Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio (1824)/Libro primo/Capitolo 34

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CAPITOLO XXXIV


L’autorità Dittatoria fece bene e non danno alla Repubblica romana; e come le autorità che i cittadini si tolgono, non quelle che sono loro dai suffragj liberi date, sono alla vita civile perniziose.


E’ sono stati dannati da alcuno scrittore quelli Romani, che trovarono in quella Città il modo di creare il Dittatore, come cosa che fusse cagione, col tempo, della Tirannide di Roma; allegando, come il primo Tiranno che fusse in quella Città, la comandò sotto questo titolo Dittatorio, dicendo, che se non vi fusse stato questo, Cesare non arebbe potuto sotto alcuno titolo pubblico adonestare la sua Tirannide. La qual cosa non fu bene da colui che tenne questa opinione esaminata, e fu fuori d’ogni ragione creduta. Perchè e’ non fu il nome nè il grado del Dittatore che facesse serva Roma, ma fu l’autorità presa da’ cittadini per la diuturnità dell’imperio; e se in Roma fusse mancato il nome Dittatorio, n’arebbono preso un altro; perchè ei sono le forze, che facilmente s’ acquistano i nomi, non i nomi le forze. E si vide che ’l Dittatore, mentrechè fu dato secondo gli ordini pubblici, e non per autorità propria, fece sempre bene alla Città. Perchè e’ nuocono alle Repubbliche i Magistrati che si fanno, e le autoritadi che si [p. 124 modifica]danno per vie straordinarie, non quelle che vengono per vie ordinarie, come si vede che seguì in Roma in tanto progresso di tempo, che mai alcuno Dittatore fece se non bene alla Repubblica. Di che ce ne sono ragioni evidentissime. Prima, perchè a volere che un cittadino possa offendere, e pigliarsi autorità straordinaria, conviene ch’egli abbia molte qualità, le quali in una Repubblica non corrotta non può mai avere; perchè gli bisogna essere ricchissimo, ed avere assai aderenti e partigiani, i quali non può avere dove le leggi sì osservano; e quando pure ve gli avesse, simili uomini sono in modo formidabili, che i suffragj liberi non concorrono in quelli. Oltra di questo, il Dittatore era fatto a tempo, e non in perpetuo, e per ovviare solamente a quella cagione, mediante la quale era creato; e la sua autorità si estendeva in potere deliberare per sè stesso circa i modi di quello urgente pericolo, e fare ogni cosa senza consulta, e punire ciascuno senza appellazione; ma non poteva fare cosa che fusse in diminuzione dello Stato, come sarebbe stato torre autorità al Senato, o al Popolo, disfare gli ordini vecchi della Città, e farne de’ nuovi. In modochè raccozzato il breve tempo della sua Dittatura, e l’autorità limitata ch’egli aveva, e il Popolo romano non corrotto, era impossibile ch’egli uscisse de’ termini suoi, e nuocesse alla Città; e per esperienza si vede che sempre mai giovò. E veramente fra gli altri ordini romani, questo è uno che merita essere considerato, e [p. 125 modifica]connumerato fra quelli che furono cagione della grandezza di tanto Imperio, perchè senza un simile ordine le Città con difficultà usciranno degli accidenti straordinarj; perchè gli ordini consueti nelle Repubbliche hanno il moto tardo (non potendo alcuno Consiglio, nè alcuno Magistrato per sè stesso operare ogni cosa, ma avendo in molte cose bisogno l’uno dell’altro), perchè nel raccozzare insieme questi voleri a tempo, sono i rimedj loro pericolosissimi, quando egli hanno a rimediare a una cosa che non aspetti tempo. E però le Repubbliche debbono tra i loro ordini avere un simile modo. E la Repubblica viniziana, la qual tra le moderne Repubbliche è eccellente, ha riservato autorità a pochi cittadini, che ne’ bisogni urgenti, senza maggiore consulta tutti d’accordo possano deliberare. Perchè quando in una Repubblica manca un simil modo, è necessario, o servando gli ordini, rovinare, o per non rovinare, rompergli. E in una Repubblica non vorrebbe mai accader cosa, che coi modi straordinarj s’avesse a governare. Perchè ancorachè il modo straordinario per allora facesse bene, nondimeno lo esempio fa male; perchè si mette una usanza di rompere gli ordini per bene, che poi sotto quel colore si rompono per male. Talchè mai fia perfetta una Repubblica, se con le leggi sue non ha provvisto a tutto, e ad ogni accidente posto il rimedio, e dato il modo a governarlo. E però conchiudendo dico, che quelle Repubbliche, le quali negli urgenti pericoli non [p. 126 modifica]hanno rifugio o al Dittatore, o a simili autoritadi, sempre nei gravi accidenti rovineranno. È da notare in questo nuovo ordine, il modo dello eleggerlo, quanto da’ Romani fu saviamente provvisto. Perchè sendo la creazione del Dittatore con qualche vergogna dei Consoli, avendo di Capi della Città a venire sotto una ubbidienza come gli altri, e presupponendo che di questo avesse a nascere isdegno fra i cittadini, vollono che l’autorità dello eleggerlo fusse ne’ Consoli; pensando che quando l’accidente venisse, che Roma avesse bisogno di questa Regia potestà, e l’avessero a fare volentieri, e facendolo loro, che dolesse lor meno. Perchè le ferite, e ogni altro male che l’uomo si fa da sè spontaneamente e per elezione, dolgono di gran lunga meno, che quelle che ti sono fatte da altri. Ancorachè poi negli ultimi tempi i Romani usassero in cambio del Dittatore, di dare tale autorità al Consolo, con queste parole: Videat Consul, ne respublica quid detrimenti capiat. E per tornare alla materia nostra conchiudo, come i vicini di Roma cercando opprimerli, gli fecero ordinare non solamente a potersi difendere, ma a potere con più forza, più consiglio, e più autorità offendere loro.