Delle funzioni riproduttive degli animali/Della fecondità degli animali

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Della fecondità degli animali

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Prefazione Della generazione agamica
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§ 1. Della fecondità degli animali.


La facoltà che ne’ due regni organici caratterizza gli esseri dotati di individualità propria, si è quella di riprodurre la sua specie, e mantenerne sulla faccia della terra in infinita sequela le generazioni. Ogni altra manifestazione della vita può essere oscura o sospesa, e questa tutt’ora vigente, talvolta anche con particolare energia, ultima a spegnersi.

Si danno invero esseri organizzati di così semplice struttura, che si direbbero quasi destituiti di una vera organizzazione, e non presentano altri fenomeni vitali se non quelli che tendono a soddisfare questo supremo scopo della riproduzione della specie. Pel contrario è noto come alcune parti staccate dell’organismo animale possano conservare, per un tempo più o meno lungo, non solo la propria organizzazione, ma ben anche alcune proprietà vitali, e la più illudente di tutte, il moto, fino ad assumere in tal caso l’apparenza di veri individui animati indipendenti; ma prive del requisito essenziale che sopra esponemmo, non essendo nè potendo mai diventar capaci a generare, non saranno per tradurre in inganno sulla vera loro natura. Dall’esempio volgarissimo che ci presta la coda delle lucerte, che staccata dal corpo si contorce e distende con rapida vicenda anche pel lasso di un certo tempo, siamo guidati ad altri meno generalmente conosciuti e più degni di menzione, come quelli che veramente furono causa di errori. Così i corpuscoli filiformi dell’umor seminale, dotati come sono di movimento, e dell’apparente figura di un corpicino munito di coda, furono [p. 2 modifica]considerati come veri animali parassiti necessarj del testicolo; ma la circostanza che di essi tanti ve n’ha quanti nel testicolo stesso furono prodotti, nè in modo alcuno possono poi essi medesimi moltiplicarsi, vieta assolutamente che abbiano a considerarsi come vere e genuine specie animali. Lo stesso argomento può applicarsi a certe produzioni organizzate, di forma determinata e costante, dotate di manifesta vitalità, che nelle sepie e nei calamai servono di astuccio al seme. Dicasi lo stesso delle appendici peduncolate, bicornute, contrattili e decidue, portate sul dorso da quei gasteropodi eterobranchi che formano il genere delle tetidi, e considerate da alcuni naturalisti come veri animali parassiti esterni di que’ molluschi1.

La facoltà o presentanea o futura a procreare costituisce adunque il vero carattere dell’individuo vivente. L’epoca da cui questa facoltà è tradotta in atto distingue alla sua volta l’apogeo della vita dell’individuo stesso, trascorso il quale perduta, staremmo per dire, ogni ragione di più lunga esistenza, declina e muore. Come la natura sacrifichi la vita degli individui alla conservazione della specie, è dimostrato da mille fatti, e nel più evidente modo dalla carriera vitale degli insetti, i quali, siccome generalmente è noto, muojono subito dopo aver soddisfatto un’unica volta all’opera della generazione.

