Dalle dita al calcolatore/V/2

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2. Le sfere celesti

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2. Le sfere celesti

Se per i pitagorici il numero perfetto è il 10, in geometria la figura perfetta è la sfera. Da questi due principi “mistici” derivano l’intuizione che la Terra e gli altri corpi celesti siano sfere, e che 10 siano le sfere dei corpi celesti mobili: Sole, Luna, Terra, altri 5 pianeti, Antiterra e sfera delle stelle. Si deve al pitagorico Filolao (480-400) l’ipotesi che la Terra ruoti come gli altri pianeti intorno a un fuoco centrale, con movimento circolare uniforme. Dopo due millenni questa ipotesi è ripresa da Copernico. Ma per i Greci suoi contemporanei è troppo rivoluzionaria e viene modificata da due pitagorici posteriori; essi pongono la Terra di nuovo al centro dell’universo, e per spiegare il giorno e la notte pensano che la Terra ruoti su se stessa.

Anassagora (488-428), originario di Clazomene, svolge la sua attività intellettuale ad Atene. Per nulla propenso a prestar fede alle spiegazioni mitologiche, effettua le sue ricerche con rigoroso spirito scientifico e per spiegare i fenomeni celesti elabora teorie razionali piuttosto scomode per il potere religioso. Un suo libro intitolato Sulla Natura riscuote notevoli consensi fra la cittadinanza. Secondo Anassagora, il Sole è un corpo metallico incandescente, la Luna riceve e riflette la luce del Sole, le stelle sono rese incandescenti dal movimento di rotazione. Egli descrive con rigore scientifico gli arcobaleni, i fenomeni meteorologici e le eclissi. Le sue asserzioni portano lo scompiglio nelle credenze religiose del tempo e, accusato di empietà, egli rischia la condanna a morte. Lo difende Pericle, suo ex allievo, che lo stima molto. Assolto, ritiene più salutare mettere di mezzo il mare fra sé e Atene: si ritira a Lampsaco, sui Dardanelli.

Platone abbozza uno schema dell’universo, rappresentabile sotto forma di sfere concentriche invisibili e avente al centro la Terra immobile. Ad ogni sfera corrisponde un pianeta che ruota con essa. Di fatto, le [p. 97 modifica]manifeste irregolarità nei movimenti dei pianeti mettono in scacco il suo ideale di universo perfetto. Perciò suggerisce ai suoi discepoli di continuare gli studi astronomici al fine di giungere alla costruzione di un sistema razionale di circoli e di sfere, conforme ai dogmi pitagorici.

Aristotele di Stagira (384-322) non è un matematico in senso stretto. È grandissimo come scienziato naturalista. Certamente la sua attitudine per le scienze si forma in famiglia, in quanto la professione medica del padre lo stimola al rigore e al rifiuto delle fantasie mitologiche. A ciò si aggiunge la serietà negli studi compiuti all’Accademia.

Si interessa anch’egli alla costruzione di uno schema dell’universo, rifacendosi alla dottrina pitagorica che considera il cerchio e la sfera come le più perfette figure geometriche. L’universo, secondo Aristotele, è fatto di sfere cristalline concentriche. Al centro dispone la Terra con la sua atmosfera; quindi, allontanandosi, le sfere degli elementi puri: esalazione terrestre, acqua, aria, fuoco; poi la sfera dell’etere, le sette sfere dei pianeti (Sole e Luna compresi), quella delle stelle fisse, infine la sfera che dà il movimento a tutte le altre: Primum mobile. In questo senso, in quanto racchiuso in sfere, l’universo è limitato e finito nello spazio; peraltro, Aristotele ritiene che sia illimitato nel tempo, non soggetto né a creazione né a distruzione. I dogmi delle dottrine pitagoriche e la povertà degli strumenti disponibili pongono l’astronomia di allora al di fuori di ogni ricerca sperimentale meticolosa. Per esempio, il primo a formulare l’ipotesi che nell’universo possano esistere orbite non circolari è Ticho Brahe (1546-1601). Vi perviene nel 1577 studiando l’orbita di una cometa. Questo astronomo moderno, in verità, può giovarsi di un osservatorio dotato dei migliori strumenti forniti dalla tecnica del suo tempo. Per 10 anni egli raccoglie dati e dati. Ma solo Keplero, elaborando quelle informazioni, intuisce la vera natura, [p. 98 modifica]ellittica, delle orbite dei pianeti. Perciò, non deve sorprendere più di tanto che il modello di Aristotele, perfezionato da Tolomeo, abbia potuto durare così a lungo.