Cuore (1889)/Febbraio/L'officina

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Febbraio - L'officina

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L'OFFICINA

18, sabato

Precossi venne ieri sera a rammentarmi che andassi a vedere la sua officina, che è sotto nella strada, e questa mattina, uscendo con mio padre, mi ci feci condurre un momento. Mentre noi ci avvicinavamo all’officina, ne usciva di corsa Garoffi, con un pacco in mano, facendo svolazzare il suo gran mantello, che copre le mercanzie. Ah! ora lo so dove va a raspare la limatura di ferro, che vende per dei giornali vecchi, quel trafficone di Garoffi! Affacciandoci alla porta, vedemmo Precossi, seduto sur una torricella di mattoni, che studiava la lezione, col libro sulle ginocchia. S’alzò subito e ci fece entrare: era uno stanzone pien di polvere di carbone, colle pareti tutte irte di martelli, di tanaglie, di spranghe, di ferracci d’ogni forma, e in un angolo ardeva il fuoco d’un fornello, in cui soffiava un mantice, tirato da un ragazzo. Precossi padre era vicino all’incudine, e un garzone teneva una spranga di ferro nel fuoco. - Ah! eccolo qui, - disse il fabbro appena ci vide, levandosi la berretta, - il bravo ragazzo che regala i treni delle strade ferrate! È venuto a vedere un po’ lavorare, non è vero? Eccolo servito sul momento. - E dicendo questo sorrideva, non aveva più quella faccia torva, quegli occhi biechi dell’altre volte. Il garzone gli porse una lunga spranga di ferro arroventata da un capo, e il fabbro l’appoggiò sull’incudine. Faceva una di quelle spranghe a voluta per le ringhiere a gabbia dei terrazzini. Alzò un grosso martello e cominciò [p. 136 modifica]a picchiare, spingendo la parte rovente ora di qua ora di là tra una punta dell’incudine e il mezzo, e rigirandola in vari modi, ed era una meraviglia a vedere come sotto ai colpi rapidi e precisi del martello il ferro s’incurvava, s’attorceva, pigliava via via la forma graziosa della foglia arricciata d’un fiore, come un cannello di pasta, ch’egli avesse modellato con le mani. E intanto il suo figliuolo ci guardava, con una cert’aria altera, come per dire: - Vedete come lavora mio padre! - Ha visto come si fa, il signorino? - mi domandò il fabbro, quand’ebbe finito, mettendomi davanti la spranga, che pareva il pastorale d’un vescovo. Poi la mise in disparte e ne ficcò un’altra nel fuoco. - Ben fatto davvero, - gli disse mio padre. E soggiunse: - Dunque... si lavora, eh? La buona voglia è tornata. - È tornata, sì - rispose l’operaio, asciugandosi il sudore, e arrossendo un poco. - E sa chi me l’ha fatta tornare? - Mio padre finse di non capire. - Quel bravo ragazzo, - disse il fabbro, accennando il figliuolo col dito, - quel bravo figliuolo là, che studiava e faceva onore a suo padre mentre suo padre... faceva baldoria e lo trattava come una bestia. Quando ho visto quella medaglia... Ah! il piccinetto mio, alto come un soldo di cacio, vieni un po’ qua che ti guardi bene nel muso! - Il ragazzo corse subito, il fabbro lo prese e lo mise diritto sull’incudine, tenendolo sotto le ascelle, e gli disse: - Pulite un poco il frontespizio a questo bestione di babbo. - E allora Precossi coprì di baci il viso nero di suo padre fin che fu anche lui tutto nero. - Così va bene, - disse il fabbro, e lo rimise in terra. - Così va bene davvero, Precossi! - esclamò mio padre, contento. [p. 137 modifica]E detto a rivederci al fabbro e al figliuolo, mi condusse fuori. Mentre uscivo, Precossino mi disse: - Scusami, - e mi cacciò in tasca un pacchetto di chiodi; io l’invitai a venir a vedere il carnevale da casa mia. - Tu gli hai regalato il tuo treno di strada ferrata, - mi disse mio padre per la strada; - ma se fosse stato d’oro e pieno di perle, sarebbe stato ancora un piccolo regalo per quel santo figliuolo che ha rifatto il cuore a suo padre.