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Demetrio Pianelli/Parte terza/IV

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IV.


Per tre o quattro giorni si sentì male e di malavoglia. Un vecchio disturbo di cuore, ch’egli credeva di aver superato colla regola, colla tranquillità, con una moderata cura di digitalina, sotto le scosse di tanti avvenimenti tornò a farsi sentire. Per qualche notte stentò a chiuder occhio. Stava in letto al buio, incantato a contemplare le stelle che brillavano nella cornice della finestra, senza pensare a nulla di preciso, come perduto in un gran deserto, sorpreso di trovarvisi, non sostenuto che da una segreta speranza di uscirne. Gli era capitato come a chi viaggia sui monti. Va e va, su e giù per greppi e bricche, arrivava colle scarpe e colle gambe rotte in cima a una rupe da dove improvvisamente gli era apparso uno stupendo panorama, una stesa senza fine di paesi, di fiumi, di laghi, di pianure verdi, ch’era bello, incantevole di contemplare, anzi valeva la pena di sedersi un poco a tirare il fiato davanti a quel quadro, ma non bisognava fermarsi [p. 248 modifica]troppo. Il luogo era scosceso, soffiavano venti cattivi, e stava per scendere la notte. Giù, giù in fretta, sor Demetrio....


*


Paolino intanto, che non era uomo da stare un pezzo sulle punte di un pettine, passati alcuni giorni, lanciò a Milano questa lettera:


«Caro Demetrio,

Poche parole. Io ti avevo detto di scrivermi un Sì o un No e dopo una settimana non mi scrivi niente.

Ho parlato anche con Carolina che s’è lasciata persuadere e m’incoraggia.

I miei interessi non mi permettono più di aspettare. Non dico di combinare subito, lasciamo pure tempo al tempo, ma avrei piacere che tua cognata venisse a cognizione della qui allegata lettera che ho fatto vedere anche alla Carolina, e dice che va bene. Per ora mi contento di una Promessa, di una Speranza. Se invece è colpo di spada venga colpo di spada. Ma in ogni Contiguità non posso continuare in questo stato letale anche per la salute dell’anima e quella del corpo». [p. 249 modifica]


La lettera allegata diceva:


«Stimatissima signora Beatrice!

Non è uno sconosciuto che osa rivolgersi a Lei per esprimere i sentimenti che da molto tempo nutre il suo Cuore in vista e in riguardo alla Sua Persona. Mio cugino Demetrio è incaricato di esporre per me di che si tratta, donde non istarò a ripetere le ragioni e le speranze, che mi conducono oggi a scriverle una lettera, la quale, se sarebbe accolta con Indulgenza, sarà il giorno più bello della mia vita.

So che io non avrei dovuto essere tanto temerario d’innalzare gli occhi fino alla Sua Persona circondata da tante attrattive, al confronto della quale io non sono che un uomo indegno; ma....».


*


E sempre su questo tono apriva tutte le porte del cuore. Esponeva le sue oneste intenzioni, la gioia dei parenti, ove si fosse potuto stringere un nodo indissolubile, e le cure, le tenerezze di cui avrebbe circondati i poveri orfanelli. [p. 250 modifica]

La buona sorella Carolina, alla quale lesse la minuta della lettera, suggerì una frase, «porgere grato orecchio», che le era rimasta in mente fin dal tempo del collegio.

Non contento ancora, Paolino volle far sentire lo scritto anche a don Giovanni, curato di Chiaravalle, un vecchietto di molto buon senso pratico, che propose una chiusa: «voglia dunque alla stregua di queste considerazioni perdonare la mia improntitudine».

Per quanto Paolino non entrasse molto bene nel significato di questa «stregua» accettò e introdusse anche la frase del buon vecchietto, per dare anche a lui la sua parte di responsabilità.

Trascrisse la lettera su un bel foglio quadrato coll’aiuto della falsariga, senza una macchia, senza una cancellatura e mandò il suo letterone aperto a Demetrio, perchè vedesse e giudicasse anche lui.

Demetrio lesse una volta con una faccia tra l’irritato e l’indifferente.

Ognuna di queste parole scritte colla calligrafia commerciale del cugino era un chiodo che egli doveva ribadire nel cuore di Beatrice. E non se ne sentiva più voglia.

Gli parve che il signor cugino avrebbe potuto sbrigarsi da sè, senza bisogno d’ambasciatori. Egli non faceva il portalettere per nessuno. In un atto subitaneo e irragionevole [p. 251 modifica]di stizza fece volare i fogli, che andarono a finire sotto la sedia. Capì subito però che era fuori di casa. Si stupì egli stesso della sua impazienza. Che diavolo aveva indosso? Raccolse i foglietti, li nettò dalla polvere soffiandovi sopra, e nel metterli sotto un calamaio disse a mezza voce: «vedremo», quel tal «vedremo» con cui di solito i nostri buoni superiori procurano di non farci veder nulla.