Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio (1824)/Libro primo/Capitolo 38

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Libro primo

Capitolo 38

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CAPITOLO XXXVIII


Le Repubbliche deboli sono male risolute, e non si sanno deliberare; e se le pigliano mai alcuno partito nasce più da necessità che da elezione.


Essendo in Roma una gravissima pestilenza, e parendo per questo ai Volsci e agli Equi che fusse venuto il tempo di poter oppressar Roma, fatto questi due Popoli un grossissimo esercito, assaltarono i Latini e gli Ernici, e guastando il loro paese furono costretti i Latini e gli Ernici farlo intendere a Roma, e pregare che fussero difesi da’ Romani; a’ quali, sendo i Romani gravati dal morbo, risposero che pigliassero partito di difendersi da loro medesimi e con le loro armi, perchè essi non li potevano difendere. Dove si conosce la generosità e la prudenza di quel Senato, e come sempre in ogni fortuna volle essere quello che fusse Principe delle deliberazioni, che avessero a pigliare i suoi; nè si vergognò mai deliberare una cosa che fusse contraria al suo modo di vivere, o ad altre deliberazioni fatte da lui, quando la necessità gliene comandava. Questo dico, perchè altre volte il medesimo Senato aveva vietato ai detti Popoli l’ ar- marsi e difendersi; talchè ad un Senato meno prudente di questo sarebbe parso cadere del grado suo a concedere loro tale difensione. Ma quello sempre [p. 137 modifica]giudicò le cose come si debbono giudicare, e sempre prese il men reo partito per migliore; perchè male gli sapeva non potere difendere i suoi sudditi, male gli sapeva che si armassero senza loro per le ragioni dette, e per molte altre che s’ intendono; nondimeno conoscendo che si sarebbono armati per necessità ad ogni modo, avendo il nimico addosso, prese la parte onorevole; e volle che quello ch’eglino avevano a fare, lo facessero con licenza sua, acciocchè avendo disubbidito per necessità, non si avvezzassero a disubbidire per elezione. E benchè questo paja partito che da ciascuna Repubblica dovesse esser preso, nientedimeno le Repubbliche deboli e male consigliate non lo sanno pigliare, nè si sanno onorare di simili necessità. Aveva il Duca Valentino presa Faenza, e fatto, calare Bologna agli accordi suoi. Dipoi voleadosene tornare a Roma per la Toscana, mandò in Firenze un suo uomo a domandare il passo per sè e per il suo esercito. Consultossi in Firenze, come si avesse a governare questa cosa, nè fu mai consigliato per alcuno di concedergliene. In che non si seguì il modo romano, perchè, sendo il Duca armatissimo, ed i Fiorentini in modo disarmati che non gli potevano vietare il passare, era molto più onore loro, che paresse che passasse con permissione di quelli, che a forza; perchè dove vi fu al tutto il loro vituperio, sarebbe stato in parte minore, quando l’avessero governata altrimente. Ma la più cattiva parte che abbiano le Repubbliche deboli, è [p. 138 modifica]essere irresolute; in modochè tutt’i partiti che le pigliano, li pigliano per forza, e se viene loro fatto alcuno bene, lo fanno forzato e non per prudenza loro. Io voglio dare di questo due altri esempj, occorsi ne’ tempi nostri nello stato della nostra Città, nel mille cinquecento. Ripreso che il Re Luigi XII di Francia ebbe Milano, desideroso di rendergli Pisa, per aver cinquantamila ducati, che gli erano stati promessi da’ Fiorentini dopo tale restituzione, mandò gli suoi eserciti verso Pisa capitanati da Monsig. di Beaumonte, benchè Francese, nondimanco uomo in cui i Fiorentini assai confidavano. Condussesi questo esercito e questo Capitano tra Cascina e Pisa, per andare a combattere le mura, dove dimorando alcun giorno per ordinarsi alla espugnazione, vennero Oratori pisani a Beaumonte, e gli offerirono di dare la Città allo esercito francese con questi patti, che sotto la fede del Re promettesse non la mettere in mano de’ Fiorentini, prima che dopo quattro mesi. Il qual partito fu da’ Fiorentini al tutto rifiutato, in modochè si seguì nello andarvi a campo, e partissene con vergogna. Nè fu rifiutato il partito per altra cagione, che per diffidare della fede del Re, come quelli che per debolezza di consiglio si erano per forza messi nelle mani sue; e dall’altra parte non se ne fidavano, nè vedevano quanto era meglio che il Re potesse rendere loro Pisa sendovi dentro; o non la rendendo scoprire l’animo suo, che non l’avendo, potere loro promettere, e loro esser [p. 139 modifica]forzati comperare quelle promesse. Talchè molto più utilmente arebbono fatto a consentire, che Beaumonte l’avesse sotto qualunque promessa presa, come se ne vide l’esperienza dipoi nel 1502, che essendosi ribellato Arezzo, venne al soccorso dei Fiorentini mandato dal Re di Francia Monsignor Imbalt con gente francese; il qual giunto propinquo ad Arezzo, dopo poco tempo cominciò a praticare accordo con gli Aretini, i quali sotto certa fede volevano dare la Terra a similitudine de’ Pisani. Fu rifiutato in Firenze tale partito, il che veggendo Monsignor Imbalt, e parendogli come i Fiorentini se ne intendessero poco, cominciò a tenere le pratiche dello accordo da sè, senza parlicipazione dei Commissarj; tantochè e’ lo conchiuse a suo modo, e sotto quello con le sue genti se n’entrò in Arezzo, facendo intendere a’ Fiorentini come egli erano matti, e non si intendevano delle cose del mondo; che se volevano Arezzo, lo facessero intendere al Re, il quale lo poteva dar lor molto meglio, avendo le sue genti in quella Città, che fuori. Non si restava in Firenze di lacerare e biasimare detto Imbalt, nè si restò mai, infino a tanto che si conobbe che se Beaumonte fusse stato simile a Imbalt, si sarebbe avuto Pisa come Arezzo. E così, per tornar a proposito, le Repubbliche irresolute non pigliano mai partiti buoni, se non per forza, perchè la debolezza loro non le lascia mai deliberare dove è alcun dubbio, e se quel dubbio non è cancellato da una violenza che le sospinga, stanno sempre mai sospese.