di repressione, di eliminazione; pareva che il suo intento fosse quello di rendersi una specie di interessantissimo automa, di bellissimo automa, combattendo ora per ora, giorno per giorno l’opera avariante della natura, spendendo lunghe ore davanti allo specchio per scoprire l’insidioso lavorio di una ruga, la diserzione dei capelli, che si scolorivano come presi dalla paura di sentirsi scacciati dal centro del capo verso la tempia e di dover rifugiarsi indietro, indietro, verso la nuca.
E fu proprio in quegli ultimi mesi ch’egli si accorse di un insolito risveglio del suo cuore.... — Come mai? Non riusciva a spiegarselo altrimenti che con una specie di sortilegio della giovane vedova Mannelli buttatogli addosso durante l’ultima festa di beneficenza.... Signor Romero qua.... signor Romero là.... E poi anche, corto: Senta, Romero! Guardi, Romero! E lui si era prestato a secondarla, ad appagarla! E a ogni richiesta, a ogni pretesto, si era sentito diventare più grave, più solenne dell’ordinario, quasi quella diabolica Mannelli fosse degna del più rispettoso omaggio, dell’opera più dignitosa e più severa! — Bravo, Romero!.... Benissimo, Romero! Grazie infinite, Romero!
E lui rimaneva incerto, confuso davanti al preciso significato dell’allegra intonazione della voce di lei, davanti a quel sorriso che le tremava su le labbra prima di diventare riso e anche.... equivoca risata!
Era impossibile che la gente non se n’accorgesse.
Lo approvavano seriamente? Si facevano beffa di lui?
— Non potevate sceglier meglio, Romero!
— Che? Resiste ancora, Romero? Per mostra, non per altro!
Egli negava, ma debolmente; si difendeva, ma in maniera da confermare i sospetti e ridurli certezza.
Ah, quella vedova indemoniata! Ora egli viveva unicamente per lei; era più grave, più solenne, più rappresentativo, ma per lei!
E accadeva questo: la bella e giovane vedova si era compiaciuta di scherzare col fuoco e si era innamorata di Romero con tutto l’impeto del suo cuore infiammabile. Se non che.... Poteva mai immaginare che egli credesse di dimostrarle quel che lei era sicura di aver indovinato, aumentando sempre più, la sua aria grave, solenne, rappresentativa?
E si stancò, e s’indignò, e, dalla sera alla mattina, diventò feroce, intrattabile, peggio che se Romero le avesse fatto offesa di innamorarsi di un’altra e di preferirla a lei!
— Combattete, se vi riesce, con lo spirito, con la lingua, con l’inesorabile accanimento di una donna giovane, bella e vedova per giunta! — si ripeteva tristemente Romero dopo che si fu accorto, troppo tardi! che certe risoluzioni o si prendono in tempo o non si devono prendere mai. Giacomo Romero però non era uomo da abbattersi per una piccola disfatta di amor proprio. Da lì a qualche mese tornava ad essere quel che aveva voluto essere: un uomo rappresentativo, fedele al suo assioma:
— Se vuoi che gli altri ti ammirino, comincia dall’ammirarti tu il primo!