Delle cinque piaghe della Santa Chiesa (Rosmini)/Appendice/Lettera seconda
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LETTERA II.
« Alla gentile accoglienza da lei fatta alla mia lettera dell’8 giugno anno corrente, nella quale io dichiaravo come la libera elezione de’ Vescovi sia di diritto divino, inalienabile, imperscrittibile, ella aggiunge un’altra gentilezza, quella d’invitarmi ad appianare le difficoltà che le si rappresentano circa il modo di fare, che quell’importantissimo diritto della libera elezione venga restituito alla Chiesa e sia ridotto all’atto.
« Ella crede difficile che il Sovrano voglia rinunziare spontaneamente alle nomine vescovili, ed oltracciò trovo arduo non poco il determinare la maniera, nella quale si potesse procedere senza inconvenienti di discordia od altri. Tali difficoltà sarebbero certamente gravi in altri tempi, per esempio, un secolo fa: nel nostro o non vi sono, a mio vedere, o, se vi sono, reputo che si possano facilmente vincere, qualora il Clero voglia, perchè se il Clero, vuole non vi ha libertà della Chiesa che non possa essere a lei rivendicata in breve tempo: la forza bruta dee cedere alla forza morale, e ciò che è ragionevole e giusto trova sempre una via convenevole nella quale può essere ridotto all’atto.
« Io non parlerò nella presente, che della prima difficoltà, del suo timore che i monarchi ricusino di cedere spontaneamente l’invaso diritto delle nomine vescovili. Io credo che questa renitenza nasca più che d’altro da quell’ampio velo d’ignoranza che cuopre già da lungo tempo tutta questa materia delle vescovili elezioni: rimoviamolo, dico io, e la luce della verità farà il resto.
« A me basta adunque che sia proclamato altamente in modo che tutti, anche i laici, lo sappiano, che le elezioni de’ Vescovi a Clero e Popolo sono di diritto divino, in quel modo che ho spiegato nella citata lettera, che la libertà tutta intera, della Chiesa, la libertà in particolare delle elezioni è di diritto divino; e che se la Chiesa dopo di aver combattuto per secoli affin di salvarla ne abbandonò una parte, una gran parte, si fu per evitare de’ mali maggiori, per porre un argine ad usurpazioni maggiori che la prepotenza del potere laicale, divenuto assolutismo a’ tempi di Francesco re di Francia, minacciava. Basta che questo sia fatto noto e predicato di sopra ai tetti: basta sieno fatte note le ragioni per le quali la restituzione della libertà delle elezioni è di supremo ed urgente bisogno alla Chiesa nei nostri tempi, sia fatto noto a tutti, a’ laici principalmente, che questa è l’unica via, per la quale si possa riformare il Clero e renderlo pari ai grandi bisogni della società presente. Non è già che il Clero de’ nostri giorni manchi di dottrina o di virtù, ma l’una e l’altra dev’essere accresciuta: la parola evangelica deve brillare di più viva luce nella bocca di lui, nella sua vita, nella pienezza delle opere sante. Questo ravvivamento dello spirito ecclesiastico si desidera, s’invoca da tutti, fuorchè dal diavolo e dagli angeli suoi. Conviene adunque additare la via di pervenirvi: conviene persuader tutti, che la via più breve, la via sicura, l’unica via è di far cessare la servitù della Chiesa nella elezione dei suoi ministri, e restituirgliene la piena libertà.
« Quando i principi cristiani saranno persuasi che essi producono un gravissimo male alla Chiesa di Gesù Cristo (e tocca al Clero l’ammaestrarneli) col ritenere in loro mani la nomina dei Prelati invece che lasciarla liberissima alla Chiesa, come dev’essere di sua natura; allora si farà sentire in essi la coscienza, e se si potesse dubitare di qualcheduno, che l’apparenza d’una maggiore potenza temporale prevalesse sopra la voce della coscienza; io non dubiterò certo di Carlo Alberto, io che credo alle sue pure intenzioni, alla sua pietà, al suo attaccamento alla Chiesa, all’influenza che debbono avere su di lui gli eroici esempi di santità, che gli tramandarono i suoi maggiori, e che sono la più bella gloria della sua illustre prosapia. Io credo che Iddio lo benedirà se sarà un figlio amoroso della Chiesa, se si glorierà di renderla libera, se si inalzerà fino a divenire il vindice della sua libertà. Possa esser vero, che Gesù Cristo l’abbia eletto a rendere questa giustizia, a prestare questo servigio all’eterna sua sposa! possa egli diventare un nuovo Costantino, un nuovo Carlo Magno!
