Vai al contenuto

Discussioni utente:Maria Cornelia Carlessi

Contenuti della pagina non supportati in altre lingue.
Aggiungi argomento
Da Wikisource.
Ultimo commento: 2 giorni fa, lasciato da Alex brollo in merito all'argomento Testo recuperato

Testo recuperato[modifica]

Il testo sottostante è stato recuperato dalla pagina Categoria:Testi di Giovanni Oberti..


Aceto cani palle nella pinacoteca Roberto Daolio, Ad’a, 2008 Catalogo Area d’azione, Imola, 2008

Tutto cambia e si muove. Non vuole essere certamente una considerazione originale. Tuttavia a volte si avverte la necessità di ribadirlo e di sottolinearlo. Anche per il semplice motivo che l’abitudine crea assuefazione e altrettanto spesso la ritualità induce alla ripetizione priva di scarto e di differenze. E soprattutto vanifica e sfuma l’impegno a sottrarre a ogni forma di stereotipizzazione o di indulgenza la memoria. Di uno spazio, di un luogo, di un progetto entro cui ricombinare e riaggregare frammenti di mondo e di realtà attraverso il fare e il sapere contemporanei dell’arte e degli artisti (Poiesis). Il concept di ad’a, a partire dagli esordi nel 2003, si è formato sulle ibridazioni linguistiche e sugli sconfinamenti dei linguaggi e delle tecniche, intra ed extra moenia, dove lo spazio pubblico e la città, i musei e i non luoghi, le forme di relazione e la vita sociale, gli interstizi ambientali e le condizioni antropologiche e culturali, sono la dimensione primaria e privilegiata dell’azione artistica. E da questa non solo apparente fuga dai modelli canonici ha inteso registrare e testimoniare differenti forme di produzione e di (rap)presentazione. In modo tale da confrontarsi con le identità multiple e variegate che sono implicite nella distribuzione dei ruoli interni ed esterni al sistema e alla funzione dell’arte che si muove allo “scoperto”. Nell’incertezza e nella baumaniana dimensione “liquida” della nostra società, il linguaggio dell’arte partecipa di un meticciato di forme e di grammatiche in grado di declinare un dialogo a piu voci con i saperi specialistici. E da tali pratiche e comportamenti condivisi e messi a disposizione, non si può non rilevare un’occasione da non perdere e da non trascurare soprattutto nei riquadri di un risvolto “pubblico” e di partecipazione relazionata ai valori di tradizioni e di memorie, di risonanze e di “continuità” tra passato, presente e futuro. + l, 2012

“Da quando si è trasferito a Milano ha preso una specie di abitudine, lui la chiama fare ginnastica, ginnastica degli occhi e della mente: si alza presto la mattina, nelle giornate serene, ed esce in bici- cletta. Attraversa pedalando le mille geometrie di luce e ombra sull’asfalto, perfettamente disegnate in quell’ora, e raggiunge una sua meta; oggi è il video Via Dolorosa di Mark Wallinger, in Duomo. Lega la bicicletta al parapetto della metropolitana, a passo svelto sale i gradini del Sagrato ed entra in Duomo prima dell’arrivo dei turisti. Percorre spedito la navata di destra, scende nella cripta e qui, seduto su una panca, guarda, da solo, l’opera di Mark Wallinger. Cerca nella cornice delle immagini un segno che possa essere il segnale del suo personale loop. E guarda. Guarda per diversi minuti questo rettangolo nero che nasconde i sette ottavi dello schermo. Non pensa a niente. Nero, nero assoluto. Uno sbarramento, un ostacolo che impedisce la visione. Guarda per diversi minuti questo rettangolo nero e vede la sfocatura dei bordi. Una sfumatura infinitesimale che unisce questo all’immagine che nasconde, e ne fa una cosa sola. E la guarda. La guarda per diversi minuti e non pensa a niente, fino al segnale del suo personale loop nelle immagini della cornice. Dopo aver guardato, da solo, l’opera di Mark Wallinger, si gira scavalcando la panca su cui era seduto e sale spedito le scale della cripta, percorre la navata di destra ed esce dal Duomo mentre entra un gruppo di turisti. Scende a passo svelto gli scalini del Sagrato e slega la bicicletta dal parapetto della metropolitana. Oggi la sua meta è stata il video Via Dolorosa di Mark Wallingher, in Duomo. Ora pedala attraversando le diverse geometrie della luce e dell’ombra disegnate sull’asfalto nelle mezze mattine di una giornata serena, e ritorna. Ritorna, in bicicletta, da quella sua abitudine che lui chiama fare ginnastica, ginnastica dell’occhio e della mente, che ha preso da quando si è trasferito a Milano”.

Alessandro Sarri, VERBATIM, 2011 Galleria Enrico Fornello, Milano Catalogo MiArt, Silvana Editoriale, Milano, 2011

La tautologia della cancellatura intesa qui come la rovina anticipata di matrice mai incarnata. Ciò investe necessariamente lo statuto di una traccia che continua a apparire nonostante la cancellatura e continua a sparire nonostante l’apparizione. Potremmo chiederci che tipo di sguardo necessita questa sorta di traccia che continua a tracciare la propria immobilità. Infatti, che tipo di traccia è una traccia che continua a sventarsi attraverso una traccia che non di-venterà mai una traccia? Si può ancora parlare di traccia? E’ mai stata una traccia? Si è mai promessa ad una traccia che potrà cosi approcciarsi ad un qualche tipo di traccia? Questa traccia è una metafora di qualcosa o, in questo caso, la metafora è ‘solo’ la metafora incagliata di sé? Per questa ragione qui potremmo cercare di approcciare la nozione di metafora morta. Questa metafora è un qualcosa che ha smarrito tutte le connessioni da una causa che innescherebbe necessariamente ogni sorta di protesi o innesto, una metafora lontana dal farsi tumulare in un’ermeneutica del palinsesto intesa come qualcosa da riattivare attraverso una ritenzione in tempo reale concepita espressamente per coprire ciò che non potrà mai essere una ritenzione. Questa metafora bloccata balbetta una metafora che annienta ogni metafora. Forse potremmo parlare di qualcosa incapace di assorbire la condizione della propria perdita, qualcosa che rilascia una ritenzione forclusa che nessuna ritenzione riuscirà mai a ritenere. Una ritenzione che s’invalida attraverso un proprio che minaccia e infesta ogni proprietà. Questo è forse ciò che intendiamo qui per tautologia della cancellazione: una traccia barrata di una meta-fora irreversibile che non cessa mai di ripetere la propria ripetizione impossibile, in altre parole, l’inerzia atarassica che permette il rigetto primario del proprio senso irrevocabile. Un senso che perciò non ha senso ma, in questo caso, solo il suo senso. Qualcosa che cancella la propria presenza mediante una presenza che erode i margini della propria non—proprietà. Questa cancellatura sembra un’autosoppressione in una presenza che non sarà mai al suo posto perché sarà sempre stata qui, nella cancellatura indelebile che sventa sia la presenza che l’assenza. Una metafora che non sa niente di sé in ragione dell’indicibile segregazione del proprio noumeno, una metafora incapace di riconoscersi mediante gli stratagemmi inetonirnici che inseguono e intrappolano il proprio indimostrabile soliloquio nel porto sicuro di un avvicendamento significante incaricato di seppellire questo grumo anasemico mediante una sutura a venire di un’opzione o soluzione supplementare. Alex brollo (disc.). 14:57, 15 lug 2024 (CEST)Rispondi