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Cosa può dire oggi la fotografia?/Antonio Rovaldi

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Antonio Rovaldi

../Richard Sympson ../Mirko Smerdel IncludiIntestazione 17 ottobre 2019 100% Da definire

Richard Sympson Mirko Smerdel
[p. 17 modifica]

forse era silvano
sul monte battaglia,
primogenito di nando
fratello di alfredo
mio nonno.



La fotografia ha sempre espresso le difficoltà della sua contemporaneità. Non so se la mia contemporaneità è più complessa della contemporaneità di fine Ottocento. Oggi abbiamo sicuramente molte più ‘cose’ (La vita, istruzioni per l’uso) che richiedono la nostra attenzione e le modalità per raccontarle si sono moltiplicate e molte altre ancora sono state accantonate o forse, più o meno stupidamente, dimenticate. Credo che oggi sia più importante parlare di ‘immagini’ che non di fotografia, anche perché forse davvero la fotografia, intesa come luce che impressiona della carta sensibile, sta davvero tirando gli ultimi respiri, sommersa ormai da valanghe di jpeg.
Stanotte ho dormito davvero profondamente e questa mattina mi sono svegliato sul soppalco di Worther con l’immagine di mio fratello che mi chiedeva di seguirlo nella sua profonda cantina e io che gli domandavo di suggerirmi un titolo per queste domande sulla fotografia... Mi sono alzato con in testa la parola ‘rifiuti’ e l’immagine del mio studio a Milano con il pavimento di marmiglie ricoperto di ritagli di pagine strappate da libri illustrati con immagini di città nel mondo e di paesaggi naturali. Credo che mio fratello per ‘rifiuti’ intendesse quella miriade di ritagli sparsi per terra, come a consigliarmi un nuovo inizio... «Perché non parti di nuovo da quei brandelli di immagini?» sembrava volesse dirmi nel mio dormiveglia. In fondo si riparte sempre da certi rifiuti che ci stanno intorno, dagli scarti che, più o meno consapevolmente, abbiamo lasciato cadere sul pavimento (come una vera catena d’immagini). Dove sono quindi queste immagini?
Si potrebbe dire, senza troppo enfatizzare, che le immagini sono davvero ovunque e che non esiste un fotografabile e un non fotografabile, qualcosa di contemporaneo e qualcosa che non lo è più. Come per tutte le cose esiste un atto consapevole di ‘scelta’. Tutto oggi è contemporaneo e tutto paurosamente già passato. È così contemporaneo anche il passato ed è così contemporanea oggi certa fotografia ingiallita ripescata nei mercatini e nei cassetti del proprio solaio!
In questo momento sto guardando una vecchia fotografia con i bordi ondulati che avevo incastrato nella fessura dell’interruttore della luce, lo scorso dicembre nella casa di Worther: mio nonno Alfredo all’età di quattro/cinque anni in piedi su una roccia sporgente; la mano destra appoggiata a un ramo-bastone e quella sinistra nella tasca dei pantaloni corti rigonfi sopra le ginocchia. Un cappellino da alpino leggermente inclinato, una grossa gota e un visibile doppiomento. Alle sue spalle forse due pini marittimi nani ― perfettamente proporzionati alla sua altezza ― su un lieve promontorio.
Quando ho trovato questa fotografia in qualche cassetto polveroso di mia nonna, per un attimo ho pensato di essere io: cavolo com’ero grasso da bimbetto, e che gambotte! Anche adesso, guardando questa bellissima fotografia, non posso che pensare di essere io in quell’immagine. Io oggi, dall’alto di una roccia sporgente e un cappello sulle ventitré in una notte allucinata (come Mizoguchi, che dopo avere dato fuoco al Padiglione d’oro, sale sulla collina per scappare alle fiamme da lui stesso appiccate, per poi sedersi e tirare una meritata boccata di fumo a lavoro concluso, dall’alto di una valle).
Forse per dire che la fotografia ha una vita molto più lunga di quanto si possa immaginare e uno spazio molto più ampio di un pezzo di carta impressionata o, per dirla alla Ghirri, tutto ciò che sta fuori una fotografia è quello che ci permette di vedere la fotografia stessa. O quanto un’immagine può farci immaginare, al di là del ‘suo’ tempo e del ‘mio’, che poi è il tempo di ‘tutti’.


Worther Strabe,
Berlino 24 Maggio 2010
ore 12.22


PS del 26 Maggio 2010: Mia madre ha osservato che la fotografia non può essere del 1918-19, ma ben più tardi, tipo fine anni ‘30 o anni ‘40, e che quel bimbo non può dunque essere il nonno Alfredo da piccolo, bensì ― lei pensa ― Silvano, primogenito di Nando (Nando fratello di Alfredo). Anche sull'identificazione del luogo come la cima del Monte Battaglia, lei avrebbe qualche dubbio. Secondo me invece potrebbe esserlo.


Mah...