« Ma nello stesso tempo che io credo Carlo Alberto capace d’un atto di giustizia sì magnanimo e santo, qual è quello di restituire la libertà d’azione alla Chiesa, ond’egli si procaccerebbe una gloria immortale; io riconosco ancora che a promuovere un tanto bene potrà avere una grandissima influenza l’opinione pubblica che il Clero, come dicevo, deve formare coll’istruire il popolo in quest’argomento. Perchè il Clero si lacera al presente con calunniose maldicenze? perchè i Vescovi sono di nomina regia: i fedeli delle diocesi si ricevono senza conoscerli, senza avere in essi confidenza e il clero diocesano non può averne neppur egli: il Prelato viene imposto ai sacerdoti ed alla plebe, e convien prenderlo tale qual è: sarà ottimo, ma egli dee lottare coll’indifferenza e coll’avversione stessa prima che possano fruttare a vantaggio del suo gregge le sue doti che suppongo egregie, le sue virtù che suppongo eccellenti. Si parla degli studi seminarili. Datemi de’ Vescovi nominati a Clero e popolo, e quegli studi prenderanno subito nuova vita. I popoli son poco rispettosi verso il loro Pastore: il Clero stesso della diocesi non è troppo unito con essolui: fate che il Vescovo sia l’eletto del Clero, abbia la testimonianza del Popolo, e tutto sarà aggiustato. Si sospetta che i Vescovi siano ligi al Principe, e perciò contrari a quelle riforme e a quelle libertà che sembrano diminuire la potenza del Principe. Per quantunque falso sia questo sospetto, egli esiste, e nuoce incredibilmente alla Chiesa, alla religione dei fedeli; ma un tale sospetto cade interamente da sè, qualora nel Vescovo non si possa più vedere il favorito o il beneficato del principe che lo nomina.
« Potrei esteudermi, se il mio proponimento fosse qualche cosa di più che quello di scrivere una breve lettera. Non v’è un solo capo, in cui si possa domandare qualche riforma nelle cose della Chiesa, a cui mediante la libera elezione de’ Prelati non si potesse soddisfare. Basta adunque che la materia sia trattata riccamente e popolarmente dai dotti ecclesiastici; che questi facciano vedere le infinite conseguenze salutari delle libere elezioni, e nascerà tantosto un’opinione illuminata che domanderà ai principi altamente questa libertà preziosa: e qual dubbio che almeuo allora i principi l’accorderanno?
« Ella teme, che i principi tuttavia terranno stretto quello che si sono fatto cedere dalla Chiesa in altri tempi minacciandola di mali maggiori, legati dal proprio interesse, apprezzando essi l’influenza morale de’ Vescovi sui popoli.
« Questo calcolo d’interesse che mira ad aumentare la potenza del principe col sacrificio della libertà della Chiesa e con essa insieme la ragione de’ popoli, non parmi che sia più cosa del tempo nostro. Io stimo troppo avveduti i nostri principi per errare così sformatamente in questo loro calcolo d’interesse: io non li credo ancor ciechi dopo tante lezioni.
« I Vescovi nominati, come si fa al presente, dai principi non possono avere grande influenza sui popoli, soprattutto sopra di popoli liberi e gelosi più che mai dell’acquistata libertà. Quindi i principi non possono confidare gran fatto nell’influenza di tali Vescovi, che agli occhi dei popoli hanno un peccato originale. Ma quello che è assai più rincrescevole a dirsi, si è, che se tali Vescovi non possono avere sui popoli una grand’influenza a favor del monarca che gli ha eletti e di cui sono creduti partigiani, nè pure possono averue una grandissima pel mantenimento della fede, dei buoni costumi e della Religione. Ora sarà egli del vero interesse del principe che i popoli diventino indifferenti in opera di Religione, miscredenti, che non rispettino più i loro Pastori, che non ne ascoltino più la voce? No per certo: questo non è utile nè a’ principi, nè a nessuno: questa è la via, per la quale sono stati rovesciati i principi da’ loro troni, e calcati sotto i piedi della plebaglia, e questo si riunoverà, o saremo di continuo sul vederlo rinnovellato fino che principi e popoli non si renderanno docili alla voce della Chiesa loro madre e maestra; e questo non avverrà fino che i Vescovi saranno nominati dai principi.
