Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio (1824)/Libro primo/Capitolo 39

Da Wikisource.
Libro primo

Capitolo 39

../Capitolo 38 ../Capitolo 40 IncludiIntestazione 14 dicembre 2023 75% Storia

Libro primo - Capitolo 38 Libro primo - Capitolo 40


[p. 140 modifica]

CAPITOLO XXXIX


In diversi Popoli si veggono spesso i medesimi accidenti.


E’ si conosce facilmente per chi considera le cose presenti e le antiche, come in tutte le Città e in tutti Popoli sono quelli medesimi desiderj e quelli medesimi umori, e come vi furono sempre. In modo ch’egli è facil cosa a chi esamina con diligenza le cose passate, prevedere in ogni Repubblica le future, e farvi quelli rimedj che dagli antichi sono stati usati, o non ne trovando degli usati, pensarne de’ nuovi, per la similitudine degli accidenti. Ma perchè queste considerazioni sono neglette, o non intese da chi legge, o se le son intese, non sono conosciute da chi governa, ne seguita che sempre sono i medesimi scandali in ogni tempo. Avendo la Città di Firenze dopo il 94 perduta parte dello Imperio suo, come Pisa e altre terre, fu necessitata a fare guerra a coloro, che le occupavano: e perchè chi le occupava era potente, ne seguiva che si spendeva assai nella guerra senza alcun frutto: dallo spendere assai, ne risultavano assai gravezze, dalle gravezze infinite querele del Popolo: e perchè questa guerra era amministrata da un Magistrato di dieci cittadini, che si chiamavano i Dieci della guerra, l’universale cominciò a recarselo in dispetto, come quello [p. 141 modifica]che fusse cagione e della guerra e delle spese di essa, e cominciò a persuadersi che, tolto via detto Magistrato, fusse tolto via la guerra; tantochè avendosi a rifare, non se gli fecero gli scambj; e lasciatosi spirare, si commisero le azioni sue alla Signoria. La qual deliberazione fu tanto perniziosa, che non solamente non levò la guerra, come l’universale si persuadeva, ma tolti via quelli uomini, che con prudenza l’amministravano, ne seguì tanto disordine, che oltre a Pisa, si perdè Arezzo e molti altri luoghi; in modochè ravvedutosi il Popolo dell’error suo, e come la cagione del male era la febbre, e non il medico, rifece il Magistrato de’ Dieci. Questo medesimo umore si levò in Roma contro al nome de’ Consoli, perchè veggendo quello Popolo nascere l’una guerra dall’altra, e non poter mai riposarsi, dove e’ dovevano pensare che la nascesse dall’ambizione dei vicini che gli volevano opprimere, pensavano nascesse dall’ambizione de’ Nobili, che non potendo dentro in Roma gastigare la Plebe difesa dalla potestà Tribunizia, la volevano condurre fuori di Roma sotto i Consoli, per opprimerla dove la non aveva ajuto alcuno. E pensarono per questo, che fusse necessario, o levar via i Consoli, o regolare in modo la loro potestà, ch’ e’ non avessero autorità sopra il Popolo, nè fuori, nè in casa. Il primo che tentò questa legge, fu uno Terentillo Tribuno, il quale proponeva che si dovessero creare cinque uomini, che dovessero considerare la [p. 142 modifica]potenza de’ Consoli, e limitarla. Il che alterò assai la Nobiltà, parendogli che la maestà dell’Imperio fusse al tutto declinata, talchè alla Nobiltà non restasse più alcun grado in quella Repubblica. Fu nondimeno tanta l’ostinazione de’ Tribuni, che il nome Consolare sì spense; e furono in fine contenti dopo qualche altro ordine, piuttosto creare i Tribuni con potestà Consolare, che i Consoli: tanto avevano più in odio il nome, che l’autorità loro. E così seguirono lungo tempo, infino che conosciuto l’error loro, come i Fiorentini tornarono ai Dieci, così loro ricrearono i Consoli.