Così mi pare/Cose/Campane sotto le stelle

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Campane sotto le stelle

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Campane sotto le stelle



Assisi, settembre.


Nel cuore della notte, il rintocco sommesso, discreto, quasi timido d’una piccola campana monotona, vicinissima, interrompe il sonno e continua la suggestione.

Le Clarisse pregano.

Isella profonda pace, che fa più intenso il raccoglimento non mai turbato del chiostro inviolabile e nel silenzio altissimo vigilato dalle stelle avvicina l’anima a Dio, la teoria delle vergini lia lasciato le celle anguste che ignorano qualsiasi forma di benessere, anche la più innocente e persino la permessa voluttà d’un buon sonno riparatore, che soltanto sanno la mortificazione — espiazione di peccati non commessi — e lieve, come fosse composta d' [p. 284 modifica]ombre, si profila sulle pareti dei corridoi miìlenari che ogni notte, da secoli, vedono la stessa processione pia apparire, sparire silenziosa da un arcata, sotto un arcata, con un mormorio sommesso di preghiera, con uno strascicar lieve di sandali, per raccogliersi giti, nel piccolo coro sotterraneo della Chiesa, dietro l’urna dorata che racchiude la salma di Santa Chiara, e udire ancora, in un raccoglimento d’estasi, la sua voce, e ancora narrarle, in un trasporto di assoluta fede consolatrice, tutte le malinconie dell’esilio.

Di questa visione da messale antico alluminato che i rintocchi del mattutino rievocano, che la fantasia contempla e accompagna, nulla traspare al di fuori. Le mura del convento addossato, alla Chiesa, costrutto sul bastione della fortezza antica, sulla terrazza dominante la valle, custodiscono geloso e inviolato il segreto della vita mistica.

Se non fosse la voce della piccola campana rivelatrice, nulla parlerebbe di vita nella massa oscura delle mura claustrali rivelata dalle stelle sullo sfondo cupo della notte. Infinite finestrette tagliano quelle mura e non una è illuminata, non una è schiusa, non una concede, neppure alle stesse, la violazione della clausura severissima. [p. 285 modifica]Per chi parla, allora nella notte la voce della campana? Chi chiama, poiché ninno pnò varcare neppure la soglia della grande Chiesa nuda, dinanzi alla quale una fontanella canta, sul piazzale, voce sempre desta, anche nella notte, a esprimere, forse, l'adorazione delle cose in questa terra, dove anche le cose pare abbiano un anima adoratrice?

Nessun chiama la campana sommessa. Essa non si rivolge agli uomini, ma a Dio: non è un richiamo, è una preghiera. E’ la rinnovata voce dell'ardore che tenne i santi antichi, Chiara, Francesco, cui troppo lungo spazio pareva una intera notte trascorsa tutta senza volgere in alto il pensiero e il cuore. Il bisogno che essi sentivano di comunicare a ogni ora con Dio è diventato un dovere per i loro proseliti — forse, in alcuni e in alcune più vicini alla perfezione, ancora il dovere è dolce e imperioso come un bisogno.

Qui dove più vivo, quasi tangibile, è rimasto lo spirito dei Santi, si comprende il bisogno e appare dolcissimo il dovere. Anche all'anima profonda, ignorante le dolcezze della vita interiore, trascinata quotidianamente, incessantemente dalle cose di quaggiù, non occorre uno sforzo in quest’ora, in questa [p. 286 modifica]cornice mistica, per elevarsi, per raccogliersi, per pregare.

L'illusione è questa: che la vita non debba, non possa avere qui altra espressione che la preghiera, non altro dovere che la meditazione, non altro scopo che l'attesa dell'ora suprema che deve liberare l'anima dal peso del corpo, dai ceppi della materia.

Della suggestione della vita interiore Assisi è tutta impregnata; la clausura vigila sulla soglia dei suoi conventi, ma la città è tutta un convento e la vita monacale vi appare la sola perfetta. Più intensa si fa, questa impressione, nella notte, quando sul sonno degli uomini vigila il silenzio e nella grande ombra azzurrognola diffusa, il chiaror limpido delle stelle disegna soltanto profili di chiese, arcate conventuali, braccia aperte di croci, freccie di campanili, e la volta celeste immensa, tempestata da milioni di luci tremole, irrequiete, frementi, vive, appare vicinissima, chinata a baciare con particolare dilezione questa terra sacra, ad avvolgerla tutta in una grande carezza protettrice, a porgerle il conforto di una fede che diventa troppo evidenza, in quest’ora, per essere ancora virtù. [p. 287 modifica]


La cerimonia tace.

Non occorre uno sforzo d’immaginazione per vedere negli stalli del piccolo coro sotterraneo le figlie di Chiara, salmodiauti dietro la cripta che chiude il corpo della Santa.

La mistica seguace di San Francesco è qui. La sua salma, deposta nella cripta sotto la chiesa nel 1260, è stata ricomposta, meno di mezzo secolo addietro, in un urna di cristallo a saldatura dorata, rivestita non del saio francescano ma duna pesante tonaca di velluto d’un colore pallido. Sotto il soggolo candido ancora appare intatto il profilo finissimo del volto affilato, che il tempo ha completamente annerito: le mani, congiunte sul petto, riposano sopra un Crocefisso: tutto il resto del corpo scompare come perduto, come insussistente sotto le grevi pieghe dell'abito, con una parvenza d’irrealità che aggiunge ancora alla spiritualità della visione mistica.