Il grado di questa facoltà propagativa, ossia la fecondità degli animali, è naturalmente espresso dal numero dei prodotti generati: ma nel modo di valutare questo grado, i naturalisti cadono soventi in errore. Così, per esempio, quando si decanta la maravigliosa prolificità degli infusorj, e si fanno le meraviglie perchè, secondo le asserzioni di Ehremberg, una sola vorticella può nel lasso di 24 ore generarne non meno di 140 bilioni, non si riflette che con altro più giusto ragionamento si dimostra essere la fecondità degli infusorj assai limitata; che in riguardo a questi animali la rapida comparsa in date condizioni di milioni e milioni di individui, è un fatto dipendente dalla rapidità di sviluppo, e conseguente brevità di carriera vitale degli individui stessi, i quali appena nati [p. 3 modifica]crescono, generano e muojono. Quando si contemplano in una goccia d’acqua miriadi d’infusorj della stessa specie, non si deve credere d’aver sott’occhio tanti individui di una stessa famiglia, legati fra di loro dall’istesso grado di parentela, tutti provenienti direttamente da una madre comune; ma piuttosto un assembramento di generazioni, per le quali i minuti contano come gli anni nelle generazioni umane. Quando un infusorio tosto nato si moltiplica, dividendosi, per esempio, in due, la sua individualità scompare, nè può nuovamente servire come elemento di calcolo nello stabilire il grado di fecondità della specie. Per lo contrario una cavalla non dà nel corso dell’anno che un solo prodotto, ma ripetendo i parti per otto o dieci anni di seguito, finisce per essere in realtà più feconda di quell’infusorio.

Qualora dunque s’intenda istituire un confronto tra varj animali in riguardo al rispettivo grado di fecondità, non si può far di meglio che limitarsi a calcolare il numero degli individui figliati direttamente da un solo progenitore. Si vedrà allora variar questo numero fra estremi molto fra loro distanti, e non trovarsi queste variazioni in rapporti costanti e necessarj con altre condizioni fisiologiche degli animali presi in considerazione.

Appena in modo affatto generale, e con trascuranza di un numero più o meno grande di eccezioni si potrebbe stabilire che la prolificità degli animali è in rapporto

a) col grado di elevatezza nella scala organica. Nella grande divisione dei vertebrati si trova infatti che i pesci sono incomparabilmente più fecondi che non gli animali delle altre classi. Bloch si è divertito a calcolare il numero delle uova nelle ovaie mature di varj pesci, e ne ha trovato, per esempio:

nella carpa 330,000
nella tinca 290,000
nel luccio 130,000
nella trota 27,000
nel merluccio 4,000,000.

I rosicanti sono nella classe dei mammiferi i più fecondi. Il ratto delle chiaviche dà fino a 19 figli per parto, e rinnova questi fin 4 volte nell’anno; lo scojattolo [p. 4 modifica]produce dai 3 ai 6 piccini per ognuno de’ suoi due parti annuali, mentre fra i primati le stesse piccole specie gliriformi, come gli ouistiti, non danno che un unico prodotto nel corso dell’anno.

b) colla qualità e quantità del nutrimento. Gli animali erbivori sono in generale più fecondi dei carnivori. Vediamo infatti tra gli uccelli i falchi e gli avvoltoj deporre un numero assai limitato di uova (2 — 6); mentre i colombi, le quaglie e le pernici ne depongono fino a 24 e davantaggio in un anno. Gli squali e le razze, pesci tanto carnivori e voraci si distinguono nella loro classe pel piccolissimo numero dei loro prodotti annuali, di 8 — 32.

La quantità del nutrimento spiega la maggior influenza nella fecondità degli animali. Perchè nell’organismo si sviluppino e funzionino attivamente gli organi riproduttori, si esige un precedente stato di normale nutrizione dell’organismo stesso, anzi, diremmo, di nutrizione esuberante. Non verificandosi questa condizione, può anche aver luogo un’assoluta sterilità. Un parlante esempio ci vien offerto a questo proposito dai ciprini dorati, i quali mantenuti come si accostuma per diletto in acqua limpida e pura entro vasi di cristallo, non producono giammai uova, mentre generano benissimo negli stagni artificiali dei giardini ove la natura lor presta abbondante nutrimento nelle alghe, nelle larve d’insetti, che si sviluppano e vivono in quelle acque.

c) col clima. Un certo grado di calore essendo necessario per lo sviluppo degli organi sessuali, è evidente che questo sviluppo non potrà raggiunger lo stesso grado in una medesima specie d’animali posta in climi fra loro molto diversi. Oltre di ciò la stagione ordinaria delle nozze essendo più o meno lunga secondo la posizione geografica dei varj paesi, ne viene di conseguenza che alcune specie possono durante la medesima replicare i parti in alcuni paesi, non già in altri. Ciò si verifica, per esempio, nella passera comune che nidifica fino 3 volte in un anno nell’Europa meridionale, e soltanto 2 ed anche una sola nelle regioni più settentrionali.

