Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio/Libro primo/Capitolo 19

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Libro primo

Capitolo 19

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Dopo uno eccellente principe
si può mantenere uno principe debole;
ma, dopo uno debole, non si può
con un altro debole mantenere
alcuno regno.

Considerato la virtù ed il modo del procedere di Romolo, Numa e di Tullo, i primi tre re romani, si vede come Roma sortì una fortuna grandissima, avendo il primo re ferocissimo e bellicoso, l’altro quieto e religioso, il terzo simile di ferocità a Romolo, e più amatore della guerra che della pace. Perché in Roma era necessario che surgesse ne’ primi principii suoi un ordinatore del vivere civile, ma era bene poi necessario che gli altri re ripigliassero la virtù di Romolo; altrimenti quella città sarebbe diventata effeminata, e preda de’ suoi vicini. Donde si può notare che uno successore, non di tanta virtù quanto il primo, può mantenere uno stato per la virtù di colui che lo ha retto innanzi, e si può godere le sue fatiche: ma s’egli avviene o che sia di lunga vita, o che dopo lui non surga un altro che ripigli la virtù di quel primo, è necessitato quel regno a rovinare. Così, per il contrario, se dua, l’uno dopo l’altro, sono di gran virtù, si vede spesso che fanno cose grandissime, e che ne vanno con la fama in fino al cielo.

Davit, sanza dubbio, fu un uomo, per arme, per dottrina, per giudizio, eccellentissimo; e fu tanta la sua virtù, che, avendo vinti e battuti tutti i suoi vicini, lasciò a Salomone suo figliuolo uno regno pacifico: quale egli si potette con l’arte della pace, e non con la guerra, conservare; e si potette godere felicemente la virtù di suo padre. Ma non potette già lasciarlo a Roboam suo figliuolo; il quale, non essendo per virtù simile allo avolo, né per fortuna simile al padre, rimase con fatica erede della sesta parte del regno. Baisit, sultan de’ Turchi, come che fussi più amatore della pace che della guerra, potette godersi le fatiche di Maumetto suo padre; il quale avendo, come Davit, battuto i suoi vicini, gli lasciò un regno fermo, e da poterlo con l’arte della pace facilmente conservare. Ma se il figliuolo suo Salì, presente signore, fusse stato simile al padre, e non all’avolo, quel regno rovinava; ma e’ si vede costui essere per superare la gloria dell’avolo. Dico pertanto con questi esempli, che, dopo uno eccellente principe, si può mantenere uno principe debole; ma, dopo un debole, non si può, con un altro debole, mantenere alcun regno, se già e’ non fusse come quello di Francia, che gli ordini suoi antichi lo mantenessero: e quelli principi sono deboli, che non stanno in su la guerra.

Conchiudo pertanto, con questo discorso, che la virtù di Romolo fu tanta, che la potette dare spazio a Numa Pompilio di potere molti anni con l’arte della pace reggere Roma: ma dopo lui successe Tullo, il quale per la sua ferocità riprese la riputazione di Romolo: dopo il quale venne Anco, in modo dalla natura dotato, che poteva usare la pace e sopportare la guerra. E prima si dirizzò a volere tenere la via della pace, ma subito conobbe come i vicini, giudicandolo effeminato, lo stimavano poco: talmente che pensò che, a volere mantenere Roma, bisognava volgersi alla guerra, e somigliare Romolo, e non Numa.

Da questo piglino esemplo tutti i principi che tengono stato; che chi somiglierà Numa, lo terrà o non terrà, secondo che i tempi o la fortuna gli girerà sotto; ma chi somiglierà Romolo, e fia come esso armato di prudenza e d’armi, lo terrà in ogni modo, se da una ostinata ed eccessiva forza non gli è tolto. E certamente si può stimare che, se Roma sortiva per terzo suo re un uomo che non sapesse con le armi renderle la sua riputazione non arebbe mai poi, o con grandissima difficultà, potuto pigliare piede, né fare quegli effetti ch’ella fece. E così, in mentre che la visse sotto i re la portò questi pericoli di rovinare sotto uno re o debole o malvagio.