« Se la giustizia è l’unico fondamento solidissimo de’ troni; comincino i principi ad essere giusti con quella Chiesa, colla quale dovrebbero anzi essere generosi; con quella Chiesa, cbe fu prima di loro e che sarà dopo di loro: comincino a desiderare sinceramente, che fra sè ed il popolo vi abbia degli arbitri imparziali, pacifici, autorevoli, stimati ed amati da ambe le parti: tali saranno i vescovi nominati liberamente da chi si dee, senza intervento del principato, il quale non ha certo a temere nulla, se vuole la giustizia, benchè abbia veramente a temerne assai, se vuole la prepotenza. Ma nessun bene maggiore per un principe giusto e grande (e quando dico così, la mia mente corre a Carlo Alberto) di aver degli uomini, dei ministri del Dio della pace e della giustizia, che gli dicano schiettamente la verità. A troppa ragione dicea pochi giorni fa Thiers alla costituente francese, che i principi sono periti, perchè hanno troppo abbondato nel loro senso.
« Il fatto di tre secoli ha dimostrato pienissimamente, che i principi (e quando dico i principi intendo anche i loro governi) non sono atti a nominare uomini grandi alle cattedre della Chiesa. Per questo la religione è ridotta a quello stato a cui è ridotta. Quanto mai non furono rari gli uomini illustri per santità, dottrina, attività, per grandezza di vedute e di mezzi in questi tre secoli, ne’ quali la Chiesa tirò avanti gemendo sotto la schiavitù delle elezioni! No, questo non è utile ai principi, non è utile ai popoli, non è utile all’ordine, non è utile alla libertà, non è utile alla prosperità temporale del mondo.
« Queste cose altamente proclamate, ora che si può aprir la bocca e tirar il fiato, perverranno quandochessia agli orecchi de’ principi; può essere, che all’udirle si mettano le mani al petto, e dicano aprendo gli occhi: Abbiamo inceppata la Chiesa, e Dio ci ha castigati: può essere, che in un momento di quiete considerino la tremenda responsabilità che assumono in faccia a Gesù Cristo coll’incaricarsi delle nomine de’ Vescovi, giacchè gli stessi autori benigni, come un S. Alfonso de’ Liguori, dichiarano, che il principe commette un peccato mortale, qualora egli non nomini ai vescovadi i più degni sacerdoti di quanti ne può trovare. Qual principe può affermare in buona fede d’aver sempre scelto il più degno ad una cattedra vacante di quanti egli ne potesse trovare? Lo scuserà forse davanti a Gesù Cristo la sua inettitudine a farne la scelta? Perocchè non il principe, ma il potere laicale in generale non conosce e non può conoscere i veri bisogni della Chiesa, non ha il dono di apprezzare giustamente le sublimi qualità del Pastore, e perciò è inetto a riconoscerlo e ad eleggerlo tra i molti, anche quando le viste umane e temporali non gli torcessero, come accade, il giudizio; conviene lasciar fare a tutti il suo officio: il laicato farà ottimamente il suo, non mai quello che è proprio della Chiesa.
« Per conchiudere, l’interesse dei principi, tanto temporale quanto spirituale, l’interesse loro grande, illuminato, ben inteso li consiglia a restituire alla Chiesa la libertà di eleggersi i suoi Pastori: io spero che ascolteranno questo consiglio a tempo utile1; se no, accadrà che i popoli, consigliati anch’essi dal proprio interesse, e meglio avvisati dei principi, s’incaricheranno pur troppo di riscuotere dalle mani tenaci de’ lor signori quella libertà d’eleggere i Vescovi, che è un diritto non men sacro del popolo che del clero, in quel modo che ho dichiarato, e certo poi è la migliore guarentigia che possa avervi delle libertà accordate, del Governo costituzionale. Se il popolo cristiano sembra al momento presente mettere assai poca importanza nelle elezioni vescovili; verrà il dì, in cui ve la porrà grandissima, ed allora al più tardi elleno saranno sicuramente redente.
« Ho l’onore ec.
Note
- ↑ È da notarsi che il Giornale romano copiato dal P. Ventura nell’Opuscolo Sui martiri di Vienna riportando la presente lettera, lascia le ultime righe posteriori all’asterisco.