d) collo stato dì libertà naturale o di domesticità, quando non si voglia trovare in questo genere di rapporti una combinazione dei due antecedenti. La maggior fecondità delle razze addomesticate in confronto degli individui della [p. 5 modifica]medesima specie viventi in istato di naturale libertà, è un fatto dei meglio riconosciuti. La femmina del cinghiale dà una sol volta all’anno da 4 a 6 prodotti, mentre la troja domestica ha due parti nell’anno di 6 a 12 piccini per ciascuno. Il coniglio selvatico produce da 2 a 3 volte all’anno e dai 2 a 5 piccoli per volta, mentre il domestico dà un doppio numero di parti e di prodotti. La comune anitra selvatica non depone che dalle 10 alle 15 uova in una sola nidiata durante l’anno, mentre la medesima specie ridotta allo stato di domesticità produce annualmente fino a 50 uova. Una gallina comune può dare fino a 100 uova nell’anno, e più; ora per quanto poco si sappia della produttività di questa specie in istato di selvatichezza, si può presumere non oltrepassare essa la cifra di 30 uova nel corso di un anno. Le cause di queste differenze sono abbastanza evidenti. Agli animali domestici l’uomo stesso provvede in ogni epoca una quantità di nutrimento sempre eccedente le esigenze del puro e semplice sviluppo normale dell’organismo, e tempera le condizioni contrarie di stagione o di clima; gli animali selvatici, per lo contrario, sono astretti a procacciarsi da sè medesimi il nutrimento; sostenere a questo fine frequenti lotte colla natura stessa, sottostare alle privazioni periodiche portate dalla vicenda delle stagioni ed alle accidentali cagionate dalla intemperie.

È però necessario il riflettere che altro è stato di domesticità, altro stato di schiavitù degli animali; che se tutte le specie possono subire quest’ultimo, assai poche relativamente sono quelle suscettibili di vero addomesticamento. L’uno stato accresce come vedemmo or ora la fecondità degli animali, l’altro invece sopprime in essi se non l’attitudine a procreare, almeno l’istinto, del che ci convince l’osservazione comune.

Ad una funzione di così suprema importanza quale si è quella della riproduzione della specie, la natura ha destinato organi appositi, più o meno complicati per forma, numero e posizione diversi, ma sempre destinati quali a produrre le uova, ossia le masse germinali dei novelli individui; quali a produrre il seme, ossia l’elemento completivo e vivificatore dell’uovo. È noto generalmente come i primi costituiscano l’apparato femminile, i secondi l’apparato maschile. [p. 6 modifica]

Nelle classi inferiori peraltro, nelle quali l’organizzazione degli animali si riduce alla massima semplicità, possono mancare anche gli organi sessuali, senza che sia lor tolta per questo la facoltà che vedemmo tanto caratteristica degli esseri viventi. Come in simili animali, da chiamarsi con espressione assai propria agami, non possa mai aver luogo la distinzione di maschi e di femmine, è troppo evidente per sè.

La riproduzione delle specie adunque, o si compie senza apparati organici speciali, e mediante l’organizzazione di un’unica sostanza plastica fondamentale (generazione agamica); o si compie col mezzo di due appositi apparati organici, e dal concorso di due diversi elementi plastici (generazione sessuale).


Note

  1. Carus ha fatto un genere apposito Needhamia degli astucci seminiferi (spermatofori), delle sepie; Otto un altro genere Vertumnus delle appendici decidue delle tetidi. Vedrassi più avanti un caso analogo ed ancor più curioso a proposito dell’Ectocotyle.