Del coraggio nelle malattie/XVIII.
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XVIII.
Il signor Salvadori1 ci si affaccia pel più grande banditor del coraggio nel morbo tisico. Tutto il suo assunto vuolsi che s’aggiri su questo principio. Diffatti non par egli tutto coraggio per un tabido lo spregiare i medici e le medicine, e lo andare in cerca della vita svagata, esercitata, e pienamente alimentata e commossa dalle fatiche, dai sudori, dal bere, dalla caccia, dai viaggi, dagli stravizzi, come egli propone?
Ma siccome non v’ha chi chiami coraggio in un militare il combattere da forsennato, abbenchè con fortuna combatta e il nemico debelli; così per avventura lo spirito violentato d’un tisico, e lo sfrenato sistema del viver suo, ancora che in taluni sieno non mal riusciti, pure assai facilmente confinano co’ punti estremi, laddove non v’ha che la confusione e i pregiudizj di un’inesperta e fatale imprudenza. Nè io intendo, che l’egregio sentimento del coraggio debba essere spinto a que’ gradi di eccesso, che anzichè essere virtuoso e proficuo diviene vizioso e vituperevole, e si merita il nome di furore, di impeto smoderato, di fanatismo.
Quindi intendo che nella tabe ci voglia il savio coraggio, nulla meno che nell’altre malattie, il quale serva a difendere dalla soverchia credulità ne’ molteplici metodi antiettici, inventati da tanti autori e da tante sperienze smentiti, ed a condurre una vita delle più tolleranti e più placide in climi appropriati e trascelti dal sagace medico osservatore, il quale quanto si rifida in questi naturali ajuti, altrettanto esige dal suo infermo l’intima credenza nella facoltà di essi ajuti, e il compagno coraggio per adattarvisi costantemente ed esattamente.
- ↑ Del Morbo Tisico.