Una credenza diffusa in Assisi dice che chiunque ha toccato il corpo della Santa godrà lunga vita terrena, e porta in appoggio dell'asserto il fatto che i cinque prelati che composero nell'urna la salma venerata — uno [p. 288 modifica]di questi era Leone XIII, allora vescovo di Perugia — ebbero tutti vita lunghissima. Ma oggi, nessuno può più toccare la spoglia sacra. La pietà dei fedeli si accontenta di ricevere dalle mani della Clarissa che accompagna i visitatori giù nella cripta, una medaglia sacra che ha toccato l’urna dove la salma santa è chiusa.

Era bella Chiara d’Assisi! Il suo ritratto, dipinto dal Cimabue, e conservato nella cappella a sinistra della grande chiesa spoglia e nuda che copre la sua tomba, ha una dolcezza d’espressione già celestiale, manca della rigidezza comune a tutte le figure dei primitivi, è morbido e sereno, luminoso e vivo. È d’altronde, la sola cosa artisticamente degna di "nota in tutta la chiesa fredda e austera, se se ne toglie il Crocefisso che secondo la tradizione parlò a San Francesco — un Cristo del XII secolo dipinto su legno, prettamente bizantino, magro, ossuto, impressionante. Le quattro braccia della Croce si allargano in quattro pannelli quadrati che fanno sfondo e che portano dipinte lunghe teorie di figure femminili ieratiche. Una copia di questo Crocefisso, che tanta parte tiene nella storia francescana, è conservata nella Chiesa inferiore di San Francesco [p. 289 modifica]è dovuta al pennello di Giotto, quella, e tra l’uno e l’altra v’è un evoluzione profonda di concezione spirituale, tutto l’abisso che separa l’arte bizantina dalla primitiva cristiana, un mondo.

Ancora una reliquia nella Chiesa spoglia del maggior convento delle Clarisse: il teschio di Sant’Agnese, custodito dentro una teca d’argento, un teschio perfettamente conservato, levigato, candidissimo e piccolo come quello d’un bambino. I pensieri che si formarono dentro’quel cranio diventato reliquia furono tutti d’adorazione semplice. 0 è nella storia di perfezione della sorella di Santa Chiara un’infantilità che commuove e intenerisce. Ella ignorò sempre, fortunata! le lotte interiori e le tempeste della vita: venuta dopo la maggior sorella, camminò sulle sue orme, rifece il suo solco avendola sempre accanto indulgente e mite, attingendo ardore dall’ardore di lei e consiglio dalla sua autorità, riducendo tutta la sua vita spirituale a un atto d’obbedienza incessante.

Santa Chiara, Sant’Agnese, Santa Geltrude, Santa Margherita da Tortona, Santa Rosa da Viterbo, Santa Colomba da Rieti..... La storia francescana è tutta impregnata della poesia [p. 290 modifica]della femminilità. Il Santo che parlava, vibrando, di rinunzia, di sacrificio, di generosità, di dedizione, di tenerezza, cioè ancora e sempre d amore, doveva esercitare un fascino possente, specialmente sull'anima femminile istintivamente assetata di devozione e di rinunzia.

Francesco Bernardone radunò dapprima le mistiche sue seguaci a San Damiano, il primissimo convento delle Clarisse. Poi, poco prima della sua morte, le trasportò qui. San Damiano era diventato malsicuro, situato com’era fra la collina e la pianura, in un punto solitario alle falde del Subiaso. Qui, le sorelle di Santa Chiara venivano poste direttamente sotto la custodia della città. Sorse così il convento, sopra il bastione antico, appoggiato alla Chiesa che a sua volta si puntella contro tre stranissimi segmenti d arcata tagliati in tre muraglioni di sostegno alla sua sinistra.

Adesso, laggiù a San Damiano, nel piccolo chiostro mistico diventato reliquia francescana, pregano e vigilano i Minori Osservanti che ne hanno assunto la custodia, come hanno assunto quella della Basilica di S. Francesco sopra il chiostro maggiore che dall'alto del poggio domina la cittadina e la valle. Ma-tutto è [p. 291 modifica]rimasto intatto laggiù, come allora. Il refettorio è ancora quello, nudo, freddo, spoglio, sormontato da una volta bassa e massiccia che gli dà uno strano aspetto di speco. Ancora quello il coro nella piccola chiesuola, dove fluttua un odore strano, indefinibile, saturo della malinconia di secoli caduti nel buio e suggestivo di visioni di fantasmi: quelli ancora gli stalli che portano tuttora tracciato il nome delle primissime sorelle mistiche di San Francesco. Sette secoli! E tutto è ancora, laggiù, come allora! Il tempo si è arrestato sulla soglia inviolabile del mistico rifugio, che nulla ha saputo mai di volgersi d’eventi e di succedersi di generazioni.

Nella navata maggiore della Chiesa, venerato come una reliquia, si conserva un magnifico Cristo, scolpito e annerito, dall'espressione intensa. Dietro una griglietta dorata, altre reliquie che sembrano materiate d’anima: l'ostensorio col quale Chiara d’Assisi andò incontro ai Saraceni che assediavano la città; un’ampolla del sangue di S. Francesco raccolto da Santa Chiara da una ferita del Santo, il suo breviario manoscritto, la campana che chiamava le prime Clarisse alla preghiera. [p. 292 modifica]E da tutte codeste reliquie conservate attraverso i secoli, che videro generazioni pronte a venerare, si effonde, insieme al fascino delle cose antichissime, la suggestione di tanta fede veduta, conservata — possente così da far chinare il capo e piegare le ginocchia.....